Una quindicina di anni fa andammo in cerca del libro del Falconcini; risultava irreperibile. La copia al senato, smarrita. Finalmente in una biblioteca specializzata di Roma quel libro lo trovammo; a mano ne trascrivemmo delle pagine. Credevamo di avere l'esclusiva: dopo a Racalmuto la introvabile copia venne fuori, pare per disponibilità del Sindaco Petrotto che pare l'abbia avuta dallo Sciascia. Ne fu fatta pubblicazione. Crediamo che il Vassallo nel suo romanzo storico ne faccia magistrale uso. Noi rimaniamo legati alle nostre ricetrche
Il Falconcini, dopo, in piena irritazione per
l’umiliante defenestramento, sui misfatti di Racalmuto torna ed ora con accenti
più caustici e più offensivi. Scrive (cfr. il capitolo di pag. 55 intitolato: “Vandalici fatti consumati in Racalmuto”):
«Da Canicattì si appiccò l’incendio ad
un tempo a sette paesi della provincia; nei quali sotto colore di provare scontento contro il
governo vincitore ad Aspromonte, si dette sfogo a quelle covate ire di famiglie
alle quali sogliono le passioni politiche servire di comodo manto in Sicilia: a
Racalmuto fu il disordine molto più grave che altrove. Due casate da lungo
tempo in Racalmuto rivaleggiavano per il dominio nella propria terra e per il
possesso delle cariche municipali, le quali in provincia, eccettuato le primarie
città, si ritengono mirabile mezzo per quello a proprio piacere esercitare nel
comune. I Matrona ed i Farrauto rinnovellando in fondo alla Sicilia le lotte
cittadine che nel medio evo mandarono fino a noi la memoria dei Donati e dei
Bondelmonti, fanno odiernamente rivivere nello sventurato loro paese la
inciviltà dei secoli di mezzo, senza trarne neppure il vanto di storica
celebrità. Le campagne di quel comune erano piene di renitenti alla leva,
frutto questi della retrograda amministrazione tenuta dagli adepti dei
Farrauto: la quale gestione delle cose municipali non era valso a togliere ad
essi lo scioglimento del consiglio comunale, di recente avvenuto per decreto
del re a savia proposta del mio predecessore; l’autorità municipale essendosi
ricostituita quale si trovava prima di essere stata disfatta da quel regio
decreto, perché il fatto stava nella [pag. 57] formazione delle liste
elettorali e queste non possono per legge da un regio commissario venire
rivedute. Già da qualche giorno si mormorava che il partito dei Farrauto, il
qual sembra che vesta in calzon corto ed in coda per differire da quel dei
Matrona che ama indossare la camicia rossa, pensasse a profittare
dell’abbattimento che dal fatto d’Aspromonte veniva alla parte sua rivale, per
correre alle case dei Matrona ed appiccare con questi una volta di più accanita
zuffa, e si diceva che a tal rei fine tenesse quel partito continui e segreti
accordi con la banda dei renitenti: si mandavano consigli e minacce dalla
prefettura per ritardare, se possibile, tali avvenimenti tanto che la truppa
giungesse da Palermo; non avendo senza questa modo di far altra cosa, fuor di
consigliare e minacciare. Ma vedendosi a Racalmuto che il disordine di
Canicattì non si puniva e deducendosene, secondo la logica dei Siciliani, che
il governo non avesse forza per punire, si ridussero ad atto i meditati piani e
il di 6 settembre 1862 si facevano entrare in paese i renitenti, si bruciavano
gli archivi comunali, mandamentali, [pag. 58]
e si saccheggiava la caserma dei carabinieri, si devastava il casino di
conversazione, si svaligiava il corriere e si ardevano le corrispondenze, si
poneva l’assedio alle case dei Matrona che validamente si difendevano. Le
notizie di queste vandaliche azioni giungevano a me da più parti ...la mattina
del 7 settembre fra le undici e le dodici. [...]
«[pag. 60] Mezz’ora dopo mezzogiorno del di 7
settembre l’ordine era dato da me alla poca truppa di marciare tutta con veloce
passo verso Racalmuto ... [pag. 64] La truppa partì all’imbrunire, e sul fare
del giorno era a Racalmuto. [ ...] Quasi insieme alla truppa partirono per
Racalmuto il procuratore del re ed il giudice istruttore, ed io affidai
pienamente ad essi l’investigazione dei fatti avvenuti e le misure da prendersi
[...], limitandomi a sospendere la guardia nazionale racalmutese che
evidentemente aveva mancato al proprio mandato. Ma avendo poi saputo per un
espresso, speditomi dall’autorità locale, che per ordine del comandante la
colonna militare, i Matrona erano stati posti in carcere, e parendomi che non
potessero essere rei poiché erano stati assaliti fino nelle loro case dai
ricoltosi, spedii un delegato di Sicurezza da Girgenti ad informarsi della
verità di quel rapporto ed a sollecitare in mio nome presso il giudice istruttore
l’esame dei Matrona: io non poteva né doveva far di più, e questo bastò allo
scopo; perché esaminati subito [pag. 65] i Matrona, furono dal giudice stimati
degni di libertà e scarcerati. Essi, infatti, a mia insaputa, lealmente
dichiararono tutto questo in un giornale, quando altri fogli si dilettavano di
svisare ciò che io disposi in questa circostanza; ma così non fu impedito ad
altri onesti diarii ed all’onestissimo Diritto
di asserire, quando piacque al partito al quale tali periodici appartengono da
Falaride, che io avevo lasciato premeditatamente avvenire i disordini vandalici
di Racalmuto, per dare a me stesso il sollazzo d’esercitare severità contro i
liberali, precisamente ordinando l’arresto inopportuno dei Matrona.
«[...] [pag. 64] L’ordine fu immediatamente
ristabilito a Racalmuto, in grazia della presenza della truppa, la quale
arrivata in quei giorni andò a ripristinarlo ovunque era stato manomess; gli
arresti fatti nel primo momento dai comandi militari e dai delegati locali
furono corretti dall’autorità giudiciaria, e regolare processo fu iniziato onde
scoprire e punire i rei di tali odiosi misfatti.»
Il Falconcini aveva premesso tutto un racconto sui
prodromi degli eventi racalmutesi. La scintilla scoccò a Canicattì: grande fu
lo sgomento per i fatti d’Aspromonte e nel vicino centro canicattinese il “ceto
civile il 30 agosto si vestì pubblicamente a lutto con l’animo di fare una
dimostrazione puramente garibaldina.” [1]
Il sindaco di Canicattì Giuseppe Caramazza, si premurava di telegrafare al
prefetto queste note datate primo settembre 1862: «ieri sera una dimostrazione
pacifica popolo tutto, alle grida via Garibaldi, viva Vittorio Emanuele,
abbasso Rattazzi, abbasso il ministero. Appresso fornirò dettagli.»
Ma gli eventi presero subito una brutta piega: “un atroce ferimento di carabinieri fu
avvenuto ad una delle barriere della città”; “in conseguenza di un rapporto del
regio procuratore - annota nel suo libro, a pag. 54, il Falconcini - io
riattivai la guardia nazionale e lasciai riaprire il casino”: il prefetto aveva
fatto chiudere il casino di società di Canicattì perché lì si era organizzata la rivolta; ne scrisse la
Gazzetta di Torino del 28 ottobre 1862.
Da Canicattì l’insurrezione si propagò subito a
Racalmuto, a quel tempo già ben collegato dalla strada statale che poi
raggiungeva Grotte e quindi Aragona; dal bivio di Aragona si poteva andare
comodamente ad Agrigento oppure - dall’altro versante - a Comitini,
Casteltermini, S. Giovanni, Castronovo fino a Palermo. La tesi del Ganci a dir
poco non si attaglia a Racalmuto: secondo questo storico [2]
“per le cattive di viabilità e la mancanza di strade,
scarsi erano i rapporti culturali e commerciali tra i vari comuni.” Ma allo
studioso bisogna credere quando analizza la crisi del ’62: «una crisi anche
morale - chiosa a pag. 120 - determinata da diffidenza reciproca, dei
“continentali” verso la Sicilia e della
popolazione siciliana verso la politica fino allora seguita dal governo
luogotenenziale, emanazione di quello di Torino, non senza uno strascico di
recriminazioni che non potevano non acuire maggiormente il contrasto tra il
Nord e il Sud. Questo provano anche le misure di sicurezza adottate (nomina di
un commissario straordinario con poteri civili e militari, stato d’assedio,
disarmo generale, fucilazioni eseguite ad Alcamo, a Racalmuto, a Siculiana, a
Grotte, a Casteltermini, a Bagheria ...)
misure che non mirarono soltanto a colpire i “ribelli” che si ostinavano a non
volere deporre le armi, ma anche e soprattutto ad arrestare, come si era fatto
dopo il plebiscito, il movimento rivoluzionario popolare, che per la presenza
di Garibaldi, s’era rinnovato con lo stesso ardore che nel ’60. “In presenza di
Garibaldi - scriveva a L’Indipendente
di Napoli il corrispondente di Sicilia subito dopo i fatti di Aspromonte - egli
è che i malumori che covavano da tempo si sono scatenati alla prima occasione;
ma lo stendardo di tutti è uno, la guerra civile, la guerra del povero contro
il ricco”. Ciò non sfuggiva ai moderati e a tutta la classe dell’alta borghesia
terriera, la quale si schierò ancora una volta, come nel ’60, da parte del
governo di Torino e tollerò anche di buon grado, pur di vedere rimesso in
“ordine” il paese, lo stato eccezionale in cui venne posta la Sicilia,
essendole stato applicato anche il blocco di cui fu data comunicazione a tutti
i governi delle Potenze estere. Allorché anzi si cominciò a parlare di togliere
lo stato d’assedio, da parte dei benestanti si levarono reclami perché fosse
ancora conservato, come rimedio fondamentale per “purgare” l’isola di tutti i
“tristi” che la infestavano.»
A noi quelle fucilazioni di racalmutesi danno
raccapriccio; ed è fuor di dubbio che ci fosse lo zampino di Falconcini. Non
riusciamo quindi a capacitarci come Sciascia, preso dalla “amara esperienza” di
quel prefetto, lo accrediti di una patita “ingiustizia”. Il prefetto fu, come
si disse, un continentale, un burocrate come tanti altri funzionari mandati in
Sicilia ad occuparvi gli uffici di maggiore responsabilità; uno come gli altri:
«duri e pieni di boria - secondo il profilo tracciato dal Ganci, op. cit. pag.
118 - coscienti di rappresentare una civiltà più progredita», burocrati che
«arrivando in Sicilia non sapevano neppure rinunziare a tutte quelle formalità
e cerimonie che si solevano praticare, specie dall’alta burocrazia piemontese,
nei riguardi di un’alta autorità, nel momento di entrare in carica.» Per noi,
vada un’infamia perenne a siffatto Falconcini. Evviva S. Spaventa che l’11
gennaio 1863 gli inviava una lettera che
gli giunse la sera del 16 gennaio ove a “nome del ministro dell’interno gli
annunziava avere il re fino dal dì 11 dello stesso mese firmato il decreto che
lo dispensava dall’ufficio di prefetto di Girgenti”.
L’argomento Falconcini tenne banco nelle dispute serotine
del circolo di compagnia. Ma bisognava stare attenti: non si potevano urtare le
suscettibilità delle due contrapposte fazioni, quella dei Matrona e quella dei
Farrauto, entrambe massicciamente presente tra le file dei soci. In un punto si
era unanimemente concordi: gratitudine al polso di ferro del prefetto, capace
di sgominare con arresti e qualche scarica di fucili la masnada sanculotta che
aveva osato profanare il rispettabilissimo circolo dei galantuomini
racalmutesi.
Il Falconcini è proprio un fanatico del Nord, venuto a
Racalmuto ‘a miracol mostrare’ della prepotenza piemontese: attorno all’autunno
del 1862 sua altezza prefettizia non può
tollerare che nel piccolo paese dell’Est agrigentino due famiglie continuino a
fare sceneggiate da Capuleti e Montecchi. Contatta il sindaco di Agrigento,
Giuseppe Mirabile; lo sa amico dei Matrona e dei Farrauto; gli fa sapere che se
costoro non mettono la testa a posto, lui all’isola li manda; ne i poteri; ne
ha la voglia - forse più verso i Farrauto che verso gli ora prediletti Matrona.
Il Nostro grafomane lo dovette essere: prende carta e penna e così indirizza
una missiva al disorientato sinfaco
agrigentino: « Al signor avvocato Mirabile sindaco della città di Girgenti ...
Il paese di Racalmuto ... è diviso in
due partiti ... l’uno capitanato dai signori Matrona, ed assume l’apparenza di
liberali; l’altro è qui dato [da chi? Dall’avv. Picone?, n.d.r] dai signori Ferrauto e Mantione e fa sembianza di
rimpiangere il dominio dei borbonici. [...] Io son risoluto far cessare il più
presto e per sempre le gare delle famiglie Matrona e Ferrauto. [...] Ella
signor sindaco tiene rapporti di amicizia con i membri delle due famiglie
Matrona e Ferrauto. [Dato che è bene] non mantengano esagerate passioni
politiche, [è bene si sappia che] potranno facilmente essere forzati a vivere
lontani dal paese.
«In pari tempo provo il bisogno di notiziare V.S.
Ill.ma che l’arresto avvenuto del sacerdote Mantione, e ciò che ad esso terrà
dietro, fu cagionato solo da speciali motivi d’ordine pubblico e di superiore
gravità, e non derivò per nulla dalla sua inimicizia personale coi Matrona
[...] Girgenti 3 ottobre 1862. Il prefetto Falconcini.»
La nota ci svela il connubio tra i Farrauto ed i
Mantione: i Mantione erano pur sempre gli eredi di quel bizzarro - ed
impropriamente osannato - canonico Mantione. Ancora nell’Ottocento erano
potenti e (se crediamo al Falconcini) prepotenti. Certo non era cosa da poco
carcerare un sacerdote solo per la prevenzione di un prefetto nordista, all’improvviso
convertitosi alla causa dei Matrona. Excusatio
non petita, ci pare quella giustificazione della carcerazione del sac.
Mantione solo “per speciali motivi d’ordine pubblico e di superiore gravità”;
noi siamo certi che alla base c’era solo la vendetta dei Matrona, il loro odio
verso chi ritenevano reo di insolente “inimicizia personale”. Alla faccia del perseguitato Falconcini, qui fanatico
estimatore dei Matrona così come il suo postumo - oltre un secolo dopo -
Sciascia.
Il sac. Mantione, così anonimamente infangato dal
nordico prefetto, resta d’incerta individuazione - salvi gli apporti di
ulteriori ricerche d’archivio - essendo due i sacerdori con quel cognome
operanti in quel tempo a Racalmuto: Annibale e Giuseppe. Nei nostri archivi
informatici ritroviamo:
DIACONI E
CHIERICI
|
||||
1
|
1851
|
ANNIBALE
|
MANTIONE
|
|
13
|
1851
|
GIUSEPPE
|
MANTIONE
|
A.26 PALERMO CAPP. OSPEDALE
|
ANNO 1873
|
||||
17
|
1873
|
GIUSEPPE
|
MANTIONE
|
A.49
|
19
|
1873
|
ANNIBALE
|
MANTIONE
|
A.45
|
ANNO 1878
|
||||
3
|
1878
|
GIUSEPPE
|
MANTIONE
|
Nel “liber in quo adnotantur ... nomina
sacerdotum “ della Matrice sono così contrassegnati:
n.° 420: D. Annibale Mantione, Mansionario, obiit 27
Maji 1882;
n.° 429: D. Giuseppe Mantione, obiit 4 Aug. 1888.
Si è certi che entrambi i preti Mantione si godevano
ora i frutti della parsimonia del loro zio canonico. Contro costui noi non
siamo nuovi nello scriverne contro corrente. Citiamo questo passo.
Il can Mantione, però, una imperdonabile colpa ce l’ha: per mera
grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima testimonianza religiosa
di Racalmuto andasse
irrimediabilmente perduta. Santa Rosalia di Racalmuto
non sarà stata la «prima chiesa in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi
è servita dai Confrati del Santissimo Sacramento (cfr. Cascini op. cit. pag.
15)», ma aveva un rilievo ed una sacralità
superiori allo stesso interesse locale e se veramente il Mantione era
uomo di cultura non doveva permettere quello scempio. Era da quattro anni arciprete di Racalmuto,
con prebende, quindi, cospicue. I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o
rafforzare un muro erano accessibilissimi. Ai miei occhi, il comportamento di
quell’Arciprete appare incomprensibile. Un
pozzo di scienza, viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità
culturale (se non religiosa) verso la
chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella gli riverbera una poco esaltante ombra.
A voler sintetizzare, abbiamo
dunque un’antichissima chiesetta che risale, a seconda delle varie versioni
delle fonti, al 1200 (Vetrano, Acquisto)
o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente quella chiesa non esisteva
prima del 1540 (epoca delle visite pastorali agrigentine).
Nel 1628, ad opera della
Confraternita delle Anime del Purgatorio viene riadatta, o edificata (o
riedificata) la novella chiesa di S. Rosalia che resiste
sino al 3 giugno 1793 quando viene
ceduta al sac. Salvadore Grillo essendo stata
barattata dal can. Mantione per un altare
con statua alla Matrice.
Ma già nel 1758 quella chiesetta
era in cattivo stato. Il vero culto della Santa si era trasferito alla Matrice come attesta
l’arc. Algozzini nella visita
pastorale del 1732. Vi si riferisce il §
IX ove è inclusa nell’elenco “delle processioni” quella di “S. ROSALIA”.
* * *
Ma ritorniamo a quell’insolito quadrilatero: il
prefetto Falconcini, il sindaco di Girgenti Mirabile, i Matrona ed i Farrauto.
Data: ottobre 1862.
Il sindaco Mirabile entra in fibrillazione: convoca i
nostri Matrona e Farrauto: non si poteva scherzare; quello - il pefetto - aveva
davvero brutte intenzioni. Prosternazioni, costernazioni, intenti
ultrapacifici, promesse, retorica. Il 5 ottobre il sindaco scrive al «signor
Prefetto, ... la pacificazione dei signori Matrona e Ferrauto è riuscita nel
modo il più soddisfacente ..... concorse moltissimo l’ottimo giudice di
Racalmuto sig. Vaccaro .... » Firmato: il sindaco Giuseppe Mirabile.
