mercoledì 21 ottobre 2015





domenica 14 settembre 2014


la fine della contea di Racalmuto

GIUSEPPE I DEL CARRETTO





Continuiamo Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato impiego di Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una delle più cospicue Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca del SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu sua moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a Giacomo  P. Lanza, il di cui figlio


ANTONINO LANZA e SCHITTINI se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.»

Don Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto il 21 marzo del 1687 « ob donationem inrevocabiliter inter vivos sibi factam per illustrem d. Hieronymum del Carretto eius patrem vigore donationis per acta notarii predicti de Cafora et Tagliaferro die 17 maij X ind. 1687 sicuti depositione dicti ill.is d. Hieronymi constat per investituram per eum captam olim die 16 septembris V ind. 1666  [1]

E’ costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il 20 gennaio 1702. Altre spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo. Nella documentazione palermitana abbiamo:

«Si può passare l'investitura per la presente possessione tantum ob mortem Caroli Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro 1702 - Don Giuseppe Bruno.» [2]

Giuseppe del Carretto nel 1702 è plurititolato;

questa la sfilza dei suoi feudi e titoli:

Die decimo nono Januarii X ind. 1702

illustris d. Joseph del Carretto possessor ac dominus comitatus Racalmuti ducatus Bideni Marchionatus Sanctae Eliae et baroniae terrae Ferulae.

Il padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data del gennaio 1702. Se è vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra questa data e qualche tempo prima del 1711, quando ad avviso del Villabianca fu pronunciata la sentenza di assegnazione della contea di Racalmuto alla vedova di Giuseppe I del Carretto, BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA.

Girolamo III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710. In un documento del fondo Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla infatti «de morte sequuta dicti ill.s D. Hieronymi per fidem mortis Parochialis Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u. sub die nono martij 1710 sicuti de possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi constat per investituram per eum captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»

I nobili del Carretto cessano quindi di essere i feudatari di Racalmuto il 9 marzo del 1710. Con tale data si chiude anche la nostra ricostruzione della vicenda feudale carrettesca in quel di Racalmuto. Quel che avviene dopo - e dura un secolo - è storia del baronaggio locale con gli Schettini, i Gaetano (la parentesi Macaluso non rileva) ed i Requisenz protagonisti. I nobili del Carretto racalmutesi  - quanto al ramo maschile - si sono piuttosto malinconicamente estinti, prima dei grandi sconvolgimenti storici del 1713 allorché vi fu il breve avvento in Sicilia dei Sabaudi.

FATTI E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI


Il 1622 fu anno fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi pensiamo, per mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.

Il popolo soffre e tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia Vescovile, a discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà perché langue nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e così Paolo La Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne intenerisce (forse per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco quel che oggi possiamo leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di Agrigento:

REGISTRI  1622 et 1623

f. 181

 Eodem ( die 21 9bris VI ind. 1622)

Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad presens carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri terrae praedictae ad presens carcerato in Castro ..

ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti Cataldus Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non obstante clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique commorandi per dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat ..                                                                                                                                                    \


La giustizia curiale agrigentina era, diciamolo pure,  compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni finanziarie.  Il Vescovo ha voglia di crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo il destro di credere a chi voglia.


Die 26 novembre 1622 (f. 188)

 Nos Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos provisum sub forma sequente Videlicet.  ... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ... di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In virtù di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto …  et anco detto suo marito la fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali Castro Gio: dicti et anco in  uno altro contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a maggior cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et rescindere  et obstandoli li giuramenti prestati et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di iniquita per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio  et interesse di sua dote della quale non può ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti in genere et in specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo iuramento  petendo absolutionem et ea obtenta non  ... ad effectum agendi  et concederli ditta absolutione . In forma ... Agrigenti die 8 novembre VI ind. 1622. Ex parte  fuit provisus et .. quoad absolvatur ab omnibus et singulis iuramentis in genere et specie presbiteris ad effectum agendi tunc et dumtaxat ....

 Non erano tempi quelli in cui i Curto riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di Agrigento. Una condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il vescovo dà incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale afflizione.

(f. 191) die 29 novembris 1622

Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi terrae Racalmuti et tali fermiter  huius episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae

Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico, già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico desiderio del pittore racalmutese. 

Die 29 dicembre 1622 (f. 213)


Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro d'Asaro terrae Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi observaternales (') litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac gerendi  expositis  concedere digneremeur ideo fuit  per nos ad relaciones .....

in dorso memorialis ebibis  quod fiant ... in forma ut sequitur .. Bonincontro  ... filio Petro de asaro d.ae terrae Racalmuti salutem  ... ex parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris


Il 5 febbraio 1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso principale che gli ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non si può dire che avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò, infondatamente, Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva servito dai confrati di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621, quel sodalizio (confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal dottor don Gabriele Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla episcopale che avrà reso felice il Governatore (della religiosa confraternita, s’intende) Francesco lo Brutto ed i notabili (i confrati “officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano, Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo solennemente, il Salerno – vobis  [concediamo] licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi sub titulo S. Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in processionibus et exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae Annunciatae in cappella S. Joseph …»  Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri secenteschi antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo spettacolo di codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e con quelle azolate mantelline, mistificante sagra di un contristato rito religioso con attori poco sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate nelle tante “putie di vino” nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia Betta.


