Preg.mo signor V.
Presidente G. Guagliano
Le rimetto questa seconda lettera aperta riguardante la faccenda del Parco letterario Leonardo Sciascia. Ripubblico sotto la seconda parte del mio progetto del Parco Letterario Leonardo Sciascia. Andato in fumo, neppure preso in considerazione. Negletto perché subissato dall'egemone Fondazione Leonardo Sciascia. . In ballo vi erano miliardi di vecchie lire. La Fondazione ha vinto, io ho perso. Ed ho perso in malo modo minacciato persino di querela per 500 milioni di vecchie lire dallo Scimé per via di una ninfa egeria nissena e insolentito quale GRAN MALEDOCATO da tal Di Grado tutto preso dal cuore cavo della figlia.
La Fondazione dunque ha vinto: ha vinto miliardi di vecchie lire come da progetto presentato. Che fine hanno fatto quei miliardi di vecchie lire. Non vorranno giustificarsi con quattro labari oggi residui: due in viale della Vittoria e due nel castello che dicono Chiaramontano? Non credo che certi esborsi possano avere doppia faccia una a comprova di finanziamenti pubblici esterni e l'altra a comprova di un paio di ambienti peraltro oscenamente sordi nei più o meno convegni che ospitano?
In questo lei signor Guagliano è molto bravo: Non pensa che sia il caso che una seduta del Consiglio sia spesa per un rendiconto da parte della Fondazione della fine fatta dai soldi del vittorioso parco letterario Leonardo Sciascia? Mica ci avranno speso nome e istituzione racalmutesi per dirottare miliardi di lire a Caltanissetta, essendo davvero irresistibile codesta lodata Ninfa? Cosa ne è venuto ai Racalmutesi? Quante iniziative avevo in animo a totale beneficio di Racalmuto o dei Racalmutesi DOC che Savatteri nega esistere o degli "stanziali" cui da tempo lei è dedito! Se uno stabile da miliardi di lire, se una novennale dotazione di centinaia di milioni di vecchie lire annue, se sgattaiolamento da tasse comunali dovute dovessero essere serviti per certe opzioni muliebri nissene, l'ultimo atto di mettersi a novanta gradi per scegliere tra una fasulla terna l'unico loro prescelto sarebbe ignominia cui penso Lei concretamente fattivamente legalmente non vorrà prestarsi. Vada Cavallaro ma subito ritorni in Consiglio Comunale a RENDICONTARE.
Clogero Taverna
Le rimetto questa seconda lettera aperta riguardante la faccenda del Parco letterario Leonardo Sciascia. Ripubblico sotto la seconda parte del mio progetto del Parco Letterario Leonardo Sciascia. Andato in fumo, neppure preso in considerazione. Negletto perché subissato dall'egemone Fondazione Leonardo Sciascia. . In ballo vi erano miliardi di vecchie lire. La Fondazione ha vinto, io ho perso. Ed ho perso in malo modo minacciato persino di querela per 500 milioni di vecchie lire dallo Scimé per via di una ninfa egeria nissena e insolentito quale GRAN MALEDOCATO da tal Di Grado tutto preso dal cuore cavo della figlia.
La Fondazione dunque ha vinto: ha vinto miliardi di vecchie lire come da progetto presentato. Che fine hanno fatto quei miliardi di vecchie lire. Non vorranno giustificarsi con quattro labari oggi residui: due in viale della Vittoria e due nel castello che dicono Chiaramontano? Non credo che certi esborsi possano avere doppia faccia una a comprova di finanziamenti pubblici esterni e l'altra a comprova di un paio di ambienti peraltro oscenamente sordi nei più o meno convegni che ospitano?
In questo lei signor Guagliano è molto bravo: Non pensa che sia il caso che una seduta del Consiglio sia spesa per un rendiconto da parte della Fondazione della fine fatta dai soldi del vittorioso parco letterario Leonardo Sciascia? Mica ci avranno speso nome e istituzione racalmutesi per dirottare miliardi di lire a Caltanissetta, essendo davvero irresistibile codesta lodata Ninfa? Cosa ne è venuto ai Racalmutesi? Quante iniziative avevo in animo a totale beneficio di Racalmuto o dei Racalmutesi DOC che Savatteri nega esistere o degli "stanziali" cui da tempo lei è dedito! Se uno stabile da miliardi di lire, se una novennale dotazione di centinaia di milioni di vecchie lire annue, se sgattaiolamento da tasse comunali dovute dovessero essere serviti per certe opzioni muliebri nissene, l'ultimo atto di mettersi a novanta gradi per scegliere tra una fasulla terna l'unico loro prescelto sarebbe ignominia cui penso Lei concretamente fattivamente legalmente non vorrà prestarsi. Vada Cavallaro ma subito ritorni in Consiglio Comunale a RENDICONTARE.
Clogero Taverna
Seconda parte del
parco sconfitto
Il quadro sinottico
tracciabile si dispiega lungo queste cifre:
Emblema dell’irrazionalità
del quadro economico è il seguente prospetto delle licenze commerciali:
1. Commercio fisso:
n.° 162;
2. Commerci su aree
pubbliche: n.° 143;
3. Produttori
agricoli: n.° 51;
4. Pubblici esercizi:
n.° 27.