E non basta, viene redatto addirittura un “processo
verbale della pace fatta fra i Matrona e Ferrauto”. Confidiamolo: i
galantuomini di Racalmuto hanno fama - almeno tra il popolino al quale
apparteniamo - di essere “falsi e burgiardi”, sommamente ipocriti. A leggere
quel verbale se ne ha una prova lampante. «L’anno 1862 il giorno 5 ottobre nel
Municipio di Girgenti. Innanzi noi Giuseppe Mirabile sindaco della città di
Girgenti,
«Vista la riverita officiale del sig. prefetto di
questa provincia del tre andante ... dietro invito ... si sono a me presentati
i sigg. D. D. Giuseppe e D. Gasperino Matrona, non che il sig. D. Alfonso Ferrauto, e D. Baldassare Grillo.
«I suddetti .... scancellarono ogni malinteso,
suscitato da tristi e malvolenti ... e profondamente inteneriti scambievolmente
abbracciandosi protestarono di non aver mai nutrito odio o rancore ... Vennero
a santificarle con solenne giuramento pronunziato sul proprio onore.
« Firmato: Giuseppe Matrona; Alfonso Farrauto; Gaspare
Matrona; Baldassare Grillo - Giuseppe Mirabile, sindaco.»
Giuseppe Matrona era figlio di Pietro Matrona ed era
nato il 15 settembre 1828; gli era fratello Gaspare, nato l’11 settembre 1835;
Alfonso Farrauto fu Francesci era nato il 9 agosto 1829.
Il Falconcini ci regala anche alcune note di cronaca
che vogliamo qui risportare. «Mandamento di Grotte - v. pag. 94 - Fu
sequestrato il giovane Isidoro Selvaggio da Grotte e condotto in una grotta nel
territorio di Racalmuto e vi rimase per oltre una settimana in mani di 4
malviventi [per la datazione: prima del 20 agosto 1862, n.d.r.] »
«Tutto il territorio fu seriamente minacciato nel 6
settembre dopo i fatti seguiti in Racalmuto, e quegli abitanti stettero due
giorni e due notti in sull’avviso temendo da un momento all’altro un assalto
dalla banda che si era costituita in numero di circa 200 e a suon di corno
sfidava la truppa convenuta in Racalmuto.
« Mandamento di Racalmuto - v. pag. 104 - Appena
partito da questo luogo un distaccamento di truppa verso metà di agosto sorsero
voci di ribellione ed attacco contro i carabinieri di quella stazione. Nel 18
agosto prestandosi dalla guardia nazionale ricostituita il giuramento fu fatta
una dimostrazione colle grida abbasso V.E.,
abbasso la leva. Dopo rimase
gravemente ferito il sacerdote Felice Carmeci, che aveva fatto un discorso alla
guardia nazionale riunita in senso liberale. Nel territorio avvenivano ai primi
di settembre molti delitti di sangue e di rapina.»
Vi furono oltre 50 arresti. Quel sacerdote ferito non
era racalmutese; era di Cammarata e così viene segnato nel “Liber”: n.° 432 D.
Felice Carmeci da Cammarata: obiit 21 Martii 1873. Nel libro del Falconci fa
capolino anche il noto sacerdote garibaldino don Calogero Chiarenza.
Incontriamo a pag. 76 la “nota dei volontari di Garibaldi, dai quali fu
domandata notizia al prefetto di reggio con telegramma appena ricevuta la nuova
del fatto d’Aspromonte”; al n.° 3 è segnato «Sacerdote Calogero Chiarenza».
Mons. Domenico De Gregorio, il pacato storico contemporaneo, dedica al
sacerdote racalmutese queste note: «benché svolgesse la sua attività in
Palermo, il sacerdote Calogero Chiarenza da Racalmuto, dove era nato nel 1823,
fu in “relazione con tutti i liberali specialmente dell’aristocrazia ed era un intermediario preziosissimo tra la
capitale della Sicilia e i cospiratori agrigentini Domenico Bartoli, Pietro
Gullo, Vincenzo e Rocco Ricci-Gramitto, anime buone ed entusiaste - Rocco in
particolar modo che arrischiando la vita, recavasi spesso in Palermo per
conferire coi capi del movimento, principalmente con Salvatore Cappello ... Il
Chiarenza, cappellano dell’ospedale civico, grazie alla sua veste poteva molti
segreti conoscere, cospirare, scrivere, senza attirarsi, come altri i sospetti
del governo” [Pipitone-Federico G. - Francesco Crispi e la spedizione dei
Mille, Palermo 1910, pag. 67]» [3]
* * *
Il Falconcini fu irrequieto fino alla fine dei suoi
giorni di permanenza a capo della prefettura agrigentina. Aveva un conto in
sospeso con Racalmuto; pensò di saldarlo nel gennaio del 1863. Limitiamoci al
suo racconto. «I tre arresti veramente politici - ammette a pag. 90 - furono
fatti nell’ultima settimana della mia autorità di prefetto; furono tre cospicui
cittadini di Racalmuto, accusati di volere per amore de’ Borboni disturbare la
tranquillità di tutta la provincia, facendo rinnovare in quel paese i vandalici
fatti del di 6 settembre. Io pensai
lungamente prima di procedere a tale severa misura, ma ripetendosi e
moltiplicandosi gli avvisi di prossimi moti borbonici in Racalmuto, e la voce
pubblica chiedendo come indispensabile una misura preventiva, per salvarmi da
enorme responsabilità mi dovei risolvere ad ordinare l’arresto di coloro che
erano evidentemente supposti fautori di tali possibili disordini: arrestandoli
però provvidi al loro convenevole custodimento, e la volontà di passarli al
potere giudiciario annunziai subito al procuratore del re, il quale trovò
subito la misura del loro arresto saviamente presa..»
Il Falconcini si premura anche di ragguagliare il
ministro dell’interno: «Sin dal giorno 9 corrente [9 gennaio 1863] - vedasi
documento riportato a pag. 128 della seconda parte del libro del Falconcini -
circolavano strane voci di combinate trame in Racalmuto che dicevansi di colore
borbonico. [...] [si aveva] la conoscenza di mantenersi quel paese ... sotto il
dominio di un partito retrivo ed ostile ad ogni disposizione governativa. Una
prova certissima poteva ritrarsi dal non essersi presentati di Racalmuto
nessuno alla leva, perché quei giovani erano indotti a scegliere piuttosto
l’emigrazione per Malta che presentarsi alle richieste del governo del re.
Frattanto nel sabato 10 corrente accrescevasi molta consistenza a quelle voci
di possibili disordini in Racalmuto. [In particolare] l’essere il giorno 12
anniversario della rivoluzione della rivoluzione in Sicilia. Riferivasi di
nascoste bandiere borboniche e si designavano siccome principali autori del
tutto alcuni cittadini i nomi dei quali erano già condannati dalla pubblica
opinione, vorrei dire dell’intera provincia. Egli è per questo che lo scrivente
credé doversi d’accordo col comando militare perché fosse tosto accresciuta
d’altra compagnia la truppa colà stanziata e diede appositi ordini all’autorità
locali per eseguire alcune perquisizioni tenute indispensabili ad assicurarsi
del fatto e procedere a qualche arresto delle persone credute maggiormente
influenti e dannose, colla sola idea di mostrare a Racalmuto che il governo non
solo sorveglia e previene ma ha la forza di agire, ciò che vale assai più pei
molti che stimavansi liberi di ogni vincolo e quasi padroni di operare a posta
loro dopo cessato lo stato d’assedio.
«Un singolare
esempio della reale esistenza delle trame di quel partito si ha in questo, che
per quanto fosse ordinato l’arresto all’impensata ed eseguito di notte, tre
altri individui, dei quali appunto andavasi in traccia, fuggirono non appena
ebbero il sospetto della loro ricerca, segno manifesto del non trovarsi essi
scevri di cole. D’altra parte il processo ... porterà lume alla cosa.
«Frattanto può assicurarsi d’essersi disposto in modo
che i tre arrestati avessero stanza il più possibilmente propria e fossero
trattati con ispecial riguardo, non dovendo confondersi, con rei di delitti
comuni chi può essere spinto anche a degli eccessi per fanatismo politico.
«Girgenti, 15 gennaio 1863. Il prefetto: Falconcini.»
Curiosa coda di perbenismo borghese: vadano pure in
carcere i galantuomini, ma con i dovuti riguardi. Per il resto, altro che
politica del sospetto! E Sciascia poteva davvero avere simpatia con un simile
campione del sopruso di stato? Un sopraffattore vittima dell’ingiustizia di
Silvio Spaventa [4] - ci
dispiace dirlo - è una bubbola sciasciana. E i commenti al circolo? Ora blandi,
ora astiosi a seconda di chi si trattava. Anche allora - come ancora nei nostri
giorni - il “casino” vezzi massonici ed anticlericali ha costantemente avuto.
Blandi si doveva essere verso influenti soci, anche borbonici; spietati,
dissacranti, velenosissimi contro preti vecchi e nuovi, più o meno coinvolti
nelle bufere politiche del momento.
In siffatti frangenti - e non nell’improbbile 1860 -
dovette essere consumata quella agghiacciante fucilazione narrata da Sciascia:
«Passarono i garibaldini da Regalpetra, misero un uomo contro il muro di una
chiesa e lo fucilarono, un povero ladro di campagna fucilato contro il muro
della chiesa di San Francesco; se ne ricordava il nonno di un mio amico, aveva
otto anni quando i garibaldini passarono, i cavalli li avevano lasciati nella
piazza del castello, il tempo di fucilare quell’uomo e via, l’ufficiale era
biondo come un tedesco.» [5]
Falconcini non svela ora i nome di quei tre - tutto
sommato - perseguitati politici. Sfogliando carte d’archivio successive,
emergono echi di schedati eccellenti racalmutesi. Significativa la schedatura della
pubblica sicurezza di Girgenti di don Vincenzo Grillo e don Giuseppe Matrona:
Grillo d. Vincenzo,
figlio del
fu Girolamo, nato il .... 1823 nel Comune di Racalmuto, proprietario.-
Statura
1.60; corporatura giusta; capelli castani; fronte media; ciglia castani; occhi
cilestri; naso regolare; bocca giusta; mento ovale; barba castana; faccia
ovale; carnagione naturale.-
Luogo di
abitazione: Racalmuto.-
Partito
politico: Borbonico - clericale.-
Candanne: -
==
Cenni
biografici: Capo partito borbonico-clericale. Nel 1863 in Girgenti ebbe
sequestrata una corrispondenza in sensi borbonici proveniente da Malta.
Nelle
evenienze è capace ed ha influenza bastante per sommuovere masse, ma non lo si
crede atto a capitanarle
Matrona Giuseppe
del fu
Pietro nato ... 1827 [rectius 1828] in Racalmuto, proprietario; m. 1,65,
snello, nero ovale, abitante a Racalmuto.
Partito
Borbonico - Non condannato.
Figura
liberale e lo affetta onde farsi maggior credito, ma in fondo è stato sempre di
principi borbonici, Uomo ambizioso e vendicativo: influente coi tristi e
capacissimo nelle evenienze di sommuovere le masse e commettere disordini.
Vuolsi che nel 1862, egli abbia spinte le turbe dei renitenti alla leva
latitanti i quali, armata mano, turbavano l’ordine pubblico, bruciando
l’Archivio Comunale e quello della Pretura.
[In altra
scheda: Abbenché in apparenza conserva regolare condotta e mena vita ritirata,
pur tuttavia dirige /Racalmuto 17 settembre 1869/ tutti gli intrighi che si
ordiscono in Paese.]
Mons. De Gregorio rintraccia nell’Arcivio di Stato di
Agrigento [ASA - Gabinetto Prefettura; non cita la busta che dovrebbe essere
prossima al n.° 26] il sacerdote Calogero Lo Giudice di Giacomo, schedato tra i
“preti borbonici”. [6] Nel “liber” il sacerdote risulta al «n.° 426:
D. Calogero Giudice, mansionario fidecommisso della chiesa Monte, organista;
obiit 19 Junii 1886.» Nato attorno al 1824, non sembra di nobili natali. Nel
censimento del 1822, il padre del sacerdore è ancora ‘schetto’ e fa parte del
nucleo paterno come dalla seguente scheda:
1894
|
LO GIUDICE
|
NICOLO'
|
||
1895
|
LO GIUDICE
|
GIUSEPPA
|
MOGLIE
|
|
1896
|
LO GIUDICE
|
GIACOMO
|
F.O
|
anni: 24
|
1897
|
LO GIUDICE
|
GIUSEPPE
|
F.O
|
17
|
1898
|
LO GIUDICE
|
CALOGERO
|
F.O
|
9
|
1899
|
LO GIUDICE
|
CARMELO
|
F.O
|
7
|
1900
|
LO GIUDICE
|
GIOVANNA
|
F.A
|
5
|
* * *
Quanto ai Farauto, pare che nel gennaio del 1863
qualcuno di loro sia finito in gattabuia. Richiamiamo quello che abbiamo sopra
riportato:
[...] il
Comandante della truppa, che venne spedito in Racalmuto, per quella
circostanza, fece eseguire l'arresto dei fratelli Matrona, come ritenuti complici nei fatti del Settembre 1862.- Ma
chiarita presto la loro innocenza, vennero quasi subito lasciati liberi. In
proseguo poi vennero arrestati taluni della famiglia Farrauto, e qualche aderente di quella, per lo stesso titolo pel
quale furono arrestati i Matrona
[...].
Allo stato delle nostre ricerche non sappiamo
aggiungere altro: ma i ricchi archivi agrigentini - e forse quelli appena
riesumati di Racalmuto - chissà quali sorprese si riserveranno. Siamo certi che
quello che va dicendo - pag. 248-256 - Eugenio Napoleone Messana su questa
congiuntura storica avrà una drastica rettifica: per onestà bisogna però
ammettere che qui lo storico locale scrive pagine di notevole pregio
documentario.
* * *
Il Falconcini ci ragguaglia fra l’altro sulla consistenza
delle opere pie racalmutesi:
1.
Monte frumentario di Pantalone: opere di pietà -
rendita lire 264 e 82 cent.;
2.
Eredità Spinola - spese generali di culto e maritaggio
- rendita L. 562,32;
3.
Fidecomm. Busuito - L. 391,57;
4.
Cong. S. Anna - L. 1329,21;
5.
Comp. Agonizzanti - L. 650,76;
6.
Congreg. Purgatorio - L. 223,46;
7.
Congreg. S. Maria di Gesù - L. 669,78;
8.
Congreg. Monte - L. 599,52;
9. Legato del
canonico Franco - L. 727,64;
10. Legato degli Orfani del Crocifisso - L.
127,50;
11. Eredità Signorino - L.
1.396,87;
12. Legato del Rev. Carini -
messe - L. 127,50.
* * *
L’agricoltura andava in quegli anni a fasi alterne: l’anno
1856, l’anno 1858, l’anno 1862 erano stati catastrofici stando alle statistiche
desumibili dalla contabilità del Convento dei Minori Osservanti sotto titolo di
Maria di Gesù di Racalmuto
Vino prodotto dalle vigne del Convento di Santa Maria
|
|
Misure in "botti" e "langelle"
|
|
anno
|
produz.
|
1824
|
5,00
|
1825
|
3,05
|
1826
|
4,07
|
1827
|
3,00
|
1828
|
3,01
|
1829
|
3,02
|
1830
|
3,03
|
1831
|
5,54
|
1832
|
3,28
|
1833
|
3,40
|
1834
|
4,00
|
1835
|
3,00
|
1836
|
4,00
|
1837
|
4,18
|
1838
|
3,08
|
1839
|
3,07
|
1840
|
5,00
|
1841
|
3,24
|
1842
|
4,14
|
1843
|
2,30
|
1844
|
2,08
|
1845
|
3,56
|
1846
|
5,30
|
1847
|
4,32
|
1848
|
6,00
|
1849
|
5,00
|
1850
|
3,56
|
1851
|
5,10
|
1852
|
4,32
|
1853
|
1,32
|
1854
|
3,24
|
1855
|
0,00
|
1856
|
2,32
|
1857
|
3,00
|
1858
|
3,00
|
1859
|
1,08
|
1860
|
3,00
|
1861
|
3
|
1862
|
1,08
|
1863
|
3
|
1864
|
2,40
|
1865
|
4,24
|
1866
|
2,00
|
Possiamo essere sicuri che da settembre a novembre
l’argomento delle rese vinarie erano d’obbligo tra i galantuomini del circolo
unione: discussioni animate, irate, con contumelie sino alle rotture personale,
qualcosa di simili con quello che ora avviene con i contributi dell’AIMA.
Ma era la scena politica che si andava arroventando e gli
echi giungevano alle sale del circolo con sempre maggiore animosità. Del resto
le cose erano davvero diventate roventi.