Chi davvero fosse Pietro d’Asaro, se un pittore, o un appaltante o un banchiere camuffato da chierico, non si sa. Se in un primo tempo, Sciascia lo voleva famiglio del Sant’Ufficio, dopo lo scrittore si ricredette e lasciò padre Alessi nell’imbarazzo della scelta, scrivendogli che degli antichi ricordi gli era rimasto un segno tanto sbiadito da non ricordare, tutto sommato, più nulla. Certo, Pietro d’Asaro un gruzzoletto se l’era fatto, ed anche se proveniente da famiglia non poverissima (è dubbio se fosse di antica origine racalmutese) un bel salto nella scala dei valori sociali il pittore, cieco di un occhio, l’aveva bellamente compiuto. Ecco un suo “rivelo”:


389 - Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro «il Monocolo di Racalmuto» - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]

Anime


m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette

o Vincenza moglie

m. Michel Angilo d'anni dodici

m. Gio:battista d'anni quattordici

o. Rosalea

o. Dorothea

o. Ninfa figli

o. Gioanna madre

m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo

m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici

o. Caterina e

o. Natala zitelle


Beni stabili


Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra, quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e quattro........................ 57. 4


Una casa terrana in un corpo di detta terra,  quartieri predetto,confinante con la casa di Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro  franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7  e tarì quattro............................................. 7. 4


Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri confinante con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha soluto e suole locare onza una e tarì 12  che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12 ..........................21.12


Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12. per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze quarantotto e tarì sei .....................................48.6


[390]


Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per 100  il capitale    settantasei e  tarì cinque..............................................76.5


e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due ........................38.2


Rendite


Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque .........................................35.


Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis cioè onze 1.2 da Francesco la Matina   sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10  per 100 il capitale onze venticinque................................................25.

                                                   --------------

                                             onze [/'] 308.3

                                              ====================




Beni mobili


Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30


Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8


frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa

tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la

salma importa onze tre e tarì venti........................3.20

     

                                                         --------

                                                          41.20

     

                                                        =========


Gravezze stabili


Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il capitale onze ottantasette e tarì due ...................87.2


e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18 alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100

[391]

il capitale importa onze trenta.........................30.

                                                      -------

                                                   onze 117.2

                                                 

                                                 ===============


Gravezze mobili


Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di onze....................................200  


                                                 ===============


Ristretto



Maschi d'età          1


d'altri               4


femine                7

                    _____


         anime       12

    

                   ======



Giumente di S. .....1

Beni stabili .........308.03


Beni mobili........... 41.20

                   ----------- 349.23


gravezze stabili......117.2.

gravezze mobili.......200

                   ----------- 317.2.

                            ----------

                   liq. onze    32.21.

                            =========== 

                              

(Trombino)


Terra Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636


Le chiese di Racalmuto nella ricognizione dei visitatori regi.



Sulle visite del De Ciocchis attorno agli anni Trenta del 'Settecento v'è ampia letteratura.


Mi diffondo sull’argomento perché indottovi da alcuni documenti trovati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma sui poteri inquisitori della Monarchia della Sicilia sullo stato delle chiese. Basilare, in ordine al diritto ecclesiastico di Sicilia, appare la visita di Mons. De Ciocchis che si svolse tra il  4 maggio 1741 (data iniziale dell’incarico ricevuto da Carlo III a Portici) e il 27 giugno 1743. Il De Ciocchis fu un visitatore molto diligente, sino forse alla pignoleria. Le risultanze di quella visita devono trovarsi a Palermo, ma non posso escludere che in gran parte siano finite a Napoli, presso la corte borbonica. Molti suoi provvedimenti saranno stati raccolti in processi lasciati presso le varie curie vescovile. Mi pare che il prof. Manduca abbia trovato qualcosa ad Agrigento, tra i documenti dell’Archivio Vescovile. Ma è certo che, data l’importanza delle varie disposizioni del De Ciocchis - considerate valide sino all’unità d’Italia -, si è proceduto nel 1836 alla pubblicazione in due volumi del materiale di quel visitatore regio. Nel primo volume dedicato alla Valle di Mazara, alle pagine pp. 235-372, si parla della diocesi di Agrigento.  Là, di certo, v’è molto materiale sulle chiese di Racalmuto. Per le tue ricerche vi possono essere spunti preziosi. L’opera s’intitola: DE CIOCCHIS, GIOVANNI ANGELO: SACRAE REGIAE VISITATIONIS PER SICILIAM  ACTA DECRETAQUE OMNIA, Palermo 1836, Diari Letterarii .

L’opera è praticamente introvabile fuori della Sicilia. Riscontro in una pubblicazione specializzata “CLIO” che una copia trovasi presso la Biblioteca Universitaria di Messina. Ma qualche copia deve pure essere disponibile in Palermo. Guarda, dunque, un po' se puoi procurarti le fotocopie almeno delle pagine che riguardano Racalmuto.

Per le vicende di Santa Rosalia, andrebbero consultate le visite dei predecessori del De Ciocchis. Secondo quel che ne leggo in un importante libro del 1846 (GALLO AVV. ANDREA  CODICE ECCLESIASTICO SICOLO - PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1846 VOL. 1 E 2 - ) essi sarebbero:

- Pietro Pujades

«Si elegge un visitatore di tutte le Chiese di Sicilia, al quale si conferisce la potestà di far decreti relativi al culto divino.

L'imperatore Carlo V re di Sicilia - A Pietro Pujades Ab. del Monistero di Noara dell'Ordine di S. Bernardo. Bruxelles 22 dicembre  V Ind. 1516 apud Di Chiara de regio Sacram. Visit. per Sicil. jure; Mantis. monument. num. III, pag. 5».

