martedì 20 ottobre 2015

datazione dei castra racalmutesi





Dopo il 1375 Racalmuto appare sempre con la specificazione dell’annesso “castrum”.]

    Non avrei quindi dubbi a collocare la costruzione del castello tra il 1358 (Vedasi il documento del Cosentino, già segnalato) ed il 1395: rispetto a quest’anno la datazione va comunque di molto anticipata; in altri termini è più plausibile che il Castello chiaramontano sia stato costruito da quel Manfredi Chiaramonte cui si attribuiscono il castello di Mussumeli ed altri: attorno al 1375, dunque.

Gradirei comunque le Sue osservazioni, anche per ipotizzare una datazione che possa trovare entrambi concordi.

Grazie e salutissimi.

Calogero Taverna

(Roma, 2 febbraio 2001).

Invero il Cutaia non appare propenso ad accogliere le osservazioni del Taverna, come emerge da questa risposta:

Gentile dott. Taverna

grazie della documentata missiva.

Il discorso circa l'attribuzione del Castelluccio rimane aperto. Ma in ciò sta il bello delle ricerche storiche. Se tutto fosse noto non ci sarebbe piacere a studiarlo.

Associandolo al Bellumvidere federiciano volevo provocare gli studiosi ad un approfondimento, che purtroppo non c'è stato. Solo Lei si è interessato del problema!

Rimane comunque il fatto che i castelli della Sicilia centro-meridionale sono ancora poco studiati e conosciuti.

Cordialmente

Angelo Cutaia


A dire il vero non può proprio dirsi che i castelli medievali siciliani non siano stati studiati. Si pensi alle eruditissime ricerche del Santoro o del nostro compianto architetto Capitano (i cui studi sul castello chiaramontano di Favara – per noi coevo a quello di Racalmuto – sono basilari e magistrali).

A nostro avviso, il problema della datazione del castello racalmutese ha molteplici sfaccettature: diciamo che è a dir poco “pentagonale”: 1) una è la data delle due torri (ammesso che siano coeve); 2) altra è quella del muro di connessione delle due torri; 3) altra ancora, la facciata quale si ricava dall’ex-voto del Monte (che non è secentesco sibbene della prima metà del settecento per tutta una serie di elementi iconografici che studiosi attenti hanno già messo in risalto); 4) altra ancora  è quella della pozione di stabile subito a ridosso delle torri e prima di quello che in termini secenteschi racalmutesi si chiamava “puntone” (cfr. Relazione de vescovo Bonincontro del 1608); altra ancora è la data del bastione prospiciente la vecchia via S. Francesco a fronte della chiesa di S. Giuseppe.

Problemi di datazione del Castello chiaramontano di RACALMUTO



Fotografia del 1935 (dalla pubblicazione di Raffaele Grillo sul Bollettino dell’istituto storico e di cultura dell’arma del genio . Anno I n. 2 Agosto 1935 – Castelli medioevali a Racalmuto, pag. 55)

In estrema sintesi, ci pare che potremmo dimostrare che le due torri sono databili tra il 1358 ed il 1395: invero il documento dell’archivio di stato di Palermo che per la prima volta parla in modo indubitabile del CASTRUM  (a dire il vero vi si parla di castra al plurale ad indicazione del castello e del castelluccio) è datato 1390 ma si tratta evidentemente di un errore del proto: stando alla stessa indizione ivi segnata dobbiamo postergare il diploma al 1395.

Per converso il famoso documento del 1358 indica ancora Racalmuto come “casalis” e del castrum non vi è cenno alcuno in perfetta sintonia con quello che si legge nei documenti vaticani, notoriamente precisi sino alla pignoleria quando si tratta di termini a valenza giuridica o meglio ancora giuspubblicistica.

Se vogliamo essere ancora più precisi, diciamo che in base ai documenti del du Mazel del 1375, il castello va datato sotto il dominio del famoso Manfredi Chiaramonte, operante appunti in quel torno di tempo. Se volessimo dare comunque credito al Fazello – che peraltro se lo merita – allora potremmo pensare a Giovanni Chiaramonte ma non a quel Federico dello stesso Fazello e men che meno a quell’altro Federico additato dal pruriginoso Inveges sibbene a quello cui si accenna negli archivi segreti vaticani, ma ncor di più al Menfredi colà più volte citato. [1]


Diciamo subito che non ci convince la data del 1239 proposta dal Cutaia in quanto le torri circolari venivano da Federico prescelte a scopo di difesa: i proiettili di sasso dell’epoca, non trovando una superficie piatta ma curva, slittavano innocui. Non è il caso del castello perché il muro infra-torri è così fragile, ragion per cui bastava un semplice colpo d’ariete per sfondarlo. Ad evidenza, è da pensare invece a torri di avvistamento che ben collegano il Castelluccio con l’altro castello chiaramontano quello di Manfrida (Mussomeli). E’ questo un ulteriore elemento per recepire gli elementi di datazione della diplomatistica chiaramontana del manfredi già citato.


