martedì 20 ottobre 2015

I Borboni del Cicolano

E' uscito quest'inverno un volume su Pescorocchiano con pregi e difetti che non ci va almeno qui di commentare. Nella locale scuola media si dà l'aire all'esaltazione del risorgimento decisamente favorevole a Casa Savoia. Certo con  scolaresche delle Medie non si può essere espliciti. E quelle pagine di storia sono intrise di propensioni borboniche e di repulsa degli "invasori piemontesi". Accanto a libri, testi, racconti "patriottici" vi stanno controcanti pieni di passione filoborbonica che un tantinello ci fanno sorridere. Noi stralciamo passi grondanti di retorica filoborbonica nell'esaltare il ribellismo che nel Cicolano vi fu contro il nuovo Stato di Cavour. Ve li proponiamo senza nostra personale presa di parte. Leggete e giudicate da voi stessi.  

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Il Cicolano in armi 
Vediamo che cosa era accaduto nel Cicolano già prima dell’arrivo del tristanzuolo Ferdinando Pinelli, nato a Roma da una famiglia di traditori piemontesi di Cuorgné, vendutisi ai francesi in epoca napoleonica, e insignito di medaglia d’oro per i suoi crimini di guerra. Di quel territorio, anche se di frontiera, disponiamo di dati sufficienti per fare un discorso abbastanza coerente. Erano i giorni in cui il nostro esercito fronteggiava il nemico sul Volturno. Nei quattro comuni del Cicolano: Petrella, Fiammignano (oggi Fiamignano), Pescorocchiano, Borgocollefegato (oggi Borgorose), nei giorni 15, 16, 17, 18 del mese di settembre 1860 era stato fatto, da parte dei decurioni e del sindaco Oreste Martelli, un micro-golpe comunale: contro la volontà della quasi totalità dei cittadini avevano deliberato adesione al governo invasore e pochi giorni dopo costituirono la guardia nazionale locale. Ma nel comune di Fiammignano c’era pure chi non la pensava allo stesso modo degli amministratori traditori, in particolare il cav. Luigi Spaventa di Torre di Taglio, un sincero patriota duosiciliano, estraneo agli omonimi famigerati Spaventa di Bomba (Chieti), che spronò la popolazione a ribellarsi ai traditori. Cominciò perciò a manifestarsi la resistenza sia contro gli usurpatori locali, che contro i militi delle costituite guardie nazionali. Anzi a Pescorocchiano la domenica 21 ottobre, giorno del famigerato plebiscito, la popolazione riuscí ad impedirlo, mentre negli altri tre comuni i mafiosi filopiemontesi sottrassero le schede votate a favore di Francesco II e le sostituirono con altre contrarie. Se prima la popolazione ribolliva di sdegno, con gli imbrogli la pentola scoppiò. La domenica successiva (28 ottobre), dalle frazioni intorno a Fiammignano, sei patrioti: Antonio Calabrese, Giuseppe Di Giovanni ed Antonio Di Sabantonio da Radicaro e Giuseppe Antonini, Fiore Sallusti e Antonio Saporetti da Sambuco, procuratisi le piú diverse armi e riunite circa 250 persone, fecero irruzione nel municipio dove distrussero gli stemmi dei savoia, rimisero al loro posto il ritratto di Francesco II e le insegne delle Due Sicilie e, subito dopo, devastarono la casa del sindaco che nel frattempo se l’era svignata. Nella stessa notte, a Radicaro, fu devastata pure la casa di Eugenio Martelli, fratello del sindaco, e quella del capitano della guardia nazionale, Domenico Martelli, cugino dei precedenti. Una famiglia ben affiatata, non c’è che dire. 
Cose analoghe succedevano a Pescorocchiano, dove la popolazione, come già a Fiammignano, guidata da Carmine Leonetti ricollocò all’antico posto le immagini e gli stemmi borbonici. Ad Avezzano, centro di tutto il mandamento, nel frattempo il sottintendente Vincenzo Cardone, fedele al governo legittimo, invocava la protezione delle truppe regolari borboniche. Nel contempo, dai quattro comuni del Cicolano furono inviati prigionieri al capitano Giacomo Giorgi i traditori filopiemontesi. Intanto "la banda cominciò a prendere piú vaste proporzioni, tanto che raggiunse il numero di circa duemila individui". 