- D. Nicolò Daneo

«Si elegge altro Visitatore di tutte le chiese regie di Val di Mazara e di Valdemone, con gli incarichi come sopra. M. Antonio Colonna Vicerè di Sicilia.

Nel nome del re  al rev. D. Nicolò Daneo ab. di s. Maria di Terrana, Palermo 19 maggio VII ind. 1579 apud cit. Di Chiara n. VI pag. 10 (pag. 135)

DIPLOMA CCXXI

... vi eligemo, deputamo, e nominamo visitatore, e commissario generale delle Prelazie, Abbatie, Commende, Priorati, ed altri beneficii del jus patronato regio, i quali siano fondati nelle Valli di Mazzara, e Demini, et anche etc. .. e delli loro membri, pertinentie, grancie, acciocché abbiate a provvedere ...

Datum Panormi die 19 Maii 7 ind. 1579»


- D. Lupo del Campo

«Si nomina un visitatore delle chiese di regio patronato, per la reintegrazione dei beni usurpati ed alienati in danno di dette chiese, al quale si conferiscono pieni poteri.

Filippo II re di Sicilia.

A Lupo del Campo. Madrid 24  febbraio 1588. apud. Cit. Di Chiara n. VII pag. 12.

DIPLOMA CCXXII

... tibi dicto Doctori D. Lupo del Campo commictimus, praecipimus, et mandamus etc. ....

Datum Matriti die 24 mensis februarii anno a nativitate Domini 1588 - YO EL REY».

Ma stando agli studi di Virgilio Titone (Origini della Questione Meridionale - Riveli e Platee del Regno di Sicilia - Milano 1961, pag. 56) abbiamo un elenco completo di codesti Visitatori Regii (ad eccezione invero di d. Lupo del Campo di cui sopra, anno 1588).

Il Titone a pag. 56 dice sul Puyades: «Le sacre visitazioni di cui abbiamo memoria, hanno inizio quasi nello stesso tempo dei riveli. La prima sembra essere stata quella di Pietro Puyades, abate di Nohara, negli anni 1511, 1514, 1516, e parecchie se ne ebbero nel corso di quel secolo.. Ma dal 1580 al 1743 se ne ricordano solo due, l’una fatta nel 1603, l’altra iniziata, ma non compiuta, nel 1683.»

Il Titone ci indica anche dove si trovano gli atti a Palermo.  Aggiungo, da parte mia,  solo che ho riscontrato nella “GUIDA GENERALE DEGLI ARCHIVI DI STATO ITALIANO” 1986 - N - R nella parte riguardante Palermo a pag. 303 la seguente voce che ci conduce agli atti di quelle visite: CONSERVATORIA di REGISTRO. Al suo interno, trovo: <VISITE ECCLESIASTICHE>. Queste ultime contengono sicuramente i documenti del Vento (1542, n. 1305-07); dell’Arnedo, anno 1552, nn.° 1308-10;  del Manriquez, anno 1576, n.° 1314-17; dell’Afflitto, anno 1579, nn.° 1310 e 1319; del Daneo, anno 1579, nn.° 2015-16; del Pozzo, anno 1580, nn.° 1326-29; dello Iordio, anno 1603, nn.° 1330-34; di Fortezza e Manriquez, anno 1683, nn.° 1337-39.

Il Titone non dà estremi d’archivio per il Puyades perché la sua visita è antecedente alla raccolta di Palermo che come si è visto parte dal 1542.

Per il De Ciocchis, il Titone -  non so perché - si limita a citare soltanto il libro del 1836 (quello per me introvabile qui a Roma).



b) la possibilità di reperire alcuni documenti su Diego La Matina


La vicenda di fra Diego La Matina sta diventando una mia ossessione; reputo la questione molto falsata da Leonardo Sciascia nel suo libro “Morte dell’Inquisitore” per preconcetto anticlericalismo.

Sciascia scrive: «Volentieri ci daremmo al diavolo con una polisa, se in cambio potessimo avere quel libro che fra Diego scrisse ”di sua mano con molti spropositi ereticali, ma senza discorso e pieno di mille ignoranze...”». (pag. 219 dell’edizione Laterza 1982)

Quel libro - semmai fu scritto - difficilmente si troverà. Bruciato da Caracciolo, forse, nel rogo del 27 giugno 1782 ([3])

Forse qualche accenno alle eresie - se mai queste vi siano state - poteva trovarsi in un manoscritto del Consultore del Santo Officio, il Matranga, tanto citato e tanto bistrattato da Leonardo Sciascia. Consultando il Mongitore della “Biblioteca Sicola”, la mia attenzione si è soffermata su questo passo: «Pre parata reliquit haec opera, quae in Bibliotheca S. Joseph Panormi servantur, nempè: «Fidei Acropagum, in quo propositiones innumerae quas ferrea nostra aetas, aut temerè vomit, aut callidè evulgandas protulit, subtilissime  examinantur, et nota theologica incrementur; plurimaeque reorum causae ad Tribunal  S. Inquisitionis spectantes referentur; Criminum qualitas, et circumstantiae expendentur, deque iis judicium fertur». [vedi  Biblioteca op. cit.  pag. 281 - ove Girolamo Matranga viene segnato come palermitano chierico regolare, nato nel 1605, che prese l’abito il 25.3.1620. Fu per 40 anni consultore del S. Ufficio, censore oculatissimo. Esaminatore sinodale dell’arcivescovado di Palermo. Conosceva latino, greco ed ebraico. Morì in Palermo il 28 agosto 1679 all’età di 73 anni.]


