IL PRESTITO subordinato di L. 100 milioni
Il 9 novembre 1999, nell’assemblea straordinaria ex art. 2446 c.c., il C.di A. della Mediterranea relazionava di avere «deliberato l’emissione di un prestito subordinato sotto forma di strumento ibrido di patrimonializzazione di L. 100 mld.»
Nella relazione al bilancio di fine esercizio 1999 lo stesso C. di A. fa sapere che «la banca di Roma, per riequilibrare l’assetto patrimoniale della Mediterranea ha emesso uno strumento ibrido di patrimonializzazione di lit. 100/miliardi» e, contraddittoriamente, soggiunge che «per il superamento della crisi vissuta dall’Azienda, la Capogruppo, di comune accordo con gli Organi Amministrativi della Mediterranea, ha individuato nella fusione per incorporazione della Mediterranea nella Banca di Roma e nel successivo scorporo del ramo di azienda bancaria di Banca Mediterranea la soluzione più idonea.» (Cfr. p. 1).
Qualche annotazione su tale strumento ibribo di patrimonializzazione: esso a nulla poteva giovare, atteso il disastroso ordito valutativo cui gli uomini del socio egemone si sono indotti a chiusura d’esercizio. Si consideri che “le passività subordinate non possono eccedere il 50 per cento del ‘patrimonio di base’ (cfr. Appendice B.I. 1998, pag. 283); si consideri anche che per un processo di ardite svalutazioni dei crediti che gli stessi uomini del Banco di Roma dichiarano avvenute in “chiave tuzioristica” – il che significa attraverso gonfiature di “riserve” – non si era potuto raggiungere quel “minimum” di patrimonio di vigilanza; si sappia che senza quel “minimum” nessuna banca può continuare ad operare per norme giuspubblicistiche di settore. Tutto ciò considerato, siffatto “strumento ibrido” è finito per palesarsi inutile e dannoso per la BM ed indebitamente locupletativo per il socio a maggioranza assoluta [alias BR].
Quest’ultimo imponeva ai propri uomini – che recepivano – di contrarre un debito con la casa madre di cui la BM obiettivamente non necessitava: si frapponeva infatti il sovrabbondante cash flow alla cui lievitazione non mancava di contribuire la notoria riluttanza degli uomini del banco a finanziare l’industria locale (vedi la stasi degli impieghi, in decremento se si depurano delle pesanti capitalizzazioni degli interessi di fine esercizio). Aggiungasi il basso rapporto impieghi/depositi che ha determinato un ulteriore aggravio dei già critici saggi di rendimento gestionale.
Ovvio che, presumendosi l’assolta inidoneità dei soci di minoranza – e di quelli più deboli in particolare, più numerosi e quindi più facilmente obnubinabili – il C. di A. della Mediterranea ha creduto sufficiente licenziare la precisazione che abbiamo appena sopra citata, nella relazione di legge a corredo della loro proposta di bilancio.
Quanto di contraddittorio e di capzioso si sottende nel passo citato è di tutta evidenza. Ma non può il socio di minoranza avere capacità tecniche sufficienti a contrastare la Banca di Roma socia al 53% ad onta di tutte le norme anti-trust
Alla voce 110 di fine esercizio abbiamo – si pensi - una “passività subordinata” di L. 100 miliardi che stando a ciò che si annota – a caratteri piccolissimi a pag. 43 - è “passività subordinata” «… riferita ad un prestito di L. 100 miliardi ricevuto dalla Capogruppo Banca di Roma. Esso è regolato al tasso Eurobar a 6 mesi diminuito dello 0,10%, prevede una durata di almeno 10 anni e il rimborso in unica soluzione alla scadenza, previa autorizzazione della Banca d’Italia. Le clausole di subordinazione che disciplinano il contratto consentono, in caso di perdite di bilancio che determinino una situazione del capitale versato e delle riserve al di sotto del livello minimo di capitale previsto per l’autorizzazione all’attività finanziaria, che le somme rivenienti dal finanziamento e dagli interessi maturati possano essere utilizzate per far fronte alle perdite al fine di consentire alla Banca di continuare.»