Approdiamo a momenti storici racalmutesi con trasporto,
trepidamente, con intenti alieni da ogni vezzo sindacatorio. Mi appassiona
l'uomo racalmutese - che reputo una specie a sé; la cronaca recente e passata
di questo luogo in cui sono nato, con le sue bizzarrie, la sua antierocità, il
suo atteggiarsi sempre ironico e dissacrante. Le impurità presenti in ogni
figura di racalmutese, anche in quella dei sommi, forniscono un quadro di
affascinante umanità. 'Guai a quel popolo che ha bisogno di eroi', si ama dire:
Racalmuto di eroi sembra non averne mai avuto bisogno, o non li ha voluti e, in
ogni caso, sempre li ha derisi. Magari con rime anonime in vernacolo, come di
moda negli anni presenti. O con lettere anonime. Ne ho trovate, infatti,
persino negli Archivi Segreti del Vaticano. Con fallace firma di 'LUIGI
TULUMELLO fu Ignazio,’ [7] il
18 gennaio del 1875 un racalmutese, che mi sa essere insufflato dall'arciprete
dell'epoca, importunava la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, per
contrapporsi alle pretese espoliatrici della Famiglia MATRONA, quella appunto osannata da SCIASCIA. Negli ARCHIVI di STATO di Agrigento e Roma si rinvengono
lettere infuocate del gesuita P. NALBONE contro gli stessi MATRONA, con dati di
fatto che hanno sospinto una frangia della Commissione d'inchiesta parlamentare
a venire a Racalmuto per sottoporre i vari Matrona, il cav. Lupo, Giuseppe
Grillo Cavallaro, nonché l'avversario dottor Diego SCIBETTI-TROISE ad
imbarazzanti interrogatori, aleggiando il sospetto di collisione con mafiosi di
Bagheria. Buon per i Matrona che all'epoca il manto protettivo della massoneria
valesse molto. Chissà perché, Sciascia ha voluto stendervi un velo,
storicamente ingannevole, definendo persino 'anonimo' il libello del Nalbone,
quando questi lo aveva apertamente
sottoscritto e rivendicato. Sarebbero false, invece, le firme di Antonio
Licata, Pietro Farrauto, Antonino Falletta e Fantauzzo Calogero, che certamente
non erano in grado di concepire e scrivere le velenosissime accuse contro il
tesoriere comunale Giuseppe Nalbone, Diego Bartolotta, il fratello del
consigliere Provinciale dott. Romano, la guardia Martorelli, un certo Carmelo Alba
zio dell'assessore Busuito, l'inviso doganiere Francesco Orcel, un certo
Tinebra Nicolò ...'mantenuto agli studi ' dal Comune ( e credo trattarsi
appunto dello storico prediletto da Sciascia), Lumia Eugenio 'figlio naturale
dell'assessore Salvatore Alfano cui si danno delle continue sovvenzioni senza
far nulla', Paolo Baeri . etc. Ma il
libello, che viene recapitato il 25 maggio del 1896 a Sua E. CADRONGHI Commissario Civile in
Palermo, ha di mira i TULUMELLO , e ciò la dice lunga sulla provenienza . Sono
oggetto di accuse pesanti i 'consiglieri TULUMELLO LUIGI ed ARCANGELO'. In una reiterata lettera anonima del 27
agosto 1896, il Ministro Commissario Civile per la Sicilia veniva informato che
«l'epoca del terrore ha piantato le sue tende in Racalmuto! La pubblica
amministrazione sorretta da un capo onorario del carcere di S. Vito, è in mano
di una accozzaglia di malviventi! Così data a partito la giustizia, ha preso le
forme piazzaiole, affidata ai Scimé, ai Sciascia, ai Conti e compagnia bella,
avanzo di galera!» E purtroppo debbo continuare citando quest'altro ributtante
passo: «Eccellenza. - Il sindaco Tulumello reduce dalle patrie galere, tutto
può ciò che si vuole. Fattosi padrino di un bambino del marasciallo, se ci è
fatto lama spezzata; con cui a mantenere le apparenze di un paese tranquillo e
di ordine, si occultano reati col qui pro quo. Il vice pretore Alaimo informi.
Così la mafia, vestita di carattere pubblico regna e governa. Pertanto, un
Michele Scimé, braccio destro del Tulumello, poté essere assolto, sebbene colto
in flagranza di abigeato di animali. Così i fratelli Bartolotta - della greppia
- non vengono inquisiti di animali, mentre vennero nei loro armenti scovati
animali rubati. Così Leonardo Sciascia disciplina l'elemento cattiva che, sotto
le parvenze di circolo elettorale, (sic) dove un Tulumello è presidente,
soffoca ogni libera manifestazione, come nell'ultima elezione. Così Alfonso
Conte, dopo la villeggiatura fattasi col Sindaco, dalle carceri di
Girgenti, Catania e Palermo, gode oggi di una pensione assegnatagli dal
Tulumello, sì da fare il maestro didattico della malavita. Et similia.» Non la
fa franca la potente famiglia dei BUSUITO
e francamente mi sembra dello stesso stile delle denunce di
MALGRADOTUTTO la successiva filippica:
«Eccellenza.- Racalmuto presenta lo squallore di un sistema indefinibile che
solo ha riscontro nei paesi africani. Un'amministrazione dilapidata da pochi
furfanti che mangiano a due canasci. Da sette anni che il paese è piombato in
mano di gente volgare, inetti ed insipienti; non si è fatta un'opera pubblica,
necessaria, richiesta dalla civiltà del paese. E più di tutto l'acqua potabile,
mentre il paese è dissetato da acqua inquinata, siccome risulta da esame fatto
eseguire dal Capitano della truppa qui, per ora, stanziato.» E giù botte contro
il dott. Romano ispiratore di 'una spesa barocca' per distruggere la 'buona ... acqua detta
del Raffo'. E giù botte contro gli approfittatori del lascito Martini, il «pio
testatore che lasciò mezzo milione per costituire un'ospedale. Intanto quelle
rendite si diedero ad un piazzaiolo per amministrarle - anima del Sindaco - e
tra cotto e fritto quelle somme sfumarono con una sola casa costruita, da
potere servire per caserma dei carabinieri. Vi può essere più desolante
situazione?»
Riconosco di avere sempre sospettato che Sciascia, in
possesso di tale documento - per essere il noto ricercatore che tutti sappiamo,
difficilmente poteva sfuggirgli -, abbia
voluto censurarlo. In ogni caso mi riesce incomprensibile il passo della
sua introduzione al testo del Tinebra là
dove Sciascia annota: «mio nonno, ... fedelissimo elettore [di don Gasparino
Matrona], volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra
nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo. » Nicolò Petrotto - se porrà occhio a questo
mio scritto - sicuramente saprà ancora una volta rintuzzarmi, facendo piena
luce sull'intoccabile mito.
Certo, povero lui!, molto ancora dovrà stizzirsi. Sono
sufficientemente documentato sulle topiche di Sciascia in materia di storia
locale. Fa nascere fra Diego La Matina nel 1622, quando una vaga infarinatura
di datazioni indizionarie gli avrebbe fatto leggere meglio il documento della
Matrice di Racalmuto ove l'inequivocabile data del 15 marzo 1621 veniva
confermata dalla dizione «4 Ind.» e cioè la quarta indizione che in quel
quindicennio comportava il periodo dal primo settembre 1620 al 31 agosto 1621
(indizione anticipata, in uso negli atti
ecclesiastici dell'agrigentino). Se «il
padre Girolamo Matranga, relatore dell'atto di fede di cui Diego La Matina fu
vittima, ... non seppe trarre brillanti considerazioni ... sui segni
astrologici che avevano presieduto alla nascita ... del
mostro» V. pag. 182 della
Morte dell'Inquisitore) era perché il dotto cronista sapeva esattamente che
la Matina era nato nel 1621 e che appunto nel 1658 era «dell'età di 37 anni».
Fra Diego La Matina, poi, non potè essere battezzato «nella
Chiesa dell'Annunziata di Racalmuto» (v. op. cit. p. 180): questa chiesa era
divenuta subalterna a S. Giuliano per tersche episcopali in favore di don
Giuseppe del Carretto dal 27 gennaio 1608 (VI IND.) al 20 giugno 1621 (IV
IND.) Sciascia non riuscì a leggere, per
sua stessa ammissione, il nome del padrino di Diego la Matina, ma «iac» sta per
«Iacupo» il nostro Giacomo che era il nome dello Sferrazza, il racalmutese
che tenne a battesimo il futuro frate
agostiniano.
Noi gli imputiamo anche l'avere ignorato che la madre di
Diego la Matina era una RANDAZZO, racalmutese puro sangue nata il 24 gennaio 1600 e sposatasi
con Vincenzo la Matina il 7 ottobre
1618., che invece per parte del nonno proveniva da Pietraperzia. Vincenza
Randazzo in La Matina , prima di Diego , ebbe GIUSEPPE che il 29 settembre 1651
andò a sposarsi a Canicattì con certa Anna SURRUSCA ed era di condizione
sociale non spregevole venendoci tramandato con il titolo di 'mastro'. La madre
di Diego fu religiosissima. Dopo la morte del figlio , quando era già vedova,
si fece ‘terziaria francescana’. Muore a 65 anni e il primo febbraio del 1666 viene sepolta in
S. Maria di Giesu, dopo avere ricevuto quale 'soror tirtiaria S. Frincisci' i
conforti religiosi da P. Bonaventura da
'Cannigatti'.
Nell'anno 1620 - precedente a quello di nascita di Fra Diego
- era invece nato Don Federico La Matina
figlio di Francesco di Giacomo e di
Caterina La Matina, un ceppo autenticamente racalmutese, contraddistinto con il
nomignolo di “Calello” e divenuto offi un nucleo di ottimati che frequentano
assiduamente le sale del circolo, anche se talora con intolleranza
filosciasciana. Don Federico La Matina
fu un 'confessore 'adprobatus' molto attivo e molto stimato in Racalmuto
e la sua figura - alquanto bistrattata da Sciascia a pag. 197 op. cit. -
va riabilitata.
Sciascia ebbe ad equivocare maldestramente tra l'atto di
battesimo di Marc'Antonio Alaimo e quello di Marc'Antonio Missina. Anzi,
confuse la registrazione di quest'ultimo con l’atto di battesimo del futuro
medico, con una annotazione ancora oggi rinvenibile tra i registri della Matrice di Racalmuto. Giuseppe TROISI,
all'epoca solerte fotografo al seguito di Sciascia intento a comporre una versione corredata da fotografie della MORTE
DELL'INQUISITORE che purtroppo non fu mai pubblicata da LATERZA, ne trasse persino una interessante
fotografia. E qui mi duole aggiungere che la stima che SCIASCIA riversò, in un
articolo pubblicato da MALGRADOTUTTO, su
MARC'ANTONIO ALAYMO era mal riposta.
Quando e se avrò modo di pubblicare la traduzione del suo DIADEKTIKN, verrà fuori un medico
fattucchiere, superstizioso e bigotto. Il capitolo 'DE MUMIA' dovette essere
orripilante anche nel Seicento.
Se Sciascia lo avesse appena scorso, lo avrebbe senza dubbio
fustigato.
A questo punto, il mio acre censore Nicolò Petrotto avrà
tanta ragione per insolentirmi. Bazzecole? Pedanterie? Grette minchionerie?
Senza dubbio. Ma è appunto per questo che mi sono diverto a
parlar male del nostro locale Garibaldi, proprio in casa di MALGRADOTUTTO, a
dire il vero ho tentato mail nostro faziosissimo giornaletto locale mi ha
impudentemente censurato.
Ma questo Nicolò Petrotto chi è? Se è uno dei due Petrotto
Nicolò (figlio di Calogero uno, di
Carmelo l'altro) che mi ritrovo in un liso foglio a matita alle prese con le
'giubbe' , i 'cinturoni' ed il 'moschetto'
nelle contestate colonie dei 'balilla' racalmutesi, potrebbe pure
informarmi su quelle vicende che pur contraddistinguono un locale costume
dell'Era Fascista.
Non sono di antico lignaggio racalmutese i PETROTTO e quindi
non amano forse questo suonare la 'corda pazza' della Terra del Sale. Questa famiglia appare nei registri della Matrice solo sul
finire del 1600: in un censimento databile 1664 abbiamo solo un ceppo affine
che si fa chiamare GULPI PITROTTO . Di
un Nicolao Gulpi Pitrotto abbiamo traccia negli atti di morte del l'11/10/1648
ed il primo di maggio del 1656 viene sepolta a S. Giuliano Filippa Gulpi
Pitrotto figlia di Francesco e Giovanna Gulpi Pitrotto. Un Gulpi Pitrotto lo troviamo addirittura
quale teste nel matrimonio tra Chiazza Giovanni e Zimbili Diega, celebratosi il
9/5/1618.
Incomprensibilmente, a partire dal novembre del 1664 (cfr.
atto di morte di Santo Pitrotto di Francesco e di Giovanna di anni 20 del
16/11/1664) quello ed altri ceppi semplificano il cognome nel solo PITROTTO e da allora quella famiglia ebbe a
svilupparsi considerevolmente e - sia chiaro - onorevolmente nella Terra di
Racalmuto.
Solo che chi scrive, alla stregua degli Sciascia (che i preti
a suo tempo registravano XAXA), può vantare presenze racalmutesi fin dai primi
registri della matrice di Racalmuto che risalgono, a seconda delle letture, al
1554 o al 1564. Per converso, se Nicolò
Petrotto fosse per linea materna anche un PALERMO, ebbene allora ci
surclasserebbe quanto a sangue locale parlando le cronache di tal SADIA di
PALERMO «lu quali habitava in lu casali di Raxalmuto» nel 1474. E siamo dunque
a cinque secoli fa.
Questa "querelle" tra me ed il PETROTTO è allora
tipicamente racalmutese. Chi non è di questa terra non può apprezzare la saggia
follia di questi sarcastici scontri. Ma ritorniamo agli scontro della fine
dell’Ottocento.
«Si informa - scriveva
da Racalmuto il 22 giugno 1873 l'Ufficiale di P.S. in missione Luigi MACALUSO -
che in un giorno degli ultimi di maggio
p.p. i fratelli Gerlando e
Calogero Damiani e Stanislao D'Amico da Girgenti, nelle ore del mattino vennero in questa, ove
si riunirono a certo Gueli Bongiorno
Raimondo da Grotte, qui residente qual socio appaltatore dei Dazi Consumo e
poscia nelle ore pomeridiane dell'istesso giorno, insieme al detto Gueli, si
recarono a Grotte, ove si riunirono ai nominati Ferrara Giuseppe di Ludovico da
Sciacca, di anni 29, domiciliato in
Grotte, civile, ed INGRAO Francesco di
Giuseppe di anni 30 Civile da Grotte, i quali tutti insieme andarono a desinare
nell'osteria di Sciascia Pietro, ove
bevereno e parlarono fra di loro , ignorando i discorsi tenuti, perché a soli.
I cennati INGRAO, GUELI, FERRARA sono ritenuti dalla voce pubblica appartenenti
al Partito Repubblicano e gli stessi furono imputati e sottoposti a mandati di
cattura per la rivolta politica avvenuta
in Grotte, nel febbraio 1868, e poscia liberati per manco di prove, ma al presente
tengono una condotta tanto riservata da non farsi colpire dai rigori della legge e da qualunque
possibile vigilanza.»
E a Racalmuto? «In Racalmuto questo partito [repubblicano]
non ha alcuno aderente anzi dalla classe pensante è beffeggiato».
«Maestà, siamo alle Grotte» - citiamo da Rerversibilità di Sciascia
- «Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriamo avanti - disse all'ufficiale di
scorta». A Grotte invece ci sono stati valenti uomini che hanno sofferto il
carcere per le loro idee. E a Racalmuto? Certo, vi prosperano la letteratura e
le sardoniche rime in vernacolo.
Nelle sale del circolo tutte quelle “mene” ottocentesche - si
può essere certi - venivano scandite al tocco delle solatie ore pomeridiane o
al rintocco di quelle melanconiche dell’occaso e della tarda sera. Una rissa mia, paesana, acidula con il mio
amico prof. Petrotto l’ho voluta qui intrufolare per dare il ritmo, se non il
racconto, delle analoghe beghe dell’Ottocento dei galantuomini nostrani.
* * *
Dopo l’Unità d’Italia, Racalmuto ha sconvolgimenti
profondissimi che lì per lì i loquaci galantuomini sicuramente non colsero; ma
basta vede come si chiude il quadro statistico di fine secolo per capire quale
rivoluzione sociale si era determinata. Certo la componente borghese fu
egemone. Chi aveva terre da sfruttare con scavi alla ricerca dello zolfo lo
fece con perseveranza, con protervia persino, con avventure impensabili in
gente atavicamente adusa a lavorare solo il mese della “riconta”. Ed i buoni
borghesi di Racalmuto non si accorsero neppure che continuando in quel modo
avrebbero dovuto poi rammaricarsi del fatto che “un galantomu un po’ cchiu dari
nna masciddata a lu so viddanu”. Quando noi oggi - nipoti di zolfatai
analfabeti che a dire dei notai dell’epoca non sapevano “scrivere ne(sic)
sottoscrivere per non averlo mai appreso” - si divertiamo nelle serate al
circolo a sbeffeggiare qualche malconcio erede di quei supponenti signori, un
gusto sadico, un empito di ancestrale livore, lo proviamo ancora, con una
qualche ingordigia.
Racalmuto si affacia al secolo XX con connotati che possiamo
cogliere dall’Annuario d’Italia -
Calendario generale del Regno” del 1896 pag. 318 e segg. «Mandamento di Racalmuto - Comuni
2 - Popolazione 22.648, Tribunale, Conservatorie delle ipoteche e Ufficio
metrico in Girgenti, Ufficio di P.S. e Uff. Reg. In Racalmuto. Magazzino
Privative e Agenzia delle imposte a Canicattì - Racalmuto - Collegio elettorale di Canicattì, diocesi di
Girgenti. Ab. 13.434 Sup. Ett. 4.237 - Alt. Su livello del mare m. 460 - Grosso
borgo, fabbricato sulla sinistra di un affluente del Platani. Corsi d’acqua: un
affluente del Platani. Prodotti: cereali, viti, olivi, frutta. Miniere:
Miniere di zolfo greggio e varie miniere di salgemma. Fiere: ultima
Domenica di maggio (bestiame e merci). Sindaco: Tulumello barone Luigi. Segret.