Non abbiamo elementi di sorta per stabilire che Federico Chiaramonte, la figlia Costanza, il defunto (se veramente vi fu) marito Antonio I del Carretto, il figlio Antonio secondo del Carretto, il primo presunto barone di Racalmuto Gerardo del Carretto, il fratello Matteo del Carretto, Giovanni I del Carretto, Federico del Carretto abbiano mai dimorato nel c.d. castello chiaramontano di Racalmuto; peraltro avevano quello che i documenti dell’epoca chiamano “hospitium magnum” [2]in Agrigento e non si vede perché i rampanti avventurieri genovesi si dovessero esiliare tra le brume insalubri del castello sopra la Fontana.


Sappiamo invece che Ercole del Carretto (proprio  quello della saga della Madonna del Monte) abitò nel nostro maniero. Infatti ebbe a morirvi giusta annotazione in uno dei processi d’investitura dei del Carretto:

lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu in lo castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo intisi dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento[3]


E siamo al 27 gennaio 1517. [4] A questa data, dunque, dovevano esservi confortevoli stanze, sicuramente a ridosso delle due torri, e cioè in quella parte che finisce nel cennato “puntone”.


Altro dato importante risale al figlio di Ercole, Giovanni III del Carretto. Nel Testamento del 1560, pubblicato da Calogero Taverna, viene esplicitamente detto:

nec non in unceis mille erogatis per ipsum spectabilem Testatorem in confectione, reparactione, et  fabricatione Castri dictae Terrae,


E mille onze erano una enormità: si pensi che un secolo dopo con 100 onze lasciate dalla tremenda virago donna Aldonza del Carretto si sarebbe costruita l’intera Batia.


Quel testamento ci fa anche sapere che alla data del 1560 c’era una splendida cappella nel palazzo chiaramontano di Racalmuto:



Item praefatus spectabilis dominus Testator voluit, et mandavit quod omnes raubae sericae, et jugalia Cappellae existentes in Castro dictae Terrae quae inservierunt pro Culto Divino, etiam illae raubae quae sunt, ut dicitur de carmisino, et imburrato remanere debeant in Cappella dicti Castri pro uso dictae Cappellae in Culto divino.


Se qualcosa era rimasto di quella cappella dopo il vandalismo di padre Cipolla, [5]  non crediamo che nel recente restauro  ci si sia minimamente preoccupati di recuperare quella interessantissima Cappella in Castro.

Ovvio che delle successive superfetazioni non ci importa alcunché. Di certo la facciata attuale rispecchia di molto quella stilizzata dell’ex voto del Monte. Vi è raffigurata la chiesa di S. Giuseppe così come emerge da un Rollo custodito in Matrice e cioè dopo il 1751.


«Fabbrica calce 1736 anno

1751: muro d’occidente [della sacrestia] sino al livello delle canali [dell’oratorio] palmi 43

oriente palmi ... inclusa la cantonera in pietre intagliate: canne 67.»


La necessità di recuperare il prospetto del castello almeno secondo l’iconografia del 1751 pare più che auspicabile: certo occorrerebbe l’esproprio degli attuali proprietari.


Un restauro del castello come sappiamo che era nel secolo XVIII, il secolo dei lumi, è anche il nostro auspicio: un auspicio che è anche il senso e la conclusione di questa nostra modesta fatica.

