MOZIONE
D’ORDINE DEL SOCIO FERRARA MICHELE
Quanto
andrò dicendo mi auguro sia preso nella debita considerazione dagli artifici di
questo irricevibile bilancio - chiunque essi siano; ovunque essi risiedano; a
qualsiasi centro d’interesse appartengano;
specie se espressioni di soci egemoni, impalpabili, romani, rivestiti
fors’anche di veste quasi giuspubblicistica; che costoro abbiano l’accortezza
di ritirare un documento improprio nell’impostazione, criptico nella
delucidazione, carente nelle motivazioni, illeggibile nell’ordito numerico e
via dicendo.
Spero anche
che i soci di minoranza comprendano il vero gioco consumato da quello dominante
e abbandonando le loro ripicche paesane si accingano - almeno in questa sede -
a far valere le loro sacrosante ragioni, condizioni indispensabili per
sensibilizzare finalmente le autorità tutorie, sinora prese da esigenze di
tamponamento di malvezzi bancari territoriali.
Il bilancio
che ci viene chiesto di approvare ha un taglio decisamente incomprensibile:
nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di tavole e tavole di aridi
numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché all’improvviso si riesumano
fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e - divenuto il socio egemone
padrone assoluto del consiglio di amministrazione, dopo il defenestramento o le
dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti della minoranza - si è inferto
un colpo esiziale alle residue valenze patrimoniali dei soci minoritari. Non è
qui il caso di rammentare che la Banca di Roma diviene all’improvviso padrona
assoluta della Mediterranea senza conferire - o quasi - alcun apporto per
consolidate plusvalenze della precedente azienda bancaria, benedicente - e
stavolta a cuor leggere - l’organo tutorio. Beh! Ora ci viene addirittura
chiesto di azzerare il “fondo soprapprezzo azioni” che noi soci di minoranza e
noi soli abbiamo costituito, con solo nostri sudati - ed ora dispersi -
capitali freschi, strafregandosi di tutti i divieti per conflitto d’interessi e
rimettendo alla volontà dittatoriale del socio egemone la decisione
dissolvitrice del patrimonio altrui, senza contemplare gli ostacoli anche
giuridici che vi si contrappongono. Sapremo noi soci di minoranza difenderci
almeno in questo? Per le ragioni che svolgerò dopo? O la voglia di consumare
vendette per vetuste beghe personali avrà il sopravvento? Ma alla fin fine -
anche se da solo - credo che riuscirò a
salvaguardare i diritti e le aspettative della minoranza.
Tre o
quattro cifre sintetizzano la devastazione bancaria che con questo progetto di
bilancio - frutto solo dell’inventiva dei rappresentanti del socio egemone - ci
si propone addirittura di “approvare”, come se non si trattasse di manovre
volte solo a nostro danno, a danno cioè dei soli, indifesi, modesti, potentini,
maldestri soci, divenuti proprietari solo del 49% del derelitto capitale della
banca - e prima eravamo il 100% e prima i soci di Pescopagano avevano
addirittura diritti inalienabili di prelazione - soci retrocessi a comprimari
per estranee intrusioni non sbaragliate a suo tempo per interferenze anche
autorevoli.
Omnia consumpta! Tutto è consunto: con questo
atto (non possiamo chiamarlo di pirateria, per non farci querelare) anche la
residua parvenza di essere compartecipi di un’azienda bancaria s’intende
dissolvere, consumare: senza renderci avvertiti di nulla, con schematiche
incomprensibili note, con sottovalutazioni delle nostre ragioni, con misteriose
alchimie contabili, con l’accennare e lasciar cadere la cosa, come si trattasse
di cosa minima, scontata, vecchia e nuova a seconda delle convenienze. Artefice
palese: un consiglio d’amministrazione evirato dei residui rappresentanti della
minoranza; artefice occulto: estranei servizi studi e legali romani (dobbiamo
pensare che si tratti di quel soggetto a cui il bilancio dedica un’intera
pagina - la n.° 63 - praticamente vuota: un pensatoio romano che fa utilizzare
i suoi consulenti, superpagati dalla banca dominata: leggere per credere
un’arida posta: quella di pag. 56 “4.2 Composizione voce 80(b) ‘altre spese
amministrative’ - (b) Competenze a
professionisti esterni: L. 6.413.846.934; e non si è capito male: neppure
l’anno prima si era scherzato ma per un miliardo e mezzo in meno; allora
l’importo era stato : L. 4.914.115.300)”. I signori del progetto di bilancio si
fossero degnati di fornirci un minimo di notizie: mistero assoluto, al contadino non far sapere quanto è buono
il formaggio con le pere!)
Dicevano
delle tre o quattro cifre strategiche del progetto di bilancio; eccole:
1. - perdite di esercizio L.
129.954.978.671 (pag. 38);
2. - sofferenze : L. 1.172/miliardi
(contro L. 764/miliardi del precedente anno con balzo vertiginoso del 53,40% -
vedi pag. 14);
3. - partite incagliate ancora per L.
191 miliardi, nonostante i massicci ed improvvidi passaggi a “sofferenze” (pag.
15);
4.
- devastanti ammortamenti in conto delle sofferenze: L. 186,3 miliardi
(vedi fra l’altro pag. 4: voce 120 “rettifiche di valore su crediti e
accantonamenti per garanzie e impegni” voce senza dubbio sibillina, non meglio
chiarita e che ha avuto questa evoluzione: fine ’97: L. 186.269.955.469.=; fine
’96: L. 87.752.777.851; variazioni + (più) L. 98.517.177.618; incremento del
112,27%.)
Sono cifre
buttate lì, nel progetto di bilancio, che sconvolgono ogni logica di economia
d’azienda; che vanificano i patrimoni del soci minoritari; che - per converso -
lasciano integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni
cosa senza nulla perdere (aveva potuto acquistare o sottoscrivere cinque anni
prima a L. 8.000, al valore cioè che ora - dopo cinque anni - viene canonizzato
anche contabilmente. Conflitti d’interesse a non finire; obbligo di astenersi,
per lo meno, dalle decisioni per nulla ottemperato ( e si è sicuri che non si
vorrà neppure in questa sede rispettarlo: ma uomo avvisato è mezzo salvato);
scivolamento nelle ipotesi degli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e
2448, sub 4), senza preoccuparsi minimamente di attivare almeno le procedure
indifferibili previste (e anche qui lungi da noi ogni intento intimidatorio;
solo un preannuncio di difese a salvaguardia delle nostre ragioni di soci
conculcati); omissione di ogni adeguato chiarimento sia in sede di relazione
generale sia in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste contabili.
Si pensi ad
un fatto di esplosivo monito: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza
ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini
dell’ordinario operarato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte
di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea,
che nel 1997 il suo modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a
svolgerlo per merito esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine
impiegatizia, precipta da un risultato positivo ad una catastrofica perdita
d’esercizio: dalle L. 2.115.023.261.= di utile del 1996 si finisce nel baratro
di una perdita d’esercizio di L. 129.954.978.671.= (vedasi a scanso di equivoci
la pag. 4 del progetto di bilancio). Il deterioramento reddituale del 1997 è
stato dunque di L. 132.070.001.932.= e - secondo quello che gli anonimi
redattori del progetto di bilancio ci segnalano in asettica e quasi
irreperibile cifra contabile - ciò ha significato un crollo gestionale del -
udite, udite - 6.244,38%, parametro tanto inconsueto, tanto spaventevole, tanto
abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla fine tutti portavoce
del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e di chiarimenti e di
ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni giuridiche, e di lezioni
di tecnica bancaria, e di altro ed
altro ed altro ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello
che si dice, cripticamente, innocentemente, sa di scarica barile. Ci dicono di
banca “appesantita da pregressi consistenti crediti problematici” (pag. 1); ci
informano che - non in questo esercizio - ma “negli anni più recenti [sono
state fatte] onerose svalutazioni di bilancio” (pag. 1); che ciò è avvenuto “in
un contesto congiunturale particolarmente depresso” (pag. 1); hanno voglia
persino di volerci far credere che la banca avrebbe mantenuto “una capacità
reddituale che ha permesso di generare nell’esercizio 1997 un risultato della
gestione positivo per oltre 70 miliardi e di perseguire uno sviluppo...” (sì,
proprio così!). Ma subito dopo - ignorando la più elementare regola di logica che
non ammette che al contempo si affermi il contrario “per la contraddizion che
non consente” - veniamo tutti noi soci subalterni gabbati dovendo credere loro
che “noti fenomeni di deterioramento della qualità del credito hanno
determinato anche in questo esercizio un pesante fardello sul citato margine
lordo di gestione, abbattendo e producendo un risultato dell’esercizio ancora
insoddisfacente, corrispondente ad una perdita di circa 130 miliardi. (a pag.