Un terziario così
pletorico sarebbe esiziale se non fosse inattendibile. Un velo ipocrita, o
peggio, copre dunque una realtà economica ben più viva ed operosa che sfugge
alle statistiche ufficiali. Diversamente non si spiegherebbe la massa di mezzi
fiduciari in parcheggio presso le banche; diversamente sarebbe dissennatezza la
frotta di laureati (nelle più disparate discipline) che Racalmuto annualmente
sforna. Oggi, con connotati di disoccupazione totale o di sottoccupazione,
questo piccolo centro dell’Agrigentino annovera tecnici laureati o diplomati
(ingegneri, architetti, geometri) nel settore scientifico per una settantina di
elementi; tecnici dell’area contabile (laureati in economia e commercio e
ragionieri) per circa una ventina di soggetti ed altrettanti nell’area
giuridica (avvocati o meri laureati in giurisprudenza).
Si guardi
l’illuminante foglio di un periodico locale (Vedi fotocopia).
Quantificazione di
massima del valore degli investimenti proposti e delle fonti finanziarie
In relazione ai
suaccennati “laboratori” può prefigurarsi questo budget di investimenti
approntabili dall’Associazione Conte del Carretto:
1 ) organizzazione di
itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi
inconsueti;
Acquisto di n.° 10 carretti siciliani istoriati
a L. 10.000.000 cadauno
L. 100.000.000
Acquisto di n. 10 giumente
a L. 5.000.000 cadauna
L. 50.000.000
Bardature diverse
L. 20.000.000
L. 20.000.000
L. 170.000.000
Studi e ricerche per la definizione degli itinerari turistici
L. 20.000.000
L. 20.000.000
Retribuzione e compensi ad accompagnatrici/accompagnatori
Anticipo per il primo
anno in misura forfettaria di L. 12.000.000 per ciascun componente: sono
previsti n. 10 collaboratori, uno per ogni carro. Dopo il primo anno, i
proventi della specifica attività dovranno essere sufficiente alla copertura
finanziaria
L. 120.000.000
L. 120.000.000
Spese varie
Imposte, tasse,
cancelleria, assicurazioni, telefono, fitti, compensi straordinari
L. 60.000.000
L. 60.000.000
Totale laboratorio sub 1°
L. 370.000.000
2 ) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena).
Fitto dell'ex ospedale
di San Giovanni di Dio
Il fitto è relativo al
primo anno: dopo i proventi dovranno essere bastevoli per la copertura
finanziaria
L. 36.000.000
Adattammento dei suddetti locali
sistemi d'allarme;
strutture musive, e varie
L. 300.000.000
Recupero del materiale ecclesiastico
Piviali, pianete,
statue, quadri ed altro
L. 500.000.000
Allestimento presso un atelier del luogo delle suppellettili antiche di cui ai disponibili inventari
L. 300.000.000
Spese per il personale
limitatamente al primo
anno
L. 100.000.000
Spese varie
Cancelleria, tasse ed
altro
L. 80.000.000
L. 1.316.000.000
Fitto di case sparse per il museo etnografico
Precedibile un minimo
di 10 case caratteristiche di varia dimensione il cui fitto medio non
supererebbe le L. 12.000.000 annue. Fitto previsto per il primo anno
L. 120.000.000
Reperimento di arredi popolari antichi
L. 50.000.000
spese per il personale
L. 120.000.000
spese varie
L. 20.000.000
L. 310.000.000
Utilizzo di locali comunali per sistemazione dell'archivio storico racalmutese
Si è certo che i
locali si avrebbero in comodato: le spese si limiterebbero dunque alle opere di
adattamento
L. 10.000.000
Mobilio ed arredi vari
L. 100.000.000
Spese per il personale
L. 50.000.000
Spese per computer, abbonamenti Internet, telefonia
L. 100.000.000
Spese varie
L. 30.000.000
L. 290.000.000
totale
L. 1.916.000.000
Il preventivo verrebbe coperto dall'eventuale contributo per il parco per non più del 40%; il resto verrebbe reperito con apporti contributivo del Comune, Provincia e Regione; al limite si ridimensionerebbero siffatte iniziative
L. 766.400.000
3 ) scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
Nei predetti musei ed
archivi si dovranno aprire scuole specialistiche di paleologia, archeologia,
storia locale. Limitata la spesa per i locali
L. 10.000.000
Compensi a docenti (specie di livello universitario)
L. 100.000.000
Spese per il personale molto limitate (sarà utilizzato soprattutto quello disponibile per le altre iniziative)
L. 40.000.000
Spese varie
L. 50.000.000
L. 200.000.000
L. 200.000.000
4 ) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile;
Si conta sulla circostanza che i locali del vecchio ospedale racalmutese (dovuto a lasciti di apprezzati benefattori locali) - oggi in totale abbandono vengano dati in comodato all'Associazione proponente.
Le spese sono dunque
quelle occorrenti per la sistemazione
L. 200.000.000
Attrezzatura scientifica
L. 500.000.000
Personale specializzato
L. 200.000.000
Contributi scientifici universitari
L. 50.000.000
Spese varie
L. 30.000.000
totale
L. 980.000.000
Anche qui prevedibili contributi degli enti locali. A carico del Parco non più del 40%. In caso di insufficienza di fondi, il progetto verrebbe adeguatamente ridimensionato
L. 392.000.000
5 ) concertazione di
iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione
musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi
monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano.