Mi ero chiesto se in quel FIDEI ACROPAGUM fossero riportate anche le tesi che avrebbe sostenuto fra Diego La Matina  e quali contradeduzioni avesse addotto l’erudito Matranga. Sciascia, che ha fatto (e per quel che mi risulta, ha fatto fare) indagini sul nostro frate di Racalmuto,  non accenna a questa opera del Matranga. Resta da vedere che cosa intendeva il Mongitore riferendosi alla “Biblioteca di San Giuseppe di Palermo” ed eventualmente dove sono andati a finire i manoscritti che quest’ultima conteneva. In ogni caso bisognerebbe vedere che fine ha fatto il manoscritto del Matranga citato dal Mongitore.


In un primo momento, ho ritenuto che il tutto fosse reperibile nella Biblioteca di Palermo o nell’Archivio di Stato di Palermo. Per quest’ultimo, la consultazione della relativa Guida mi porta ad escludere manoscritti provenienti da quella Biblioteca di S. Giuseppe. Resta la Biblioteca del Comune. Investigazioni fatte qui a Roma in proposito, purtroppo mi sono tornate infruttuose.


Quanto a fra Diego La Matina, non è da escludere che nella sezione del “Tribunale del S. Ufficio” dell’Archivio di Palermo (vedi Ricevitoria ed anche Carceri 1604-1765, vol. 8 <pag. 315 della Guida generale citata>) possa ritrovarsi qualche cosa. (La pubblicistica su questa sezione dell’Archivio è, nelle mie conoscenze, limitata a Notizie Archivi di Stato NAS 1954 pp. 79-81 e Rassegna Archivi di Stato RAS 1971 pp. 677/689).



Le date su cui concentrare l’attenzione potrebbero essere queste:


- 1644 fra Diego la Matina commette un reato che ricade sotto la giustizia ordinaria, ma viene rimesso al Sant’Uffizio (Sciascia op. cit. pag. 195, ma dai Diari del D’Auria );


-  1645  “fra Diego è di nuovo davanti al sacro tribunale” (sempre Sciascia, pag. 199);


- 1646 - ritorna per la terza volta sotto il giudizio del Santo Officio che ne “volle punire l’ostinazione se non l’eresia” (Sciascia, pag. 200);


- 12 gennaio 1648 fra Diego «usci allo spettacolo la seconda volta assoluto, e tornò in galera» (Auria, citato da Sciascia ibidem);


- 7 agosto 1649 «sedusse alcuni forzati di galera» (ibidem. pag. 201);


- 1650 «uscì per la terza volta allo spettacolo ... condannato e recluso murato  in perpetuo in una stanza» (ibidem);


- 1656 «Dallo Steri fra Diego evase nel 1656: aprì con meraviglia di chi vide il loco, ed il fatto udì, delle segrete Carceri fortissimo muro (Matranga) e fuggì con il laccio della tortura, quale trovò in certo luogo (Auria)» Sciascia, pag. 202);



4 aprile 1657 - «Si seppellì - annota Auria (Sciascia, pag. 176) - ...D. Giovanni Lopez Cisneros, inquisitore [morto per le molte percosse dategli da] fra Diego La Matina della terra di Ragalmuto, dell’ordine della Riforma di s. Agostino, detti li padri della Madonna della Rocca..»;


- 2 marzo 1658 Matteo Perino annuncia per il 17 marzo 1658 lo Spettacolo Generale di Fede, nel piano della Madre Chiesa (Sciascia, pag. 208);


- 17 marzo 1658 - Si abbandona «fra Diego al suo destino infernale ... (bruciato vivo sopra un)  mucchio di legna, nel piano di S. Erasmo» (Sciascia, pag. 212).



c) la questione dei “maragmeri”.


Il Titone scrive (op. cit. pag. 58 nota 8): «Maramma val quanto fabbrica: masse e maramme si chiamano quindi le amministrazioni delle rendite destinate al mantenimento e restauri dei sacri edifizi». Il termine “maramma” è dialettale, ma risale a data antica (lo ritrovo in un diploma del 15 luglio 1489). E’ termine giuridico, tant’è che trovo un intero titolo del Codice Ecclesiastico Sicolo di Andrea Gallo (libro III, pag. 121 e segg.) dedicato appunto alle maramme. Stando ad alcune disposizioni del De Ciocchis, emergono la seguente terminologia e le seguenti locuzioni:

« XIV. Della riparazione delle chiese, delle Maramme e degli spogli dei prelati.»; « introitus Maragmatis»; «reditus Maragmatis  administrantur antiquitus per duos Maragmerios qui a rege tamquam Ecclesiae Patrono eligebantur»; «.. hi duo Maragmerii non ecclesiastici a solo Senatu [eletti]»;  «Caeterum quod expensiones, quietantiae, mandata syngraphe de recepto, ac omnes quicumque actus, ab utroque simul Maragmerio fiant sub poena nullitatis»;  «capsa depositi Maragmatis, servetur in thesauro Ecclesiae»

Ferdinando II di Castiglia Re di Sicilia e per lui Ferdinando di Acugna Vicerè di Sicilia sancisce che «niuno officiale marammiere che ha incarico della costruzione di una Chiesa, vi possa apporre, dipingere o scolpire le sue armi gentilizie.» [ Palermo 15 luglio 1489. Prag, Regni Siciliae Tom. II. tit. 42. pragm. Unica pag. 404].