1) ” E, no, cari signori, redattori del progetto di bilancio, qui proprio non
ci siamo.
Voi dite: “noti”. Noti a chi? Noti perché?
Notificati quando? Con quali modalità. Non è un fatto gestionale di poco conto,
un fatto interno, un fatto che non pregiudichi gli interessi legittimi dei soci
di minoranza, un fatto che non metta in frizioni le ragioni contrapposte del
socio egemone con quello dominato, non è
un fatto coperto dal segreto aziendale o di altra natura. Dovete qui
risignificare - invero si tratta solo di informare sarebbe informazione per la prima volta
esternata - questa pretesa notorietà.
“Fenomeni
di deterioramento della qualità del credito”, voi dite. Ma verbigrazia vi
volete spiegare. Si deteriora qualcosa che una volta era buona: Si deteriora
qualcosa perché malconservata. Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla.
Si deteriora qualcosa perché, per mille inconfessabili motivi, la si vuol
deteriorare, perdere. Volete essere più chiari? Dovete esserlo. Qui è in gioco
la sopravvivenza della banca, almeno la sopravvivenza delle partecipazioni
minoritarie. Al socio egemone può fare comodo rimpinzare di riserve, se non
occulte, di sicuro potenziali questa nostra banca; lasciare un residuo barlume
di consistenza patrimoniale che giustifichi la partecipazione al valore di L.
8.000 nel bilancio bancario del socio
dominante; vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora
se esterovestiti e meglio ancora se con capitali da riciclare - a prezzi di
affezione; creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale
sociale per l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una
ricostituzione del capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati
per inidoneità finanziarie e di una locupletazione degli speculatori esteri
(cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per sovrabbondanti
ammortamenti delle sofferenze). Non è così? Chiarite; rasserenate i soci di
minoranza, informate e soprattutto astenetevi dalle improvvide politiche di
occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.
Solo ora,
solo “in questo esercizio - voi dite - [si è determinato] un pesante fardello
sul citato margine lordo di gestione”. Tutto qui? Non volete precisarci natura,
tempi, modalità, responsabilità, inadempimenti, azioni ed altro che diano senso
al vago ciarlare di “pesante fardello”. Quella vostra deve essere una relazione
informativa - e nel caso altamente giustificativa - e non può risolvere in un
esercizio letterario, persino di cattivo gusto. A noi sembra oltremodo
reticente quel discreto accenno a politiche dissennate e dispersive del
patrimonio bancario. A pagare, ora, siamo noi; solo noi soci di minoranza. Non
potete negarci anche la magra soddisfazione di sapere. Pensate un po’, è una
soddisfazione che è obbligo di legge. Pensate un po’ che nella vostra
situazione di espressione - palese - degli interessi del socio
dominante, per di più imbrigliato nelle secche di socio-società con azioni
quotate in borsa ( e chi sa di leggi recentissime sull’OPA e c. capisce bene),
avete più di un motivo di andare cauti, di astenervi da decisioni in conflitto
d’interessi, di essere schietti e sinceri fino all’autocrocifissione. Altro che
limitarvi ad una fraseologia circospetta e quasi da padri gesuiti. Scarna -
questo sì - ma assolutamente inadeguata.
Con un paio
di gerundi (“abbattendo” e “producendo”) e con un miserevole aggettivo
“insoddisfacente”) indorate la pillola - o tale la ritenete - e ci dite che il
risultato d’esercizio chiude “con una perdita di circa 130 miliardi”. Neppure
la cifra precisa ci volete, in un primo momento, segnalare. E sarebbe una cifra
“insoddisfacente”. Sembra che siamo nei ludi erotici, sembra che siamo in
ambasce per mancato raggiunto orgasmo: “insoddisfacente”. Altro che
insoddisfacente, catastrofico, imprevedibile, inspiegabile, assurdo, dannoso,
dilapidatorio e chissà quanti altri aggettivi vorremmo usare per dare una
minima misura di quel che significa quel “risultato d’esercizio”, quella
devastante perdita, quella tardiva e secca informazione. Nessuna
responsabilità? Nessuna attività salvaguardante le ragioni degli estranei soci
di minoranza? Nessuna costernazione? “Fuge
rumores” dicevano i maestri del capitalismo italiano. D’accordo: ma qui non
è questione di rumori; qui è l’annuncio di una morte, della morte di una banca.
Se il lamento delle prefiche - e nessuno di noi lo gradirebbe - almeno una
confessione liberatrice sarebbe doverosa. Da cinque anni abbiamo le tanto
conclamate sinergie con il grande polo della Banca di Roma; caterve di
funzionari, dirigenti in prequiescenza, profluvio di corrispondenza
ammonitrice; pareri “pro veritate” - ma a dire il vero, la verità della casa
madre - ultra remunerati; amministratori venuti da lontano; provvedimenti
odiosi; dimissionamenti ex abrupto di dirigenti tradizionali, e tant’altro:
beh! Tutto questo non solo non ha impedito la catastrofe ma l’ha registrata, se
non altro tardivamente. E per di più - e qui siamo nell’inaccettabile - la si
viene qui a raccontare per sommi capi, cripticamente, senza ragguagli,
misteriosamente, ultimativamente e con il non nascosto intento di ottenerne la tranchant approvazione del socio
egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto d’interesse.
Non si
vorrà davvero far credere che tutto sia dovuto a questa circostanza (vedasi
pag. 2): «A seguito del totale deterioramento della situazione
economico-finanziaria di alcuni clienti e grandi gruppi che ha comportato, in
particolare per nuovi fatti negativi riscontratisi nella seconda metà del 1997,
oltre al passaggio dei relativi rapporti da incagli a sofferenza, un aumento
delle previsioni di irrecuperabilità, sono necessitate rettifiche nette su
crediti e svalutazioni per perdite definitive per circa 275 miliardi.» Davvero
tutto all’improvviso è divenuto palese “nella seconda metà del 1997? Oppure solo
a questa data è stata data finalmente la sospirata autorizzazione da Roma a
sgominare la rappresentazione contabile dell’assistenza creditizia della
succube banca mediterranea? Si vocifera - a dire il vero qualcuno mostra le
fotocopie delle missive - che non è da ora che l’Amministratore Delegato
pietisca udienza epistolare a quelli di Roma per il passaggio a sofferenza di
posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma abbia fatto finta di non
ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una certa data! Si vuol rispondere in questa sede? Si vuol
chiarire se almeno la consapevolezza di quel deterioramento del credito c’era
già a date pregresse? Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le precisazioni?
Sono state almeno fornite le debite segnalazioni all’Organo di Vigilanza? I
moduli di rito (Mod. 135 Vig e altri) sono stati corretti, ad ogni cadenza? Non
v’è pericolo di essere incorsi nelle censure dell’art. 134 della legge
bancaria? O si pensa davvero che la normativa di Vigilanza valga solo per gli
zotici amministratori del Sud ma non tange gli Unti del Signore? Davvero agli
“amici sarà dato; ai nemici sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente? Ah! Se
fossimo stati in confidenza con Ossola! Ah! Se fossimo nati in Puglia! Ah! Se
avessimo avuto un nonno massone! Ah! Se avessimo meglio frequentata la via
nazionale! A dir poco saremmo divenuti amministratori delegati di banche e gli
ostacoli di professionalità sarebbero stati bazzecole.
Possiamo
rigirare quante volte vogliamo le scarne paginette del progetto di bilancio:
nulla sapremo sullo stato degli impieghi (qualche cifra buttata qua e là). Ne
sanno di più quelli della FIBA-CISL che
ironicamente si vanno domandando “Ma c’è qualcuno a cui interessano 1.200
miliardi?”. Prosa e sintassi a parte, quel che in quel foglietto si dice
pubblicamente - e i responsabili di questa banca hanno lasciato dire
impunemente - credo che interessi a questo consesso. Ma soprattutto credo che i
nostri amministratori dovevano in sede di bilancio contestare, puntualizzare e
precisare le accuse dei cislini. Davvero l’Ufficio Recupero Crediti si è
tramutato in “discarica di rifiuti a
cielo aperto”? Non siamo in vena di
compassione per chi ha voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo
riscuote all’interno - che viene spremuto “uno
sparuto numero di addetti alla gestione, sempre più oberato di carichi di
lavoro che hanno condotto alcuni di loro ad un vero e proprio stress
psico-fisico, in un locale sempre più simile ad un cantiere edile, per non
usare altro genere di paragone.” Ma siamo più interessati alla faccenda
dell’amministratore delegato; anche a noi, in sintonia, “sorge spontanea un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha
avvertito l’indifferibile necessità di effettuare le così dette pulizie,
riversando a sofferenza centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera
e propria discarica delle sofferenze, che hanno raggiunto la
ragguardevole cifra di 1.200 mld., al netto di molti altri miliardi girati a
perdite, cioè a babbo morto, ha, al pari, avvertito l’esigenza di
dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?” Dove dobbiamo cercare
risposta a questa ed altre domande consimili? Dal sindacato della CISL? Non
abbiamo diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi, non dovevano esserci già?