Ammesso e non concesso che questa sia un’informativa accessibile ai soci sprovveduti, emerge ictu oculi che si è deciso aliunde di non far più “continuare” la Banca: è dunque venuto meno ogni motivo per un siffatto iugulatorio prestito. Ed era prestito che non poteva essere deciso dagli amministratori della BM, per evidente conflitto di interessi; che non poteva essere deciso dalla “maggioranza” dei soci, per lo stesso conflitto di interesse del socio tiranno; che semmai andava fatto decidere ai soli soci di minoranza, il che notoriamente non è avvenuto.
E così, con qualche disinvoltura e forse con reticenza, si adempie formalisticamente ai dettati della vigilanza sugli schemi di conto economico delle banche per affastellare incomprensibili cifre sul “conto economico riclassificato” (cfr. pag. 17). Il linguaggio algoritmico diviene ulteriore velame alla comprensibilità degli inspiegabili (e non svelati) crolli gestionali in tema di
- “margine gestione denaro” (erraticamente contrattosi nel 1999 del 22,77%),
- “utili netti operazioni finanziarie” (astuzia lessica per non dire “crollo reddituale”) contrattisi e ribaltatisi del 170,22%;
- “risultato lordo di gestione” passato dagli 80,8 miliardi di resa del 1998 ad un valore pesantemente negativo di meno 93,7 miliardi;
- “risultato ante imposte” di meno 272,887 miliardi, con un peggioramento di gestione al saggio decrementativo del 653,50%.
Tanto avrebbe dovuto mettere sull’avviso il perito di nomina pubblica – la RECONTA ERNST & YUNG di Roma – che si era in presenza di un bilancio dubbio e forse falso, apparentemente non veritiero; un bilancio concepito in sospetto conflitto d’interessi e quindi passibile di segnalazione alle autorità competenti, non mancandosi comunque di ragguagliare il Presidente del Tribunale di Melfi che mancava il requisito primo di una “situazione patrimoniale .. redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio” di cui al secondo comma dell’art. 2501 ter del codice civile; emergeva pertanto che – fino ad un nuovo progetto di bilancio vero e reale – non era praticabile alcuna seria e fondata quantificazione dei rapporti di cambio per la fusione. Ciò pare sia stato del tutto ignorato.
Ciò avrebbe dovuto spingere la Banca d’Italia ad essere forse alquanto più cauta nel concedere l’autorizzazione di cui all’art. 57 del TULB.
Del pari, qualche ripensamento avrebbe dovuto esserci presso la Consob: Banca di Roma prima svaluta e poi ripristina al costo la partecipazione maggioritaria presso la Mediterranea. E ciò non tanto per supino rispetto verso i propri tecnici, ma, stando a quel che appare predisporre un’agile traslazione, senza inceppi rivalutativi del proprio specifico attivo nella divisata «società bancaria di nuova costituzione, controllata totalitariamente dalla Banca di Roma.»
E qui davvero c’è da pensare in ordine al fatto che possa darsi per scontato un nugolo di autorizzazioni della Banca d’Italia “ante litteram”, a futura memoria, in palese disapplicazione delle norme avverso il “socio unico” e con elusione di quanto comunitariamente stabilito in tema di concentrazioni bancarie.
Né Banca d’Italia né Consob pare abbiano sinora ritenuto opportuno esigere rettifiche su questo passaggio della relazione al bilancio della società incorporante:
«Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226 miliardi [ma nella semestrale non era stata svalutata? n.d.r.] Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati che produrranno effetti a partire dal 2000, costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico.»
