giovedì 17 gennaio 2013

Racalmuto il paese del caciummo


Confesso: trovo talora questi miei cari concittadini davvero paesani intus et in cute: patetici. Chi nasce nel paese del sale dello zolfo e del caciummo non può dimenticare che ha il dovere di non ledere il suo DNA: è costretto all’ironia, alla frase blasfema, ad andare con il tasco di sghimbescio. Mai piangere, mai pietire, sempre con la battuta sferzante. Diversamente è patetico.

Vi è poi il caciummo: molto lo si usò nel dopoguerra: accresceva furtivamente il peso dell’”astratto”, tutti i commercianti di conserva del pomodoro senza buatti lo adoperarono e si macchiarono di questa piccola colpa truffaldina.

Mercatoribus licet inter se circumvenire. Anche i non mercanti: anche quelli. I vecchi contadini (quelli giovani erano forestieri, prigionieri di guerra insomma) ne producevano di “astratto”  e seppero fare uso del caciummo di questo metalloide rinvenibile a Sant’Anna. Ne avevano vutticieddi chini e pesavano il 10-20% dell’effettivo. Grande idea ebbe un vero nobile, uno di una famiglia intraprendente che il “ddo” se l’era guadagnato dopo gli inquinamenti contabili della chiesa di Sant’Anna nel Settecento, approfittando del suo ufficio di rettore patentato dal vescovo di Giorgenti. Don Niniddu noleggiò credo da Angelo Collura un Mos, rudere di guerra americano, e acquisì dai contadini tutto quell’astratttu di cui disponevano. Contenti i contadini che avevano persino ecceduto nel mettere caciummu nella loro conserva raggrumata. Don Ninuddu non se ne curò, dette ricevuta, il pagamento al ritorno da Milano, a merce venduta. Ancora aspettano il pagamento i nostri cari viddani. Don Niniddu a Milano, il ricavato tutto spese, anche a donne e queste magari pagandole pur se poteva goderne gratis essendo davvero un bell’uomo. Quel pizzico di follia mista a naturale astuzia per qualche atto ardito di perdonabile ruberia tratteggia il vero uomo racalmutese. Senza poi farne tragedia, con ironico sorriso.

Ma qualche volta, invero, la saggezza scema ed efferati ammazzamenti sono avvenuti per cose di interesse. Direbbe Sciascia che talora lo zolfo racalmutese si muta in micidiale  polvere da sparo. Diu unni scansa e llibberi!

Altro vizietto nostrano non manca di tingersi di lacrimevole vittimismo. Altra volta di presunta generosità pubblica. Iniziò un Matrona che voleva far credere che a fare il sindaco lui ci rimetteva, ci metteva di tasca, insomma. Le mie carte dell’archivio agrigentino smentiscono impietosamente codesta bufala. Chi fa politica, anche quella paesana, non ci rimette, trova sempre il modo di arrotondare i propri guadagni, non sempre cospicui. Molti anzi in questi ultimi tempi hanno anche abbandonato i loro non spregevoli mestieri che il pane quotidiano ed anche il companatico lo assicuravano e hanno intrapreso la carriera di Assessore Comunale; con sti commissariamenti un disastro, si aspettano tempi migliori e intanto ci si dimena: oggi anche i blog ci soccorrono nelle tentate scalate al palazzo comunale. Mi fa specie che figli musici credono davvero che i loro (rispettabili) genitori ci avessero messo di tasca nel dotare il paese di luce, acqua gas. Forse qualche liretta furono costretti a sganciare ai legali difensori per procuratasi denunzia per qualche malversazione.  Assoluzione scontata, Invero tutto qui.

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