Vorranno gli amministratori ripensarci, ritirare il bilancio e corredarlo di
tali doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra Mastronardi con le
sofferenze, visto che la CISL lo rimprovera di non avere affrontato “in maniera
seria e concreta .. la questione delle sofferenze”? La CISL si permette di
accusare la banca - ma questa non risponde alla CISL ed omette anche in questa
sede di dare la dovuta informazione - con questi pungenti appunti: «I problemi, quasi tutti insoluti, sono
letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile soluzione; l’eccessiva
burocratizzazione e legalizzazione ha
pressoché ingessato il settore rendendolo sempre più simile ad un’aula di
tribunale e sempre meno un ufficio bancario dinamico, moderno, pragmatico,
orientato a recuperare i propri quattrini senza diventare strumento per bieche
affermazioni personali di madame e messeri di turno.» Ci punge vaghezza di
sapere chi sono codeste “madame” e codesti “messeri” a turno nelle “bieche
affermazioni personali”. Ma forse è già partita qualche denuncia. Almeno, si ha
intenzione di segnalarcela? La FIBA-CISL asserisce che “il nostro amministratore e i suoi detti consulenti ... sono,
diversamente dai sindacalisti, pagati, pardon, stra-pagati!” A noi soci di
minoranza si vuol almeno dare qualche ragguaglio su tali strapagamenti? In
bilancio qualche cifra spunta - ovattata, però, confusa in un mare di dati: a
pag. 56 leggiamo che i compensi ad amministratori e sindaci sono stati:
1.394.488.850.= Tanti soldi per portare la redditività bancaria a meno 130 miliardi!
Ma la cifra dice poco: non sappiamo quanto abbia preso l’amministratore
delegato e quanto sia finito ai numerosi membri degli organi aziendali. Abbiamo
già detto dei quasi sei miliardi e mezzo erogati a “professionisti esterni”: a
chi, a quale titolo, perché? Mistero. Ci piacerebbe tra l’altro sapere se
corrisponde al vero che si sia ritenuto necessario consultare un legale esterno
della Banca di Roma per sapere come comportarsi nell’acquisto delle proprie
azioni; se è poi vero che costui si sia limitato a sintetizzare quello che
aveva già scritto in un vecchio suo lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia
dato consigli così vaghi che gli esponenti aziendali si sono sentiti
riassicurati sul loro vezzo di comprare da beneaccetti, fingendo persin di
credere a cervellotiche motivazioni, e di negare l’acquisto a chi gradito o
perlomeno compaesano (pugliese) non era; che per somma beffa, quel vacuo parere
sia costata una tombola alla banca. Sono questi solo pettegolezzi di borgata?
Vorranno i nostri progettisti del bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli
equivoci? Oppure reputano la faccenda, coperta dal .. segreto bancario? Le
Autorità di Vigilanza non sono davvero interessate alla questione? La
provenienza di quei consulenti può avere avuto un peso?
Per inciso,
la petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per
consentire ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire
in questa sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese
percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente.
Sorprende
davvero quello che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2.
“Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si
ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per “rettifiche nette su
crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari certi? Se sì, ci
vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di minoranza. Si consultino
tutti i testi di economia aziendale e di tecnica bancaria e non si riuscirà a
comprendere la portata gnoseologica di una definitività in momenti valutativi
dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo in presenza di “perdite temute”,
di eventualità, dunque. Ed allora? La informazione ha senso se si vuol dire che
la banca, in vena di munificenza, si sia messa ad assecondare clientela di
favore con formali rinunce delle proprie ragioni creditorie. Magari, basandosi
su un incidente di percorso di qualche maldestro ex direttore generale che non
si è avveduto che la garanzia doveva essere novennale anziché annuale. (Quando
si tratterà dell’ultimo punto dell’ordine del giorno forse ne sapremo di più.)
E basta tanto per considerare “perdita definitiva” qualche grazioso omaggio,
magari di una cinquantina di miliardi, “per necessitata rettifica netta su
crediti e svalutazioni”? Vogliono, lor signori informarci, o rasserenarci?
Abbiamo diritto alle indispensabili informazioni? Ove si trovano nel bilancio
che avete progettato?
Ma
ritorniamo ai 275 miliardi di perdita. Non crediamo che siano spuntati
inopinatamente il 24 marzo 1998, data di approvazione di questo progetto di
bilancio. Sicuramente, molto prima. Quando? Si è posta attenzione al fatto che
l’importo della perdita era tale da sovrastare
il capitale sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se
non è facile capire cosa gli amministratori abbiano voluto dire con quella
esorbitante cifra per perdite. Le quali perdite - qualsiasi alchimia contabile
si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per lo meno hanno
determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui all’art. 2446 codice
civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione dell’assemblea
“senza indugio”? Ci scommetteremmo chissà che cosa che ci risponderebbero: non
ci abbiamo pensato. Noi sospettiamo
invece che un conto è per il socio egemone svilire l’esposizione creditizia
della concorrente banca dominata, un conto è svilire formalmente il capitale
sociale della banca dominata, pena la necessità di ammortare la propria
partecipazione - e Dio solo sa se la Banca di Roma con quella perdita
denunciata quest’anno può permettersi svalutazioni siffatte, e la doverosità
degli apporti di capitali freschi propria nella stessa banca dominata. Ma quale
conflitto d’interessi? Si è operato con accortezza, si è deliberato con le
debite astensioni? Se non si vuol rispondere in questa sede, prima o poi ed in
ben altre assise si sarà costretti a
farlo.
Per non venire tacciati di fare un discorso
“senza costrutto”, siamo costretti ad essere puntuali sino alla pignoleria. Una
pregiudiziale deve essere però subito evidente. Mentre a noi soci di minoranza
non è dato di sapere nulla sulla nostra banca, fuori di qui, nelle sedi
sindacali - lo abbiamo visto, in quelle politiche, presso il Consiglio di
Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di questi giorni ci ha infestati
tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze giudiziarie, interrogatori,
documentazione riservata ecc. circolano come romanzetti d’appendice. Noi
abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di Pietro Simonetti del 23 marzo
1998. L’iniziativa politica è stata resa di pubblica ragione con il corredo
degli atti riguardanti la nostra banca. Quel che i nostri amministratori ci
tengono segreto, lì è dato in pasto del pubblico. Quanto andremo dicendo si
avvale di quei documenti. Ma trattandosi di nominativi, di imprenditori, di
gente che ha diritto alla riservatezza, ci guarderemo bene dal divulgare - da
parte nostra - le generalità di siffatta
clientela bancaria. A noi interessa avere risposta in ordine ai fatti che
stravolgono la gestione della nostra azienda: i nomi a chi interessano. Ci
serviremo quindi di riferimenti indiretti a tutela della riservatezza di tali
soggetti.
Il
Simonetti, nell’invitare il Consiglio Regionale di Potenza a costituirsi parte
civile nel noto processo che coinvolge solo taluni degli ex amministratori
della nostra banca, allega i rapporti di due ispezioni della Banca d’Italia. Là
abbiamo una messe di notizie sullo stato degli impieghi della nostra banca.
Emerge così che «l’esame del rischio
creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in evidenza:
a) posizioni in sofferenza ed incagliate per un
ammontare rispettivamente pari a L. 847,1 miliardi e L. 465,3 miliardi, sulle
quali si prevedevano perdite complessivamente pari a L. 508,6 miliardi;
b) incrementi rispetto alle segnalazioni all’Organo di
Vigilanza per L. 619,9 miliardi sulle sofferenze, per L. 166,7 miliardi sulle
posizioni incagliate e per L. 406 miliardi sulle previsioni di perdita (cfr.
allegati nn. 3/a e 3/b).» (Cfr. rilievo n.° 43 pag. 29).
La divulgazione delle notizie - come si
vede - è grave. Sono stati adottati
provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra banca? Rispondono
al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo non chiedere come
mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle quali sofferenze
ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1 miliardi ed a L.
465,3 miliardi, passiamo ora, nel bilancio che ci si chiede di approvare senza
adeguate informazioni, complessivamente a L. 1.434.165.460.080 (contro il
complessivo importo ispettivo di L. 1.312,4/milioni con un incremento di L.