Da quanto sopra mi pare che emerga che il “marammeri” o “marammiere” (alla latina “maragmeri”) più che un tecnico simile al nostro “geometra” era un amministratore (religioso, ma qualche volta laico) di istituzioni per la costruzione o la conservazione di edifici sacri (Fabbrica, massa , maramma, dice il Titone).


Quanto a Racalmuto, trovo tra i miei appunti questo passo del registro della “Fabrica” della Matrice:


 31.8.1677 A m.° Vincenzo Picone mandato di maramma onze setti, e tarì dudici per haver fatto altri ripari alla matrice chiesa, cioe per fare lo Campanaro per gisso, mastri, petri et acqua, et altri -/ 4 - per molti adobbi al solo della chiesa -/ 1. per mettere tre legnami  ... per gisso et altre -/ 2.12. come per mandato spedito, et apoca in d. notaro a 15. 8bre p.ma Ind. 1677 dico -/………………………………………………………………………………………..12


Alla luce delle precedenti puntualizzazioni, debbo quindi ritenere che il Picone non era ‘marammieri’ ma soltanto destinatario di incarichi da parte della “maramma” della Matrice.


Spostiamoci di qualche decennio. A Racalmuto si ruba, si fa dell’abigeato. Del resto, accanto ai poveri in canna, v’è gente che possiede varie terre, ha frumento, ha casa in paese, possiede capre, si permette persino “una mutanda”. Tale Lorenzo Pitruzzella è uno di questi. E’ preso di mira dai paesani poveri – e ladri – e se ne dispera. Ricorre al vescovo: spera che una delle tante “monitoriali”, con la comminazione di gravi pene religiose, di plateale scomunica, possa commuovere il protervo ladro, sicuramente un vicino senza beni di fortuna. La Monitoriale arriva: i beni rubati - siamo sicuri – no.

Die 11 agusti 1643

Factae Monitoriales directae rev. Archipresbytero terrae Racalmuti ... Semo stati significati  da parte di Lorenzo Pitruzzella di ditta terra qualmenti ci sono stati sgarrati novi bestioli, rubati salmi  mutanda nella sua casasei di furmento nel suo magazeno, rubati dui crapi, una naca afforata alla Menta …»



Correva l’anno del Signore 1686: il francescano Francesco Maria Rini dominava la diocesi di Agrigento. Racalmuto sembra preso da un empito religioso, e, quel più conta, ha voglia di subordinarsi fino all’inverosimile alle autorità ecclesiastiche del capoluogo. Nella chiesa di San Michele – poi divenuta il Collegio per sopraffazione degli arrampanti Tulumello, più o meno in veste di neo-baroni – si vuole una sorta di perenni Quarantore: vi suol conservare il Santissimo in perpetuo. L’uomo “pio” è il racalmutese arciprete Vincenzo Lo Brutto, la cui ladipe funerea giace nell’abside dell’estreneo S. Giovanni Bosco in Matrice, almeno finché il calpestìo delle locali beghine – ed il loro furore postmestruale – lo consentiranno. Vi era in S. Michele la confraternita del Purgatorio: ve l’aveva dirottata l’autoritaria pietà di Donna Beatrice Del Carretto, nata Ventimiglia, sfrattandola dalla chiesuola di Santa Rosalia. Il vescovo francescano ha stima di quei “frati” laici e gratificandoli della “salute sempiterna nel nome del Signore” (Dilectis nobis in Xhristo filiis devotis Gubernatori e confratribus Venerabilis Societatis animarum S.ti Purgatorii fundatae intus venerabilem Ecclesiam S.cti Michaelis Arcangeli Terrae Racalmuti … salutem in Domino sempternam) gli affida nientemeno che l’ «augustissimum Eucaristiae Sacramentum.» La chiesa era, del resto, decenti muro et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives, iocalium omnium bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens.» Era il 17 giugno del 1686. Firmava il provvedimento il vescovo fr. Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus. Controfirmava il canonico Lumia. Rogava il notaio Vincenzo Calafato.

Qualcosa di analogo avveniva nella Chiesa del Monte ove era insediata la più coriacea confraternita di Santa Maria del Monte. Intermediario il solito arciprete Lo Brutto. Quando assistimiamo impotenti all’agiografico osannare il padre Signorino, pur meritevole prete racalmutese ma del settecento, ci viene in mente questa lapidaria descrizione della Chiesa del Monte risalente alla metà del Giugno del 1686: «ecclesia – vi si dice -   decenti muro et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives, iocalium omnium bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens», che sarà stata stantia formula rituale ma qualcosa di vero doveva pure contenere.

Forse è annotare che in tempi tanto calamitosi, con miseria e pessima nutrizione, con tanti braccianti alloggiati ancora in grotte o in case “copertae palearum” come ai tempi del’esattore papale, l’arcidiacono Du Mazel, tanta voglia di esporre il Santissimo in troppe chiese – sontuose al confronto del circostante ludibrio abitativo – appare irridente, forse addirittura sacrilega.

*    *    *

Francesco Lo Brutto aromatario

Scrivevo qualche mese fa:

Non sono disponibili dati anagrafici su Francesco Lo Brutto. Riteniamo che fosse molto più anziano del sac. Santo Agrò e gli sia premorto, ragion per cui non può avere sostenuto le spese di miglioria della nuova matrice, specie quella a tre navate che sappiamo operante solo dopo il 1662. Nella numerazione delle anime del 1660, il nominativo non figura per nulla e quindi era deceduto da tempo.