Comunale: Rao Liborio. - Agenti di assicurazione: Macaluso Vincenzo
(Venezia), Rao Liborio. Albergatori: Martorana Alfonso - Valenti
Giuseppe. Bestiame: (negoz.) Borsellino Calogero - Borselino Giovanni -
Pavia Giulio - Piazza Gio. E Giuseppe. Caffettieri: Esposto Pio;
Farrauto Gioacchino; ved. Licata. Cappelli (negoz.): Conigliaro
Francesco - Martorana Nicolò. Cereali: (negoz.) Bartolotta Giuseppe -
Bartolotta Salvatore - Bartolotta Nicolò - Scimè Salvatore - Nalbone F.lli. Cordami:
(fabbric.) Greco Salvatore - Scimè Salvatore. Farine: (negoz.) Falcone
Gioacchino - Geraci Calogero - Scimè Gregorio - Scimè Alfonso - Scimè Pasquale
- Schillaci Ventura - Taibbi Gioacchino. Ferro: (negoz.) Cutaia Luigi -
Macaluso Salvatore. Formaggi: (negoz.) Denaro Calogero - Denaro F.lli -
Giuffrida Gaetana - Iovane Antonio. Legnami: (negoz.) Macaluso Francesco
- Macaluso Salvatore - Napoli Carmelo - Cutaia Luigi. Merciai: Alessi
Salvatore - Di Rosa Giuseppe. Miniere di salgemma: (eserc.) Bartolotta
Giuseppe - Denaro Giovanni - Lauricella Nicolò - Licata Salvatore. Miniere
di zolfo: (eserc.) Argento Michelangelo - Argento Santo - Bartolotta Diego
- Bonomo Giuseppe e Figli - Brucculeri Michelangelo - Buscarino Pietro -
Cavallaro Giuseppe - Cavallaro Luigi - Cino Calogero - Cutaia Salvatore -
Farrauto cav. Alfonso - Farrauto Francesco - Franco Gaspare - La Rocca
Salvatore - Liotta Calogero - Lo Jacono Vincenzo - Macaluso Stefano di Calogero
- Macaluso Stefano di Francesco - Mantia Giuseppe - Mantia Michele - Mantia
Salvatore - Martorana Salvatore - Martorana Vincenzo - Matrona comm. Gaspare -
Matrona cav. Paolino - Matrona cav. Michele - Matrona Napoleone - Messana
Calogero - Morreale Carmelo - Munisteri Pinò Nicolò - Picone Salvatore - Puma
Carmelo - Romano Calogero fu Luigi - Romano Giuseppe - Romano dott. Salvatore -
Salvo Giuseppe - Schillaci Diego - Schillaci Giuseppe - Schillaci Pietro -
Schillaci Ventura F.lli - Sciascia Leonardo - Scibetta Diego - Scibetta avv.
Giuseppe e F.lli - Scimè Pasquale - Sferlazza Salvatore e Figli - Tinebra Luigi
- Tinebra Salvatore; Serafino; Vincenzo - Tulumello Arcangelo - Tulumello b.ni
Luigi - Tulumello Nicolò - Tulumello Salvatore - Vella Antonio e Volpe
Calogero. Mode: (negoz.) Conigliaro F. - Molini: (eserc.)
Burruano Giuseppe - Falcone Gioacchino - Farrauto Salvatore - Palermo Nicolò -
Scimè Pasquale - Scimè Sferlazza Salvatore. Molini (a vapore) : (eserc.)
Alfano Giuseppe - Farruggia Gerlando - Grillo e Picataggi - Scimè Arnone
Giuseppe. Olio d’oliva: Cinquemani Alfonso - Cinquemani Dom. -
Cinquemani Salvatore - Leone Diego - Licata Salvatore - Liotta Pietro e Patti
Leonardo. Panettieri: Genova Pietro - Rizzo Nicolò - Romano Ignazio. Paste
alimentari: (fabbric.) Franco Vincenzo - Giudice Nicolò - La Rocca
Francesco - La Rocca ved. Carmela - Mattina Salvatore - Mattina Vincenzo -
Picataggi Federico (a vapore) - Pitruzzella Angelo; Diego. Pellami:
(neg.) Alessi Salvatore. Pizzicagnoli: Denaro Salvatore - Iovane
Antonio. Sommacco :(negoz.) Denaro Giovanni - Flavia Giuseppe - Grillo
Raffaele - Mantia Giuseppe - Martorana Luigi - Mendola Calogero - Pantalone
Giosafatte. Tessuti: (negoz.) Collura Salvatore - Franco Gaspare -
Petruzzella G.B. - Puma Gerlando - Romano Calogero - Scibetta Giuseppe. Vini:
(negoz. Ingrosso) Mazttina Carmelo - Mendola Santo - Puma Giov. - Puma Michelangelo - Salvo Giuseppe - Taverna
Carmelo - Zaffuto Angelo. Professioni: Agrimensori: Amato Calogero. Agronomi:
Busuito Alfonso Falletta Luigi - Grisafi Calogero - Terrana Giuseppe. Farmacisti:
Baeri Angelo - Cavallaro Giuseppe - Scibetta Luigi - Presti Cesare - Romano
Giuseppe - Tulumello Salvatore. Medici-chirurghi:
Bartolotta Giuseppe - Burruano Francesco - Busuito Luigi - Busuito Giuseppe -
Busuito Salvatore - Cavallaro Erminio - Falletta Gaetano - Romano Salvatore -
Scibetta-Troisi Alfonso - Scibetta-Troisi Diego - Macaluso Luigi. Notai: Alaimo Michelangelo - Gaglio Ferdinando -
Vassallo Giuseppe Antonio.
Il quadro economico che se ne trae è molto variegato ed
esplicativo. Oltre 63 esercenti di
miniere di zolfo (per converso solo 4
esercenti di miniere di salgemma) attestano l’importanza del settore.
L’agricoltura è piuttosto fiorente: 5 grossisti in cereali; 7 spacci di farine;
6 molini e 4 a vapore; paste alimentari e pane vengono smerciati in vari punti
di vendita; opera anche un pastificio a vapore; 7 commercianti all’ingrosso in
vino; 7 grossisti di sommacco; 7 grossisti di olio di oliva. Il secondario, in
un centro effervescente per occupazione industriale e per sviluppo agricolo, è
congruo: negozi di ferro, di pellami, di legname, di cordami non mancano; e poi
merciai ed empori di mode, di tessuti, di cappelli; quindi trovano lavoro i
caffettieri (ben tre). La pastorizia è discreta: negozi di formaggio e quattro macelleria lo comprovano. Nutrita la
serie dei professionisti: diversi agrimensori ed agronomi, segno della
rilevanza della proprietà terriera; tre notai (di cui solo uno veramente
racalmutese); stranamente i tanti avvocati del tempo non ci vengono segnalati;
e poi tanti (troppi) medici (ma molti
sono fra loro strettisimi parenti ed è da pensare che la laurea fosse più un
orpello che lo studio propedeutico ad una effettiva professione medica). Il
quadro ‘borghese’, “agrario” ed il profilo degli esercenti di miniere di zolfo
- che un ruolo avranno nell’avvento del fascismo a Racalmuto - sono ben
delineati a decifrare fra i cognomi delle famiglie che figurano come esercenti
di particolari arti e mestieri. Destinati ad uno squallido tramonto le tre
famiglie in qualche modo titolate: i Tulumello, i Matrona ed i Farrauto;
presenti nell’agone politico prefascista i vari Cavallaro, Bartolotta, Scimé,
Baeri, Mantia, Vella, etc. E’ arduo
rinvenirvi i ceppi d’origine di quelle che saranno le figure dominanti del
fascismo: Giovanni Agrò, il dott. Enrico
Macaluso, il prof. Giuseppe Mattina di Gaetano, il maestro Macaluso, Antonio
Restivo: una rotazione dirigenziale, in senso popolare, il fascismo a Racalmuto
senza dubbio finì col determinarla, una sorta di redenzione sociale delle
classi meno abbienti, una retrocessione dalle funzioni pubbliche dei
‘galantuomini’ racalmutesi dell’Ottocento.
Luigi Pirandello ne I
vecchi e i giovani [8]
accenna alle condizioni - avvilentissime - dei ceti infimi racalmutesi. Vi
include ovviamente gli zolfatai. Triste la sorte dei ‘mafiosi’ incastrati dalla
giustizia: miseranda la vita delle loro donne.
«..s’affollavano
storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di
Raffadali o di Montaperto, solfaraj e
contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi
lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino con berrette di
strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padavovane; con
cerchietti o cateneccetti d’oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per
assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con
aperte pretratte interjezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al
cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e
scivolosi. E avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, dagli
occhi spauriti o lampeggianti d’un’ansietà torbida e schiva, vestite di
baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col
fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi
degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a
lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal
pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste, quand’eran sole, s’aggirava
occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le più giovani e
appariscenti che avvampavano per l’onta e che pur non di meno tavolta cedevano
ed eran condotte, oppresse di angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio
corpo, senz’alcun loro piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare
ai figlioli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola.»
Forse un tantinello oleografica, ma pur sempre molto
pertinente, la raffigarazione che Nino Savarese [9]
fa delle zolfare e dei zolfatai che ben si attaglia alla Racalmuto di quella
seconda metà dell’Ottocento. «I
fazzoletti di seta sgargiantissimi, i pantaloni a campana, gli scarpini di
pelle lucida con lo scricchiolìo, il
berretto sulle ventitre e il grumoletto giallo dei semprevivi all’occhiello,
sono distintivi della classe zolfilfera, non solo ignorati, ma ironizzati,
dalla gente di campagna. Dopo di essere stati mezzo nudi come selvaggi,
grondanti sudore anche di pieno inverno, nelle gallerie e nei pozzi afosi o
sotto il peso delle corbe nei trasporti, per i quali spesso non esistono mezzi
animali o meccanici, quelle vistose gale sono come una rivincita, una specie di
commemorazione domenicale, di fatto, non tanto naturale e prevedibile, di
essere ancora in vita e con le tasche piene di danaro ben guadagnato. E fra i proprietari e
dirigenti di zolfare e proprietari di terre, c’è ancora, una netta distinzione
di modi, di vita, di gusti e persino una certa differenza nel linguaggio: gli
uni sempre intenti a tentare nuove avventure di pozzi e di gallerie, con
l’animo sospeso sulle incognite degli abissi e degli improvvisi disastri dei
crolli e del grisù, gli altri con gli occhi pacificamente rivolti al cielo a
scrutare i cambiamenti del tempo. [...] L’isola è ancora ricchissima di zolfo.
Specie nella parte centrale, le miniere, in certe contrade, si seguono a
brevissima distanza.
«Dalla
profondità delle loro viscere esse hanno mandato ricchezze enormi: intere
generazioni di padroni vi si sono arricchite; intere generazioni di operai vi
hanno logorato la loro esistenza, ed eccole che fumano ancora, che è il loro
modo di dire che esistono, che producono ancora e vogliono nuove braccia e
nuovi sacrifici, in cambio di nuove promesse di ricchezza e di felicità! La
fumata di una miniera altera le linee del paesaggio di una contrada, come per
l’avvertimento che, in quel punto, la terra si sta consumando in una
dissoluzione e in uno struggimento innaturali: c’è qualcosa che richiama la
vampata di un incendio o di un disastro irreparabile. Non vedi le poche
colonnine di fumo delle ciminiere di una fabbrica, le quali hanno sempre
qualche cosa di simmetrico e di preordinato, ma centinaia di colonne di fumo
che salgono, ora altissime, ora basse, ora a larghe volute come veli di nebbia
densa e giallastra. [...]
«I molli
pascoli, gli orti grassi, le vigne sembrano girare al largo da questi
luoghidove la terra si è resa maledettamente infeconda. [...]
«Qua e là,
tra le distese grigie del tufo e i mucchi rossastri dei detriti della fusione,
sbocciano improvvisamente come grandi fiori gialli, i mucchi dello zolfo già
fuso ed accatastato, pronto per essere spedito. Queste cataste vengono fatte in
prossimità dei forni e dei calcheroni, che sono i luoghi della fusione; a
sistema moderno, i primi, a modo antico, i secondi. I calcheroni, mucchi di
minerale più minuto, a cono, sembrano piccolissimi vulcani a catena; i forni,
piatte costruzioni in muratura hanno nell’interno la forma di botti da vino,
col mezzule e la spina e l’ampio cocchiume aperto, dal quale, per certi
soppalchi praticabili, viene versato il minerale grezzo. Lo zolfo, acceso
all’interno, filtra attraverso i residui che non fondono, e viene fuori dalla
spina, in un liquido scuro, ancora denso, sfrigolante di fiammelle
azzurrognole, tra vapori acri ed irrespirabili. Le operazioni che si vedono in
una miniera sembrano allora quelle di una vendemmia diabolica condotta nel
centro della terra, e questo il vino di Mefistofele!
«Di notte
la miniera è appena segnata da grappoli di lampadine. Ma nel suo grembo
infuocato il lavoro non si arresta nemmeno durante la notte. Squadre di
minatori non lasciano il piccone. Si suda ancora e si impreca mentre nelle
campagne intorno, i lumi delle casette campestri si spensero assai per tempo, e
i contadini aspettano il nuovo soleper riprendere la loro fatica. E i campanacci
dei bovi e delle pecore levano sui campi silenziosi il loro suono di pace e di
tranquillità.»
Quanto al contrasto contadini-zolfatai che affiora dalla
pagina di Savarese, per Racalmuto dovremmo fare un qualche distinguo se già nel
lontano 1885 il pretore locale così riferiva alla Giunta per l’Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola: [10]
«Il contadino di questi luoghi non è un
servo della gleba, non è scarsamente pagato come in altri luoghi: se non gli è
ben pagato il suo lavoro sui campi, trova sicuro lavoro e ben retribuito
nelle miniere e perciò non è misero, ha di che vivere e può mantenere la sua
famiglia [...], veri contadini, individui che attendono esclusivamente alla
cultura dei campi, non ve ne sono: lavorano alternativamente, ora in miniera di
zolfo, ora nei campi.»
L. Hamilton Caico, l’irrequita moglie di uno dei membri
dell’importante famiglia Caico di Montedoro (paese finitimo con Racalmuto),
commentando vicende e costumi di un paese agricolo-minerario attorno al primo decennio
del secolo, in pieno riferimento, quindi, al centro che qui interessa,
scriveva: «Il lavoro al quale il piconiere è sottoposto corrode e disgrega la sua
personalità, fino alla perdita totale di ogni senso morale. Imbroglia e deruba
il pur severo sorvegliante, durante il lavoro della miniera; e quando rientra
in paese, non fa altro che bere e gioca d’azzardo, sperperando così tutto
quello che ha guadagnato durante la settimana [...]. E’ rispettoso e sottomesso
ai superiori durante le ore di lavoro, ma appena ritorna in paese diventa
prepotente e litigioso, con un atteggiamento sprezzantee provocatorio [...]. E
i carusi? Le infelici creature
vengono ingaggiate per lavorare all’aperto non appena compiono dieci anni e,
quando hanno compiuto i quattordici anni, per lavorare dentro la miniera [...]
questo genere di vita li predispone al rachitismo e alla deformità e, moralmente,
sopprime in essi ogni istinto di umana bontà, poiché crescono avendo a loro
modello i piconieri, anzi con un più
completo e generale disfacimento della dignità umana [...], mentre nell’animo
nascono e crescono istinti violenti di ribellione e di malvagità, i sensi di un
odio inconscio, le tendenze più perverse.» ([11])
Gli zolfatai di Racalmuto furono politicamente e
sindacalmente vivaci. Saranno i primi a passare al fascismo, ma con un
ribellismo sindacale che fu domato molto tardi dallo stesso nuovo regime.
Ancora, nel 1931, osavano scioperare per contestare la riduzione della paga
unilateralmente decisa dagli esercenti. [12]
Prima di tale - sospetta - conversione al fascismo, erano stati socialisti
sotto l’egida di una strana figura d’avvocato locale, Vincenzo Vella, figura
che illustreremo dopo. Non crediamo proprio che avessero gradito lo sproloquio
moralistico che ebbe a propinargli un noto socialista dell’epoca, il geom.
Domenico Saieva. Costui, organizzatore di minatori a Favara fra fine secolo ed
i primi del ‘900, in un comizio agli zolfatai di Racalmuto del 12 marzo 1905
redarguiva i locali zolfatai in questi termini: «Io ho sentito il dovere di dirvi ... che se volete andare avanti
occorre educarvi, abbandonare il vizio, le bettole e dare una contingente
inferiore alla criminalità [...] le statistiche criminali parlano chiaro e
fanno spavento [..]. Ignoranti, viziosi e disorganizzati come siete oggi,
vivrete sempre nella più orribile abiezione morale ed economica [..].» ([13])
Quanto alla vexata
quaestio dei carusi, il moralismo
era antico, ma in fondo cinico. Richeggiano le scriteriate parole che un
sindaco di Racalmuto, Gaspare Matrona, tanto conclamato da Leonardo Sciascia,
ebbe a pronunciare nel 1875 davanti alla Giunta per l’Inchiesta sulla Sicilia:
«A domanda: E l’affare fanciulli
nelle zofare? Risponde: E’ questione
grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altra. A domanda: Produce danni fisici e
morali?: Risponde: Non quanto si
crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la
proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua
occorrerebbe potersi avvalere per costruzione di acquedotto dei terreni
sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.» [14]
Racalmuto si consegnarà al fascismo dopo una frenetica corsa
allo zolfo. Un indice è quello demografico che è bene qui segnare:
Abitanti di Racalmuto
Anno
|
N.ro abit.
|
Indici 1825 =100
|
1825
|
7.170
|
100
|
1831
|
7.806
|
108,87
|
1852
|
9.030
|
125,94
|
1869
|
12.252
|
170,88
|
1894
|
13.384
|
186,67
|
1901
|
16.029
|
223,56
|
1911
|
14.398
|
200,81
|
1921
|
13.045
|
181,94
|
1931
|
14.044
|
195,87
|
1936
|
13.061
|
182,16
|
1951
|
12.623
|
176,05
|
1961
|
11.293
|
157,50
|
1980
|
10.000
|
139,47
|
In quasi un secolo,
dal 1861 al 1951, i quozienti medi annui dell’incremento totale, di quello
naturale ed il saldo emigratorio sono stati:
Comune di
Racalmuto
Periodi
|
Incremento totale
|
incremento naturale
|
saldo migratorio
|
1861 -1 871
|
3,6
|
8,86
|
-5,26
|
1871 - 1881
|
20
|
18,43
|
1,55
|
1881 - 1901
|
09,65
|
13,26
|
-4,64
|
1901 - 1911
|
-10,8
|
11,32
|
-22,12
|
1911 - 1921
|
-14,6
|
4,19
|
-18,79
|
1921 - 1931
|
11,4
|
9,93
|
1,47
|
1931 - 1951
|
-06,72
|
9,97
|
-16,69
|
Nel periodo 1861-1871 l’incremento totale della popolazione è
inferiore a quello naturale, il che comporta una emigrazione netta del 5,26 per
mille; in quello successivo tra il 1871 ed il 1881 il saldo migratorio
s’inverte ed abbiamo una immigrazione netta dell’1,55 per mille; dopo
l’emigrazione prende il sopravvento e nel periodo 1881-1901 è del 4,64 per
mille, nel decennio successivo di ben il 22,12 per mille e tra il 1911 ed il
1921 è ancora del 18,79 per mille; dopo - nel primo decennio fascista - abbiamo
un’inversione di tendenza: il flusso diviene immigratorio per l’1,47 per mille;
quindi il flusso emigratorio riprende il sopravvento ( 16,69 per mille nel
ventennio 1931-1951). [15]
Rispetto alla provincia di Agrigento, lo sviluppo demografico
di Racalmuto ha avuto il seguente andamento:
Anno
|
abit. Racalmuto (A)
|
N.ro ind.