È codesta iniziativa che
potrà svolgersi nei locali disponibili per altri laboratori. Si conterà
soprattutto sul volontariato, davvero generoso in codesti comparti a Racalmuto.
Le spese sono dunque
limitatissime. Si possono pure prefigurare in alcune spese varie non eccedenti
L. 5.000.000
L. 5.000.000
L. 5.000.000
6 ) coordinamento con
i centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità di
questa periferia agrigentina;
Le sinergie che s'intendono realizzare con la fervida operosità della contermine Grotte avranno un nodo nevralgico nell'intesa con il Laboratorio teatrale Luchino Visconti di Grotte per un'edizione stabile delle opere teatrali di Sciascia.
Verrà soprattutto
utilizzato il Teatro Comunale di Racalmuto, al centro dell'attenzione di
Leonardo Sciascia e prossimo alla riapertura dopo anni di restauro
L. 500.000.000
L. 500.000.000
Si presume che solo per il 40% l'onere ricadrà sull'associazione
L. 200.000.000
7 ) collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano "circolo della concordia" con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale.
Tramite Infotar s.r.l. si procederà ad una serie di CD-ROM interattivi rievocativi della storia, degli usi, delle atmosfere sociali del circolo al centro delle Parrocchie di Regalpetra
Spese di produzione
dei CD-ROM
L. 200.000.000
L. 200.000.000
Restauro delle sale del circolo per il ripristino delle tappezzerie e dell'arredamento come da descrizione sciasciana e secondo la disponibile documentazione fotografica
Lavori commissionabili
all'atelier specializzato di Racalmuto, ARCON s.r.l.
L. 100.000.000
L. 100.000.000
Scenografica rievocativa dei personaggi e delle "affabulazioni" dei vecchi tempi
Gigantografie
fotografiche, pannelli illustrativi, viaggi virtuali (da commissionare ad
INFOTAR srl Racalmuto
L. 100.000.000
L. 100.000.000
Spese varie
L. 50.000.000
L. 50.000.000
L. 450.000.000
8 ) compartecipazione
maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative
imprenditoriali nel campo del turismo locale;
L'associazione intenderebbe partecipare con fondi propri alla costituenda società mista SIRAC spa Racalmuto cui è compartecipe il Comune di Racalmuto che potrebbe finanziare tante iniziative collimanti con quelle del Parco Leonardo Sciascia
L. 300.000.000
L. 300.000.000
L. 300.000.000
9 ) costituzione di
una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione
cinematografica delle "Parrocchie di Regalpetra" che il regista
racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
Partecipazione, nella misura del 50%, alla divisata iniziativa del "Laboratorio Teatrale Luchino Visconti" di Grotte per la realizzazione del film sulle Parrocchie di Regalpetra
L. 500.000.000
L. 500.000.000
L. 500.000.000
10 ) attività
traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a
disposizione del mondo dei navigatori informatici.
Tramite INFOTAR o
altre realtà informatiche dell'agrigentino, tutte le risultanze dell'attività
scientifica, storica, folkloristica, archeologica, etnografica del Parco andrà
trasfusa in CD-ROM navigabili e traslata in siti INTERNET
Preventivare sin d'ora
gli investimenti è arduo; approssimativamente si può affermare che non
supereranno il miliardo di lire
L. 1.000.000.000
L. 1.000.000.000
L. 1.000.000.000
In sommatoria generale
L. 4.183.400.000
arrotondabili
L. 4.000.000.000
Riconducibili agevolmente nell'ambito dell'eventuale apporto dell'eroganda sovvenzione comunitaria
L. 3.000.000.000
Con cosiffatti apporti scatterebbe in Racalmuto un indotto a progressione geometrica. Già operano varie realtà imprenditoriali che usufruiscono delle agevolazioni della legge n.° 488/92. Altre imprese come INFOTAR (azienda d’avanguardia nell’attività dell’editoria digitale) sono in attesa delle agevolazioni di cui alla menzionata legge. Sarà, poi, possibile che la tormentata vicenda della società mista con il locale Comune abbia finalmente felice esito: codesta società si proietterebbe in campi altamente proficui sotto il profilo dell’esaltazione delle vocazioni turistiche di Racalmuto. In cantiere vi sono già progetti che potrebbero far veicolare su tale società a capitale misto (pubblico-privato) fondi per centinaia di miliardi a valere sulla predetta legge 488 e su altri fondi comunitari per imprese cospicue come campagne di scavi archeologici cui collegare attività turistiche del tipo degli stages per vacanze “intelligenti”, strutture alberghiere che al contempo sviluppino le possibilità di sfruttamento delle locali acque sulfuree o salse ai fini terapeutici e via discorrendo. Il Parco Letterario al nome di Leonardo Sciascia, quale qui concepito, davvero sarebbe di volano per un salto qualitativo dell’addormentata realtà economica racalmutese e per un lancio nei futuri, prevedibilissimi flussi turistici che, in vigenza di moneta unica, esploderanno verso l’incantevole Valle dei templi agrigentina (contermine conRacalmuto) e si dirameranno a margherita inondando la ormai celeberrima terra natia di Sciascia, Racalmuto. Sul TCI questo ameno centro della Sicilia dovrà venire ridisegnato. Oggi è malconciamente ridotto a “grosso centro agricolo che prese nome dall’arabo Rahalmaut.” Ed è subito questa una “cervellotica etimologia” come annota, per altre occasioni, il grande storico Garufi. I nuovi storici locali ecco, ad esempio, come affrontano questa tormentata vicenda dell’etimologia del toponimo di Racalmuto:
