venerdì 23 ottobre 2015






 
Si dà il caso che il 1622 sia  l'anno più tormentato, riesumato, volgarizzato della microstoria racalmutese. Riportiamo tre paginette di Sciascia. Riguardano appunto il 1622. E' addirittura lo Sciascia delle Parrocchie di Regalpetra: "L'ill.mo don Girolamo del Carretto, conte della terra di Regalpetra (in effetti Racalmuto, n.d.s.), che morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622."


Traduzione piuttosto opaca dell'esordio del cartiglio  diciamo in bella calligrafia che riportiamo qui sotto. Il cartiglio penso ormai definitivamente sparito per la frenesia locupletante di padre Arrigo di cui parla lo stesso Sciascia all'inizio del suo bellissimo libro Le Parrocchie di Regalpetra, ancora attuale seppure vergato nel 1956, (l'anno prossimo compie sessant'anni).  Noi disponiamo della foto che il defunto e compianto ing. Peppino Troisi ebbe a recapitarci tanti anni fa.
Sciascia invero manco quella traduzione ebbe a fare: prese  pari pari quello he scrive il microstorico principe di Racalmuto Nicolò Tinebra Martorana, quale ora si trova a pag. 130 dell'edizione comunale del 1982.


Tinebra (il secondo non è doppio cognome solo vezzo aristocheggiante di questo modesto figlio del popolino che per munificenza dei Tulumello poté farsi medico e divenire piuttosto "commodo". Era insomma il cognome della mamma) intesse tutto un mix tra dati storici e miti popolareschi che chiamano tradizione.

Martorana diciamo che non ne azzecca una. Sciascia dopo lo cicchetta ma in quel 1956 lo segue pedissequamente, snellisce prosa e concetti e ne fa quel suggestivo racconto d'incipit delle Parrocchie.
Noi

Abbiamo tentato di smantellare quel cumolo di fole, alcune offensive per noi racalmutesi in quanto si dichiara vero e reale lo ius primae noctis e addirittura o si fa divenire il movente della uccisione del conte da parte del "servo Di Vita" (finendo anche per infangare la gloriosa e tutt'altro che servile famiglia Racalmutese dei Di Vita.
Licenza poetica quella di Sciascia, licenza storica quella di Tinebra.

Ora ci si mette anche Silvano Messina.
Scrittore raffinato, colto,  erudito, romanziere di vaglia anche lui ha imbastito una lunghissima poliziesca tregenda su codesto martoriatissimo anno del signore 1622
Il romanzo non sarà storico (celiando lo definii "antistorico") ma è bello. affascinante, istruttivo, coreografico, ricognitivo,  intrigante, fluido e va subito pubblicato e va letto e ponderato.

Nel 1622 comunque chiesa e convento del Carmine si ergevano nella piazza ove oggi sorgono ancora quella chiesa e quel convento; questo  fatto erigere da padre Fanara come attesta una lapide marmorea  il cui test riportiamo qui sotto.
 
Di questi tempi hanno pubblicato una vecchia foto di come s'era mantenuta quella chiesa prima che intervenisse la mano iconoclasta del prete affarista di cui parla appunto Sciascia nelle parrocchie di Regalpetra.


Ma dopo quella chiesa è stata "abbellita" come potete vedere in quest'altra foto. Bella prima e brutta ora o vceversa? forse butta prima e brutta ora, ma almeno quella di prima aveva valore storico testimoniava del mondo contadino del Seicento. Per me è stato un sacrilegio averla violentata con un falso ducotone come il Castello che tutti diciamo chiaramontano senza averne le prove.


Gli spiriti eletti specie se raffinatisi nelle brume meneghine vorrebbero radere al suolo la bella fontana della piazzetta e su questo scempio arrighiano non dicono nulla- E dire che si dichiarano figliolini di Sciascia. Mentre questi ebbe a scrivere: "Invece ha avuto venti milioni dal governo (il prete di cui sopra) per restaurare la chiesa, buttarla giù e rifarla più brutta... "
Pungente lo Sciascia di allora, poi divenne più accorto e disse di amare Racalmuto. Avvenne che nel 1949, usando il nos maiestatis, era esploso dichiarando "ancora in nessun modo lo (Racalmuto)amiamo". Vatti a  fidare degli umori dei grandi scrittori!   

Io vi metto a confronto le due facciate della chiesa del Carmine (pria e dopo l' "abbellimento" arrighiano) Giudicate voi. Io penso che Sciascia avesse ragione. Ma non saprei più come invocarne il "ripristìno" come si dice a Racalmuto.






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