(B).
|
abitanti prov. Ag. (C)
|
N.ro ind.
(D)
|
Rapporto %
A/C
|
Rapporto % B/D
|
1901
|
16.029
|
100
|
371.638
|
100
|
4,313
|
100
|
1911
|
14.398
|
89,825
|
393.804
|
105,96
|
3,656
|
84,77
|
1921
|
13.045
|
90,603
|
369.856
|
93,92
|
3,527
|
96,47
|
1931
|
14.044
|
107,658
|
398.886
|
107,85
|
3,521
|
99,82
|
1936
|
13.061
|
93,001
|
407.759
|
102,22
|
3,203
|
90,98
|
1951
|
12.623
|
96,647
|
461.660
|
113,22
|
2,734
|
85,36
|
1961
|
11.293
|
89,464
|
447.458
|
96,92
|
2,524
|
92,30
|
1980
|
10.000
|
88,550
|
449.699
|
100,50
|
2,224
|
88,11
|
Rispetto al territorio dell’intera provincia di Agrigento, la
popolazione di Racalmuto scema sempre più d’importanza passando dal 4,313% del
1901 al 2,224% dei tempi d’oggi: un vero dimezzamento d’importanza. Eugenio Napoleone Messana [16],
lo storico locale degli anni sessanta, da prendersi molto con le pinze, è
alquanto malizioso quando scrive: «Osservando i dati dell’Istituto Centrale di
statistica [...] balza evidente una crescente flessione demografica dal 1936 al
1961». Quasi si trattasse di un fenomeno iniziato in pieno fascismo. Era
invece, come abbiamo visto, un deflusso che affondava le radici alla fine
dell’Ottocento.
* * *
Si è visto come per desiderio di Garibaldi sia salito al
parlamento di Torino il deputato La Porta: un personaggio battagliero, talora
equivoco, protagonista comunque di non poche battaglie parlamentari. I fatti
del 1862 ebbero risonanza e risonanza arroventata in parlamento. Nella torna
del 7 aprile del 1962 s’incardina la discussione sull’interpellanza del La
Porta. [17]
Si tratta dell’ «andamento amministrativo nella Sicilia». Il focoso giovane
deputato siciliano è dispersivo, logorroico e non riesce a mordere come vorrebbe. Molti prolissi periodi gli
occorrono prima di introdurre l’oggetto della sua interpellanza: «noi
deplorammo il favoritismo, la protezione governativa, la preferenza che il
Governo accordava all’elemento della scacciata dinastia in tutti gli uffizi»
finalmente inizia ad accusare per riprendere le fila del discorso sull’onda del
ricordo «noi rimproverammo gli abusi, le violenze che alcuni agenti del potere
esecutivo in Sicilia perpetravano a danno dell’elemento liberale, a danno di
quell’elemento che godeva e gode la simpatia delle popolazioni.» Il riferimento
al prefetto Falconcini è palpabile; l’eco della persecuzione del racalmutese
Matrona, evidente. Ma abbiamo visto che il Matrona opportunisticamente ebbe
invece ad accordarsi con il prefetto, scagionandolo da ogni accusa: la
convenienza fece aggio sulla verità, segno non proprio di grande elevatezza
morale dei conclamati Matrona.
Per l’on. La Porta, era stato vessato proprio quell’elemento
che «rappresentò in Sicilia la iniziativa della rivoluzione del 1860, la
capitanò, guidò il popolo al plebiscito del 21 ottobre e, qualunque volta la
causa dell’unità nazionale o dall’opera dei retrivi o dagli errori del Governo sia compromessa
nell’isola, malgrado i torti ricevuti, non mancò mai al suo dovere.»
Il Laporta infierisce. «noi abbiamo accusato la lentezza, la
trascuratezza governativa in materia di opere pubbliche; le strade, i ponti, i
porti, o non iniziati, o lentamente o deplorevolmente avviati; il denaro
pubblico con poca utilità speso; le leggi votate dal Parlamento per quelle
provincie, sterile e derisoria parola.» Un ritornello, una posta del rosario
che spesse volte, fino alla noia, verrà dopo ripetuta, in tutte le epoche,
sotto i vari governi, persino fino ai nostri giorni. Dopo un anno e mezzo,
francamente era solo retorica esigere chissà quali miracoli governativi. Ma
dopo, col tempo, quel rosario amaro verrà recitato con ben più solida
fondatezza.
Certo ha ragione La Porta ad ironizzare sui «rapporti dei
prefetti che descrivevano l’isola beata e tranquilla e quasi inneggiante un
cantico di benedizione ai ministri costituzionali.» In effetti c’era da fare
una «requisitoria dello stato d’assedio, per dimostrare alla Camera quale fu
specialmente il terreno, ove quel Ministero [il dimissionario Governo Rattazzi, n.d.r.]
esercitò le sue violenze, le doportazioni in massa, le fucilazioni senza
giudizio, ogni atto, non dirò di Governo assoluto, ma dirò un’altra parola,
dirò di despotismo ...» Qualche esagerazione, senza dubbio; ma un quadro nella
sostanza terribilmente rispondente al vero. Altro che Falconcini, vittima di
chissà quali ingiustizie!
Il La Porta scende a dettagli: «Il tenente dei carabinieri in
Naro, provincia di Girgenti, annunziò pubblicamente che aveva bisogno di un
esempio durante lo stato d’ssaedio in quella città; manifestò volere la
fucilazione di un infelice Puleri Manto, e quella fucilazione fu eseguita.
[...] Il maresciallo dei carabinieri in Marsala è quello stesso che arrestava
il signor Andrea Danna, il primo cittadino di quel paese. [...] Il maresciallo
dei carabinieri in Misilmeri [procedeva a ] 37 arresti che fece per pure ire
personali. ... Gli arrestati dopo pochi giorni, riconosciuti innocenti, furono
messi in libertà.»
Ma il quadro dell’ordine pubblico era in ogni caso desolante.
«La sicurezza pubblica in Sicilia è ridotta ad un’amara delusione. Migliaia di
renitenti alla leva, migliaia di evasi dalle prigioni battono la campagna; e
già alcune bande si sono organizzate e specialmnete nelle provincie di Palermo,
di Siracusa, di Girgenti, alcune bande che spargono il terrore in tutti i
proprietari, che rubano, assassinano ad ogni momento.» E quanto ad Agrigento,
«i proprietari stanno rinchiusi in casa; nemmeno si attentano di uscire in
città. E’ raro che uno dei grossi proprietari di quel circondario non abbia già
ricevuto un biglietto di scrocco, e non tema di uscire dalla casa per non
incorrere nella vendetta di coloro che hanno richiesto una somma di danaro e
che essi non si trovano in grado di pagare. Il barone Genoardi è stato tassato
per cento mila lire. Il signor Vincenzo Mendolia è stato tassato per duecento
mila lire, e così molti altri. [...] Il numero dei renitenti alla leva in quel
circondario ascende a 600 per la leva del 1842, oltre poi quelli del 1840,1841
ed oltre 900 altri. In tutto tra renitenti alla leva ed evasi dalle prigioni
sono 1650 nel solo circondario di Girgenti. [...] A pochi passi dalla città di
Girgenti vi è un ladroneggio organizzato
colla sua burocrazia: coloro che trasportano zolfo appena usciti dalla città
trovano cinque o sei ladri che ne notano il nome e impongono loro una taglia;
al ritorno la taglia è esatta e il nome cancellato.»
Prende quindi la parola il deputato Ricciardi per
ragguagliare su talune amenità: « Ho avvicinato ed interrogato ogni ceto di
persone, cominciando dal principe e terminando all’artigiano, non ho udito mai
voce che lodasse l’opera del Governo. [..] Quest’isola godeva sotto i Borboni
di alcuni privilegi, i quali naturalmente doveva perdere all’apparire della
libertà e dell’unità nazionale. Certamente un paese dove non esisteva la leva e
che ha dovuto sobbarcarsi alla medesima, deve essere assai malcontento; quindi
i cinque o sei mila refrattari di cui è forza deplorar l’esistenza. In Sicilia
non v’era carta da bollo, ora non vi è solo questo, sìbene il registro ed il
bollo, che han rovinato tutte le classi le quali viveano del foro. [...] Debbo
dirvi ora una parola intorno alle carceri di Palermo ... Signori, in quelle
carceri ho scorto cose degne del medio evo, cioè 1400 detenuti, di cui
pochissimi condannati, i più tenuti a disposizione della questura, e non
interrogati da tre, da sei, da diciotto mesi! Alcuni tenuti in celle nelle
quali passeggiano come fiere in gabbia, e senza lavoro! Altri, tenuti in
vastissimi cameroni in numero di 100 o 150, senza un misero pagliariccio;
dormono avvolti in mantelli, e lascio immaginare a loro, signori, che cosa
debba avvenire la notte in quei cameroni.»
La risposta del ministro Peruzzi è scontata: burocratica,
evasiva, legittimista. Ma quelche spunto è degno di menzione: «... debbo
osservare come disgraziatamente siasi verificato che taluni proprietari
adoperano pei lavori di campagna preferibilmente dei renitenti alla leva ed
altri che trovansi in questo stato extralegale, perché fanno pagar loro questa
irregolarità di condizioni col prestar loro una mercede minore di quella che
accordano agli altri lavoranti.»
Noi non abbiamo dubbi: a Racalmuto i galantuomini, grandi
proprietari di terra, fecero fortuna a sfruttare quei poveri renitenti. Chissà
i commenti al circolo di compagnia.
Il Peruzzi è tagliente nello stigmatizzare la manomorta
ecclesiastica agrigentina. « La provincia di Girgenti è quella dove la maggior
parte dei beni sono nelle mani delle corporazioni religiose e del clero. Io
stesso, visitando la provincia di Girgenti, ho dovuto maravigliarmi, come dopo
aver veduto una quantità di solfare vicine l’una all’altra, dovessi poi
attraversare lungo tratto di paese senza vederne una. Ebbene, quel lungo tratto
di paese era proprietà della mensa arcivescovile, o vescovile non so, di
Girgenti. Quella mensa non voleva dare ad altri la facoltà di ricercare
depositi di zolfo, né coltivarli né tampoco li ricercava e coltivava essa stessa. L’industria stessa
degli zolfi, o signori, non contribuisce per avventura alla maggior moralità di
quelle popolazioni, e di questo possono convoncersi tutti quelli che hanno
esaminato le condizioni nelle quali quell’industria viene esercitata.
«Inoltre la provincia di Girgenti ha avuta la disgrazia
d’avere un’evasione di detenuti, dei quali una piccolissima porzione si è
potuta riprendere, mentre degli altri che è egli avvenuto? Si sono forse
costituite delle bande armate in quella provincia? Niente affatto. Tutte le
ricerche fatte dalla forza militare sono riuscite inutili, ed ho quindi motivo di credere che anche questi siano
stati, per così dire, riassorbiti dal apese, che si siano sparsi per le barie
borgate, per le varie masserie, per le varie solfare, e che di là facilmente si
muovano a commettere i delitti. [...] Io ho cambiato il prefetto di quella
provincia perché ho creduto che questa misura fosse indispensabile. Ho invitato
il prefetto a propormi il cambiamento di delegati e di altri funzionari sotto i
suoi ordini, scioglimenti di Consigli comunali e di guardie nazionali, ed egli
mi ha risposto che effettivamente conviene adottare siffatte disposizioni. »
* * *
Bisogna dare atto ad Eugenio Napoleone Messa di avere bene
inquadrato l’avvicendarsi dei sindaci di Racalmuto dopo l’Unità d’Italia. La
successione dei sindaci nel ventennio successivo alla venuta di Garibaldi
l’abbiamo vista prima. Oltre ai dati di cronaca del Messana, noi disponiamo di
queste risultanze d’archivio.
Maggio del 1860
Al convento dei Minori sotto titolo di S. Francesco di Assisi
di Racalmuto (convento di S. Francesco), dimorano questi frati: 1° fra Michele
Antonio Garafalo, guardiano; 2° fra Salvatore Mirisola; 3° padre Luigi
Scibetta.
1864
Nel convento di S. Francesco ora l’organico dei monaci era
composto dal solito fra Scibetta, da fra Pietro Calamera, dal p. Fracesco Mulé,
da fra Giuseppe Scimè detto Cicolino, tìlaico terziario e da fra Antonio
Chiodo:
1866
Il 24 agosto 1866 abbiamo l’ultima registrazione del convento
di S. Francesco. Poi tutto passa in mano laica per le note leggi eversive. Fra
Francesco Mulè sottoscrive ricevuta “a buon conto del mio vestiario della somma
di onze 16, dico 16). Si chiude la gloriosa storia del convento di S. Francesco
di Racalmuto: l’eremo dei Minori di S. Francesco chiude i battenti per volontà
degli estranei piemontesi. Le terre - appetibilissime - passano in mano ai
furbi e fedifraghi notabili locali.
1869
27 giugno 1869 “Mene mazziniane (lettera da Firenze): «il
partito mazziniano a tentato, tenta , ed in ogni modo studia per avere degli
affigliati nelle vie ferrate e negli uffici telegrafici». [18]
11 agosto 1869 «Avendo con la massima riservatezza e
circospezione indagato sulla condotta di questo Ufficiale telegrafico sig.
Tulumello Salvatore di Luigi non ho osservato sinora dal suo contegno alcun
indizio da cui desumere che fosse un affigliato o cooperatore del partito
Mazziniano», Il delegato Morra (?) al Prefetto [dall’Ufficio di Pubblica
Sicurezza di Racalmuto]. [19]
1870
Racalmuto 14 giugno 1870 «...Venendo agli uffici pubblici,
incominciando dalla Pretura diretta da qualche mese dal vice pretore, procede
regolarmente, però sarebbe desiderabile che venisse al più presto possibile il
nuovo Pretore titolare sig. Ripollina, che si attende, per dare maggiormente
spinta ed attività al regolare andamento dell’amministrazione della giustizia.
Sui Reali Carabinieri non v’è cosa di proposito da osservare in contrario;
sarebbe però utile che il comandante della stazione sig. Bertelli, bravo
giovane, spiegasse maggiore energia per disciplina sui propri dipendenti, i
quali profittandosi della bontà del loro capo sono un po’ rilassati nel
servizio, non prestando con quella attività che si richiede; attività
indispensabile per potere alla meglio sorvegliare il territorio, e l’abitato
che sono vasti, mentre la forza è ristrettissima, per cui si dovrebbe aumentare
la Stazione almeno di altri due Carabinieri non essendocene che quattro, con
altrettanti soldati: forza la quale rimane quasi esclusivamente in
continuazione per la scorta delle due corriere postali che transitano in questo
stradale ogni giorno.
«Il servizio delle due guardie campestri esistenti Deleo e
Vinci, è del tutto trascurato da poiché il Municipio invece di farli
disimpegnare il proprio incarico li lascia praticamente addetti ai propri
particolari e di scorta al sig. Sindaco, sig. Matrona, Giunta, parenti e amici.
Si dice pure che i suaccennati agenti spalleggiati dall’Autorità Comunale
commettono scrocchi, ma nulla si può accertare di positivo.
«Gli Uffici del registro, telegrafico e poste non danno
motivo a lagnanza nel pubblico, però ci vorrebbe un poco più di attività in
quest’ultimo servizio, e che il capo dell’Ufficio sig. Borsellino non fosse
trascurato nel prescritto orario di tenere aperta la Posta, e non abbandonasse
quasi totalmente il servizio al suo commesso sig. Grillo Calogero buon giovane,
ma piuttosto inesperto e distratto. L Delegato [firma illeggibile].»
Il sindaco che nel 1870 si serviva di quella guardia
campestre, che poi vedremo sinistra protagonista in casa Matrona, era il notaio
Michele Angelo Alaimo che precede don Gasparino che sindaco lo diventa nel
1872: frattanto quel Matrona era consigliere provinciale (dal 1868 al 1871):
tanto bastava per dirottare la non proprio pacifica guardia Vinci a seguire ed
avere in custodia l’intera famiglia dei già arroganti Matrona. Borsellino aveva
in mano la Posta ma l’affidava ad un giovane definito «inespero e distratto»:
Calogero Grillo. Uno spaccato dellA Racalmuto del 1870 non proprio esaltante.
Ma vi era maretta in Municipio. «...l’assessore sig. Matrona
Paolino ha dichiarato alla Presidenza lo stsesso non volere far più parte della
Giunta Municipale, manifestando essere stato fin oggi in carica, perché il
dovere lo chiamava di sentire prima cerziorata la gestione, onde potere al caso
rispondere contro ogni insidia e scandaloso mendacio. Il consigliere Gaspare
Matrona presa indi la parola, come nel paese vaghe e insidiose calunnie spinte
da spirito di parte siano circolate ad appuntarel’integrità del Sindaco e del
Corpo Municipale. Per quanto calunniosi ed insensati siano gli appunti, lo provano
al Consiglio i presentati conti; la reputazione delle individualità che hanno
fin oggi composto la giunta municipale e quando parlo di individualità, egli
dice, io non scendo a determinare quella del sig. Matrona Paolino, mentre lo
stesso all’oggi dà sicura del nome, unisce solo a scuola dei maldicenti,
l’aversi trovato una sola famiglia componente la giunta municipale, essere
stato il solo estranei fra tre fratelli cognati sindaco ed assessore. Signori,
egli dice, non è mia arte, né bisogno l’assegnare la nostra famiglia Matrona a
promotore di ogni bene del paese. L’invidia, la reazione, il regressismo, sono
stati questi spettri dell’avvilito stato di questo Comune, che bene spesso ci
han gettato il guanto della sfida; e noi l’abbiamo sempre accettato. Al
regresso abbiamo risposto, collo spingere per quanto in noi è stata la forza,
il progresso; alla reazione coll’arme alla mano del 6 settembre 1862 abbiamo
risposto colle armi; alle invidie e calunnie che circolansi nel paese contro
l’onestà, risponderemo nella possibilità di provare, colla traduzione innanzi
ai tribunali dei colpevoli. Solo mi è dolorosotanta mia opera essere difficile,
perché i vili in questo sono astuti e circospetti per scoprirsi; la loro voce
[non attacca]; loro non si mostrano di fronte all’onestà ed il loro rantolo
d’infamia come cupo e sepolcrale rombo priva anche i più ... attenti a poterne
diffinitivamente discercare il movente e segnarne il calunniatore.