“ Normanni del Conte
Ruggero, 600 cavalleggeri - pare, depredarono il territorio dell’altipiano ove
sembra sorgesse un imprecisato Racel... a dire del Malaterra. Nell’XI secolo,
il gaito saraceno Chamuth, signore della vicino Naro, con molta probabilità
aveva il dominio del nostro Altipiano e forse vi eresse un fortilizio, un
Rahal: da qui il toponimo Rahal Chamuth, a seguire l’acuta congettura del
Garufi. I Saraceni furono, specie sotto Federico II, ribelli e violenti:
imprigionarono persino il vescovo agrigentino Ursone. Federico II non fu tenero
verso di loro, deportò a Lucera i caporioni; gli altri - i più pavidi ed i meno
appariscenti - si dispersero assumendo nomi latineggianti o fingendo antica
professione di fede cattolica. Per uno o due decenni Racalmuto rimase comunque
deserta. Un tale della famiglia Musca - forse Federico Musca - poté
appropriarsi del territorio, portarvi fuggiaschi, verosimilmente ex saraceni,
dotarli di terra e mezzi di lavoro e far sorgere un nuovo casale. Il suddetto
Federico Musca finì però con l’osteggiare il vincitore Carlo d’Angiò e costui
lo spogliò di quel casale assegnandolo nel 1271 a tal Pietro Negrello di
Belmonte: un diploma degli archivi angioini ne specificava - prima di esser
distrutto dai nazisti nel 1943 - termini, modalità e dettagli. Finiva, per
altro verso, quella che possiamo considerare la preistoria racalmutese: un
periodo buio ed incerto che ebbe a protrarsi per 3271 anni. Quel che per tal
periodo si è scritto - ed è tanto ed anche dalla penna più illustre del luogo -
è solo cervellotica congettura. Possiamo solo credere a quei radi reperti
archeologici di cui si ha conoscenza ed a quel poco, spesso nulla, che riescono
a svelarci di tanto defluire umano degli antichi racalmutesi.
Con i Vespri
Siciliani, il casale di Racalmuto acquisisce importanza e ruolo perché può
fornire tasse e balzelli alla famelica pirateria di un Pietro d’Aragona. Il
centro abitato non contava più di 75 fuochi (circa 265 abitanti). Nel 1376 i
fuochi erano aumentati a 136 (circa 480 abitanti). Frattanto, Racalmuto - a
dire del Fazello - era stato requisito da Federico di Chiaramonte che pare vi
abbia costruito le torri del castello nella prima decade del 1300. Si sa che
Costanza Chiaramonte, unica figlia di Federico, fu l’erede universale. Che
abbia sposato prima il girovago ligure Antonio del Carretto e poi, divenuta
vedova, l’avventuriero Brancaleone Doria - forse quello dannato all’inferno da
Dante - si dice e qualche documento degli archivi di Stato palermitani sembra
confermarlo. Resta comunque certo che sino al 1396 Racalmuto è dominio dei
Chiaramonte, in particolare del celebre figlio illegittimo Manfredi
Chiaramonte- lo attestano le carte dell’Archivio Segreto Vaticano.
Tocca a Matteo del
Carretto rimpossessarsi del feudo, farne una baronia e farsene riconoscere
titolare dal re Martino, naturalmente previo esborso di sonanti once. Il figlio
Giovanni primo del Carretto è ancor più rapace del padre.
Nel 1404, Racalmuto è
ancora fermo a 150 fuochi (540 abitanti). Un secolo dopo nel 1505, al tempo
della “venuta” della Madonna del Monte, la sua popolazione sale a 473 fuochi
(1670 abitanti). Ora domina il barone di Racalmuto Ercole del Carretto. Il figlio
Giovanni II esordisce con un delitto: commissiona a tal Giacchetto di Naro la
strage dei Barresi di Castronuovo per vendicare l’uccisione del fratello Paolo,
antenato di Vincenzo di Giovanni che nei primi decenni del 1600 scriverà una
complessa trattazione su Palermo Restaurato, ove rammenterà quei truci e letali
eventi. Dopo, rimorsi e crisi religiose spingeranno quel del Carretto a
costruire chiese e conventi ed a chiamare a Racalmuto carmelitani e francescani
per una redenzione spirituale sua e del suo popolo. Certo, mero e misto impero,
terraggio e terraggiolo ed una pletora d’imposte e tasse feudali fioccarono sui
racalmutesi. Un notaio venne chiamato da Agrigento per i tanti atti del barone
(e dei suoi vassalli): era quel tale Jacopo Damiano che alla morte di Giovanni
II del Carretto finì sotto l’Inquisizione.
A metà del secolo, nel
1548, la popolazione sale a n.° 896 fuochi (3163 abitanti), segno che la
politica del barone non era poi così devastante come sembra voler far credere
Leonardo Sciascia.