Orbene, il c.d. “valore di carico” non può che essere questo:
- Costo residuo della partecipazione: L. 226.000.000.000.=
- N.ro azioni possedute: n. 38.840.319.=
- Valore unitario: L. 5.818,696.=
Da qui forse il non pregevole itinerario estimativo di quei “advisor” che hanno portato prima il valore di bilancio della BM di L. 1401,91 a L. 2.435 (quasi un raddoppio) e poi a L. 3.570. Successivamente, essendo la stima ancora insufficiente, si salta ad un concambio di 5 a 2, senza precisare la parametrazione patrimoniale, in base ad un presunto valore di mercato di banche consimili per la Mediterranea ed omettendo analogo calcolo per la Banca di Roma.
Sennonché quel 5 a 2 postula che le azioni della Mediterranea al massimo varrebbe L. 5.112. Quindi la Banca di Roma nel suo bilancio non appare encomiabile quanto a precisione. Si è lontani dalle proclamate L. 5818,696 così come inaccettabile è l’affermazione che vorrebbe «il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuito alla quota di pertinenza della Banca di Roma [avere] un valore che eccede il valore di carico.»
Non può stupire se i soci di minoranza della BM tendono a considerare quell’affermazione alquanto lesiva dei loro diritti societari. La sincerità nelle rappresentazioni delle valutazioni; la veridicità delle appostazioni di bilancio; la correttezza nelle relazioni d’affari non paiono in questa occasione esemplari.
Quando, poi, si afferma (cfr. pag. 2 della Relazione BM al progetto di fusione) che si è inteso adoperarsi per «la salvaguardia dei diritti patrimoniali degli azionisti di minoranza» si è in contraddizione con i citati assunti del socio egemone. Siamo in presenza di espressioni elusive che possono apparire accorgimenti eziologicamente rivolti ad espellere da una banca che solo nel 2000 prospererà (questo è stato detto nelle relazioni di bilancio) i soci indesiderati per conseguire un vantaggio per il socio egemone (dato che potrà traslare un attivo, in atto dubbio, in una costituenda nuova banca, tutta di sua proprietà, locupletando in proprio in correlazione al danno subito da altri). Per converso i soci minoritari finiscono per soggiacere ad una sorta di estromissione coatta, nulla potendo contro lo strapotere assembleare del socio di maggioranza assoluta.
LA PERDITA DEL CONTROLLO SOCIETARIO
Non appare questa la sede per rievocare la vicenda dell’ingresso della Banca di Roma nella compagine societaria della Banca di Roma. Qualche dato è stato già fornito. Non sembra del tutto corretto asserire che l’istituto romano sia divenuto socio quasi unico in un sol colpo, nel 1995. Le tante assemblee straordinarie del 1994 prima e del 1995, dopo, stanno lì a testimoniare il fatto che da una partecipazione minoritaria e pressoché irrilevante si è passati ad una partecipazione cospicua del 30% per finire in quella massiccia attuale che pare trascenda di fatto il 53% dichiarato.
E’ inoppugnabile che la Banca di Roma non ha mai pagato azioni Mediterranea sopra le L. 8.000; o meglio: il patto iniziale di acquistare a L. 15.000 si è modificato a seguito di valutazioni fatte con criteri non del tutto in linea con quelli che ora vengono proposti dagli advisor.
Fuor di dubbio che nessun premio di maggioranza è gravato sull’acquirente del tempo. Tanto ora non può che essere corrisposto ai soci del tempo – se sopravvissuti – a titolo risarcitorio. In altri termini è questione di equità, di giustizia applicata al caso concreto, recuperare in sede di estinzione della tradizionale Banca Mediterranea ciò che venne meno nei processi di aggiustamento della compagine societaria, in definitiva voluti dall’estranea Banca d’Italia.
Allora non si corrispose quella giusta integrazione di prezzo sia perché scriveva come scriveva il direttore della locale Filiale B.I. (vedi sopra) sia perché si diceva e si ammoniva l’assemblea dei soci che con la presenza della Banca di Roma cosiddette “sinergie” entravano nell’asfittica potenzialità di crescita della Banca Mediterranea.