«Il consigliere Cavallaro sig. Felice presa la parola ha
significato al sig. Matrona che nella difficile arena municipale non si è mai
risparmiato d’insidiosamente attentare l’onestà dei rappresentati: e che chi si
ha avuto la rappresentanza municipale in
qualunque epoca, è stato sempre segno di calunnia.
«Conto dell’entrata e dell’uscita del comune di Racalmuto -
per l’esercizio reso dal suo esattore e tesoriere il signor Leopoldo Muratori -
[popolazione abitanti n.° 12.500]: dai licenzi dei dazi appaltati al sig. Agrò
Alfano Baldassare L. 1.118; da Pietro Buscemi fu Vincenzo appaltatore dei dazi
sopra le tegole, mattoni, gesso, calce, tavole, legname e ferro L. 1.238; da
Petrotto Giuseppe fu Nicolò appaltatore del dazio sopra la paglia L. 98.»
Ironia della storia: chi avrebbe mai detto che il più
circospetto e sagace figlio di Racalmuto, Leonardo Sciascia, avrebbe fatte sue
quelle sgangherate parole apologetiche di don Gasparino Matrona, parole che ma
celano uno stato di disagio per accuse infamanti contro il congiunto don
Paolino Matrona. Nel circolo dei civili, per chi si parteggiava?
Intanto le asettiche carte degli archivi agrigentini ci
sciorinano questi dati:
Prefettura di Girgenti - Racalmuto - Consuntivo del 1870
Conto 1871 = Manutenzione Cimiteri: al sig. Lupi cav. Carlo
per piantagione cipressi, per cancello di ferro, tavolo mortuario e croci
impiantate L. 600.
Conto 1872: al sig. cav. Lupi Carlo, appaltatore
dell’illuminazione notturna; al sig. Picone Salvatore per trasporto prostitute
L. 10.
1873
19 marzo: fibrillazione in Sicilia per l’onomastico di
Garibaldi e di Mazzini. Il 26 marzo il delegato sig. De Benedectis può
assicurare il prefetto: non risulta che qui «il partito avanzato avesse inteso
promuovere qualche dimostrazione per il giorno 19 corrente.» Calogero Savatteri
sarà stato un mazziniano, ma se ne sta buono a curarsi i suoi cospicui
interessi. Ancora non poteva permettersi neppure una qualche strampalata
concione al Mutuo Soccorso, per il momento feudo incontrastato dei Matrona,
liberali sì ma antimazziniani.
2 giugno 1873: « Ieri celebravasi in questa la Festa dello
Statuto Nazionale. Il Municipio con tanto lodevole zelo, impegnavasi che tal
festa riuscisse con solennità; infatti appena fatto giorno il suono della
musica e taluni colpi di mortaretti annunciavano la fausta ricorrenza. Tutte le
botteghe lungo il corso, pavesate del tricolor vessillo. Alle 11 il
sottoscritto, insieme a tutte le locali Autorità, Consiglieri, e ceto civile,
dietro invito di questo signor Sindaco, sono convenuti nel Palazzo di Città,
ove riunitesi al Municipio, e tutta la scolareca, seguiti dalle bandiere, e
musica, sono andati al Duomo, ove il Clero ha cantato l’Inno Ambrosiano,
assistendovi anche il Parroco, e finita tal sacra Cerimonia, si è nuovamente
recato nel Palazzo di Città, ove fatti i soliti evviva, e felicitazioni, si è
sciolto il convegno. Nelle ore pomeridiane la musica ha continuato ad allettare
i Cittadini, fino alle ore 10 ch’ebbe fine la festa. Intanto il suddetto giorno
non deplorossi alcun reato, essendo l’ordine pubblico tranquillo. L’Ufficiale
di P.S. in missione Luigi Macaluso.» Che motivo avesse l’arciprete Tirone di
cantare il Te Deum in lode degli
scomunicati sabaudi, quelli della breccia di Porta Pia del 1870, è di ardua
ricognizione ma di pesante sospetto. Il ceto civile - quello del circolo unione
- è ovviamente del tutto ossequioso: magari la sera, qualche frecciatina verso
i nuovi opportunisti (assenti) non sarà stata risparmiata - allora come ora.
Il Messana (op. cit. pag. 495) pubblica un interessante
manifesto politico del Tulumello del 1873. «La consorteria - vi si dice e si
parla ovviamente di quella del Matrona - vi chiamerà all’urna colle solite
promesse, minacce e mostrandovi alle occorrenze anco la carabina!» La congrega
del barone Luigi Tulumello era composta da Ignazio Picone Alfano, da Ignazio
Alfano Vinci, da Felice Cavallaro Salvo e dal farmacista Lo Presti, nonché da un
maltrattato (dal delegato di S.P.) Giuseppe Romano Alessi che definivasi
presidente della società operaia. A parte quest’ultimo, si trattava di
galantuomini dissidenti che amavano definirsi “cittadini onesti, intelligenti e
liberali a tutta prova”. Cercava di far breccia tra i Messana (per i fatti
del 60), tra i Picone (per le minacce e
le offese personali patite), tra i Mantia (per gli spudorati attentati alla
loro proprietà ed alla loro vita); ai Borsellino (per le infamie subite), ai
Grillo (per gli orribili fatti del 60 e del 62), ai Picataggi (per gli arresti
arbitrari subiti); ai Lo Presti (per un asserito furto ai loro danni); agli
Alfano, ai Farrauto; ai Mantione (per imputazioni, oltraggi .. ed il carcere a
San Vito). I Tulumello comunque in quella tornata elettorale non vinsero. Si
consolida anzi la saga del mecenate don Gasparino Matrona. Per poco, però. Il
crollo del 1875 incombe.
1874
Gioacchino Savatteri viene eletto membro del consiglio
provinciale per il mandamento di Racalmuto con voti 143 per l’anno 1874
1875
«Prefettura di Girgenti - Duello fra don Gaspare Matrona e
Barone Tulumello. 3 settembre 1875 - Si vuol per certo un duello fra Matrona
don Gaspare e B.ne Tulumello da Racalmuto, ove forse avverrà, essendo ieri
partito da Girgenti per quella volta il sig. Picone d. Nicolò, per fare forse
da Padrino al Matrona. Si dice ancora, che ne avverrà un altro tra Matrona
Napoleone e certo Cavallaro. Ma il Matrona trovasi attualmente in Girgenti in
unione al fratello Paolino, il quale ieri ricevè un telegramma che alla lettura
fu visto turbarsi; dietro di che partì il sig. Picone. »
«Telegramma decifrato del 4/9/1875 - Oggi questo Segretario
Comunale ritornato. Dicesi duello sospeso da riprendere in 4 giorni. Qui sinora
calma. Se avvenisse duello se ne faranno altri. F.to Macaluso Delegato.»
«Segretario Comunale Lauricella è uno dei secondi. Duello per
attacchi personali con opposizione municipale. Dicesi di altri duelli. F.to
Macaluso.»
«Finora conoscesi solamente barone Tulumello con due secondi
fatti venire da Naro sia partito per costà (Girgenti) alle sei. Ignorasi
terreno. F.to Macaluso.»
Il 4/9/1875 il prefetto convoca a Girgenti il segretario
comunale Lauricella.
Nella sessione del 1875 il cav. Giuseppe matrona viene eletto
membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto per l’anno
1875.
Nel n.° 6 dell’8 maggio 1875 del “Don Bucefalo” vi è una
“nostra corrispondenza” da Racalmuto. «2 maggio [...] vogliamo tenere parola
dello stato anormale del comune di Racalmuto. Sotto crudele ed improba
passione, giace questo deplorevole comune affidato al reggime (sic) di un
sindaco ambizioso ... Sin dalla di lui promozione al potere, Racalmuto non ha
altro segnalato che una amministrazione elevata al più vero assolutismo, ad una
colluvie di irregolarità, meri capricci, ed infrazioni alle leggi rispetto a
taluni atti della comune azienda [...]» Si parla di un “favoloso mutuo”; di una
strada che appena appaltata “si dirupa”; alle enormi spese per il teatro e per
le scuole femminili. «Briga per la costruzione di una strada rotabile tra i
comuni Racalmuto-Favara, opera grandemente vessatoria e capricciosa che per
fornire a questi magnati caporioni facile accesso alle rispettive casine, si
condannano e proprietà ed interessi pubblici e privati.»
Eugenio Napoleone Messana fornisce una versione tutta sua
alla vicenda del duello Matrona-Tulumello. [20]
Vi innesta una faccenda d’alcova che avrebbe visto coinvolto Luigi Lauricella.
Costui, segretario comunale, sarebbe stato gratificato dal Matrona con
l’incarico ed un lauto stipendio in cambio dei favori della moglie, secondo
quel che avrebbe sussurrato in un articolo di stampa il barone Tulumello.
Soggiunge il Messana: «Sta di fatto che la moglie del Segretario si è suicidata
e don Gasparino si è eclissato per molto tempo.» «Il segretario Lauricella
lasciò Racalmuto meditando nel cuore vendetta. Non passò molto tempo e vide ad
Agrigento il Matrona. Lo seguì a distanza pazientemente. Don Gasperino entrò
nel negozio Scibetta in Via Atenea. All’uscita fu raggiunto da un colpo di
pistola. Il segretario mirò al cuore ma sfiorando il gomito sinistro colpì il
femore e si dileguò nella folla. L’assenza da comune indusse la giunta,
indignata per le ingiuste accuse contro il suo sindaco, a protestare presso
l’autorità tutoria, indi a dimettersi. Nel 1876 fu nominato sindaco l’avv.
Gioacchino Savatteri, amico e dello stesso partito del Matrona.» Si sa: Eugenio
Napoleone Messana è un immaginifico. Inventata o meno tutta codesta bardatura,
a noi non resta che attendere incontri fortunati con carte d’archivio per una
ricognizione critica della (salace) vicenda.
28 giugno 1875 [21]
«Racalmuto - Miniere Pernici e Frappaolo - Quesiti - Dalle diverse indagini che
segretamente e con qualche studio da me operate risulta 1) che circa duemila
operai attualmente lavorano nel gruppo di miniere Pernice e Frappaolo di
proprietà del Pr.pe di Aragona. 2) La produzione approssimativa dell’anno 1874
di queste miniere potrebbe ascendere a duecentomila quintali, ogni quintale composto
di cento rotoli ed in quest’anno sono suscettibili di aumento. 3) Una sorta di
minerale grezzo e poi messa in fusione produce in media .. 20 (venti) balate ed ogni due balate, che
si chiama carico, portano il peso di quintali uno, e rotoli cinquanta circa. 4)
Da poco tempo e nei vari discorsi sulle miniere della Pernice si è usato il
titolo di Nuova California per le
immense speculazioni di escavamento che ogni giorno si operano per trovare il
minerale. Però questa voce non si è ancora generalizzata, per il fatto che la
montagna Pernice è gravida di suoi rappresentanti del minerale sulfureo ed un
buon agente delle tasse potrebbe arrecare dei vantaggi alla Finanza dello
Stato. Tutto questo ho potuto raccogliere con la massima avvedutezza per non
destare degli allarmi ai proprietari delle miniere che per lo più sono tutti
civili e di alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse;
e ciò in esecuzione degli ordini della S.V.I. contenuti nella riservata nota
qui riguardata. Il delegato di S.P. - Macaluso.» Macaluso fu dunque sbirro
accorto: non amò infastidire i “civili” - uomini di “alta levatura, amici e
conoscenti dell’attuale agente delle tasse”. I civili parcheggiavano nei loro
due circoli: gli interessi solfiferi venivano tenuti nascosti, non tanto per
paura dell’agente delle tasse - diversamente da quel che avverrà nel dopo
guerra con i contributi unificati su cui sarcasticamente si sofferma Sciascia -
ma per timore di quello sbirro, che pur dovevano ospitare nelle loro sale sociali.
1877
4 giugno: «Duca di Cesarò - Suo passaggio a Racalmuto colla
Consorte. L’on. Duca e consorte si intrattennero alquanto nel Palazzo
municipale ... visitarono il teatro, la famiglia dei signori Matrona e quella
del dr. Scibetta Troisi Giovanni.»
Conto del 1877 presentato dal Tesoriere Matrona Carlo.
1878
Conto del 1878 presentato dal tesoriere Nalbone Luigi.
* * *
Il sindaco “garibaldino” don Gaetano Savatteri viene in malo
modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62 lo coglie e lo travolge
in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta annientato dalla morte della
moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:
Qui Dorme
nella pace del Signore
Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo
nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col
maledetto aneurisma.
Pietosa, caritatevole, devota assai prudente.
Obbediente figlia, consorte fedele, amorosa madre.
Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria
Chè sua scomparsa eternamente cancellò:
allo sposo ai figli.
Deh! Adorabile madre accogliete questo duraturo
monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.
In segno di sentita devozione
Beneditelo.
Si dice che il Savatteri, preso da sconforto esistenziale,
finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel convento di Santa
Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse come fratello laico,
alla stregua di un monaco.
Tra i diversi figli andavano emergendo don Calogero
Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.
Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie mazziniane: quando,
nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si rivoltava contro i
fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello, il Savatteri -
ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello che faceva
capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel circolo e
periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano semplicemente un
moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava sorbirsi tutto
quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso scendeva a
terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri - dovevano
sentirsi dire gli “egregi operai” [22]
- a lavarvi spesso tutto il coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte impedisce
che malattie di pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente il corpo
dell’operaio che deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e pulito più
di ogni altro.» Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare l’Uomo e
la donna ritti, colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo robusto,
sano ed anche agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza e
pulitezza del corpo, lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva raggiunte
vette speculative affermando: «l’istinto della propria conservazione fa sentire
all’uomo il bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le mutande.» Ed
il Savatteri era davvero originale ribadendo l’opinione di Melchiorre Gioia
sull’igiene, giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre ad arrecare
sollevamento all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza e salute al
corpo e s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla salute,
togliendo il puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e le
mutande quando sono sporchi.»
C’è un punto del suo che ci aveva fatto pensare ad una fede
socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei Savatteri: ed è
quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine, fuga ogni
malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere, egregi Operai,
che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e del denaro,
per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori dell’ordine sociale,
e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono d’innovatori; no affatto:
sono sicuro che simili fandonie e falsità non allignano nelle vostre menti.»
Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di ... vestiario. «Oggi nessuna
legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a conservare ancora che il civile deve vestire diverso dal mastro, il mastro differente dallo zolfataio,
e questo diverso dal contadino.
Continuando in tal guisa, malgrado i nostri sforzi ed i vostri lavori di emancipazione, e di
rialzamento, mantenete sempre vivo il germe della divisione delle classe e la
disuguaglianza tra gli uomini. ... Persuadetevi, egregi operai, che la foggia
del vestire influisce assai ad essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi
esorto di abbandonare il taglio degli abiti a costume che l’odierna civiltà a [sic] sfatato e che
ancora si conserva nei nostri comuni... Incominciate per Dio! Forse v’incresce
o avete paura al pensare che i signoroni rideranno alle vostre spalle?
Lasciateli ridere e verrà tempo che vi seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del
dilemma savatteriano nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.
Quest’anno (1998) i padroni di quel sodalizio hanno ritenuto
di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto. Disponiamo di questi
riferimenti giornalistici:
Trafiletto
del Giornale di Sicilia del gennaio
1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.
Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi
primi 25 (sic) anni.
RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali
del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in
ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice
sindaco Pippo Di Falco e del presidente
Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello
statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano,
Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e
Lorenzo Viviani nel 1873.
Niente di più falso. Avevamo cercato di mettere sull’avviso
con questo fax:
Racalmuto 5 gennaio 1998
Alla Presidenza del Mutuo
soccorso di Racalmuto
Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex presidente del sodalizio e
socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo codesta Presidenza
dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale del Mutuo Soccorso
di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già sunteggiata nella
conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag. 1 e segg.) agli
atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed eventi di cui alla
copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento che l’allora
presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente conservare.
Ci si riferisce in particolare all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42
della prefettura di Girgenti del 16 giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto
del 13 giugno 1876, ove emergono tra l’altro le figure di
1°) Scibetta
Salvatore;
2°) Rossello Giovanni;
3°) Marchese Giuseppe Primo;
4°) Lumia Gaetano;
5°) Grillo Giuseppe;
6°) Farrauto Angelo;
7°) Giardina Pietro;
8°) Bellavia
Elia;
9°) Licata Nicolò;
10°) Scimé Salvatore;
11°) Ferrauto Vincenzo;
12°) Giancani Luigi;
13°) Palumbo Angelo;
14°) Palumbo Antonino.
Con invito alla debita informazione ai soci.
..................................
( Carmelo Gueli, ex presidente)
...................................
(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)
Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda disattenzione. In
cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del Mutuo Soccorso
poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto. Ma la storia vera della fondazione del Mutuo
Soccorso resta incagliata nell’astioso rapporto di S.P. (Pubblica Sicurezza),
che abbiamo prima riportato e così rubricato: [23]
DELEGAZIONE
DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 -
Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al
reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto
addì 14 giugno 1876.
La faccenda partiva da lontano, da un esposto del Mutuo
Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:
R. PREFETTURA DI GIRGENTI
n. 419 sub 1\6\75
Esposto dei
soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875
Al Signor Prefetto della Provincia di
Girgenti
Signore
I
sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso
degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.
La detta
Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento morale e materiale della classe stessa;
fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo
attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno
dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per
approvarsi, e diresse il tutto.
La Società,
dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori
Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le
relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette,
tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il
Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle
solennità.
Lo mentre
la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli
inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti
e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta;
si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando,
giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a
spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che
li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si
operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo
a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in
pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla
Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle
faccende proprie.
