Quando gli asini di cervantes ragliano, quando gli imberbi
fanciulli friniscono, quando gli evirati cantori salmodiano credete voi che noi
poveri vecchi omerici possiamo aver voglia di ammonire, redarguire? ci rimane
il sogghigno di una saggezza rappresa, di un disdegnoso sorridere. Se qualche
trombettiere mi investe con la sua stridula cornetta che faccio? Passo oltre.
Non lo degno. Ad altri dico le chiese le
riparino i fedeli: i protestanti le loro,i maomettani le loro, i buddisti le loro, i cattolici le loro, Noi laici non
credenti problemi del genere non ne abbiamo ; non abbiamo né vogliamo chiese; abbiamo
diuturni contrasti con il nostro intimo essere per aver voglia di andare a
sgranar rosari assolutori in spazi a croce latina o greca o con alti minareti o
con candelabri a sette o a nove bracci. Noi siamo persone serie. Rispettiamo
però i diversi che tanta voglia di rispettarci non hanno: loro hanno la VERITA’,
gliel’ha rassegnata un barbuto vecchiardo abitante nell’alto dei cieli.
In Italia la storia di una religione privilegiata, accaparratrice
di fondi pubblici, fruitrice di un fallace 8 per mille che quanti sottoscrivono
non si riesce a sapere (pochi comunque ma si finge che siano orde forse più
della stessa popolazione dei censimenti), parte da un concordato fatto più di
transazioni economiche che di reciproci rispetti ideali. Comunque, in questo
nostro paese un arciprete che molto popolare non fu quando volle bella la sua
chiesa – ad usare il linguaggio di Sciascia – mise fondo ai suoi risparmi ed a quelli
di gentili signore di una piccola crestomazia di paese e senza nulla chiedere
alle pubbliche casse fece bella la Matrice (o almeno così apparve agli estasiati
parrocchiani). Quell’arciprete si chiamava mons. Giovanni Casuccio.
Al contempo un altro prete venuto da Milocca voleva emulare
in amplitudine il vecchio convento di San Francesco. Raccolse risparmi di
vecchie madri che ricevevano rimesse dai loro figli d’America in vista dell’agognato
ritorno in patria: il prete disse loro che era come versare quei soldi in banca
o alla posta; la chiesa remunerava di
più. Mio zio Nicolò La Rocca ammonì mia nonna: guai a te a farlo. Quelli son
soldi perduti. Ebbe tragica ragione. Il prete falli, le rimesse degli emigranti
in America si dispersero, l’ambiziosa propaggine di San Francesco rimase un insenso
cortile. Ora scavalcando leggi e divieti compagni ex comunisti ebbero a
consegnare ad un misticheggiante sacerdote soldi del Comune per riparare quelle
cadenti mura. La consegna a privati non è ammessa dalla finanza locale e se
opera pubblica va fatto pubblico e trasparente appalto. Ma non è opera
pubblica. Quei signori in rosso del comune commettevano peculato ed anche se in abito talare si è soggetti ai rigori del nostro codice penale.
Mi chiedo perché debbo pagare IMU stratotesferiche, monnezze
netta tasche per la gioia di prete, pizzocchere e sacristi? Non debbo e non voglio: Davvero
non riuscirei a tenere testa ad eterni giovincelli?
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