Una recentissima consultazione del Rollo Primo del Suffragio apre qualche spiraglio sulla identità di questo speziale del seicento tramandatoci dal Pirri. Ai fogli 72 e seguenti abbiamo la cronistoria di un legato di don Gaspare Lo Brutto alla Confraternita del Santissimo Suffragio delle Anime dei defunti fondata nella Matrice. La lettura degli atti ci consente di stabilire che il sacerdote è figlio di Antonino Lo Brutto e che l’aromatario Francesco Lo Brutto era un suo fratello. Gli atti risalgono al 20 ottobre 1616 ed al 3 ottobre 1617.

Da qui è piuttosto agevole risalire al nucleo familiare secondo quel che emerge dal Rivelo del 1593. Non vi dovrebbero essere dubbi che il “fuoco” in questione sia il seguente:


LO BRUTTO ANTONINO
CAPO DI CASA DI ANNI 48 - CONSTANZA SUA MUGLERI - VINCENZO SUO FIGLIO DI ANNI 18 - GIAIMO SUO FIGLIO DI ANNI 17 - FRANCESCO SUO FIGLIO DI 15 - JOSEPPI SUO FIGLIO DI ANNI 10 - GASPARO SUO FIGLIO DI ANNI 5 - ANTONELLA SUA FIGLIA -  NORELLA SUA FIGLIA


L’aromatario del Pirri dunque nacque a Racalmuto attorno al 1578 da Antonino e Costanza Lo Brutto. I suoi fratelli, oltre al sacerdote che morì molto giovane (il 4 ottobre 1617 secondo il Liber c. 2 n.° 31), furono Vincenzo (nato attorno al 1575), Giaimo (nato attorno al 1576) e Giuseppe (nato il 19.1.1585); le sue sorelle: Antonella (nata il 26.9. 1581) e Norella.

 Quest’ulima si sposò con un fratello di Pietro d’Asaro:

23 10 1622 D'ASARO BARTOLO di GIOVANNI q.am e di GIOVANNA  con LO BRUTTO Leonora di Antonino q.am e di Constanza. Testi: Curto cl. Panphilo e Sferrazza Mariano. Sacerdote: Sanfilippo don Gioseppe Trattasi del fratello del Pittore . Bartolo era nato il 10.12.1597.                                                                                             


Don Gaspare Lo Brutto morì dunque all’età di 29 anni come dal seguente atto e fu sepolto a S. Giuliano:

4
10
1617
Lo Brutto
don Gasparo
S. Giuliano
Per lo clero
gratis


Ecco come è ricordato nella visita del 1608:

cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord. die 19 maij 1606 Panormi

Un giorno prima di morire fa testamento e dispone il seguente legato in favore della Cappella del Suffragio delle Anime del Santissimo Purgatorio fondata nella Matrice chiesa:

Est sciendum qualiter iner alia capitula donationis mortis causa condite per condam don Gasparem Lo Brutto in actis meis infrascripti sub die iij octobris prime ind. 1617 extat capitulum pro ut infra:

Item dictus donans donavit et donat legavit et legat Confraternitati SS.mi Suffragij Animarum SS.mi Purgatorij fundate in Hac Terra Raclmuti tt.os viginti quatuor redditus de summa supradictarum unciarum trium anno quolibet debitarum per dittum Don Antoninum Capoblanco ad effetum celebrandi missas viginti quatuor de requie pro animas defunctorum anno quolibet in perpetuum scilicet: missas duodecim in quolibet nono die mensis novembris cuiuslibet anni et missas duodecim hoc est in die lune cuiuslibet mensis unam missam in perpetuum quoniam sic voluit et non aliter.

Ex actis meis not. Natalis Castrojoanne Racalmuti.

Il 20 ottobre del 1616 don Antonino Capobianco era ancora chierico. Egli è costretto a sistemare una intricata vicenda giudiziaria proprio con don Gaspare Lo Brutto. Questi è però già infermo e manda al suo posto proprio l’aromatario ricordato dal Pirri, Francesco Lo Brutto appunto. Il resoconto trovasi nell’atto del Rollo del Suffragio (f. 72)

Die xx octobris XV ind. 1616

Notum facimus et testamur quod Franciscus Lo Brutto Aromatarius huius terre Racalmuti tamquam commissariatus D. Gasparis Lo Brutto eius fratris a quo dixit habere tale specialem mandatum ... sponte quo supra nomine pro heredibus et successoribus dicti D. Gasparis in perpetuum vendidit et alienavit  .. clerico Antonino Capoblanco eiusdem terre Racalmuti ... unam vineam de aratro arboratam cum eius clausura in duabus partibus cum suis puntalibus domo torculari limitibus maragmatis gessi et alijs in ea existentibus sitam et positam in feudo predicto Racalmuti et in contrata Garamolis secus vineam Hyeronimi Capoblanco ex una et secus aliam vineam dicti clerici Antonini emptoris et secus vineam heredum quondam Nicolai Capoblanco minoris et secus vineam Antonini Curto Bartholi et alios confines; et eademmet bona quae possidebat Nicolaus Capoblanco maiori, dictoque don Gaspari uti ultimo emptori et plus offerenti predicta bona liberata per primum et secundum decretum et actum possessionis inclusive redactum penes acta curie dicte Terre Racalmuti diebus etc. banniata et subastata ad instantiam quondam Antonini Lo Brutto et pro ut melius est expressatum et declaratum in dictis decretis superius calendatis ad quae in omnibus et per omnia plena habeatur relatio et me refero et non aliter nec alio modo.