Fiammignano centro della rivolta 
A Fiammignano fu posto il quartier generale di quelle masse popolari. I capi erano: il capitano Giuseppe Di Giovanni di Collegiudeo, coadiuvato da Fiore Sallusti e Giacomo Saporetti di Sambuco, Ascenso Napoleone di Torre di Taglio e Aurelio Ricciardi di Castagneto. Luogotenenti: Giuseppe Antonini di Sambuco, Vincenzo Fabi e Carmine Leonetti di Gamagna, Antonio Apolloni di Fiumata, Berardino Viola di Taglieto, Gaetano Rosati di Piagge di Mareri, Vincenzo Manenti di Capradosso, Domenico De Sanctis di Petrella, Giovanni Giacomini e Domenico Rencricca di Baccarecce, Feliciantonio Felli di Leofreni, Giuseppe Sorani e Domenico Ricciardi di Torre di Taglio, Angelo De Sanctis di Poggio S. Giovanni, Giannandrea Rosati di Granara, Bernardino Pietropaoli di Poggiovalle e Giuseppe Luce di S. Anatolia. 
I liberali del mandamento di Fiammignano, disperando di poter tenere la situazione sotto controllo "rivolsero reiterate istanze al comandante militare della provincia, il maggior generale Ferdinando Pinelli, che con la Brigata Bologna era giunto all‘Aquila ai primi di novembre, acciocché mandasse … un buon numero di truppe per ristabilirvi l‘ordine e con esso la turbata tranquillità" (Domenico Lugini, Reazione e brigantaggio nel Cicolano, in Memorie Storiche della Regione Equicola ora Cicolano, Rieti, 1907, ristampa Polla editore), il quale SS aveva ricevuto, dallo Stato Maggiore invasore, "l‘incarico di reprimere energicamente quei primi sintomi reazionari, che dovevano essere poi i prodromi della immane e feroce conflagrazione politico-sociale che scoppiò subito dopo la caduta dei Borboni di Napoli … Contro queste bande, le truppe della colonna Pinelli, dislocate nella conca aquilana, ben presto ebbero occasione di trovarsi a contatto, e prime fra tutte quelle del Cicolano e della Marsica affidate al comando del colonnello Quintini" (Guido Cortese, Memorie Storiche del 40° reggimento di fanteria, pag. 78 e segg.) 


Biografia di un criminale di guerra 
Carlo Pietro Quintini, 1° colonnello del 40° fanteria, nacque a Roma nel 1814 e fu rapito da Satana a Terni nel 1865. Fu dapprima cadetto nelle truppe pontificie, poi, fino al 1848, maggiore. Nel 1849 fu tenente colonnello nella repubblica romana, se la svignò a Genova quando questa fu cancellata dal libro dei sogni. Nel 1859 il governo piemontese, in vista dell’invasione del Regno, conoscendone il passato alla "Jack lo squartatore", lo chiamò sotto le armi e lo fregiò del titolo di colonnello. Nel 1861 "per la parte attiva e brillante presa nella repressione del brigantaggio con le truppe del suo reggimento" fu decorato di medaglia d’oro al valor militare. Nel 1862 "diede prova di molta accortezza e di suprema energia nel reprimere un moto reazionario a Castellammare in Sicilia. Per qualche tempo esercitò il comando della zona militare di Terra di Lavoro". Sul rovescio della medaglia, se fossimo dotati della vista dell’onnipotente Iddio, potremmo leggere gli infiniti nomi dei nostri padri assassinati. 