Giuseppe Taverna








[1] ) B IBLIOTHÈQUE DES ÉCOLES FRANÇAISES D'ATHÈNES ET DE ROME
Lettres secrètes et curiales du pape
Grégoire XI (1370-1378)
par Mgr G. Mollat membre de l'institut
Paris 1962
BIBLIOTENA NAZIONALE ROMA
SS. 262.(03) B 503 - VII 21 (UMANISTICA)
AGRIGENTIN (AGRIGENTO) CIVITA 1059, 1060, 2988; CUSTODIA  O.F.M. 528; DOMICELLUS, V. JOANNES DE CLAROMONTE, EP. V. MATTHEUS DE FUGARDO.
1059
Avignone 1372
a giurati e università prechè si rechino presso Federico d'Aragona insistendo per la pace con la regina di Sicilia.
Calascibetta, Licata, Agrigento, Sciacca,  (reg. Vat. 268, f. 295-297)
1060
Avignone 1° ottobre 1372
Guglielmo de Petraalta mandatur ut interponat partes suas consolidationi Agrigentinae civitatis efficaciter et, cum consummata fuerit, Francisco de Aragonia impendat obedientiam et reverentiam, sicut decet. (Reg. Vat. 268, f. 298 v.° 299 v.°)
Dilecto filio nobili viro Guillelmo de Petraalta, comiti Calabeloti Agrigentinae diocesis, salutem - Inter cetera - .. et m. dilecto filio nobili viroJohanni de Claromonte, domicello Agrigentinae diocesis; Emanueli de Aurea, domicello Mazariensi - Andree de Aurea, domicello Mazariensis diocesis .... Manfredo de Claramonte, domicello Siracusanae diocesis - Benvenuto de Guaffeis, domino Partannae Mazarensis diocesis
528
29 gennaio 1372
a Giovanni Chiaramonte per i suoi buoni offici tra la Regina di Sicilia e Federico d'Aragona - secondo il tenore delle lettere per Nicoò de  Messana, Pietro d'Agrigento custodi delle custodie di Messina e di Agrigento dell' O.F.M. (Reg. Vat. 268, f. 247)
^^^^^^^^^
Joannes de Claromonte Agrigentinus di ... 1060, 1065, 1391, 1395, 1557
idem domicellus panormitanus, 342, 419, 464, 477, 528, 1010
Mattheus de Fugardo  ep. Agrigentinus 419, 1364
Manfredus de Claromonte 537, 1060, 1395, 3033, 3256, 3398, 3670
Manfredus de Claromonte 537, 1060, 1395, 3033, 3256, 3398, 3670
537
Avignone 6 febbraio 1372
a Giovanni Chiramonte domicello dell'isola di Sicilia ed a Manfredo de Claromonte de insula Siciliae - ut fidem credulam adhibeat Bernardo, arcivescovo Napolitano (Reg. Vat. 268, f. 11)
1395
A Manfredo ed a Giovanni Chiaramonte rogantur ut obediant Frederico de Aragonia cum quo regina Siciliae condidit tractatum concordiae, credat Angelo de Luca, hostiario papae (Reg. Vat. 269, f. 254; Cerasoli t. XXIV, p. 315, n. 112)
3033
Avignone 13 dicembre 1374
Manfredo Chiaramonte che interponga i suoi buoni uffici presso il re pedr l'affare De Luca e cioè quod (il re) faciat fieri justitiae complementum Angelo de Luca, servienti armorum papae, de 442 florenorum quos Joannes Philippi Choni de Florentia mercator civitatis Panormitanae, cui eos pro faciendo cambio Avione de eis tradidit, sibi retinet. (reg. Vat. 270, f. 187)
3256
Avignone 2 aprile 1375
Agli infrascritti si manda affinchè continuino nella fedeltà e buona intenzione sua circa il re di Trinacria  e lo assistano con opportuni consigli nel doverno del suo regno, nonostante le novità nella città di Messina fatte durante il suo ingresso, si creda a Ernrico Melfitano, vescovo (Reg. Vat. 271, f. 118 r.° e v.°
a Manfredo de Claromonte, comiti Ragusie, Regni Trinacrie admirato ed altri ( Enrico conte di Messina e di Monterosso e Aidone, cancelliere del regno di Trinacria, ad Artale di Alagona conte di Mistretta, mastro giustiziario di Sicilia, a Francesco Ventimiglia , conte di Geraci e di Golisano, camerlengo del regno di Trinacria.
3398
Avignone 2 agosto 1375
A Manfredo de Claromonte affinchè assista l'inquisitore dell'eretica pravità Symone de Puteo O.F. P. (reg. vat. 271, f. 45; Reg. Vat. 244 I, f. 33, n. 66)
[2] ) in  quoddam   hospitio magno existente in civitate Agrigenti  iuxta hospitium magnifici Aloysio de Monteaperto ex parte meridie, ecclesiam S.cti  Mathei ex parte orientis casalina heredum quondam domini Frederici de Aloysio ex partem orientis, viam publicam ex parte occidentis et alios confines (ARCHIVIO DI STATO - PALERMO -  REAL CANCELLERIA - BUSTA N. 38 - (Anni 1399-1401) pag. 177 recto a pag. 181 )
[3] ) Calogero Taverna, la signoria racalmutese dei del Carretto, Infotar Racalmuto 1999, p. 50
[4] ) ibidem.
[5] ) Leggere per capire il proverbio sciasciano di Occhio di Capra (pag. 104 dell’edizione Adelphi del 1990) Nun c’è scuru, nun c’è fuddra/ ca nun c’è lu parrinu Cipuddra.

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