Quello che non fa il
barone, lo fa invece la peste del 1576: la popolazione racalmutese viene
decimata. Se crediamo ad un documento del fondo Palagonia, dai 5279 abitanti
del 1570 si sarebbe passati ad appena n.° 2400 abitanti nel 1577. Ciò non è
credibile e si deve alla voglia tutta fiscale di impietosire il viceré per una
contrazione delle “tande” in mora e di quelle in atto. Di sfuggita, va detto
che la tentata evasione fiscale del 1577 non ebbe effetto. Le “tande” si
basavano sulla tassa del macinato: la drastica contrazione della popolazione
non consentiva un gettito bastevole a fronteggiare la soffocante tassazione del
governo spagnolo. Questo non ebbe pietà e la Universitas fu costretta ad
indebitarsi con gli stessi esattori, al contempo strozzini.
Sia come sia, nel 1593
Racalmuto sembra risorta: gli abitanti ora sono in numero di 4448: ovviamente
molti fuggiaschi erano rientrati e, soprattutto, si doveva trovare conveniente
emigrare dai centri viciniori per sistemarsi nella neo-contea di Racalmuto, le cui
condizioni sociali, economiche e giuridiche in definitiva tornavano
appetibili.”
Prosegue il TCI: “fino
al ‘300 l’abitato sorgeva presso il luogo detto Casalvecchio [è invenzione del
tutto infondata, n.d.r.]; l’odierno si venne fondando attorno al castello dei
Chiaramonte [anche qui inesattezze a profusione: il primo nucleo databile
attorno al 1250 si stabilì nelle grotte sotto il Carmine; il castello sorge
postumo verso il 1310 a seguire il Fazello; codesto pur immenso storico del
‘500 non è perspicuo ad ipotizzare l’erezione dell’attuale castello racalmutese
da parte di un cadetto dei Chiaramonte e comunque è molto circospetto per
suffragare la ricorrente diceria di un castello chiaramontano a Racalmuto,
n.d.r.]. E’ patria del pittore Pietro d’Asaro, d. il Monocolo (1597-1647) [è
ormai pacifica la data di nascita del Pittore: 1579 e non 1597, n.d.r.]. Sul
Corso Garibaldi, al centro sorge la chiesa Matrice (dell’Annunziata), della
fine del ‘600, nel cui interno si conservano due dipinti dell’Asaro (Madonna e
Santi e Madonna della Catena) [da rettificare: l’Annunciata è chiesa
preesistente sin da prima del XVI secolo; l’attuale chiesa Madre ha laboriosa
gestazione, ma può dirsi disegnata nel primo trentennio del 1600 e definita
negli anni ’60 del XVII quando la fine del ‘600 era lontana; nessun quadro
certo di Pietro d’Asaro vi si conserva, men che meno quelli sopra citati,
n.d.r.]. A d. della Matrice, in fondo alla piazza Umberto I, è il Castello,
fondato tra il ‘200 e il ‘300 da Federico Chiaramonte [banalizzazione di una
cauta nota del Fazello: a credere a codesto grande storico il castello andrebbe
datato 1310: le torri rotonde - fortezze abbisognevoli di alta perizia
indisponibili ai tempi di Federico Chiaramonte - fanno invece pensare a
Federico II lo Svevo, cioè al 1240 circa. Quando scavi sotto le torri
metteranno alla luce i tanti reperti archeologici della dominazione araba -
oggi totalmente oscura sotto il profilo dei manufatti - ampia luce ne promanerà
anche ai fini del disvelamento della veridica storia dei musulmani in Sicilia.
I locali già sanno di tali reperti; la locale Sovrintendenza sembra ignorarli
del tutto, n.d.r.]: ha due torri cilindriche e nell’interno conserva un
sarcofago romano del secolo IV, con la raffigurazione del Ratto di Proserpina
[inculture passate e presenti hanno oscurato del tutto l’effettivo luogo del
ritrovamento dell’importante sarcofago; oggi di certo non è più conservato al
Castello ma nel chiostro dell’ex convento di Santa Chiara; la datazione è del
tutto cervellotica, n.d.r.]. A sin. del castello si scende alla chiesetta di
San Nicolò [in effetti S. Nicola di Bari, e si crede che nessun forestiero sarà
in grado di raggiungere la chiesetta con siffatte indicazioni topografiche,
n.d.r.], nella quale è una tela del Monocolo, con S. Nicola di Bari (firmata e
datata 1603) [c’era una volta, ora non più; sbagliata la data che invece è
quella del 1613, n.d.r.]; in Santa Maria di Gesù, fuori del paese, Madonna del
Rosario, (firmata dallo stesso 1636). [Il quadro è disinvoltamente dichiarato
“completamente distrutto”, n.d.r.] Altre chiese interessanti: la chiesa del
Carmelo, con un Crocifissodell’Asaro [pare, invece, che il quadro dati ad
almeno mezzo secolo prima della nascita del Pittore, n.d.r.] e la tomba di
Girolamo III del Carretto(1600) [Girolamo III del Carretto morì oltre un secolo
dopo, nel 1710; quello di cui tratti è il secondo dei Girolami del Carretto,
che comunque fu “occisus a servo” nel 1622, un quarto di secolo dopo n.d.r.];