111,8/milioni) (Cfr. pag. 20). Gli ispettori sono stati ritenuti eccessivamente
fiscali: gli stessi esponenti della Banca di Roma per anni non ne hanno
condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è successo? All’improvviso c’è
stata la folgorazione come Saul sulla via di Damasco? E non si ritiene di
ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi amministratori? Quali i fatti
nuovi che hanno imposto decisioni tanto devastanti? Nulla di nulla nella
relazione di bilancio. Le superfetazioni si limitano a quei pochi accenni che
abbiamo già richiamato. Ma un grave dubbio
ci assale: non è che si è portato a sofferenza l’impiego vivo dell’ispettore
del 1993 e per converso si continua a tacere sullo stato di decozione di tanti
altri e veri crediti in sofferenza o in incaglio, sol perché magari amici del
padrone. E qui dobbiamo essere schietti sino alla ferocia.
Tralasciamo
ogni riferimento alla martoriata posizione Casillo (solo ci piacerebbe sapere
se i perduti 158 miliardi di cui leggiamo sulla stampa sono conteggiati nel
subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20 oppure no: se no, conteggi di cui
sopra peggiorano. Ma ci vogliono lor signori spiegare quale decorso hanno avuto
i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi che stando alle notizie di stampa avrebbero
contratto “prestiti che sarebbero stati utilizzati per l’acquisto di azioni,
per un controvalore di 50 miliardi, dello stesso istituto di credito”. Quei
prestiti che fine hanno fatto? Sono finiti tra le sofferenze? Tra gli incagli?
O Sono stati recuperati? Come? Quando? Con intervento di chi? Che senso ha
avuto - se siamo bene informati - un sopralluogo in banca del fratello di un
acquisito capo della fondazione
proprietaria della società che ci domina? Se la Banca di Roma -
direttamente o indirettamente - si è data da fare per acquisire interessenze al
capitale sociale della nostra banca per compensare quei prestiti, sono state
rispettate le norme - dure e paralizzanti- che in questi ultimissimi anni sono
state emanate a difesa della borsa?
Occorre
scendere ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di sapere che fine hanno fatto
i rapporti creditizi su cui si soffermano gli ispettori della Banca d’Italia
nei seguenti rilievi:
a) - quelli che nel rilievo sub 1)
ultimo capoverso gli ispettori definiscono “crediti, anch’essi di rilevante
ammontare e oltre tutto riguardanti nominativi legati alla banca da vincoli partecipativi”,
di cui stigmatizzano la “crescita delle esposizioni in misura non proporzionata
alle effettive potenzialità economico patrimoniali dei singoli affidati, con
refluenze sulle stesse possibilità di recupero delle creditorie e ciò pure in
presenza di reiterate iniziative di sostegno e di ristrutturazione ...”.
Siffatte temute refluenze vi sono state? Quali provvedimenti ha adottato la
nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto indulgenze per alcuni e
discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i nominativi qui sotto
tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora di crediti per
complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano perdite per L.
73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando sono state rilevate?
Quando sono finite a carico del conto economico? Quali cautele sono state
adottate?
In
particolare, quale è stato l’atteggiamento verso i 20 rapporti del gruppo di
pag. 2 dell’allegato 3b, esposto per L. 133.978 milioni con perdite previste
dagli ispettori per L. 73.992 milioni? Si sono avute indulgenze per affinità
politiche? Il socio egemone è stato indifferente o ha suggerito blandizie?
Quanto poi al gruppo di cui a pag. 4 del menzionato allegato (primo affidato
cod. 7275...) le previsioni di perdite degli ispettori (L. 27,9 miliardi su L.
50,7 miliardi di esposizione) si sono verificate? Vi sono intese in corso? Di
che tipo? Si sono ammesse interferenze in Consiglio per presenze obiettivamente
conflittuali?
In ordine
all’incandescente rapporto di cui a pag. 9 (Codice primo affidato: 5283...),
esposizione per L. 141,3 miliardi; previsioni ispettive di perdite solo L. 1,4
miliardi, davvero le perdite si sono rivelate così esigue? Il comportamento
degli esponenti aziendali è stato congruo? Vi sono state ingerenze per
soluzioni patteggiate? Vi è stato un qualche interesse del socio egemone?
Il gruppo
di cui a pag. 11 (cod. 7594 primo affidato) - esposizione L. 6,3 miliardi con
perdita prevista integrale - è stato congruamente gestito? Si è ritenuto di
privilegiarlo con discriminanti acquisti di proprie azioni?
Quanto al
gruppo di cui a pag. 12 (cod. primo affidato 5092...) - esposto per L. 38,4
miliardi; previsione di perdita zero - attesa la natura di incagli secondo gli
ispettori , sono state esplicate le procedure di recupero dell’ingente
creditoria con solerzia ed efficacia? Se sì, quali e con quale risultato?
Il gruppo
di cui a pag. 11 (cod. primo affidato 3552...) - esposizione L. 6,7 miliardi;
perdita prevista: integrale - ha poi generato quell’esito tanto catastrofico?
Per quali azioni della banca? Con quali refluenze sul conto economico della
nostra banca?
In
definitiva, come mai nella relazione del bilancio non v’è alcun accenno a fatti
sì gravi, pregiudizievoli dello stato patrimoniale, con quelle che gli
ispettori chiamano refluenze economiche? Se all’improvviso, e solo quest’anno,
quelle posizioni, in tutto o in parte sono finite a sofferenze, perché si è
atteso tanto? In ogni caso, ogni reticenza in proposito non è suscettibile di
censura sotto il profilo della chiarezza, della verità e correttezza della
situazione patrimoniale e finanziaria? Sussulti nell’imputazione di
ammortamenti, si è sicuri che non rappresentino indebito scompiglio del
risultato economico dell’esercizio? Non si pensa che l’eccezionalità
dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita tutte quelle informazioni
aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove sono, visto che noi non
riusciamo assolutamente a coglierle in quelle asfittiche, anonime, dispersive e
sedicenti note integrative?
b) - Si
domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti stigmatizzati dagli
ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di “società ...
ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede ispettiva sono stati
classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”. Ricordiamo che
l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato 3b) ammontava a
complessive L. 9,7 miliardi con perdite
previste per L. 6,3 miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci
in sede di approvazione del proposto bilancio?
c) - Le note
critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un qualche comportamento
responsabile da parte degli attuali amministratori o si è lasciato il tutto
com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per il recupero delle
ragioni creditorie della nostra banca?
d) - Analoga
domanda è da porre per il rilievo sub 13).
e) -
L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14) avrebbe dovuto essere
oggetto di particolare attenzione da parte degli amministratori; si sono
costoro prodotti in qualche iniziativa?
f) - Nel
rilievo sub 15) si accenna ad “un affidamento in conto corrente di L. 6
miliardi” a favore di una società di appartenenza di un consigliere, con un
illegittimo debordo notevole. Al di là dell’assoluzione chiesta - ed ottenuta - dal PM, la banca si è
premurata di estromettere un cliente cosiffatto? Quel rapporto sussiste ancora?
E’ regolare?
g) - Non hanno
gli amministratori nulla da dirci sui rapporti creditizi censurati nel rilievo
sub 16)?
h) - Nel
rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani rapporti d’affari con
industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro, alla Mediterranea hanno
fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere l’esito. A scanso di equivoci,
a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo di cui a pag. 10 dell’allegato
3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti allora a complessive L. 16,8
miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di incaglio (giusta valutazione
ispettiva) o siano deteriorati. In particolare come i signori industriali del
Nord si sono comportati con la nostra banca? Hanno assolto i debiti interessi?
In misura equa? O mantenendo scandalose condizioni di favore (leggere per
credere le note dei consulenti del PM, attualmente in libera circolazione come
abbiamo sopra detto)? Ma anche alla
capofila erano stati accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti
all’attenzione degli ispettori. Nel solito libello dei consulenti - che Simonetti
acclude alla sua interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano pari a L. 30.000 mln. (10.000
mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln anticipi import) e non erano
assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in parola venivano deliberati in
data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso da applicare alla
facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al “Prime rate ABI”
[...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.10.93 ... si evinceva
l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi esclusi i
maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di massimo
scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di
risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il
finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e
segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato
nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma
è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili
rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle
clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il
potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio
dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto
danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno
gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente
producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra
banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di
amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente
permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza
verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.
i) -
Estrapoliamo dal rilievo n.° 20 l’accenno alla posizione perdente di cui a pag.