Totam dictam vineam cum omnibus supradictis etc. subiectam dictam vineam cum arboribus ... cum eius solito onere census proprietatis et directi dominii debiti et anno quolibet solvendi ill.i Comiti dicte Terre Racalmuti a quo ill.e proprietario prefati contrahentes ad invicem proprio eorum nomine licentiam auctoritatem et consensum reservaverunt et reservant cum debita et solita protestatione mediante

Et hoc pro pretio unc. triginta quatuor p.g. de pacto et accordio inter eos absque estimatione ... de quibusquidem unc. 34 quoad uncijs quatuor dictus clericus Antonius dare realiter et cum effectu solvere promisit et promittit dicto d. Gaspari absenti ..

Et pro alijs uncis triginta ad complementum dictarum unc. 34 dictus clericus Antonius  vendidit et subiugavit  dicto d. Gaspari Lo Brutto uncias tres redditus censuales et rendales .. super dicta vinea

Item in et super quamdam aliam vineam sitam et positam in dicta contratasecus supradictam vineam et secus dictam vineam Antonini Curto de bartolo et secus vineam dictorum heredum quondam Nicolai Capoblanco

Item in et super duabus domibus terraneis existentibus in dicta terra et in quarterio Fontis secus domos heredum quondam Vincentij Mannisi ex una et secus domos dicti Hieronimi Capoblanco ex altera

Testes Franciscus Manueli D. Michael Barberi et Joannes Franciscus Pistone

Ex actis meis not. Simonis de Arnone.

In actis curie juratorum ..Grillus mag. not. Franciscus


Anche don Antonino Capobianco ebbe breve vita. Crediamo che sia una delle innumerevoli vittime della peste del 1624. Già il 22 novembre 1626 risulta deceduto. Naturalmente la cappella del suffragio si fa parte diligente nella riscossione del legato. Tocca al solerte don Santo d’Agrò, nella sua veste di deputato della Cappella del Suffragio delle anime del santissimo Purgatorio, fondata nella chiesa Maggiore, di sollecitare gli eredi, come dalla seguente carta notarile  (Rollo Suffragio f. 75):

Die XXII novembris X ind. 1626

Fuit per me notarum infrascriptum ad instantiam don Sancti de Agrò deputati Capelle Suffragij animarum S.mi Purgatorij fundate in maiori ecclesia huius terre Racalmuti ... intimatum et notificatum Vincentio et Vito Capoblanco fratribus heredibus universalibus quondam don Antonini Capoblanco Sacerdotis olim eorum fratris presentibus et audientibus contractum de summa illarum unc. trium redditus annualium per ipsos de Capoblanco dicto nomine debitarum anno quolibet heredibus quondam don Gasparis Lo Brutto subiugantium per dittum quondam don Antoninum dicto quondam don Gaspari vigore huiusmodi contractus subjugationis facti in actis not. Simonis de Arnone die XX octobris XV ind. 1616, habeant et debeant anno quolibet solvere dicte Capelle Suffragij eiusque deputatis  tt. 24 redditus e sunt pro alijs dette Cappelle legatis per dittum quondam don Gasparem in eius donatione causa mortis fatte in attis meis not. infr. die iij octobris p. ind. 1617 et nemini alteri solvere sub pena anno quolibet .... unde

Testes Antonius Curto martini et Franciscus Curto Joseph

Ex actis meis not. Natalis Castrojoanne.   

*   *   *


Giaimo Lo Brutto morì pure giovanissimo, appena ventiquattrenne, ed era ancora scapolo: non può quindi essere quello del noto processo dei Savatteri che rivendivano il beneficio del Crocifisso in quanto eredi del nobile Giaimo Lo Brutto:

1
9
1600
Lo Brutto
Giaimo
Antonino
Carmino
per lo clero


La madre fu al contrario piuttosto longeva: morì nel 1636 e venen sepolta nella chiesa che il figlio aromatario avrebbe abbellita:

27
6
1636
Lo Brutto
Costanza
m. del q.m Antonino
Matrice
sepulta in questa magior eclesia.


Su Leonora (Norella) Lo Brutto, sposatasi con Bartolo d’Asaro, possiamo piluccare qualche dato: Nel 1636 era già vedova. Le amministra i beni il pittore Piero d’Asaro che li include nel suo rivelo come sue “gravezze”. Dichiara il 25 novembre 1636 nel documento intestato:

Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind. 1636

tra le altre, la seguente “gravezza”:


Gravezze mobili


Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra relicta dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di onze....................................200

Ella morì a 74 anni nel 1663 come dal seguente atto:

8
2
1663
D'Asaro
Leonora
74
Uxor q. Bartholomei
Matrice
presente clero
Agro' Libertino






MANSIONARI 1690


[DALL’ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRI VESCOVI 1689-1690 - F. 898 E SS.]


“Racalmuto - Concessione di insegne corali pei 12 mansionarii”


Nos frater don Xaverius Maria Rhini ex ord. min. reg. observantiae Sancti Principis nostri Francisci Dei et Sanctae Apostolicae sedis gratia Agrigentinus Regiusque Comitus etc:

Dilecto in Cristo filio Ill.ri Domino nostro D. Hieronimo del Carretto principi comiti terrae Racalmuti huius nostrae agrigentinae dioecesis et salutem in Domino et nostram episcopalem benedictionem.