San Giuliano, con una Madonna della Cintura dell’Asaro [si sostiene essere
dell’Asaro solo il San Giuliano che si vorrebbe del 1608; codesta “Madonna”non
è oggi identificabile ed in ogni casi giammai sembra essere stata esposta in
San Giuliano, n.d.r.]; il santuario di S. Maria del Monte, del sec. XVIII, [si
dà invece il caso che la chiesa è visitata dal vescovo Tagliavia già nel 1540,
n.d.r.] con una Vergine degli Afflitti, [chissà perché la si vuol chiamare
“degli afflitti” quando ha un viso radioso!,n.d.r. ], della scuola del Gagini,
[mero topos quando non si sa che dire di una statua marmorea di fine secolo XV,
n.d.r.], e un altare con rilievi medioevali [ben strano in una chiesa che prima
si affermava essere del XVIII secolo; l’attuale altare maggiore è invero
databile XVIII secolo. Non si comprende come nessun cenno vi sia a chiese
importantissime e di maggior valore storico ed artistico rispetto a talune
chiese invece menzionate: ci riferiamo alle chiese del Collegio, di Sant’Anna,
dell’Itria, di Santa Chiara, di San Pasquale e soprattutto della chiesa più
antica: S. Francesco. n.d.r.]. - A N. e NO del paese, lungo il Vall. Pantano o
di Racalmuto, sono numerose miniere di zolfo (oggi tutte inattive, ma
intelligentemente riadoperabili per insediamenti turistici o per itinerari
folkloristici in tipici carretti siciliani alla scoperta delle fonti
d’ispirazioni sciasciane, n.d.r.] e di salgemma [da cui quel Sale sulla piaga,
titolo che Sciascia avrebbe voluto per le sue Parrocchie di Regalpetra e che
volle per la traduzione in inglese, n.d.r.], fra cui la salina Pantanella [ove
il 12 maggio 1955 ebbe a trovare tragica morte il salinaio, i cui funerali
vengono angosciosamente e con empiti d’ira descritti da Leonardo Sciascia ne
“Le parrocchie di Regalpetra” in quel mirabile squarcio su “i salinari”.
Escursione al M. Castelluccio m. 721, ore 1.30 circa. Si segue la strada per
Montedoro e a 5 km. C. si sale a d. sul monte ove si trovano avanzi notevoli di
una fortezza dei Chiaramonte, del sec. XIV, ma fondata nel ‘200 da Abba Barresi
[il quale - normalmente chiamato Abbo - nulla ebbe mai a che fare con Racalmuto
e dintorni: la fortezza, sede del feudo (in senso giuspubblicistico) di
Gibillini [1], pertiene, a dire il vero, alle nobili famiglie medievali dei
Podiovirid; Simone di Chiaromonte, Moncada, Alagona, De Marinis e Telles,
Giardina Guerara ed altri, una lunga storia che trascende il dato segnaletico
che la pur pregevole pubblicazione turistica fornisce, n.d.r.]. La strada
continua per altri km.3,5 alla zolfara Gibellina. Indi prosegue fino, hm. 13,5,
a Montedoro.[Nulla sulle interessantissime necropoli sicane; nulla sulle
“garbere” del Monte Pernice; nulla sull’ipogeo cristiano delle “grotticelle”;
nulla sui cinquecenteschi mulini ad acqua a valle di Racalmuto; nulla sugli
“zubbi” di S. Anna (ove esplodono scisti di flora tropicale); nulla sulle
“calcarelle” note a Solino e che Brydone cercava ancora nel ‘700; nulla sugli
insediamenti bizantini attestati da ritrovamenti numismatici al centro
dell’attenzione dei più grandi bizantinisti; nulla sulle“tabulae sulphuris”
studiate da Mommsen nell’ottocento ed attualmente motivo di lambiccamento dei
più accorti archeologi romanisti; nulla sui fenomeni carsici così atipici in
un’isola del mediterraneo e nulla tant’altro, n.d.r.]. ”
Non val la pena -
anche per il TCI - attivare un parco letterario in un cosiffatto territorio?
Non si reputa del caso propiziare studi storici, scavi archeologici, ricerche
paleografiche in una plaga - per sua ventura patria di Leonardo Sciascia - ove
dovranno prima o poi affluire scienziati, storici, archeologici alla scoperta
di mondi antichi i cui flebili echi si nascondono ancora nel grembo di quella
terra e che non è bene che siano negletti o peggio deformati da pur eccelse
pubblicazioni turistiche? Noi tentiamo qui una qualche progettazione: senza
inquinamenti politici, senza cointeressamenti sospetti, senza padrinati
colpevoli.
SEZIONE II
Descrizione delle
modalità ipotizzate per la gestione del Parco Letterario
Abbiamo qua e là
sufficientemente precisato come intenderemmo gestire il Parco: affidatane la
direzione al dott. Taverna, la nostra associazione sarebbe il soggetto “no
profit” che veicolerebbe i fondi per dar lavoro alle altre associazioni della
specie pullulanti a Racalmuto, per commissionare alle competenti imprese locali
(la società a capitale misto, Infotar, Arcon, aziende turistiche operanti già a
Racalmuto, etc.) l’esecuzione delle opere e dei manufatti occorrenti in ordine
alle finalità dei vari laboratori che ci si accinge a descrivere.