5 dell’allegato 3b (cod. primo affidato 2336...). Abbiamo qui un’esposizione di
L. 15,1 miliardi su cui gli ispettori prevedevano una perdita pressoché totale
per L. 11,4. Occorrono le debite
informazioni, del tipo di quelle che abbiamo sopra puntualizzato.
j) - Ci
riferiamo alla parte del rilievo 22 - punto b) - per sapere che fine ha fatto
la posizione (cod. primo affidato 2500...) ammontante allora a L. 7 miliardi
circa con previsioni ispettive di perdita per L. 6,9 miliardi.
k) - Quanto al rilievo sub 35) non si possono
ulteriormente tacere gli sviluppi dei rapporti creditizi relativi alla
“posizione che, nonostante l’apparente sistemazione effettuata attraverso la
cessione di effetti a carico di altro nominativo ..., classificato anch’esso in
sede ispettiva tra le sofferenze con previsione di perdita, presentava ancora
nel mese di maggio 1994 una residua rilevante debitoria”; e relativi anche alla
“società largamente e ripetutamente sovvenuta con nuove erogazioni, nonostante
l’andamento dei relativi conti presentasse da tempo marcati sintomi di anomalia
(sconfinamenti sui conti correnti notevolmente eccedenti i fidi accordati e
rate impagate di finanziamenti in valuta per cifre rilevanti).
l) - Del pari
vanno forniti dati, ragguagli e chiarimenti in ordine alle posizioni censurate
dagli ispettori nel rilievo n.° 36 lettera a); lettera c); lettera d); così
come deve essere fatto per il rilievo n.° 37, lettera a); lettera d), nonché
per il rilievo n.° 38, per il rilievo n.° 39, per il rilievo n.° 40, per il
rilievo n.° 41 e per il rilievo n.° 42.
m) - In sintesi il già citato rilievo n.° 43
doveva essere di guida ad una nota integrativa ai sensi dell’art. 2423 c.c.
Mancando - come manca questa - il bilancio è improponibile e se si insiste a
farlo approvare utilizzando magari la forza preponderante del socio egemone
resterà di tutta evidenza la volontà indomabile di imporre decisioni esiziali
per la sopravvivenza della banca, come sono quelle degli ammortamenti
improvvisi dissolventi ogni redditualità bancaria per perdite note da tempo e
che da tempo avrebbero dovuto essere portate a conoscenza senza indugio in
assemblee straordinarie dei soci ai sensi della inderogabile normativa
civilistica.
* * *
Non va poi
dimenticato che già nel 1990 (dal
17.9.1990 al 1°.2.1991) la nostra banca era stata assoggettata ad un’altra
ispezione della Banca d’Italia. Anche allora erano emerse sofferenze ed incagli
non rilevati prontamente e non segnalati alla stessa Banca d’Italia. I nostri
attuali amministratori hanno tratto ammaestramento da quei rilievi o hanno
continuato a sovvenire taluni clienti di dubbia rispondenza patrimoniale?
Nell’empito repressivo della seconda parte del precedente esercizio, hanno
riesaminato tutte quelle posizioni censurate dai precedenti ispettori? ne hanno
tratto le debite conseguenze? O hanno reputato che sono svincolati da regole di
indiscriminata obiettività, per cui possono sciogliere o legare secondo che
loro più aggrada? Si esaminino gli allegati n.° 3; 3/1; 4/1 e ci vengano
fornite le informazioni del caso o meglio le giustificazioni per tardivi
ammortamenti - se vi sono - o per inadempienze nelle segnalazioni di Vigilanza
- se vi sono. Se tutto dovesse essere regolare - e noi ce lo auguriamo, ci si
dia la liberatrice assicurazione formale. Quel che per ora sappiamo che, come
detto, vi sono stati “noti - e noi li ignoriamo del tutto, diversamente, a
quanto pare, da quel che conosce la stampa - fenomeni di deterioramento della
qualità del credito” (vedi pag. 1 Relazione Bilancio). Ma se il bilancio chiude
con 130 miliardi di perdita per quei fenomeni, questi fenomeni bisogna ben spiegarli,
pena l’occultamento delle reali condizioni della società amministrata.
* * *
Non
sappiamo se una frase di cortesia o peggio: a pag. 2, invece di ragguagliarci
sul tonfo che si è voluto far fare alla nostra banca , gli amministratori han
voglia di volerci far credere che tutto il male avutosi ora passerà perché «L’attività operativa permane, comunque
improntata a precise politiche di rilancio aziendale, di miglioramento della
struttura dell’attivo in un’ottica di riqualificazione degli impieghi e di
contenimento di costi realizzando al riguardo sensibili risparmi anche grazie
all’attivazione di concrete e possibili sinergie con la Capogruppo Banca di
Roma.» Restiamo stupefatti: di grazia quali sono queste ”concrete” sinergie
con la Capogruppo Banca di Roma? Forse quelle che ci vengono con il
dirottamento verso i nostri lidi di funzionari in prequiescenza per
remunerazioni da capogiro come le inspiegate poste di bilancio qua e là
lasciano intendere? Quelle poste di bilancio che abbiamo già richiamate ci
vogliono venire spiegate in relazione a tali conclamate sinergie? O la
reticenze è sinonimo di confessione?
Abbiamo
avuto fra le mani un “verbale di riunione” del 12 febbraio 1998 di un gruppo di
soci di minoranza da cui noi dissentiamo. Là, ad un certo punto, in termini
volutamente equivoci si afferma: «Lo
stato d’animo ... è stato purtroppo alimentato da una serie di delusioni quali:
1. La mancanza di un vero progetto di rilancio della
Banca Mediterranea, che non fosse enunciazione di principio e che si traducesse
in un concreto piano industriale;
2. Lo scarso riscontro nei fatti delle ripetute
affermazioni del socio di maggioranza di essere nell’imminenza di porre a
disposizione della Banca Mediterranea il proprio know-how, in particolare con
la distribuzione di nuovi e più articolati strumenti finanziari;
3. Una politica del credito molto restrittiva, che alla
scarsezza dei volumi ha aggiunto la lentezza dei tempi decisionali,
traducendosi sia nella cattiva gestione d’alcuni clienti affidati, che con maggiore
elasticità potevano essere accompagnati nella loro ripresa, sia
nell’allontanamento dalla Banca mediterranea di altri che, in considerazione
del loro equilibrio gestionale, possono con maggiore facilità attingere credito
ad altre banche, il cui iter deliberativo è più rapido.
4. il sintomatico rifiuto di poter garantire le posizioni affidate con le
partecipazioni azionarie nella stessa Banca Mediterranea; ciò non tanto per
motivo di merito, ben comprendendosi che una diversa scelta avrebbe esposto
l’azienda al rischio di una diluizione del proprio patrimonio, legalmente
inammissibile, quanto per ragione di forma: troppe volte gli stessi dirigenti
della Banca Mediterranea, anche quelli espressione dell’azionista di
maggioranza, hanno dato all’interlocutore l’impressione di considerare tali
azioni come di poco valore.»
Non v’è chi
non veda come sotto gentili espressioni si nasconda un’aspra stroncatura
dell’attuale gestione. Non sappiamo - o se lo sappiamo, non siamo in grado di
provarlo - che fine abbia fatto e che intenti abbia perseguito siffatta querelle. Noi qui la proponiamo
ufficialmente per avere le giustificazioni da parte degli attuali proponenti
del bilancio, visto che vi sono appunti che ne mettono in dubbio l’oculatezza
delle scelte di bilancio. Ma ciò che più ci preme è quest’altro passo: «.. la difficoltà per il socio di maggioranza di
tradurre in concreto un piano di sviluppo di una partecipata nelle more di
delicate scelte d’assetto e di proprio piano industriale.» E tanto si
accende di luce sinistra se si ha ricordo di ciò che viene insinuato in esordio
di discorso e cioè allorché - intenda chi ha orecchie per intendere - ci si
proclama increduli su alcune voci, arrivando ad affermare - per negare -
che «è
parere degli intervenuti, per esempio, che non siano vere le insistenti voci di
una gestione poco trasparente del portafoglio titoli della Banca Mediterranea,
secondo le quali esso sarebbe gestito avendo a mente più l’interesse
dell’azionista di maggioranza che quello della compagine sociale nel suo
complesso.» Per quei soci maliziosetti - dopo avere buttato il sasso nello
stagno - vorrebbero farci credere che a loro avviso «tali voci non appaiono degne d’attendibilità alla luce d’elementi sia
morali sia logici.» Gli elementi
morali e logici in faccende di portafoglio sono obiettivamente inafferrabili.
Siamo andati a vedere tutto quello che in bilancio vien detto in proposito.
