Autorevolmente si
afferma che quest’anno ricorre il centenario della istituzione a Racalmuto dell’Azione
Cattolica. Chi l’afferma è persona degnissima di fede e noi gli crediamo sulla
parola. Un tempo padre Puma rievocò quella fausta ricorrenza stampando un
foglio ove raccolse testimonianze svariate, anche di chi ostentava sberleffo
eretico come colui che qui scrive. Sì, è vero: anch’io sono stato presidente d’azione
cattolica imperando l’arciprete Giovanni Casuccio e assistendoci allora
seraficamente il nostro padre Alfonso Puma Pagliarello. Dopo ebbi a cambiare
casacca e mi allineavo con i mutamenti del grande Sciascia che dal giummo
fascista e dalle colonie elioterapiche di PNF memoria era divenuto quello che
sappiamo. Apriti Cielo! Il Petrotto senior dalle colonne di Malgrado Tutto mi
fulminò con roventi lemmi, invitandomi anche a far di conti in banca ché quanto
al giovanile antifascismo di Sciascia lui poteva ben testimoniare. Si sa, che
la dommatica da cattolica è divenuta laico-socialista e manco mi fu permesso di
controbattere adeguatamente, con la
solita scusa che delle mie pretese lungaggini. Ma de mortuis nihil nisi bonum e
quindi qui noi ora ci fermiamo.
Aggiungiamo però che in famiglia non sono il solo parrinaro
a capo delle falangi del cattolico credere: ce n’è stato un altro: addirittura
il primo Presidente dell’Azione Cattolica di Racalmuto, che credo però facesse
capo al giovane sacerdote Giovanni Casuccio, in contrapposizione per giunta a
quanto con suoni chitarre e mandolini gravitava sull’ostile padre Chiarelli,
quello che potete vedere all’ingresso del cimitero in sembianze marmoree
somigliantissime.
Quel primo presidente – l’ho appreso da un testo del
poderoso storico ecclesiastico, monsignor Domenico De Gregorio – si chiamava CALOGERO
SACCOMANDO ed era nato a Racalmuto il 24 agosto del 1890, come ben può arguirsi
dall’ostentata foto dell’atto di battesimo sopra riportato (f. 429 penultimo
registrato).
Il Saccomando, ottimo fabbro ferraio alla scuola del padre
venuto da Naro, mastru Jacumu, e nipote dell’arciprete Tirone per via della
mamma, morì molto giovane lasciando in ristrettezze la famiglia numerosissima.
Non ebbe tempo di sposare la zza Stifanuzza, una sorella della matrigna Maria
Concetta La Rocca. Mio nonno materno
(che tale era Mastro Giacomo) sposò tre volte, due sorelle Tirone e mia nonna
La Rocca: dalla prima moglie (morta giovanissima) non ebbe figli; dalla seconda
morta dopo tre parti ebbe appunto Calogero, Marianna e Vincenzo; dalla terza moglie,
sette figli.
I primi tre figli ebbero vita molto singolare; Calogero,
presidente d’azione cattolica, diciamo che propendeva verso una religiosità
accentuata; la seconda Marianna, presto orfana – sicuramente per interessamento
del locale clero amico del deceduto arciprete Tirone – a tredici anni lasciò
Racalmuto. Pressoché analfabeta, di intelligenza superiore – l’ho conosciuta di
persona e posso affermarlo e si sa che non sono generoso nel laudativo – crebbe
in santità, cultura, capacità intellettuali e doti umane tanto da divenire
MADRE GENERALE del suo istituto che da
bislaccheria di un tal prete toscano, padre Bianchi, ora è prestigiosa
congregazione religiosa con riconoscimento di personalità giuridica anche da
parte della Chiesa Romana e tutto per merito di questa rotondetta monachella
racalmutese, con l’assistenza a dire il vero di mons. Parisi, altra splendida
figura di sacerdote di questa nostra bistrattata comunità.
Il terzo figlio di primo letto (veramente secondo) fu mio
zio Vincenzino, uomo di travolgente intelligenza, caratterialmente vivacissimo,
frustrato forse da quell’essere divenuto troppo presto orfano di madre. Si
raccontano varie esagerazioni in famiglia e certo la sua vita in Italia fu
alquanto avventurosa. Emigrò in America, passò da New York a Buffalo; qui
attrasse altri due fratelli non germani. Con abilità, con certa astuzia, in un ambiente
ostile dominato da squami mafiosi di stampo irlandese, prosperò e i suoi figli
sono ora tre italo-americani dignitosi e rispettati. Soprattutto la figlia
Marianna, avvocatessa di grido, varie volte all’apice di quella particolare magistratura
elettiva all’americana, sagace e persino sentimentale nel sentirsi legata a
questa nostra terra, a questa Racalmuto che spesso visita, che rispetta e che
illustra in positivo in quel lontano lembo di terra sulla sponda di fiumi e
laghi che spartiscono gli Stati Uniti dal Canada. Il padre Vincenzo Saccomando
fu pervicacemte laico, diverso al presidente Calogero, religioso e devoto, e
dalla MADRE GENERALE ribattezza suor Anna, morta nel ’60. Ero a Modena e l’andai
a trovare negli ultimi giorni della sua vita in quel di Massa: era corrucciata
ed immalinconita; le consorelle cui tanto bene aveva fatto ora le si rivoltavano
se non contro sicuramente senza amore, senza gratitudine, solo con la nota
ipocrisia delle anime dedite al Signore.
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