Facile oggi richiamare i rilievi dell’ultima ispezione B.I. per sottolineare carenze addebitabili al nuovo assetto amministrativo come:
- la circostanza che “ancorché note da almeno un quinquennio, solo da pochi mesi sono state avviate a soluzione le mancate problematiche del sistema informatico, obsoleto, scarsamente integrato ed assoggettato ad una disordinata e poco documentata opera di intervento manuale e di personalizzazione delle procedure”. E guarda caso, s’inizia il risanamento e si estingue la banca con l’istituto dell’incorporazione da parte del socio egemone;
- rimarchevole «l’inadeguatezza dell’apparato contabile e di quello segnalatecico, nonché dei sistemi di controllo interno e direzionale.» Aspetto tanto più grave se si tien conto dello smantellamento delle connaturali strutture della Mediterranea e dei gravi costi per l’introduzione degli alieni ed abnormi sistemi consoni all’istituto romano;
- «scrutinio e monitoraggio del credito – interessati da manchevolezze ed incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto.» E siffatto nevralgico comparto è quello che si contraddistingue con la pesante involuzione delle sofferenze prima additata e soprattutto con il deterioramento del grado di ricuperabilità dei dubbi realizzi;
- «contenzioso lento ed incompleto» ad onta dei gravami del conto economico che hanno impedito all’azienda di prosperare;
- «ritardi nell’appostazione di sofferenze»: i misteri di posizioni contrassegnati con i codice CR 4433672; 6439964 e 5114286 forse stanno avendo acconcio disvelamento, ma in sedi alquanto scabrose;
- “numerosi rapporti … risultano di fatto abbandonati” forse sol perché ritenuti “di ammontare non elevato”, e tanti piccoli rivi fanno un fiume;
- «le previsioni di perdita non sempre sono guidati da criteri univoci, volti ad assicurare una tendenziale oggettività e omogeneità valutativa.»
E si potrebbe continuare. Resta però inspiegabile perché i c.d. tecnici della fusione non sfiorino neppure siffatti scottanti aspetti. Avrebbero dovuto chiedere ad esempio la seguente documentazione e farne dei circospetti ma esaustivi ragguagli. Senza contemplare tali risvolti gestionali ogni giudizio sulla congruità del con cambio è a dir poco malcerto.
Non ci risulta che siano stati vagliati i risultati di esercizio tenendo presenti:
- le decisioni degli amministratori delagati dell’ultimo triennio;
- le pratiche di fido (centrali nella gestione di una banca);
- la corrispondenza con la banca socia;
- i rapporti ispettivi interni (vedi rilievo n. 8);
- atti, lettere e corrispondenza idonei a controdedurre al rilievo sub 11);
- la parte aperta delle due ultime due ispezioni della Banca d’Italia.
Sono pretermissioni che da un lato avvalorano la nostra stima sul giusto peso delle azioni Mediterranee, desumibile solo dalla pregestione Banca di Roma, pari cioè a L. 14.378 e dall’altro impongono la refusione del premio di maggioranza a suo tempo non corrisposto dal neo-socio Banca di Roma.
Non si nega che tale valore non è facilmente quantificabile, ma il giusto mezzo tra un minimo del 15% del valore dell’azione al tempo dell’ ingresso maggioritario della Banca di Roma ed un massimo del 20% porta ad un’integrazione pari a L. 2.500 per azione dei soci di minoranza. Siffatta integrazione esula dai vincoli dell’art. 2501 bis terzo comma, trattandosi di atto risarcitorio e può quindi essere corrisposta in contanti.
LA NUOVA BANCA MEDITERRANEA
La Banca d’Italia si era premurata di far sapere in Parlamento che «Mediterranea e Banca di Roma, in qualità di capogruppo, [dovevano] redigere, in tempi brevi, un dettagliato piano di risanamento, nel quale fossero previsti adeguati interventi di ricapitalizzazione e fossero formulate coerenti previsioni di crescita degli aggregati patrimoniali, economici e finanziari.» Non pare che si privilegiasse l’ipotesi dello scioglimento della banca Mediterranea, sia pure sotto forma di fusione mediante incorporazione. Se qualche avvocato romano sostiene che tale ultima via fosse la sola percorribile per volere della B.I. si assume non poche responsabilità.