La Brigata Bologna in azione 
Il Pinelli, "che scriveva poco, ma in compenso operava molto", esaudí i voti dei traditori. Inviò il 2° battaglione del 40° fanteria comandato dal maggiore Pietro Ferrero (ricordiamoli pure questi assassini, perché la nostra maledizione li accompagni di generazione in generazione) e due compagnie di bersaglieri (in totale circa 2.200 uomini). Comandante in capo della colonna infame il colonnello Quintini. Il Pinelli, invece, lasciato un presidio a L’Aquila, si diresse ad Avezzano lungo la strada per il piano delle Rocche, Ovindoli, Celano. La spedizione punitiva del Quintini avvenne lungo il seguente itinerario: L’Aquila, Antrodoco, Civitaducale (oggi Cittaducale), Capradosso, Fiammignano, Borgocollefegato (oggi Borgorose), indi Magliano de’ Marsi ed infine Avezzano. La marcia nemica non si rivelò essere una scampagnata. Lungo la consolare L’Aquila - Antrodoco, oggi strada statale nr. 17, alle pendici del Monte Nuria, del Monte di Giano e del Monte Calvo, che formano le Gole di Antrodoco, non fu loro consentito di divertirsi giulivi come la vispa Teresa che tra le erbette sorprendeva gentil farfalletta, perché piccoli manipoli di partigiani li attaccavano di sorpresa causando morti e feriti, cosí come già nel 1799 ne ebbe a soffrire il generale francese Lemoine. 
Lo stesso accadeva lungo la consolare Antrodoco - Cittaducale, oggi S.S. nr. 4. Notte e giorno la truppaglia nemica veniva pungolata ai fianchi e alle spalle, come di solito succede quando un esercito invasore attraversa un territorio presidiato da patrioti. Dall’ombra di ogni cespuglio, di ogni faggio o leccio, gli insorgenti spuntavano come funghi, spesso guidati da sacerdoti che brandivano crocifissi a mo’ di pugnali. Ma la colonna infame riuscí a passare, pur lasciando rivoli sanguinolenti sul proprio cammino. Poi svoltò verso sud, lungo la provinciale Cittaducale - Fammignano, dove si aprivano spazi atti a piú facili manovre. Quasi a mezza strada verso Fiammignano, al passo di Capradosso, erano appostati circa quattrocento patrioti al comando di Fiore Sallusti, decisi a fermare, se non a distruggere il nemico, ma erano malissimo armati: vecchi archibugi, fucili da caccia, pugnali, coltelli, roncole, bastoni, fionde. Unica vera arma il coraggio. Fu facile perciò agli invasori disperderli e puntare su Fiammignano, dove erano appostati all’incirca altri 300 patrioti. 
Il giorno dopo, 17 novembre 1860, il Quintini suddivise la sua orda in tre colonne: a sinistra i bersaglieri, al centro la quinta, la sesta, l’ottava compagnia del 40°, comandate dal maggiore Ferrero, a destra la settima compagnia del 40° (capitano Angelo Perrone) e altri bersaglieri. La colonna di sinistra fu la prima ad arrivare a Fiammignano dove fu accolta dal fuoco dei partigiani che "sotto il comando di Giacomo Saporetti, di Vincenzo Manenti e di Giuseppe Di Giovanni si erano disposti in piccoli drappelli sulle rocciose alture che dominano la chiesa della Madonna di Poggio Poponesco" (Lugini, ibidem). 


Strage di Fiammignano 

Ma, rimasto fulminato da una palla nemica il Manenti e ferito il Saporetti, i nostri cominciarono a ripiegare verso la parte opposta del paese. Frattanto giungevano di rincalzo in quel momento le altre due colonne che presero immediatamente a dar manforte agli assalitori. I difensori, pur inferiori di numero (notare che ad essi si erano unite persino alcune guardie nazionali del comune pentite del loro tradimento), continuarono ad opporsi validamente, ma verso sera, soverchiati dal numero, furono costretti a disperdersi su per i monti e per i boschi, mentre dall’alto cominciava a discendere leggera la prima neve. I nostri feriti che non avevano potuto fuggire furono finiti all’istante a colpi di baionetta e quanti furono presi nel rastrellamento furono tutti fucilati senza neppure la parvenza di uno straccio di corte marziale: per tale "atto di valore" furono concesse due medaglie d’argento e otto menzioni onorevoli (G. Cortese, ibidem, pag. 81).