Il Sindaco
non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare
bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui
dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in
contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico
fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si
incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al
che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte
le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio
accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena
di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come
socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli
addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona,
e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare
sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii;
la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor
Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece
lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia
contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso;
chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è
parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava
l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio
Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il
consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare,
si appartò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di
sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna
del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela
esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.
Le diatribe
e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili
Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione
d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e
simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede
arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio
coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare
dal divino Alighieri.
O
fortunati! E ciascuna era certa
della sua
sepoltura.
Ecco Signor
Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non
dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre
il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del
Paese.
Racalmuto
lì 31 maggio 1875.
Falletta
Calogero - Romano Calogero
Salvatore
Scimè - Lumia Gaetano
Agrò Rosario
- Rossello Giovanni
Giuseppe
Romano.
E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e l’incespicare del
giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da fare (o da dire) per
riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio. Da Roma si
esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare informazioni
e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.
PREFETTURA DI GIRGENTI
REGNO D'ITALIA
MINISTERO dell'INTERNO
SEGRETARIATO
GENERALE
DIV. 2^
SEZ. Gabinetto
N. 3296
oggetto: Circolare
della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.
Signor Prefetto di Girgenti
/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di
Racalmuto/
Roma, addi
7 Luglio 1875
Dalla
Società di mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui
trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per
quei provvedimenti che riterrete opportuno
di adottare.
p IL
MINISTRO.
(firma
illeggibile)
/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno
del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:
"Vorrà
poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di
tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./
In allegato
la copia che così recita:
Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto -
provincia di Girgenti.
CIRCOLARE
Soci Onorari
Maurizio Quadrio
SAFFI Aurelio
Campanella Federico
Presidente
Onorario
GARIBALDI
----------------
RECALMUTO
PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti
13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.
Girgenti 13
maggio 1876
Signor
Delegato di P.S.
Racalmuto.
La
Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto
a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro
codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi
ed attraversi in tutti i modi quella Società.
Io
trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla
verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il
risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un
rapporto al Ministro.
IL PREFETTO
(firma
illeggibile)
R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 -
Urgente - Oggetto:
Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO
Girgenti 9
giugno 1876
Prego la
S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio
numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del
Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni.
IL PREFETTO.
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto,
del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso
degli operai, in Racalmuto.
Ill.mo
Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.
Racalmuto
addì 11 giugno 1876.
In
riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le
informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare
alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le
farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta,
non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A.
COPPETELLI).
A S. E. il Ministro dell'interno Roma
OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro
quel Municipio.
Anche a
questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro
vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.
Però non si
è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre
generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse
l'Autorità legittimamente intervenire.
E' una
verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i
suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel
1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà
minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via
alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel
fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare
sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne
vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla
quale vorrebbe subentrare.
Messi così
in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione
del movente del generico ricorso che si restituisce.
IL
PREFETTO.
* * *
Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle carte che
abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo gesuita
racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un Nalbone),
che viene a trescare politicamente contro i Matrona.
Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il compaesano
padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i guanti
gialli. [24] Per converso, il Messana - che con i Nalbone
ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con
sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo
Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche
per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro
per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto
personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel
sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali
locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.
Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali locali,
sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti racalmutesi alla
Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel pieno della lotta
ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere anonime. Una di
queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone. Riportiamola; è
uno spaccato della Racalmuto di allora: [25]
«Signori Presidenti e componenti la Commissione
d'inchiesta - Canicattì.
«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco di Racalmuto.
E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per adempiere ad
un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo scalzare. Avanti
adunque, dietro vi sta l'abisso.
«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più
sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è
all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli
arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto;
quando il denaro del popolo trovasi
impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi;
quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la
libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta
dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o
la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene
indifferente, né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e
s'impongono, quando gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi
cittadini sorsero per protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il
denaro del pubblico cessi una volta di essere il patrimonio di una .. casta.
«Alcuni lodarono l'attuale stendardo tenutosi da undici
anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della più efferata
tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la minaccia, colle
violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il medio Evo in
permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con una franchezza
tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza governo. E' lo
stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di parte, si
rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto,
perchè ebbero il coraggio di seguire
l'impulso della propria coscienza, e
negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore
provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì
Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo
dicendo che non lo schiaffeggiava per
non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il
funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto
aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di
giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni
dentro e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello
stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e
diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali
rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la
ricchezza pubblica e la privata ancora.
E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale
floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente
aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo
stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.
«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente? Non lo
sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a reclamare,
nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria, preconcetta,
imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla
guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai quali si fan
passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e
provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.
«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano pesantemente, come
una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per la strada da
giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire,
Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente
dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio
prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo l'interesse
dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente
destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in
Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli
Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è
riparato. Quando nella relazione del valente
professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro
, non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato
che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove,
e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.
«Or allora che questi, quando ci parlano tutti nell'anima,
si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà confermato. Ebbene Sigg.ri
della Commissione in questo caso altro non resterà all' Ill.mo che sulle
orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci Matrona Sindaco di
Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci uno per uno in
segreteria e trucidarci.
«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione ed il
domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e depauperato
non avrà pace giammai.»
Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere. Non si
può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente stretto de
gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof. Giuseppe
Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto Giovanni
Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello, Luigi
(1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili in
atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.
Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata
concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della
firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone.
Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza
preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro
tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei
Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro
delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli,
mafiosi e massonicamente corazzati. Si
beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili
avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato
racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione
vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo
di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del
1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di
Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto)
aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello
Giovanni Vito (11710-1755) di sposare una Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco
Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa la potentissima Gesuela Busuito. Alle
fortune di famiglia si associano ora quelle del ricco prete don Francesco
Busuito [26],
ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui
notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo
che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari
racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne
impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in
contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di
Grotte. [27] t.
Vanta il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe -
fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare
prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue
possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un
facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.
La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è
affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i
Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili”
il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango;
devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane
età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo
casino” come dice il gesuita.
I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale circolo
dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale e se lo
legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di Racalmuto - che
se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo - mandano
«diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre
Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan passeggiare e
fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una
guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti, in 22 vanno dal
sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al diavolo, si
direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare accertamenti, ma
alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui ubriaconi: una
bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di ubriachi da non
prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei Matrona in
generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i soci del
vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.
* * *
Ma in fin dei conti
la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei galantuomini dissidenti è
stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze di quella missiva del
gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta parlamentare sulle condizioni
sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta celebre negli annali del
nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi allarmanti: l’ordine pubblico
è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è circondato da bagarioti in
odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli animino dei codini e
questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa Matrona con un prete
don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario delle terre del
Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne infischia del
liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio che
appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata sul
luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico, ma
che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi hanno
modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce meschinella e
patetica, in pratica floscia ed insignificante.
Di quella prolissa inchiesta sono stati pubblicati gli atti;
a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la lesse: lì c’erano elogi
sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi fratelli; traspare una sospetta
intesa massonica; restano oscurati gli intrecci negativi che coinvolgono la
potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la lettera che abbiamo
riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982, si prese la briga di
prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe a dire: «A loro, ai
Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature,
macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i Matrona si occuparono
di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di dargli splendido teatro e
di farlo attivamente funzionare, ma anche della sicurezza sociale.
Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, del 1875-76,
citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di Girgenti Rossi,
riguardano Racalmuto ... e della
deposizione del colonnello comandante la zona militare di Girgenti ..» Il
prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona; questi invece vengono
osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso della misura. «Ci sono
esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono
riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel circondario di Girgenti. A
Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa
istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano
reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli si sono messi
d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi delitti -; montavano a
cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo hanno reso quel paese il
modello non solo della Sicilia ma del continente. Sulla strada per andare a
Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo dove ci sono scuole,
locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno fatto di quel paese
qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno voluto ...» Certo
Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva, avendo tra l’altro
scritto Il Giorno della civetta
- avrebbe dovuto diffidare delle parole
di quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati
fino ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini,
come vigilantes all’americana. Le
carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di Agrigento e quelle comunali
- testimoniano invero su tali arditezze dei Matrona; non c’è da rimanerne
ammirati. Tutt’altro!
Il 20 dicembre 1975 era partita da Racalmuto questa lettera
anonima:
«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un
anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle Signorie loro ill.me
per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla
riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro
Augusto Sovrano
«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza
che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. [...] Sotto
la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose (sic) per
Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare. Si chiede quindi
che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona,
Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo
Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic) Mantia, Arciprete, Michiele (sic)
Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno
saputo collidersi e colludersi chi più chi meno; e formano i gaudenti
dell’azienda Comunale.»
Sappiamo così da chi era formato il clan dei Matrona.
Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti cinque
fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue manie
mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il fratello
Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai Tulumello, e
finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo visto sopra. Un
anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora l’anniversario, in pompa
magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma questi rifiuta lo
stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è scandalo. Il Tulumello
stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo aggiunto a scandalo: chissà
chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi gli eredi di Calogero Savatteri
detengono quella lettera non firmata.
All’archivio di stato
di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico gesto dei Matrona su cui in
definitiva quel colonnello citato da Sciascia poggia i grandi meriti di lotta
alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo nel novembre del 1873. L’intera
corte familiari di quegli ottimati se ne sta ancora in “campagna”, in quella
villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due volte: nella citata prefazione
al libro del Tinebra e nella recente pubblicazione - a spese della comunità
comunale provinciale e regionale - “gli amici della Noce”. Nella prefazione
(pag. 13) abbiamo questa ammaliata descrizione «Mentre scrivo, nella mia casa
di campagna di contrada Noce, ho di fronte - da una collina all’altra - la settecentesca
casa di villeggiatura dei Matrona, grande ed armoniosa .. E ancora negli anni
della mia infanzia era luogo di meraviglia, di delizia. C’erano palme e
magnolie, siepi di rose e d’oleandro, alberi qui rari come i corbezzoli, i
giuggioli; e giganteschi pini di fitta ombra e odorosi. C’era pure una grotta
che nelle pareti e nella volta era stata rivestita di cristallini, splendenti
schisti di zolfo e di salgemma, di stalattiti. C’erano le due fontane: una
rettangolare, ad abbeverarvi i cavalli;
l’altra rotonda, grande, in mezzo una colonna con sopra un vaso traboccante di
capelvenere - e il fresco suono dell’acqua.» E la suggestione si accende di
erotismo - insolito in Sciascia - ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle
villeggiature di quella grande famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle
feste; delle colazioni sull’erba in cui tra i lini e gli argenti, nel profumo
delle magnolie, e luminose e profumate come magnolie, donne di mai più vista
bellezza splendevano; delle carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei
cavalieri, dei lacché, degli stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo
usuale velo pudico [pag. 11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni
sera, - confida - alla stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che
fa da sfondo all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre
in esso come una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come
un ventaglio, quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di
stelle e con la luna così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare
come un gong.»
Ma una cronaca meno ammaliante, anzi prosaicamente meschina,
la possediamo e riguarda proprio quella grande famiglia. Citiamola, senza
orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23 novembre ultimo scorso, la
contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di più malfattori. Il fatto
che quattro persone armate, eransi rivolte giorni prima per la casina dei
ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono dalla rete dandosi alla
fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina Francesco, erasi
pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di portarsi in
quelle campagne.
« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone armate si
presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e
stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi
Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig.
Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola
dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si
trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi
anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e
l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il
nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi
Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla
casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella
Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il
comandante dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4 banditi: due però riescono a
scappare, ma non vanno lontano visto visto che il fratello Napoleone con
Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.
«E la giunta, compresa della valorosa azione, sul riguardo:
«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34, ammogliato senza
prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di fortuna;
«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36, ammogliato e
padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;
«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo di 31 anni ...
«tutti figli di Pietro di Racalmuto, arrischiarono
evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori, che infestarono
la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a ciascuno degli stessi,
una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato sarà effigiato lo stemma
di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e nell’altro lato scolpito
il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA 4 dicembre 1873.
CONTRADA NOCE.
« ... Questa Amministrazione accorda le seguenti ricompense
pecuniarie:
«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria, contadino:
«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria, contadino;
«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto, contadino;
«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria, contadino;
«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»
Quella storiella che puzza di ipocrisia e di peculato per
retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune - altro che un
don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il colonnello
di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai commissari
dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio indispettito per
tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare apparire atti eroici
mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno di bagarioti, di quel
sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben tratteggiato nella lettera
anonima che racconta della strusciata di
piedi avverso il nuovo casino del barone Tulumello. Va notato che il prefetto
stizzosamente boccia quella impudente delibera della giunta comunale di
Racalmuto con queste eloquenti parole: «le insegne e medaglie dei quali possono
fregiarsi i cittadini sono quelle concesse dal governo.» (nota del 25 marzo
1875). Più che un sindaco repressore della mafia, don Gasparino emerge dai vecchi documenti come un uomo al
top della cupola cui non si può impunemente far torto alcuno. Un incidente come
quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e latitanti pietivano un
po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si ripeté qualche tempo
dopo. Riferisce il procuratore del re [28]
alla Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma,
naro, Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più
serie. Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo
grassazioni in un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi
contadini che noi vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come
accadde a pochi passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura
pubblica dove vi erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto,
hanno intimato al cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla
vettura, li hanno fatto mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700
o 800 lire, e poi tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi
disse che erano quei lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si
sono già fatti sette arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do
Gasparino non lo subì passivamente: poi
gli amici degli amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il
maltolto e nel punire gli insolenti.
Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di spunti storici
pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di Gaspare Matrona (pag.
265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per compiacere Sciascia, che
però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente attendibilità e con
dovizia di documenti inediti.
Un quadro disarmante viene però dal testo delle deposizioni
che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al distaccamento
della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon effetto e
così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un deputato
e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare sui
massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione
sedente in Racalmuto. Trascriviamo dal
fascicolo 11, sott. 8 [29]gli
«Appunti degli interrogatori tenuti dalla
sottocommissione nella città di Racalmuto nel giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione
della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da presidente, Alasia, Consigliere di Stato,
Cav. Luigi Gravina Deputato - Testimoni uditi:
1) Gaspare
Matrona - Sindaco
2) Enrico
Micali-Freri Pretore
3) Delegato
di Pubblica Sicurezza
4) Bonfanti
Antonio Maresciallo Carab.
5) Dr.
Diego Scibetti Troise
6) Carlo
Lupi
7) Giuseppe
Grillo.»
Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente trascrizione
stenografica:
«Racalmuto 21 Dicembre
1875.
Comm. Verga
Comm.
Alasia
Deputato
Gravina
------
Gaspare
Matrona - Sindaco
di Racalmuto.
= S.P.?
“Ottime le
condizioni di S.P. qui si è dato sempre il buon esempio a reprimere i birbanti.
Le autorità hanno coadiuvato.
=
Ammonizioni?
“Molti e
bene ammonimenti. Si è visto tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic]
Morello di Canicattì. E’ ritornato prima che finisse la pena. La voce pubblica
dice che la prefettura l’ha fatto tornare prima per servirsene.
= Sono
sorvegliati gli ammoniti?
“Non
abbiamo che i Carabinieri ed a questi è affidato il servizio.
= Le
autorità disimpegnano il loro ufficio?
“Sì,
succede qualche cosa ma non è scossa la S.P.
= Ma la
S.P. anche in campagna?
“ Parlare
di Racalmuto nelle campagne non ci può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva
di Favara, un altro di Girgenti e qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la
classe dei solfatari che è a tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre
dato braccio forte alle Autorità.
= Attriti
ce ne sono?
“ Da
qualche tempo in qua c’èstato qualcosa, per quistione municipale. La reale causa
è la presenza di un Gesuita Padre Nalbone il quale ha suscitato degli attriti;
si è messo a capo di un partito elettorale.
= Ci è
partito clericale?
“E sì, ci
è.
= Le
Autorità si sono immischiate?
“ No ... Io
come sindaco non mi sono immischiato, ma quando si è trattato di questione
elettorale ho dovuto prendere parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare,
qui li chiamano Canonici.
=
L’amministrazione comunale?
“E’ in
buone condizioni, debiti non ne abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio
di consumo.
= Scuole?
Le scuole
elementari, e le scuole facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole
serali.
= Asili?
“ Niente.
= La
sovrimposta?
“ La
sovrimposta l’abbiamo per la costruzione delle vie.
= Opere
Pie?
“ L?antico
monte frumentario, oggi tradotto in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le
congreghe che sono ricche, ho fatto di tutto per farle tradurre in opere di
beneficenza, ma non ci sono riuscito.
= Amm.ne
Giustizia?
“ Non ho
che osservare. E’ in regola mentreché è importantissima questa Pretura.
= E
l’affare fanciulli nelle zolfare?
“E’
questione grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico
dall’altro.
= Produce
danni fisici e morali?
“ Non
quanto si crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio.
Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere
l’acqua occorrerebbe potersi avvalere della costruzione di acquedotto dei
terreni sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.
= Ferrovie?
“ Insiste
per la linea Caldaje dicendo essere utile all’industria per lo zolfo e le
saline. Dice che la strada di Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono
fatte due strade intercomunali.
= Pel
servizio delle imposte?
Ci sono
sempre reclami, ci è deèerimento sempre e variazioni continuee nelle miniere.
= Ricchezza
Mobile, ci è vessazione?
“ Si
lamenta la lungheria nella via dei reclami, a me non consta che ci siano
lagnanze per arbitrio dell’Agente. Io credo che il lamento non è di pagare la
tassa, è di avere i vantaggi che ha il resto d’Italia, manchiamo di strade.
= Macinato?
“ Procede
bene. Racalmuto è molto ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e
l’affare della strada provinciale.
Pretore
Enrico Micali-Freni
= S.P.?
“ S.P. non
lascia nulla a desiderare. I cittadini si prestano grandemente in favore della
S.P. per la scoverta dei reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il
Sindaco si seppe tutto e si procedette all’arresto.
=
Ammonizioni?
“ Ce ne
sono molte. Quelli per i quali finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto
a sorveglianza è difficile perché il numero è esuberante.
=
Quell’individuo Caloggero Morelli ritornato dal domicilio coatto prima del
tempo?
