la Repubblica - Giovedì, 13 novembre
1986 - pagina 17
di FRANCO COPPOLA
Drammatica deposizione del ministro
davanti ai giudici del maxi-processo
"ANDREOTTI NON
DICE LA VERITA' E VOI DOVETE INCRIMINARLO"
Lo ha chiesto uno
degli avvocati della famiglia Dalla Chiesa, ma i magistrati non ne hanno tenuto
conto. "I miei amici di partito in Sicilia? Per favore, smettiamola di
criminalizzare gente perbene senza portare elementi di prova"
ROMA Proprio io avrei
chiesto un incontro con Dalla Chiesa perché preoccupato che le sue indagini
potessero toccare uomini della mia corrente? Neanche per sogno; ci incontrammo
sì, ma per iniziativa sua, e di tutto parlammo fuorché di mafia e politica. Il
prefetto mi avrebbe fatto delle confidenze a proposito degli ostacoli politici
frapposti alla sua attività? Lo escludo nella maniera più assoluta. Mi avrebbe
messo in guardia dalle manovre di Salvo Lima? Lo escludo categoricamente;
eppoi, finiamola di criminalizzare le persone perbene senza portare elementi di
prova. Quello che dice Dalla Chiesa nel suo diario? Non me lo spiego, forse si
è confuso con altre persone che incontrava in quel periodo. Di scena, nell'
appendice romana del Grande Processo a Cosa Nostra, è Giulio Andreotti e l'
interesse è assicurato. Così come lo sono le polemiche, la vivacità del botta e
risposta, in una parola lo spettacolo. Per non parlare del rischio di essere
addirittura incriminato per falsa testimonianza. Il ministro degli Esteri, che
durante i cento giorni di Dalla Chiesa a Palermo non aveva incarichi di
governo, rimane per poco meno di due ore seduto nell' aula magna della
Cassazione davanti al presidente della corte d' Assise palermitana Alfonso
Giordano e si distingue subito dai politici interrogati 24 ore prima, Spadolini
e Rognoni, così com' era accaduto quando aveva deposto a Catanzaro (strage di
piazza Fontana), a Potenza (processo al generale dei servizi segreti Malizia),
a Roma (golpe Borghese). Stavolta, si distingue per i suoi silenzi e per i suoi
discutibili lo escludo. Commenta alla fine l' avvocato Alfredo Galasso, parte
civile per i figli del generale, uno dei più determinati ad incalzare il
testimone eccellente con domande imbarazzanti: L' omertà politica è più
consistente di quella mafiosa. Andreotti è talmente elusivo che lo stesso
Galasso, ad un certo punto, è costretto a sollecitare il Pm Domenico Signorino
ad esercitare l' azione penale contro un testimone che, ministro o non
ministro, ha giurato ed è dice Galasso chiaramente mendace. La notizia,
amplificata ed esasperata, arriva nel giro di pochi minuti a Montecitorio dove
si dà addirittura per incriminato il ministro degli Esteri. Invece, la
richiesta del legale cade nel vuoto. Pm e presidente badano solo a gettare
acqua sul fuoco, a sfumare, a minimizzare, a ridimensionare. Galasso chiede
anche un confronto tra il teste e Nando Dalla Chiesa, combattivo figlio del
generale, ma è inutile. Aver convocato come testimoni tre politici (la parte
civile voleva sul pretorio tutto il governo in carica nella primavera del 1982,
più qualche altro parlamentare) è il massimo che la corte, fin troppo attenta a
non sconfinare dai limiti imposti dal capo d' imputazione, poteva concedere.
Nella grande aula al piano nobile del palazzaccio c' è Vita Rugnetta, una delle
due donne vittime della mafia che ha sfidato le cosche costituendosi parte
civile (l' altra è la sorella di Tommaso Buscetta, Felicia), l' unica che abbia
testimoniato in aula contro Cosa Nostra. Non sono ammessi neanche stavolta i giornalisti.