Nulla. Speriamo che dietro questa nostra sollecitazione venga sbaragliato il
campo dalle cortine fumogene di quegli avveduti soci di minoranza. Ci si dica
in particolare che mai e poi mai sono stati venduti titoli per decine di
miliardi alla casa madre ad alto rendimento, per poi far ricorso a titoli a
basso rendimento. Ci si dica in particolare che mai operazioni della specie
siano state decise unilateralmente - o se in compagnia, in compagnia di chi -
da qualche autorevole membro del consiglio di amministrazione, ignaro o con
disprezzo dell’evidente conflitto d’interesse cui si andava ad incocciare. Ci
si dica se davvero perdite non siano venute alla nostra banca da operazioni con
la banca padrona, specie con arzigogolate operazioni di swap o giù di lì,
finite con l’accentuazione anziché con l’affievolimento del coefficiente di
rischio. Poste di bilancio che facciano sospettare operazioni del genere ce ne
sono tante: uno straccio di spiegazione non si trova manco a pagarlo a peso
d’oro. Qui però non è in gioco l’abilità strategica nella gestione del
portafoglio titoli del nostro amministratore delegato, qui è in discussione un
bilancio su cui le insipienze e le digressioni conflittuali, magari per
giustificare con la casa madre gli elevati emolumenti, si scaricano con
violenza sovvertitrice della redditualità. C’è in questa sede chi ancora va
alla ricerca di tarde vendette contro antichi nemici forse d’alcova. Noi - e
speriamo tanti altri soci piccoli come noi - andiamo alla ricerca solo di
ancore di salvezza per la nostra gloriosa e maltrattata - anche dalle autorità
tutorie - banca Mediterranea. Gli
amministratori hanno ancora tempo per dare le opportune testimonianze in modo
da costringere le autorità tutorie ad interessarsi alla nostra banca con
maggiore sapienza di quanta sinora dimostrata.
Il
terremoto che è avvento nel comparto titoli emerge da queste aride poste. I
soci ben poco possono capirci.
Voce 50: obbligazioni e altri titoli di debito: anno 1997
L. 360,8 miliardi; anno 1996: L. 246,9; miliardi; variazione + 113,8 miliardi; in percentuale +
46,1%.
E che è
successo? Proprio nell’anno in cui i titoli di stato sono stati dimezzati nel
loro rendimento, la nostra banca invece di operare alternativamente si butta o
butta tutto sui titoli? Si spiega allora il tracollo della redditività. E ciò
per colpa di chi? Dell’amministratore delegato? Si vuol venire qui a spiegare,
a giustificare? In bilancio non troviamo neppure una nota in proposito.
Voce 130: altre attività: anno 1997
L. 208,9 miliardi; anno 1996 L. 184,1 miliardi; variazione L. 24,8 miliardi, in
percentuale 13,5%.
Trattandosi
di voce per sua natura residuale andava delucidata con pagine e pagine di note
illustrative, ma niente di tutto questo. Dobbiamo accontentarci di una tabella
a pag. 31 Beh! Lì apprendiamo che quelle attività sono composte per L. 41,2
miliardi da partite viaggianti (ma il bilancio non dovrebbe avere partite
viaggianti: le provvisorie appostazioni contabili devono essere tutte recepite
nei conti di pertinenza, altrimenti si forniscono informazioni inesatte e
scorrette. Che ci sta in quel viaggiare di partite? Perdite? Regalie? Emolumenti
occulti? Leggere per capire i rilievi degli ispettori della Banca d’Italia in
circolo per Potenza come un romanzetto d’avventure.
Sappiamo
poi che (sub totale 6) vi sono 22,1 miliardi di partite ancora in corso di lavorazione: una piccola banca che
resta ascosa; un mistero per tutti anche per chi redige il progetto di
bilancio. E completa il guazzabuglio la singolare voce (sub totale 7): partite definitive ma non imputabili ad
altre voci per L. 12,3. Noi chiediamo che cosa sono. Abbiamo diritto a
sapere.
Voce 60 del conto economico: profitti perdite da
operazioni finanziarie: anno 1997 L. 24,6 miliardi; anno 1996 45,8 miliardi;
variazione - (meno) 21,2 miliardi; variazione percentuale -(meno) 46,25%. Basta
il dato? Sicuramente no. All’amministratore delegato l’ingrato compito di
spiegare all’assemblea questo erratico dimezzamento di profitti tanti specifici
all’attività bancaria. E’ stato fatto? Dove? Per noi resta un mistero. Ma siamo
sempre pronti a ricrederci.
Voce 150 del conto economico: rettifiche di valore su
immobilizzazioni finanziarie: anno 1997 L. 22,8 miliardi; anno
1996 L. 7,8 miliardi; variazioni L. 15 miliardi; variazione percentuale
193,30%.- Il dato è tutt’altro che confortante. Detto così è incomprensibile.
Perché si stanno falcidiando le immobilizzazioni finanziarie? E’ necessità
ineludibile? O è voglia di distruggere il passato, in odium auctoris direbbero i preti? Ci vogliono lor signori degnare
di una parola di conforto, di una plausibile spiegazione? Le conseguenze le
stiamo pagando noi, noi piccoli azionisti. E non dobbiamo saperne nulla?
Noi non ci
lasciamo tanto solleticare da quei 23,8 miliardi di “proventi straordinari”
(voce 180). Chissà cosa si nasconde dietro. La straordinarietà è un mistero
sacrale, interdetto ai soci minuscoli. Noi restiamo allibiti da quel raddoppio
di oneri straordinari (passati da un anno all’altro da 5,9 miliardi a 11,4
miliardi - voce 190). Una doppia straordinarietà: quella diciamo così naturale
e quella temporale (un raddoppio in un solo anno): proponenti il bilancio
accorti ed assennati si sarebbero preoccupati di spiegare, delucidare, far
capire. I nostri si limitano a trasferirli dai dati contabili alle tabelle rese
ufficiali. E noi dovremmo approvare senza sapere?
E potremmo
continuare. La resipiscenza degli amministratori potrebbe impedirci l’ingrato
ma inevitabile fardello di dibattere queste questioni in altre sedi.
* * *
Un punto
dolente - dolentissimo - è la voce 110:
Azioni o quote proprie (valore nominale Lit. 2.115.880.000) : anno 1997 L.
3,38 miliardi; anno 1996 L. 1,66 miliardi; variazioni L. 1,72 miliardi;
variazione percentuale L. 104,1%. Ci saremmo aspettati un profluvio di parole
(giustificatrici); invece niente. Un raddoppio di acquisti azionari propri nel
bel mentre si verificava un crollo verticale della redditività e delle valenze
patrimoniali è davvero una rimarchevole contraddizione. Ci dispiace per quei
soci adunatisi il 12 febbraio del 1998: qui la banca sembra agire in senso
diametralmente opposto ai loro flebili lamenti. (Ricordate quel passaggio sull’
«impressione di considerare tali azioni come di poco valore”?) Non credo che lor signori reputino esaustive
degli obblighi di legge quello che dicono a pag. 10. Là - scolasticamente - si
ripete la lezioncina dei testi elementari di diritto commerciale: «Le azioni
proprie sono iscritte in bilancio al costo. Alle stesse si applica la
disciplina prevista dall’art. 2357 e seguenti C.C. E vorrei vedere che si
dicesse il contrario? Il ragguaglio di pag 39 è del tutto tautologico. Si dirà
che basta ed avanza la tabella di pag. 41. E no, cari signori. Leggetevi la
pag. 60 della consulenza Sandulli-Scorza che Simonetti ha divulgato. Ad ogni
buon conto la leggiamo noi per voi. «Alla
luce delle considerazioni che precedono, vanno lette, dunque, tutte le
indicazioni che gli amministratori hanno ritenuto di dover fornire nel bilancio
relativo ... e vanno anche apprezzate le omissioni delle relazioni sulla
questione in ordine ai motivi degli acquisti di azioni proprie da ... ,
informazioni dovute in base alle
nuove norme in materia di bilanci bancari. Ed infatti, l’art. 3 del decreto
legsl. 87 del 27 gennaio 1992 prevede che nella relazione sulla gestione siano
indicate “il numero delle azioni o quote proprie sia delle azioni o quote
dell’impresa controllante detenute in portafoglio, di quelle acquistate e di
quelle alienate nel corso dell’esercizio, le corrispondenti quote di capitale
sottoscritto, i motivi degli acquisti e delle alienazioni ed i corrispettivi.»