Purtroppo, dopo ondivaghi atteggiamenti, torna comodo alla B.R. tale forma di estinzione della sua partecipata. In effetti, basta l’emissione di n° 83.708.730 nuove azioni (al massimo) per un importo complessivo di L. 41.854.365.000 per tacitare tutte le ragioni dei vecchi soci della Mediterranea. Con una semplice scrittura contabile del tipo:
- dare conto “fusione” avere capitale sociale: L. 41.854.365.000:=
per chiudere la partita.
Nasce un certo annacquamento del capitale che a nostro sommesso avviso rastremerà il valore contabile della singola azione BR forse attorno a L. 1.972 (con ulteriore lesione del concambio delle azioni della Mediterranea), ma tanto non risulta interessare alcuna autorità di controllo.
Al conto fusione accederà anche l’attuale partecipazione, riportata non al costo storico come si dice da parte degli amministratori della BR ma a quello del precedente esercizio al momento pari a L. 226.000.000.000 (salvo rettifiche per sopraggiunti acquisti o per emersione di sistemazioni varie).
Il complessivo importo di siffatta voce dell’attivo (L. 268 miliardi al massimo) ha già una sua destinazione: pare che verrà qualificato come effettivo e veridico apporto di capitali alla divisata nuova banca «al fine di preservare una serie di vantaggi competitivi connessi al mantenimento del marchio ed al radicamento territoriale» (Cfr. Relazione C.di A. Mediterranea, pag.1)
Si reputa di far sapere ai vecchi soci della Mediterranea che:
- «vi è stata una sostanziale tenuta della Banca Mediterranea nelle posizioni sul mercato di riferimento» (cfr. ibidem p. 10»
- «frutto di una costante ed attiva presenza sul mercato» (cfr. ibidem p. 11);
- «grazie anche alla sviluppo di sinergie commerciali con le società del Gruppo Bancoroma» (ibidem p. 11);
- In definitiva, «da tali linee di azione, unitamente alle scelte di riorganizzazione tecnologica ed amministrativa, alla valorizzazione delle risorse umane, alle sinergie derivanti dall’appartenenza ad un gruppo ampio, integrato ed in evoluzione, si attendono il continuo miglioramento della qualità degli impieghi ed il rafforzamento del ruolo della Banca quale interlocutore privilegiato del mondo produttivo e soggetto attivo di propulsione e di sviluppo, pronto a cogliere in via anticipata i segnali che vengono dai territori e dalle istituzioni» (ibidem, p. 12).
Invero non pare che l’Organo di Vigilanza sia d’accordo se in una «recente visita», sia pure «di norma», ha riconsiderato «in chiave più critica le componenti aziendali strutturali, patrimoniali ed economiche.» Ma, non pare equo che i soci di minoranza vengano radiati e non possano in alcun modo godere dei frutti dei loro ormai ultraquinquennali sacrifici.
Ai soci della Mediterranea viene infatti precluso ogni accesso nell’ente che risorgerà dalle ceneri della banca che loro hanno fondato, sviluppato, radicato nel territorio, consegnato al nuovo socio egemone con una dote cospicua patrimoniale e che altri ha affossato e dissolto in una “incorporazione” letale. Bancaroma scrive: «è stato peraltro predisposto un progetto di fusione per incorporazione nella Banca di Roma. E’ inoltre prevista, a seguire, un’operazione di scorporo di parte della Banca Mediterranea in una società di nuova costituzione, controllata totalitariamente dalla Banca di Roma. Questa soluzione offre al nostro Gruppo la possibilità di salvaguardare le importanti potenzialità competitive presenti nella rete della Banca Mediterranea, in funzione soprattutto delle sue caratteristiche di localismo e di radicamento territoriale, attraverso un nuovo organismo atto ad assicurare migliori prospettive di profittabilità.» (Relazione Bilancio BR, p. 61) Ma tali «potenzialità competitive» in parte sono di pertinenza degli estromettendi soci. Giustizia impone che vengano risarciti.