Ma ci pensano gli avvocati di parte civile a riferire che cosa succede dietro
la porta sprangata. Il nome di Andreotti compare nella pagina del 6 aprile ' 82
del diario di Dalla Chiesa. Vi si legge tra l' altro: ...Ieri anche l' on.
Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente, date le sue presenze
elettorali in Sicilia, si è manifestato per via indiretta interessato al
problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò
riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi
elettori. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno... lo ha
condotto e lo conduce ad errori di valutazione di uomini e circostanze. Il
fatto di raccontarmi che, intorno al fatto Sindona, un certo Inzerillo morto in
America, è giunto in Italia su una bara e con un biglietto da dieci dollari in
bocca, depone nel senso. Prevale ancora il folclore e non se ne comprendono i
messaggi. Ebbene, nessuna ammissione, neanche la più innocente. Niente incontro
sollecitato da lui, solo colloqui generici dovuti ad una vecchia amicizia,
niente di vero sulle compromissioni della sua corrente in Sicilia, niente di
vero sull' episodio Inzerillo. Anzi, infastidito dall' incalzare delle domande
degli avvocati, qualcosa di più, una sortita che Sandro Canestrini, legale di
Vita Rugnetta, ha definito, facendolo risultare a verbale, un classico
messaggio mafioso e Galasso una gravissima allusione. Questa la frase che ha
suscitato tante vibrate proteste: Perché tante domande sui miei amici politici?
Ci sono confidenze che il generale mi ha fatto sui suoi familiari che io per
delicatezza non riferisco. Fin dalle prime battute, Andreotti ha lasciato
capire che la sua posizione non avrebbe consentito di aprire squarci di luce
sulla solitudine di Dalla Chiesa. Escludo che il generale mi abbia mai parlato
di difficoltà o ostacoli posti da partiti o da correnti di partito alla sua
attività... Con lui avevo ottimi rapporti tanto che gli mandai un modesto
regalo il giorno del suo matrimonio... Escludo di aver mai chiesto a Dalla
Chiesa di venire da me. Era lui che mi cercava. Escludo che in quell' incontro
si sia anche lontanamente parlato di rapporti tra mafia e politica. Casomai si
parlò del traffico di droga... Non ho mai esercitato pressioni, né lo hanno mai
fatto i miei amici di corrente... Perché si fanno tante polemiche e si
dimentica che uno dei primi assassinati dalla mafia fu un uomo della mia
corrente, Michele Reina, segretario provinciale della Dc?... Non mi spiego il
contenuto del diario, forse si confuse con altre persone incontrate in quei
giorni... Conosco bene Lima, è un amico della mia corrente, una persona
perbene. In tanti anni, sul suo conto non è stata mai formulata alcuna accusa.
Quanto a Ciancimino, lo conoscevo come sindaco di Palermo, ma non faceva parte
della mia corrente... Confermo e condivido quanto disse Lima in istruttoria, e
cioè che la mia corrente in Sicilia e in generale tutta la Dc non presero
posizione sulla nomina di Dalla Chiesa, non furono né favorevoli né contrari. D'
altra parte, la Dc non aveva titolo per intervenire... Non mi risulta che Dalla
Chiesa abbia parlato della famiglia politica più inquinata del luogo. Sono le
11,2O quando Andreotti lascia il palazzaccio. E' attorniato dai giornalisti e
ripete sostanzialmente quanto della sua deposizione gli avvocati avevano
anticipato ai giornalisti. Insiste sul fatto che la lotta politica in Sicilia
non va fatta per allusioni, aggiunge che non è lecito continuare a far ballare
così il nome di Lima, altrimenti viene il dubbio che ci sia della
strumentalizzazione e questo balletto, quando ci sono in mezzo dei morti,
diventa macabro, conclude che se Dalla Chiesa avesse avuto maggiori poteri,
forse il suo lavoro sarebbe stato più utile e lui sarebbe stato meno esposto.
Andreotti esce di scena, la corte torna da oggi a riunirsi a Palermo: il
prossimo teste eccellente sarà il sindaco della città, Leoluca Orlando Cascio.
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