Non
fraintendiamo, dove sono tutti siffatti elementi? Nella tavola di pag. 41
riusciamo a sapere che vi sono stati acquisti nell’esercizio per n.° 215.846
azioni proprie; che il loro valore nominale era di L. 1.070.230.000 (bastava
moltiplicare il numero per L. 5.000); che l’importo delle negoziazioni era di
L. 1.726.768.000 (non ci dice neppure a quale prezzo erano state acquistate
quelle azioni; ci tocca fare una divisione per avere una idea approssimativa:
il risultante importo di L. 8.000 è un prezzo medio o unico?). E’ persino patetica
la nota finale: “la esposta movimentazione è relativa ad acquisti sul mercato
di azioni proprie.” Ma non poteva trattarsi di altro stante la denominazione
della voce 120. Un riempitivo, un dire tanto per dire, un’implicita ammissione
che non si vuol dire altro. “Apprezzabili omissioni delle relazioni” avrebbero scritto i consulenti del PM prima
citati. Certo un paio di altre notizie lor signori ce le forniscono: i residui
acquisti dei precedenti esercizi sono n.° 207.330 azioni per un valore di
bilancio di L. 1.658.640.000. Ma negli altri esercizi sono stati mai forniti i
ragguagli di legge? A noi non risulta.
Non risulta
che in questo o in altri esercizi i nuovi amministratori abbiano inteso essere
trasparenti in sede di bilancio in ordine a) alle corrispondenti quote di
capitale sottoscritto; b) e soprattutto in tema di “motivi degli acquisti e
delle vendite”. Almeno in questa sede ci si vuol dire quali motivi sussistono
in ordine ai seguenti acquisti:
data operazione data delibera n.° azioni
2/1/97
|
9/12/96
|
4.000
|
3/1/97
|
9/12/96
|
72.000
|
21/2/97
|
9/12/96
|
3.000
|
5/3/97
|
25/2/97
|
14.290
|
27/3/97
|
20/3/97
|
8.000
|
8/4/97
|
20/3/97
|
1.404
|
29/4/97
|
28/4/97
|
43.142
|
20/5/97
|
21/4/97
|
9.000
|
21/5/97
|
21/4/97
|
8.760
|
7/7/97
|
30/6/97
|
1.000
|
15/7/97
|
30/6/97
|
6.000
|
17/7/97
|
30/6/97
|
4.000
|
28/7/97
|
30/6/97
|
10.000
|
28/7/97
|
21/4/97
|
1.000
|
1/8/97
|
30/6/97
|
5.000
|
5/9/97
|
30/6/97
|
19.500
|
9/9/97
|
30/6/97
|
2.000
|
17/10/97
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21/4/97
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3.750
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Totale
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215.846
|
Quali i
motivi di questi acquisti? Ma sono stati esclusi altri soci? E perché? Per
valide ragioni? O per semplice discriminazione? Non si diano risposte
affrettate, perché chi parla è in grado di fare le debite smentite.
Ma diamo
uno sguardo alle attuali giacenze relative a precorsi esercizi. Nel 1995
abbiamo avuto n.° 847.455 azioni acquistate per essere cedute tutte quante,
unitamente ad altre n.° 812.545 in portafoglio, alla Banca padrona di Roma
all’identico prezzo d’acquisto - o forse al ridotto valore bilancio - di L. 8.000, senza alcuna
commissione o provvigione per l’intermediazione prestata dalla nostra banca.
Anche allora non vi era conflitto d’interesse? Si reputa di non dovere dare
neppure ora una qualsiasi spiegazione?
Sarebbe
interessante conoscere i motivi degli acquisti del 23/6/95 (delibera del
9/5/95) per complessivo numero 249.290 per l’ammontare di L. 1.994.320.000.
Perché furono taciuti i motivi? Non furono anche allora praticate
discriminazioni? Del pari ci vogliono almeno ora dire loro signori che cosa li
spinse a fare gli acquisti del 10/7/1995 (delibera del 9/5/95) e quelli del
13/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/1995 (delibera del 9/5/95) e
quelli del 18/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del
9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 13/9/95
(delibera del 9/5/95) e quelli per n.° 102.000 azioni del 14/9/1995 (delibera
del 9/5/1995) e quelli del 27/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 23/10/95
(delibera del 9/5/95) e quelli del 24/10/95 (delibera del 9/5/95).
Passando al
1996 sarebbe ora di spiegare l’ordine dei motivi che hanno spinto all’acquisto
di n.° 207.330 azioni, soffermandosi in particolare su queste operazioni: data
18/7/96 (delibera 13/6/96; data 17/10/96 (delibera 12/9/96) e soprattutto
sull’acquisto di n.° 120.000 (per un importo di Lire 960 milioni) del
31/12/1996 (delibera del 9/12/96) mentre ad altro socio si negava la
compensazione per cifre di gran lunga inferiori. Si è forse mai detto qualcosa
in proposito? L’art. 3 n.2 lettera b) del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992
forse è stato abrogato ad insaputa dei consulenti del PM? Noi non l’abbiamo
letto nell’elenco delle norme abrogate di cui all’art. 161 del D.LV. 1°
settembre 1993, n.° 385. O forse si reputa che le leggi valevano per i vecchi
signorotti potentini ma non possono avere valore tranchant per gli uomini dei
grandi potentati bancari romani?
* * *
Non
scorrono neppure tutte le righe delle due prime paginette e già i relatori del
progetto di questo bilancio sono stufi di parlare della nostra banca. Allora
per quasi dieci pagine ci rimpinzano di luoghi comuni sull’economia
internazionale (abbiamo perso 130 miliardi - per noi poveri azionisti ciò
comporta il dissolvimento dei nostri risparmi azionari - e si ha il cattivo
gusto di venirci ad intrattenere sul Giappone, sull’OCSE sugli Stati Uniti e
sull’Europa continentale; sull’economia italiana ( per dirci che in Italia va
tutto bene. Ed allora perché noi siamo andati male, anzi catastroficamente?);
sulla politica monetaria e sui mercati finanziari (sappiamo che i tassi sono
andati giù e che la Borsa è andata su e noi abbiamo visto aumentare la
remunerazione della raccolta e non siamo riusciti a sfruttare le possibilità
remunerative dell’intermediazione finanziaria: abbiamo fatto da sponda a favore
delle finanziarie del Bancoroma per accontentarci di briciole, mentre la nostra
massa fiduciaria si fletteva paurosamente);
sugli aggregati monetari e creditizi (il sistema bancario è andato
sostanzialmente bene e noi no; le sofferenze anche quelle delle banche
meridionali salgono del 6,7% e noi battiamo ogni primato con un incremento del 58,75% - se non andiamo erati visto che per pudore questa
percentuale non viene fornita nella chiacchierata di pag. 20); sull’evoluzione
congiunturale delle regioni ove è insediata la banca (veniamo a sapere che vi
“trovano spazio fenomeni locali e significativi di ripresa”, e noi dobbiamo
star zitti ed approvare l’operato dei nostri strateghi che hanno determinato ad
onta della favorevole congiuntura del territorio). Finalmente a metà di pag. 12
i discorsetti ameni sono finiti. Ma lor signori non potevano risparmiarseli e
risparmiarceli?
Ora
un qualcosa sull’andamento della gestione bisogna dirla. E reticenti quanto si
voglia non si può non confessare che la raccolta complessiva pur insufflata da
quella indiretta non è andata al di là di un incremento del 4% (come dire che
togliamo le capitalizzazioni di fine anno, siamo andati indietro. Quanto al
portafoglio crediti dicono pietosamente lor signori che siamo in presenza di un
“contenuto aumento” cioè ad appena 4 miliardi che in rapporto alla massa di
2.223 miliardi diventano tanto sparuti da non potere calcolare la percentuale
(ed infatti lor signori se ne astengono, vistosamente diremmo: mica potevano
dire che gli impieghi erano aumentati dello 0,17993702%. - Qualcuno obietterà
che verrà detto poi con pietoso arrotondamento a pag. 14. E cosa cambia?).
Sulla raccolta una tavola tanto lunga quanto tediosa ed insignificante; sugli
impieghi dichiarazioni di intenti altisonanti e risultati avvilenti. A pag. 14
ci vien detto: «tali risultati sono stati ottenuti grazie all’attenta difesa
delle masse amministrate, alla costante ricerca di nuova clientela ed
all’offerta di prodotti finanziari alternativi generati anche dalle sinergie
realizzate con la Capogruppo Banca di Roma, che hanno reso possibile il
collocamento dei fondi comuni di investimento gestiti dalla Romagest SpA, dalla
Romainvest Spa, nonché da polizze assicurative della Romavita SpA. La raccolta
in Fondi al 31.12.1997 assommava a lit. 96.204/mln; i premi per emissione
polizze a lit. 9.946/mln.” Ma lor signori non reputano a proposito di un punto
così delicato di ragguagliarci sul grado di convenienza economica di un
siffatto dirottamento di fondi lucani e pugliesi verso quelle azionarie
palesemente romane? Non pensano che sotto sotto si annidino conflitti di
interessi plateali? Quanto è costato il lavoro dispiegato in loco per
raccogliere e convogliare quei fondi a Roma? A quanto è asceso il frutto di
tale servizio finanziario? Ne valeva proprio la pena? Non poteva la banca
approntare con la sua struttura quei servizi senza sponde parassitarie? Chi ha
deciso siffatta politica pregiudizievole per la banca? Con quali pressioni
esterne? Con quali affinità elettive dei paracadutati nelle maglie direttive
della nostra banca? Con quali flessioni della nostra massa fiduciaria?