La tempistica può succintamente
prefigurarsi nel succedersi delle seguenti fasi:
a) studi e ricerche;
b) commissione delle
opere e dei manufatti occorrenti;
c) pratiche
burocratiche varie (richiesta del comodato dei locali del vecchio ed
abbandonato Ospedale; fitto delle vecchie case; postulazione di comodato di
luoghi pubblici, locali comunali oggi in stato di abbandono, etc.);
d) opere murarie
occorrenti;
e) attrezzatura di
locali per renderli idonei alla realizzazione degli scopi prefissi (musei,
esposizioni, registrazioni, allocazione di archivi, installazioni multimediali
e via dicendo);
f) concertazioni con
Curia, parroci, sindaci, amministratori provinciali, organi pubblici,
associazioni teatrali, registi cinematografici, presidente del circolo Unione
di Racalmuto per la messa a punto dei progetti di cui in seguito;
g) reperimento delle
forze lavoro occorrenti;
h) avvio dei vari
laboratori;
i) svolgimento di
relativi compiti;
j) afflusso dei
risultati nelle collegate società d’informatica;
k) attività editoriale
su supporto cartaceo, ma, soprattutto, su CD-ROM;
l) attivazione dei
siti Internet per navigare nell’intero mondo del costituendo Parco Letterario
intestato a Sciascia.
* * *
Ma ritorniamo a quella
che crediamo la nostra idea vincente: i laboratori.
Più che un titolo
serve una descrizione anche prolissa ma forse più esplicita. Li abbiamo sopra
definiti:
) organizzazione di
itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi
inconsueti;
) istituzione di musei
(religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane
sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento solo parzialmente
conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro,
Bompensiere, Milena);
) scuole di alta
specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia,
microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo
inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
) sofà psicanalitico
per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione
dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della labilità mentale
senile;
) concertazione di
iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione
musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi
monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano come i tanti
“libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in certo
senso tramandano;
) coordinamento con i
centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità di
questa periferia agrigentina;
) collegamento con il
locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano “circolo
della concordia” con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il
suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in un normale e funzionante
circolo quale continua ad essere;
) compartecipazione
maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative
imprenditoriali nel campo del turismo locale;
) costituzione di una
società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione
cinematografica delle“Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese
Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
) attività traslativa
dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM navigabili o in siti Internet a
disposizione del mondo dei navigatori informatici.
Descrizione del
laboratorio sub 1) organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di
Sciascia con modalità e percorsi inconsueti
Si è visto sopra come
in tema di escursioni Racalmuto viene ridotto nelle guide del TCI in una sola
(ed invero asfittica) possibilità: andare al Castelluccio, come faceva La Caico
Hamilton con la sua macchina fotografica al sorgere di questo ormai tramontato
secolo. Invero, escursioni affascinanti, piene del succo gastrico della prosa
sciasciana, paesaggisticamente inobliabili, verso il cielo(Castelluccio,
“zubbio” di S.Anna, “garbere” di Monte Pernice”, grotta di fra Diego), verso il
mare (la celeberrima “Noce” di Sciascia, l’opalescente“scavo morto”; il mistero
bizantino della “Montagna”; la visionarietà‘peccaminosa’ del “Cozzo della
Loggia”), verso l’ancestralità nichilista(l’adombrato cammino verso gli inferi
delle terre della Cicuta o di Cugni Longhi), verso la dannazione sulfurea
(Cozzo Tondo, Quattro Fanaiti, Pian della Botte) e quella viscerale del sale
(Pantanelle, Sacchitello), verso le radici dei progenitori sicani (dalle
necropoli sino ai confini di Monte Campanella nel nisseno, oltre Milena sino
alle Raffe), queste ed altre escursioni - con poco dispendio tracciabili e con
profitto e gioia dello spirito realizzabili - sono pronte a venire ideate.
Ritocchi, momenti d’incontro, concertazioni tra le esistenti associazioni
specie di giovani e, subito, siffatte escursioni potrebbero venire segnalate
persino dalla ineguagliabile Guida del TCI.
L’effettuazione delle
escursioni dovrebbe, però, trascendere dal vieto vedere di frettolosi turistici,
stracchi per l'estenuante guida delle loro automobili: carretti siciliani,
tradizionalmente istoriati, trainati da giumente bardate più e meglio delle
locali, antiche contesse carrettesche, comodi comunque per dissimulata
tappezzeria, dovranno accompagnare quei turisti che, a margherita, verranno
dall’orgia della spettacolarità agrigentina e che potranno immergersi nella
sonnacchiosa civiltà di una plurimillenaria sopravvivenza contadina, sicula
anzi inimitabilmente sicana.
Strade da tracciare,
ma come le vecchie trazzere; posti di ristoro da approntare, ma con i limiti
della radicatissima “avara povertà di Catalogna”; accattivanti ricezioni con
suoni e luci di atavica estrazione; modernissimo contrasto con proiezioni di
originali “cassette” e con“videate” della rivoluzionaria editoria multimediale
(che Infotar, già, per suo conto sta approntando); accompagnatori ed
assistenti, colti, giovani, adeguatamente istruiti, tutto ciò rientra nella
ipotesi di lavoro che si vorrà attuare con il laboratorio in questione.