Fiammignano

L’ordine nazista regnò a Varsavia, cioè a Fiammignano. Il Lugini, che nella sua cronaca non è per niente tenero con i partigiani, la sua scelta di campo è filopiemontese, in sostanza un altro "intellettuale" venduto al nemico, afferma: "Sebbene il Quintini fosse rimasto tanto breve tempo a Fiamignano e non vi avesse lasciato alcun presidio, pure fu tale e tanto il terrore che invase i reazionari, che per vario tempo non piú osarono di scorrazzare per i villaggi, ma, raccolti in piccole bande, si dispersero per i boschi e per le campagne" continuando la lotta, anche se nel mese di febbraio dell’anno successivo, poco dopo la caduta di Gaeta, fu preso ed ucciso il capo-massa Ascenso Napoleone: "All‘alba del giorno 21 (di febbraio, n.d.r.), alcune guardie nazionali di Borgocollefegato scovarono in una casupola nei pressi di Civitella di Nesce il famoso capo-massa Ascenso Napoleone. Arrestatolo, in quella stessa mattina lo consegnarono ad un drappello di bersaglieri, i quali a loro volta lo condussero a Fiamignano, dove verso le ore tre pomeridiane del medesimo giorno, venne fucilato nel luogo detto il Campo. Ed in esso subirono la stessa pena, all‘una pomeridiana del 22, Carmine Riccioni di anni 35 dei Colli di Pace, e, a qualche ora innanzi notte del 23, Giuseppe Margutti di anni 21 di Brusciano e Basilio Saporetti di anni 29 di S. Maria del Sambuco. Questi due ultimi erano stati arrestati il giorno stesso tra lo strame di un pagliaio nella villa del Corso, da alcuni soldati di una compagnia di fanteria ch‘era giunta a Fiamignano il giorno antecedente ..." (Lugini, ibidem). 
Nello stesso tempo il criminale traditore Pasquale De Virgili, nominato dagli invasori gauleiter (governatore) del teramano, cominciò a cicalare di sterminio ed esortava le guardie nazionali di Notaresco contro i partigiani con le seguenti parole: "Io vi affido il nemico che dovete combattere, il vero e solo nemico che rimane all‘Italia, cioè la parte cancrenata dello stesso suo corpo che bisogna tagliar di netto e tosto ..." (B. Costantini). E anche lui si rivelò essere della stessa risma di Pinelli e compari, una razza di scellerati assassini. In quel maledetto 1860 quasi tutta la classe dei proprietari terrieri, da cui provenivano "intellettuali" e borghesi, si era votata ai Savoia retrivi e forcaiuoli che difendevano meglio gli interessi economici di casta. Valga in proposito quanto cita R. Di Giacomo circa una nota di G. Ferrero (Potere, pag. 204): "Ora, rispetto a quanto …rappresentava la prima ferrovia italiana voluta dall’Amministrazione del Governo Borbonico assoluto e già in esercizio a Napoli, ecco che cosa accadeva nella capitale del regno costituzionale sardo: "Nel 1840 il Senato di Torino - una specie di Consiglio di Stato - si era pronunciato contro la creazione di una linea di omnibus nella capitale del regno sardo, proclamando che una vettura, in cui tutte le classi potevano mescolarsi, era contraria ai principi di uno Stato monarchico" ". 
La colonna infame del Quintini procedette verso Borgocollefegato e deviazione per Pescorocchiano: dappertutto monumenti di sangue: la libertà piemontese e italiana in nome della dea unità si era disvelata al popolo delle Due Sicilie. Questo Stato italiano che ha potuto essere costituito solo con la strage, col genocidio dei nostri padri ha i plinti delle sue fondamenta immersi in un lago di sangue, sangue meridionale. 


La beffa di Fiammignano 
Ciò nonostante, partito il Quintini, le bande partigiane il 13 gennaio del 1861, pur con la neve abbondante, decisero di riprendere Fiammignano e per farlo escogitarono uno stratagemma. La sera del 12 "spedirono a Fiamignano un individuo latore di un biglietto, diretto al sindaco con cui gli imponevano di far trovare pronti, per la mattina seguente, i viveri occorrenti per seimila uomini. In assenza del sindaco, quel biglietto fu letto da chi ne faceva le funzioni ed immediatamente comunicato al giudice di quel tempo Nicola Fabrocini e al capitano delle milizie mobili Fiore Paris. Questi due nulla sospettando del tentato tranello, ma solo misurando il pericolo gravissimo che li sovrastava, nella notte stessa del 12 al 13 gennaio con tutte le milizie partirono alla volta dell'Aquila percorrendo la via della montagna di Rascino, nonostante fosse ricoperta di abbondante neve e pessimo imperversasse il tempo". (Lugini, ibidem). Dopo aver stabilito l’ordine nazista-savoiardo a Fiammignano, il Quintini proseguí per Avezzano, centro del distretto, dove il 26 novembre s’incontrò col Pinelli, giunto per la strada che dall’Aquila porta al piano delle Rocche, poi a Ovindoli, a Celano: lí i filibustieri si dettero "con ardore … a riportare la quiete in tutti quegli alpestri comuni della Marsica", cioè a fucilare e ad incendiare paesi e villaggi. 

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