Le pagine
15 e 16 sono tutte ingombrate da tabelle tautologiche rispetto a quelle del
bilancio vero e proprio. Arriviamo così a pag 17. Non non abbiamo capito questo
inciso: «In particolare, la gestione della tesoreria è stata orientata al
continuo miglioramento degli obiettivi di liquidità salvaguardando il citato
livello di redditività. Sono stati effettuati arbitraggi diretti al realizzo di
plusvalenze di mercato laddove il flusso di interessi, posizionato su livelli
interessanti, non venisse a deteriorarsi.» Che si tratti di passo sibillino, ci
dovrebbe essere concesso de plano.
Ma, vivaddio, di che cosa si tratta? Si tratta forse di quelle operazioni che
l’appendice della relazione della Banca d’Italia chiama “swap sui tassi d’interesse e sulle valute”, cioè a dire “operazione
consistente nello scambio di flussi finanziari tra operatori secondo
determinate modalità contrattuali. Nel caso di uno swap d’interesse, le controparti si scambiano flussi di pagamento
di interessi calcolati su un capitale nozionale di riferimento in base a
criteri differenziati.» Ah! Ragazzotti del servizio studi, voi non sapete quel
che seminate! Ma torniamo a noi. Domandiamo: a) quali obiettivi di liquidità
dovevamo conseguire? Avevamo forse problemi di tal fatta? b) quale salvaguardia
del livello di redditività si è raggiunto? c) perché effettuare arbitraggi
diretti al realizzo di plusvalenze? d) sono state considerate le incidenze
fiscali? e) atteso che si reputa di non dovere quest’anno pagare imposte sul
reddito, si è sicuri che queste infelici espressioni non diano aire agli
occhialuti agenti del fisco di perseguire dopo chissà quali sospetti di
elusione fiscale? f) con chi sono stati effettuati siffatti arbitraggi? Forse
con la capogruppo? Con decisione di chi? Con il rispetto delle norme sul
conflitto d’interessi? Si riferivano forse a tali operazioni le inestricabili
riserve dei soci di minoranza nel verbale che abbiamo prima richiamato? Volete
essere così cortesi con noi da spiegarci meglio che cosa significa operare
“laddove il flusso di interessi, posizionato su livelli interessanti, non
venisse a deteriorarsi” (lingua italiana a parte, s’intende).
Noi ci
complimentiamo con la banca per la sua capacità di intermediare tutta quella
caterva di fondi in titoli di stato di cui ci si parla a pag. 18, ma vorremmo
sapere che cosa di consistente ci abbiamo guadagnato. Il nostro mestiere non
dovrebbe essere altro? Ci dite che operazioni per Lit. 1.452 miliardi sono
state fatte nel settore “pronto contro termine”. Abbiamo agito con oculatezza
evitando gli scivoloni di un coinvolgimento in evasioni o elusioni fiscali
altrui? In ogni caso ci abbiamo guadagnato secondo un conto economico di
competenza e cioè a costi e ricavi di settore debitamente rapportati?
Si dice a
pag. 26 che “sinora è stata gestita l’emergenza”. Ma quanto dura siffatta
emergenza. Sono passati oltre cinque anni dall’ultima ispezione della Banca
d’Italia, sono stati adottati provvedimenti dolorosi, fatti sacrifici
incommensurabili e siamo ancora nell’emergenza? Non sarebbe più onesto da parte
di chi continua a reggere una banca, senza ... a dir poco, fortuna, lasciare e
non esporsi ai rischi - ci pare incombenti - di azioni di responsabilità? Il
socio dominante crede davvero di potere continuare a gestire questa banca
subalterna con cipiglio - come dire? - coloniale?
Da pag. 6 a
pag. 14 della parte a stampa sedicente “nota integrativa” abbiamo un esempio di
come si riempie un bilancio quando non si ha molto da dire - o non si voglia
dire. Sembra che finalmente verremo a sapere qualcosa sulla struttura e
contenuto del bilancio. Invece si fa una tautologica sintesi di leggi note.
Sembra che finalmente ci verranno delucidati gli effettivi criteri di
valutazione delle poste di bilancio e poi sembra di leggere una sinossi delle
istruzioni della Banca d’Italia. Ma a pag. 12 si raggiunge il culmine: “i
disavanzi di fusione sono iscritti all’attivo previo consenso del Collegio Sindacale”.
Noi abbiamo girato e rigirato il bilancio e di disavanzi di fusione non abbiamo
trovato neppure l’ombra. Ed allora? Svista? Scherzo da preti? Negligenza? Ci si conceda almeno che ciò non
è stato serio. In ogni caso saremmo curiosi di leggere quel consenso del
Collegio Sindacale. Invece nulla abbiamo trovato che illustrasse la posta della
tavola di cui a pag. 38: 8.1 Composizione
del patrimonio netto: (d) 4.d Avanzo di fusione: L. 1.164.605.000, non
foss’altro che per gli appunti che faremo a proposito della improponibile
proposta del ripianamento delle perdite di questo esercizio.
* * *
Anche per
stanchezza, tagliamo a questo punto, con riserva comunque per ogni altro
aspetto censurabile che per caso dovesse essere sfuggito. Gli ultimi nostri
rilievi critici riguardano la proposta di ripianamento delle perdite del 1997.
Lor signori vorrebbero svuotare la posta del passivo: fondo sovrapprezzo azioni
pari a lire 101.385.862.156.- Quale disponibilità ne hanno e quale
legittimazione ne ha soprattutto il socio dominante. Rammentiamo a noi stessi che quel fondo è
stato costituito ancor prima dell’avvento della Banca di Roma. Al 31.12.1993 il
fondo era di Lire 106.185.458.756. Con l’avvento dei signori di Roma, il fondo
come si vede si è contratto. Nel 1996 una rastremazione per lire 3.956.269.000
è passata sotto il naso dell’assemblea dei soci. Ma il così è stato una volta
fatto non significa che si possa sempre fare. Ora l’assemblea deve essere
vigile. Il socio dominante non ha contribuito alla costituzione del fondo: sono
risparmi sudati dei vecchi, malconci soci ad averlo costituito. E’ obbligo
morale e giuridico mantenerlo sino all’estremo. Il socio dominante non può
quindi disporne; non può dilapidarlo. Il meno che si deve esigere che nell’eventuale
votazione al riguardo esso doverosamente si astenga e lasci integra ai soci di
minoranza la responsabilità della decisione. I soci di minoranza dovrebbero
essere un tantinello avveduti da capire che non è questione formale e rigettare
la proposta dei signori amministratori. Il bilancio ritornerebbe indietro per
le rettifiche di competenza. Se i soci di minoranza non sono avveduti,
pazienza. Almeno: chi è causa del proprio male pianga se stesso. Va da sé che
qualora il socio dominante faccia qui orecchio da mercante e con il peso della
sua maggioranza assoluta approvi egualmente l’improponibile, vedremo in
competente sede chi ha ragione. Noi almeno abbiamo posto il problema e l’uomo
avvisato dovrebbe essere mezzo salvato.
Altro aspetto inquietante della proposta in discorso è quel
volere utilizzare l’avanzo di fusione. Si sono lor signori chiesti che cosa è
quell’avanzo di fusione? Non sanno forse che è mero residuo contabile del
compattamento delle poste di bilancio di due società fusesi? Non sono tanto addentro
alle segrete cose fiscali per cui la posta contabile è neutra fino a che non se
ne faccia un effettivo utilizzo? Abbiamo proprio voglia di andare a pagare un
mare di imposte solo per disattenzione? Magari, si penserà che nulla si debba
al fisco e si procederà come se niente fosse. Il futuro accertamento - si sa
che il SECIT ha un conto aperto con tali faccende di fusione - ricadrebbe sulle
spalle già martoriate dei poveri soci di minoranza. (Noi diamo per certi che il
socio dominante stia per spogliarsi di questa ingombrante partecipazione, ad
onta dell’asserito carattere di
partecipazione strategica, asserzione sinora utile per esigenze di quieto
vivere sindacale).
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