L’attribuzione ad ogni vecchia azione Mediterranea dell’opzione a sottoscrivere alla pari le azioni della costituenda società bancaria – totalmente riveniente dalla Mediterranea – si rende quindi ineludibile: pena prevedibilissime azioni giudiziarie.
Del resto è la stessa Banca di Roma che implicitamente riconosce l’inadeguatezza del concambio di 5 a 2. A pag. 96 della cennata relazione si afferma: «Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226 miliardi. Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati che produrranno effetti già a partire dal 2000, costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico. E’ da aggiungere infine che la valutazione è confermata anche da offerte di acquisto pervenute da potenziali acquirenti.».
Duole dover controbattere:
- se positivi effetti sono previsti «a partire dal 2000», del tutto ingiustificata è la sostanziale soppressione di una banca vitale;
- il valore di carico risulta forse pari a L. 5.094, mentre quello che percepirà il socio minoritario BM, dopo le dilatazioni del capitale della BR per estromissione dei soci di minoranza BM, difficilmente supererà le L. 4.930 (rapporti precisi non sono possibili per difetto di informazione societaria);
- prudenza imporrebbe di non accreditare tesi azzardate in materia di azioni quotate in borsa e di evitare frasi come questa: «advisor indipendenti … attribuiscono … un valore che eccede il valore di carico»;
- se «potenziali acquirenti» erano disposti a subentrare nella partecipazione, era quella la via non solo auspicabile ma da percorrere doverosamente per evitare i danni inflitti ai soci di minoranza. Se non si era stati in grado di amministrare, si poteva almeno essere avveduti nel vendere.
CONCLUSIONI
Gli advisor “indipendenti” hanno redatto perizie i cui limiti crediamo di avere dimostrato abbondantemente. Non sono pochi i soci di minoranza che non si reputano soddisfatti dal concambio che viene proposto (5 a 2).
Per tutta una serie di considerazioni, pare essere equo un concambio radicato nel valore storico delle azioni della Mediterranea, o meglio che tenga conto dell’effettivo netto patrimoniale, prima delle tosature per gestioni imputabili a centri estranei dagli interessi dei soci minoritari.
Di tal che, un’azione della Mediterranea si aggira sulle L. 14.378 che in relazione al valore corrente delle azioni Bancoroma comporta un concambio di 7 azioni BR per ogni azione BM.
Va inoltre rifuso il premio di maggioranza, a suo tempo non corrisposto, e commisurabile in L. 2.500, da corrispondere in contanti, data la sua natura risarcitoria.
I soci di minoranza della Mediterranea non possono venire esclusi dalla divisata nuova banca che altro non è che la stessa Mediterranea, neppure troppo modificata. Il rapporto societario trascende il valore economico e specie nell’ambito bancario – ove ha peso l’art. 19 del TULB – esso è insopprimibile per sola volontà del socio maggioritario. Conseguentemente, va accordata per ogni vecchia azione un’opzione azionaria alla pari nella divisata nuova società bancaria.
La presente relazione è del tutto finalizzata alla tutela delle ragioni patrimoniali e morali di taluni soci di minoranza della Banca Mediterranea che ne hanno fatto esplicita richiesta. Non può pertanto avere valore diverso di un’opinione che comunque viene espressa secondo scienza e coscienza e che scaturisce da esperienze quarantennali nel settore delle verifiche bancarie.
Racalmuto, 25 aprile 2000.
Dott. CALOGERO TAVERNA,
ex ispettore di vigilanza bancaria della Banca d’Italia ed ex ispettore del SECIT, Ministero delle Finanze. – Socio di minoranza della Banca Mediterranea.
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