Perillustres hae imperialis familiae, et antiquissimae nobilitatis genus, multiplica servitia, quae ad suorum perillustrium Antenatorum imitationem, invictissimo nostro Catholico Hispaniarum Regi in muneribus militaris campi ad bellum in revolutionibus Civitatis Messanae, et in bello regio Galliae evidenti cum tuae vitae periculo in fonte inimicorum tuis maximis dispensiis manutendo societates militum siculorum, alemannorum et calabriensium, et vicarij generalis prius in civitate neti, et postea in hac Civitate Agrigenti, eamque repartimentis toto d. belli et revolutionum tempore contra Gallos ad singularem benefitium, et huius regni hi tamen prestiti, et in diem prestare non curans (?), quorum intuitu à predicto invictissimo Rege pias (?) ceteras mercedes habuisti munus Pretoris predictae Siciliae regni et clavem auream uti illius eques; aliaque innumera laudabilia  merita nobis satis superque cognita nos inducunt, ut te specialibus favoribus, et gratiis prosequamur. Praemissa igitur prae oculis habentes in exequtione provisionis de ordine nostro factae in domo tuae suppicationis, tenore pretium Bullarum perpetuo valiturum concedimus facultatem, Reverendissimum Archipresbyterum et duodecim Mansionarios, et Chorales distributionarios à nobis eligendos, et qui pro tempore erunt in Sacra distributione de numero duodecim iam ex nostra facultate erecta et fundata pro divini cultus incremento, et Sanctissimi Purgatorii anumarum suffragio, per alias nostras Bullas expeditas sub die 12 Januarii currentis posse deferre capuccium sive Almutium sericum, quò ad rev.m Archipresyiterum et Vicarium nigri, et subtus rubri colorum, et quò ad alios nigri, et subtus violacii colorum..


Mandantes etc. ....


die 13 januarii 1690


Officiati

Santo d’Acquista terrae Racalmuti (ex 12 coristi);

don Antonio de Amico;

don David Corso;

don Vincentio Casuccio Racalmuti;

don Francesco Pistone;

don Nicolao Carnazza;

don Filippo Cino;

don Giovanni Sferrazza;

don Francesco Savatteri;

don Pietro Casuccio;

don Vincenzo Castrogiovanni;

don Santo la Matina.


don Caetanus Cirami   (in casu vacationis mansionarium);

don Fabritio Signorino (de suprannumerariis);


don Sthefanus Faija        (soprannumerario della sacra distribuzione);

don Calogero Cavallaro (       ‘’               ‘’      ‘’         ‘’                    );

don Pietro d’Agrò          (       ‘’               ‘’      ‘’         ‘’                    ).




[1]) ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702  -  n.° 4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is   D. JOSEPH DEL CARRETTO
[2]) ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702  -  n.° 4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is   D. JOSEPH DEL CARRETTO
[3]) Trascrivo un’efficace pagina del Gallo che mi pare illuminante su quegli eventi della soppressione del Tribunale del Santo Officio:
« E la Sicilia tributa lodi di riconoscenza ad un Marchese Caracciolo, per la cui opera il nostro sovrano Ferdinando III, con suo Real Dispaccio, dato in Napoli il dì 16 marzo 1782, abolì ed estinse siffatto Tribunale. Era allora inquisitor supremo e generale Mr. Ventimiglia già vescovo di Catania e poi arcivescovo in partibus di Nicomedia; quando a 12 marzo 1782, giorno del pontefice s. Gregorio, il Consultor del Governo Saverio Simonetti si portò al Palazzo del S. Officio, una volta chiamato Palazzo Steri che significa domum cospicuam (Amico Lex. Topograph. t.I p. II, pag. 372) oggi de' Tribunali, e sigillò l'Archivio. Nel dì 27 dello stesso Marzo, mattina del Mercoledì Santo, il Vicerè Marchese Caracciolo si recò a quel Palazzo; entrò nella sala del Segreto, in cui trovavansi riuniti lo Arcivescovo di Palermo, il giudice della Monarchia, il Consultore ed il Segretario del Governo, tutto il Sacro Consiglio, il Pretore ed il Capitano della Città. Preso ciascuno il suo posto, dal segretario del Governo fu letto il Diploma dell'abolizione. Dopo tale lettura il Vicerè entrò nell'Archivio Segreto stato sigillato nel giorno 12 dal Consultor Simonetti, ed indi nelle carceri segrete, dando libertà a que' meschini che vi si ritrovavano rinchiusi.
Nell'anno appresso, a 27 giugno, nel giardino dell'alcaide barone Zappino, per ordine sovrano fu in presenza dello stesso Vicerè dato principio all'abbruciamento di tutto l'archivio segreto, che durò per due giorni sino a mezzodì, vigilia dei SS. apostoli Pietro e Paolo, fintantochè col fuoco fu consumata ogni minima memoria del S. Officio, comprese le mitre, abiti gialli, ritratti d'inquisiti, e qualunque altra minuzia appartenente all'inquisizione: che anzi, per togliere qualsivoglia vestigio e rimembranza del già abolito Tribunale, quel vicerè, la cui memoria ci sarà sempre grata, con suo biglietto dei 3 luglio 1782 ordinò, come fu infatti eseguito, che il Crocifisso, il quale trovavasi nella cappella della sala del segreto, si fosse trasportato nella chiesa sotterranea della real cappella di S. Pietro nel regio Palazzo: Ved. il Parroco Alessi Miscell. Sicilient. n. 485. MSS. che si conserva  nella Bibl. del Comune di Palermo .
98 ) Conc. Trid. sess. XXIII,....»

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