“ Non lo
so. In quanto ad ammonizioni io credo che bisognerebbe amminire meno.
= Partiti?
“ Ci è un
partito che cerca spiantare l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito
attuale stia bene al potere.
= Chi è
capo del partito contrario?
“ Il
fratello dell’attuale Sindaco il quale per non comparire mette avanti il barone
Tulumello.
= Altri
servizi? Imposte?
“ Procedono
regolarmente; le Autorità non sono ostacolate.
= Ma le
campagne sono sicure?
“ Ci sono
piccole grassazioni. Io feci fare degli arresti dei sospetti ed ora stiamo
bene. Sono giovanotti che lavorano molto, guadagnano, giocano e bevono. I
carabinieri sono ottimi.
Delegato di
S.P.
[E’ in
missione di delegato da due mesi. La S.P. è migliorata. Parla delle piccole
grassazioni e degli arresti fatti e dell’arresto fatto per lettera di scrocco
di un tale di Bagheria. La classe intelligente aiuta le autorità. E’ tornato
qualcuno dal domicilio coatto.]
= Se con
condotta regolare dal loro ritorno? E Calloggero Morelli?
“ L’adopero
qualche volta come confidente, perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore.
Sino ad ora un bel servizio non l’ha ancora reso.
= Partiti?
“ Matrona
attuale sindaco e l’altro Tulumello.
= E lei
cosa crede?
“ Credo che
se trionfa l’altro il bene del paese non ci guadagnerebbe certo.
=
Amministrazione della giustizia?
“ Nessun
reclamo.
Bonfanti
Antonio -
Maresciallo dei Carabinieri
= S.P.?
“ Non è
cattiva. Vi è stata qualche cosa perché ora giocano molto. Io credo che tra gli
arrestati vi siano i rei delle grassazioni. Io questi li ho visti sempre
giocare, con delle donne, anche nelle bettole.
= Ma non ci
sono ammoniti?
“ Come si
può? Gli ammoniti sono 61 e noi siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è
facile, ci è un sindaco ottimo ed ha un partito di ottima gente.
Dott. Diego
Scibetti-Troise -
Consigliere Comunale
“
Raccomando le ferrovie delle Caldaje per Canicattì. Vorrebbero che più
sorvegliata la classe dei forestieri che vengono a lavorare in Racalmuto.
Aumentare la forza per sorvegliarli e mettere le librette.
= Crede
nocivo ai fanciulli il lavoro delle miniere?
“ Non
soffrono molto. Si sa che il peso che portano sempre loro nuoce. Il paese
reclama che non si pensi all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica,
non vi sono che scuole elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose
di lusso e fare il palazzo.
= Ma le
poteva fare, non vi sono debiti?
“ Debiti
non appariscono ma ci sono. Di 100.000 lire che furono stanziate per spese se
ne sono spese 87.000 per la sola casa comunale, circa 40.000 per la casa dei
carabinieri; quindi i debiti ci sono. [Dice che sarebbe inutile la via di
Favara].
= Ma le
elezioni si fanno regolarmente, le liste sono ben fatte? Che cosa può fare in
questo la Commissione d’inchiesta? Si sa che il sindaco deve avere la
maggioranza; prendete voi il di sopra!
In fatti di
S.P. si aiuta l’Autorità?
“ Siamo
tutti uniti nell’ajutare l’Autorità, in quel caso termina ogni idea di partito.
Ma nel Consiglio ci vorrebbe altri.
= Che?
“ Io
ritengo di sì. La pretura, il delegato, i carabinieri fanno il loro dovere.
= Imposte?
“ Niente
... Abbiamo ottimo esattore.
= Macinato?
“ Niente.
Carlo Lupi
=
L’Amministrazione comunale?
“ Va
benissimo l’amministrazione comunale perché il sindaco è ottimo.
= S.P.?
“
Nell’interno è ottima ma nelle campagne ci è qualcosa.
= Le
ammonizioni procedono bene?
“ Sì.
= I
carabinieri?
“ Ottimi.
= Elezioni,
imposte?
“ Niente
= A’ altro
da dire?
“ [Parla
del Matrona fratello del sindaco che è un clericale, nemico di ogni progresso.
= Ma per la
casa ci è debito?
“ No.
= E’ forte
il partito Matrona?
“ Non tanto
... Il Matrona ed il gesuita che venne qui, hanno cercato minare il paese. Il
Matrona accusa il Municipio di aver fatta la strada comunale per andare
commodamente al suo podere.
= Ma si
lagna il partito contrario per la mancanza di scuola tecnica?
“ La scuola
tecnica non avrebbe che un solo allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza
di allievi.
= La scuola
elementare quanti allivi ha?
“ Oggi sono
dodici.
Giuseppe
Grillo Cavallaro
S.P.?
“ Qualche
cosa succede raramente.
= Imposte?
“ Niente a
deplorare.
= Partiti?
“ Sì per
ambizione.»
Da annotare. Colpisce il fatto che proprio il fratello del
sindaco stia dalla parte avversa, con il gesuita Nalbone. Don Giuseppe Matrona
- su cui abbiamo dato prima ragguagli - quella faccendo di essere finito in
galera per la iattanza del prefetto Falconcini non ebbe mai a digerirla. Rimase
ostile ai savoiardi ed a quali li rappresentassero, fosse anche il giovane e
rampante fratello don Gasparino, che evidentemente per bramosia di potere fu
disposto a tenere in poco conto i torti subiti dalla sua prestigiosa famiglia
ed a dimenticare quegli abbracci umilianti in presenza del sindaco Mirabile di
Agrigento. Più indaghi e più la figura di don Gasparino si deteriora, a scorno
dell’esaltazione sciasciana.
Nelle poche battute riportate nel resoconto stenografico
della Commissione d’inchiesta, don Gasparino appare arrogante, incolto, ma
particolarmente cinico quando accenna alla sorte dei “carusi” delle miniere di
zolfo. Anche in questa occasione don Gasparino emerge come uomo che domina la
mafia: una lettera di scrocco? Arriva lui e tutto va a posto.
Vi è un codazzo di corifei attorno a don Gasparino: pretore,
maresciallo dei carabinieri, il lacchè Carlo Lupi, l’evanescente Giuseppe
Grillo Cavallaro, non hanno pudori, non hanno ritegno quando si tratta di
esaltare il loro protettore, il sindaco don Gasparino. Nelle brume della
memoria, dopo, quegli opportunismi divennero esaltante mito che perdura sino ai
nostri giorni, con il suggello di tanto nome: Leonardo Sciascia. Una sola voce
discorde: quella del dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci pensano addirittura i
commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di quell’organo inquirente.
L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere, massonicamente,
l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don Gasparino Matrona.
Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61 ammoniti, un solo
allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino si affretta a
chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale - e solo 12
alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica inconsistente in un comune che quasi fiorava i venti mila
abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile nelle miniere, che
metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per il fatto che qualche
riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto c’era solo da storcere
il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati minori, e per il loro
vezzo di spenderli al gioco e con le
donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non è elevata. E don
Gasparino non fa eccezione, anzi!
Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo ammaliati; la
sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo moralismo
sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno d’inventiva
inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed infatti non
l’amò. A noi - che molto più
sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi
umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il
banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi,
l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo
proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia
andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della
Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente
cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del
Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la
pubblicazione .. della storia del paese
di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine
[pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono
estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli
sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della
memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche,
eppure sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In
ogni caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico,
c’è molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una
famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio
o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto
invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro
ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli
bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente
collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti
“amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia,
sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente:
«Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più
tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si
limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava
propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro
il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel
comune amministrato con tanta dedizione,
coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della
Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i
Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col conseguente effetto di un ritorno al
malandrinaggio, della mafia, delle usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere
vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino
Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino
Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri
dovette abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le
carte dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella
nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico
della precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare
un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che
fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità
verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio
rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche lui,
da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada,
edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di siffatte
gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri antenati
zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini, ottimati,
signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non sapere scrivere
né sottoscrivere per non averlo mai appreso.»[30]
E gli zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da
“carusi” andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come
arrogantemente don Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come
don Gasparino risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a
cuore gli spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e
ballerine. Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far
[pag. 11] «scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello,
fontanelle rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don
Gasparino dura secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci
crede neppure il prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla
memoria di Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto
fu inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei
matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in
pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia”
secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice
XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di
Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della
legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è
l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una
massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [31]
Oggi - molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie
dell’Antimafia, proprio quella che Sciascia non amò tanto.
Archivio Centrale
di Stato - Roma
- "Commissione Parlamentare
d'inchiesta - 1875-76"
«Vi è una lettera di
Nalbone Francesco di Racalmuto -
rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti - contro il
Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5
- sf. 3 lettera N - n. 1»
«Fascicolo 11 sott.
8 -
[V. acclusa fotocopia]
[Cfr. Fascicolo 66
per la trascrizione del resoconto stenografico]
[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali
ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA "A" n. 15]
da Racalmuto, 20
dicembre 1875 (anonimo)
«Illustrissimi Signori Onorevoli
Componenti la Commissione
d'inchiesta parlamentare
Canicattì
«Illustrissimi
Signori,
«Racalmuto, che in
questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante
appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia,
alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal
nostro Augusto Sovrano .
«E però l'allarme si
rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra
rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una
Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con
violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni
pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che
per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.
«Dei reclami si sono
presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto per più
versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica anzia
[sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle
Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che
sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per
Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.
«Si chiede quindi
che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso
Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele
Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti
comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e
formano i gaudenti dell'azienda Comunale.
«Con ogni sicurezza
allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle
condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e
giusti provvedimenti.
«Si spera giustizia.
«Racalmuto 20
Dicembre 1875»
Nella "Rubricella" contenuta nella
Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio
della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della
Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la
numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le
"petizioni", alla lettera N risulta la seguente
annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle
precedenti lettere non firmate:
«
N.ro ordine
«Nalbone Francesco 1
"al
prefetto di Girgenti"
e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa
scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla
Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:
1 Nalbone Francesco di Racalmuto «Reclamo
contro il Sindaco di Racalmuto»
* * * * * *
Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32
Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.
-----------------------
Fascicolo n. 403
(Inventario n. 32)
- Conti Racalmuto
1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.
reso dal Tesoriere
Comunale Nalbone Giuseppe.»
- Anno 1885
reso dal Tesoriere
Comunale Nalbone Giuseppe.
[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C
1]
Archivio Centrale dello Stato
- Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) 1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30
luglio 1925.
«il 15 andante circa
120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero
dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento
del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti
recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che
fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno
20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno
solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose
trattative .... fu raggiunto accordo sulla base
... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto
p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28
luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
«Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario
Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano
in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav.
Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto
esercente miniera Quattrofinaiti
Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza per la
sua parte della miniera Gubellina
... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità
di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di
Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di
Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino,
Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta
Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di
consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose
nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno
accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio
dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle
seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1°
Agosto 1925.
«Gli esercenti
tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118
ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale,
concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base
pagato sin oggi.
«Tale aumento unito
ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul
prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti
delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da
domani 29 andante.»
Archivio Centrale dello Stato
- Roma
- Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) 1932 - Busta 41 sf. C 1]
30.6.1932
«29 corrente Racalmuto
- Nalbone Luigi proprietario
esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso
estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante
Tenenza Ten. Lo Monaco.»
*
* * * * * *
Da una lista a
stampa dell'Archivio di Stato di
Agrigento
«Lista della sezione elettorale di
Racalmuto.
«N.ro d'ordine - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data
nascita - titolo o qualità che gli
lista lista conferisce
il diritto
com politica
elettorale commer-
mer comuna
le
ciia le
le
--------------
181 316
- Nalbone Giuseppe di Luigi - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182 317
- Nalbone Angelo di Luigi - 2 giugno 1863
[1] )
Enrico Falconcini, Cinque mesi di
prefettura in Sicilia, Firenze 1863, pag. 49.
[2] )
Massimo Gangi, La Sicilia contemporanea
- pag. 117.
[3] )
Domenico De Gregorio - Ottocento
Ecclesiastico Agrigentino - vol. II, La sede vacante - Agrigento 1968,
pag.32 e 33.
[4] )
Giovanni Spadolini tesse uno sperticato elogio di questo napoletano, esponente
della Destra, nel libro su Gli Uomini che
fecero l’Italia - L’Ottocento -
Longanesi 1972 . pag. 174 e ss.
[5] )
Leonardo Sciascia - Le parrocchie di
Regalpetra - Bari 1982, pag. 24
[6])
Mons. Domenico De Gregorio, Ottocento ..., op. cit. pag. 52.
[7] )
Invero un don Luigi Tulumello di un otaio defunto, don Gaspare, era pu vivente
a Racalmuto; ma non crediamo che avesse cultura ed interesse alle questioni di
diritto canonico, a meno che non scrivesse d’ordine e per conto di chissà chi.
In matrice abbiamo rivenuto quest’atto di matrimonio:
1825
|
11/6/1825
|
TULUMELLO Dn
LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
|
MATTINA D. ROSALIA
|
TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
|
GRILLO D. MARIA
|
[8]) Luigi Pirandello - I vecchi e
i giovani - Oscar Mondadori 1973 - pag. 142-143
[9]) Nino Savarese - La Sicilia nei suoi aspetti poco noti od ignoti - in
Delle cose di Sicilia - vol. IV - Sellerio editore Palermo 1986, pag.
254 e segg.
[10])
Cfr. Atti della Giunta per l’Inchiesa
Agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I, fasc.
III, Relazione generale, Roma 1885,
pp. 661-662.
[11]) Cfr. L. Hamilton Caico, Vicende e costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, pp.
118-121.
[12])
Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza - 1930,
busta 310 fasc. C1 - Relazione del prefetto Miglio del 16 luglio 1931.
[13])
Cit. in S. Bosco, Il
proletariato a Favara. Lotte scioperi ed altre manifestazioni dal 1860 al 1960,
Sicilia Punto L Edizioni, Ragusa. S.d., p. 75.
[14])
Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l’inchiesta sulla Sicilia -
Fascicolo 66.
[15])
Elaborazione dai dati riportati dallo studio di Mario
Cassetti - Fascismo e crollo operaio. I
villaggi minerari (1937-1942)
in Economia e società nell’area dello
zolfo - secoli XIX-XX -
Sciascia Caltanissetta editore 1989 - pag. 456.
[16]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 443.
[17] ) Camera dei Deputati - Discussioni - 6° Periodo, pag. 6341 e
segg.; ibidem, tornata del 12 giugno 1863, pag. 237 e segg.
[18] ) Archivio di Stato di
Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[19] ) Archivio di Stato di
Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[20] ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 279.
[21] )
Archivio Stato Agrigento - Inventario 18 - Atti prefettura - voll. 43-43bis.
[22] ) Calogero Savatteri.
Pensieri .. Favara 1879, pag. 63
[23] ) ARCHIVIO DI STATO DI
AGRIGENTO - Inventario n. 18 - fascicolo
n. 42
[24] ) Angelo Sferrazza Papa, S.J. - Francesco di Paola Nalbone, S.J. - L’uomo -
il sacerdote - il gesuita - Istituto “Ignatianum” - Messina 1995 - passim,
ma in particolare pagg. 17-22.
[25] )
Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali
ed economiche della Sicilia 1875, Scatola 7 fascicolo 5 - sf. 2 [sottofascicolo
2] lettera A n. 13 - "inchiesta - Lettera Anonima [n. 13]
1875 [Fascicolo 5- sf. 2- 13]. In effetti la lettera non era anonima: a
firmarla era stato tal Francesco Nalbone come emerge dal
Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1 ove si annota che una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto era stata rimessa al Prefetto di
Girgenti e quindi non figurava agli atti: la lettera era contro il Sindaco di
Racalmuto .
[26] ) In matrice il Busuito è
così segnato: «
Collegiale, Missionario, predicatore, quaresimalista, consultore del S.
Officio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Mons. Gioeni alla casa
degli oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente - M. di Lettere, di
teologia Morale, Prefetto di Studii, Direttore - Rettore del Seminario di Girgenti - Vicario Foraneo - Beneficiale
del SS. Crocifisso - Economo - Obiit 29 Januari
1802 - d’anni 74.
[27] ) Salvatore Cucinotta - Sicilia e siciliani, dalle riforme
borboniche al “rivolgimento” piemontese - Soppressioni - Ed. Siciliane
Messina, 1996 - pag. 483 n.° 441. Invero, quell’esimio studioso mal trascrive
vari dati: bisogna infatti leggere “L. Nabbone” per “L. Nalbone”, “c.
Bruscamente” per “contrada Sacramento”. Il Nalbone ebbe ad offrire L. 655
maggiorando sensibilmente il prezzo base dell’asta fissato in L. 423, maggiorandolo
del 54,85%: ovviamente vi teneva proprio: ma
655 lire di allora erano davvero una bella sommetta. Si trattava di quattro
ettari di terre seminativi in una contrada che crediamo essere quella di
Racalmuto: non ho conoscenze di contrade con tal nome in quel di Grotte, come i
dati riportati dal Cucinotta potrebbero far credere. L’aggiudicazione di quei
beni ecclesiastici - con comminazione di scomunica ipso facto - avvenne nel 1879. In quell’anno due gesuiti vantava
proprio don Luigi Nalbone nella sua famiglia: p. Giuseppe che doveva essere a
Noto essendovi stato chiamato nel 1878 da Mons. Giovanni Blandini come Rettore,
Prefetto degli studi e Amministratore del Seminario (cfr. P. Sferrazza, op.
cit. pag. 33); ed il futuro papa nero, anche se a quel tempo era solo sul punto
di andare novizio dai gesuiti. Non certo dal figlio che era solo un
adolescente, ma dall’intrigante fratello ebbe il benestare ad imbarcarsi in
un’asta sacrilega?
[28] ) Archivio centrale di
Stato - Roma - resoconto stenografico degli interrogatori in Girgenti nella
tornata del 16-12-1875 pag. 123 e ss.
[29] )
Archivio centrale di Stato - Roma - Commissione Inchiesta Sicilia 1875-1876.
[30] ) da
un atto del notaio Grillo Borgese del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860
li. 1 col. 19 f 98 n.° 1794 c.a 5,
ricevuti grana venti - D. 20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[31]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.
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