Confesso: trovo talora questi miei cari concittadini davvero
paesani intus et in cute: patetici. Chi nasce nel paese del sale dello zolfo e
del caciummo non può dimenticare che ha il dovere di non ledere il suo DNA: è
costretto all’ironia, alla frase blasfema, ad andare con il tasco di
sghimbescio. Mai piangere, mai pietire, sempre con la battuta sferzante.
Diversamente è patetico.
Vi è poi il caciummo: molto lo si usò nel dopoguerra: accresceva
furtivamente il peso dell’”astratto”, tutti i commercianti di conserva del
pomodoro senza buatti lo adoperarono e si macchiarono di questa piccola colpa truffaldina.
Mercatoribus licet
inter se circumvenire.
Anche i non mercanti: anche quelli. I vecchi contadini (quelli giovani erano
forestieri, prigionieri di guerra insomma) ne producevano di “astratto” e seppero fare uso del caciummo di questo
metalloide rinvenibile a Sant’Anna. Ne avevano vutticieddi chini e pesavano il
10-20% dell’effettivo. Grande idea ebbe un vero nobile, uno di una famiglia
intraprendente che il “ddo” se l’era guadagnato dopo gli inquinamenti contabili
della chiesa di Sant’Anna nel Settecento, approfittando del suo ufficio di
rettore patentato dal vescovo di Giorgenti. Don Niniddu noleggiò credo da
Angelo Collura un Mos, rudere di guerra americano, e acquisì dai contadini
tutto quell’astratttu di cui disponevano. Contenti i contadini che avevano persino
ecceduto nel mettere caciummu nella loro conserva raggrumata. Don Ninuddu non
se ne curò, dette ricevuta, il pagamento al ritorno da Milano, a merce venduta.
Ancora aspettano il pagamento i nostri cari viddani. Don Niniddu a Milano, il
ricavato tutto spese, anche a donne e queste magari pagandole pur se poteva
goderne gratis essendo davvero un bell’uomo. Quel pizzico di follia mista a
naturale astuzia per qualche atto ardito di perdonabile ruberia tratteggia il
vero uomo racalmutese. Senza poi farne tragedia, con ironico sorriso.
Ma qualche volta, invero, la saggezza scema ed efferati ammazzamenti
sono avvenuti per cose di interesse. Direbbe Sciascia che talora lo zolfo
racalmutese si muta in micidiale polvere
da sparo. Diu unni scansa e llibberi!
Altro vizietto nostrano non manca di tingersi di lacrimevole vittimismo.
Altra volta di presunta generosità pubblica. Iniziò un Matrona che voleva far
credere che a fare il sindaco lui ci rimetteva, ci metteva di tasca, insomma.
Le mie carte dell’archivio agrigentino smentiscono impietosamente codesta bufala.
Chi fa politica, anche quella paesana, non ci rimette, trova sempre il modo di arrotondare
i propri guadagni, non sempre cospicui. Molti anzi in questi ultimi tempi hanno
anche abbandonato i loro non spregevoli mestieri che il pane quotidiano ed
anche il companatico lo assicuravano e hanno intrapreso la carriera di
Assessore Comunale; con sti commissariamenti un disastro, si aspettano tempi
migliori e intanto ci si dimena: oggi anche i blog ci soccorrono nelle tentate
scalate al palazzo comunale. Mi fa specie che figli musici credono davvero che
i loro (rispettabili) genitori ci avessero messo di tasca nel dotare il paese di
luce, acqua gas. Forse qualche liretta furono costretti a sganciare ai legali
difensori per procuratasi denunzia per qualche malversazione. Assoluzione scontata, Invero tutto qui.
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