Descrizione del
laboratorio sub 2) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che
pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata -
ma per il momento solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei
dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);
S’intendono realizzare
in Racalmuto almeno tre tipi di micromusei:
a) parrocchiale;
b) etnografico, ma a
percorso articolato lungo tutte le principali arterie della vecchia Racalmuto;
c) storico con
preminente caratteristica della virtualità.
Museo Parrocchiale.
Racalmuto vanta una
Matrice ove si custodisce un patrimonio archivistico che è un “unicum” in tutta
la Sicilia: i documenti più antichi risalgono al 1550; i dati della locale
diplomatica travalicano il secolo XV. Oggi quel patrimonio è criminosamente
abbandonato in ripostigli insicuri, in armadi di fortuna, alla mercé del primo
venuto. Trasferire questo patrimonio in un museo parrocchiale - giuridicamente,
s’intende, sotto l’egida della Curia, cui compete lo jus disponendi per diritto
canonico - si rende ormai improcrastinabile.
Del pari, l’immensa
quantità di vestiario antico, di paramenti sacri, di labari, altaretti, di ciò
che nel gergo ecclesiastico si denominava “iogalia” andrebbe salvato dalle
tarme, dall’incuria e dalla idiota pirateria che la stanno devastando, nelle
mefitiche, vecchie e malconce sagrestie di tutte quelle chiese che abbiamo
prima menzionato, anche ad integrazione delle guide turistiche oggi
disponibili.
E’ un salvataggio
doveroso che deve avvenire in un museo - ci pare come quello parrocchiale che
proponiamo. Ma non basta, dai diplomi, dagli atti notarili, dalle visite
diocesane e da altro affiorano termini inusitati di antica biancheria
ecclesiastica (camici, amitti, mozzette e via di seguito), nomi di paramenti,
indicazione di arredamenti che ben tipicizzano una vecchia chiesa locale, un
costume religioso oggi dismesso. Il museo - affidandone la reinvenzione a
fabbriche del luogo specializzate del tipo della costituenda ARCON - appronterà
sale, esposizioni ove questo perduto materiale tessile o ligneo potrà risorgere
almeno in una imitazione attendibile.
Studi, ricerche, foto,
percorsi musivi, materiale vario dovrà accedere in CD-ROM navigabili, in siti
Internet. Passi dell’opera sciasciana daranno lustro, senso, allusività al
museo: Sciascia non fu religioso; fu certo intriso di soggezioni chiesastiche.
inforrato di velluto
lavorato ed usato. Item firraiolo di rasetto nigro inforrato di taffità usato.
Item un altro firraiolo di tiletta inforrato di taffità. Item un arbonus bianco
murisco usato. Item una cascia di tirzanello di armari nigro foderata
dell’istesso usato. Item un altro firraiolo di muc
ajale nigro usato.
Item un altro firriolo di Buratino infoderato di taffità nigro usato.
Item un altro
firraiolo di Giambello di levanti foderati di taffità seu baratto usati. Item
un cammisolo alla guglia di seta carmicina lavorato allo petto di oro usato.
Item novi para di calsoni di mocajali terzanello e gambilotto usati. Item venti
gipponi usati di diversi drappi, site, mucajale terzanelle, russo e gambilotto,
inforrato di tila bianca usati. Item un cabubo di lanetta di Calabria guarnito
di passamani d’oro in foderato di panno di baetta russa. Item una robba di casa
di panno di Barsalona inforrata la mettà di villuto nigro guarnita di passamano
d’oro fino usata. Item una robba di casa fatta a firriolo di Macajali usato.
Item un Agnus Dei di cira lavorato atorno di seta ed oro. Item un trucco
foderato di panno verde con suoi piedi. Item quattro portali di Barsellota
vecchi. Item un pezzo di panno di raso vecchio. Item un orologio di ferro con
suoi fornimenti. Item una carrozza di nuci coperta di cojo di cavvhetta di
Fiandra inforrata di velluto nigro nova tutta con suoi guarnimenti. Item un
altra carrozza di nuci coperta di vacchetta di Fiandra nigra. Item una lettica
di camino coperta di vacchetta ed infoderata di tila azola con li suoi
fornimenti e selloni vecchi.
Item un’altra lettica
di legname vecchia.
Item cinque selle vecchi
con suoi freni e guarnizioni.
Item due selle di
velluto vecchi con suoi guarnizioni e freni.
Item lo paramento di
Vincenzo di Settimo per cui pignorato di damasco turchino.
Item novi piatti
piccoli d’argento senz’armi novi.
Robba della Camera di
Leonardo Campisi.
Item una maldrappa di
punto dalla nuona memoria plana.
Un’altra di panno con
la sua frinza nigra di detto Signore.
Un’altra di velluto
nigro di d.° Signore con la sua frinza.
Un’altra di tiletta
con la sua frinza della Nuona Memoria.
Un’altra maldrappa di
villuto con sua frinza, parte lavorata. Un’altra di tila vecchia con li suoi
passamani e frinze. Un’altra di velluto vecchio con suoi passamani. Una sella
di velluto nuova guarnuta di passamano con suoi guarnimenti di velluto. con
suoi giumbi della buona memoria. Dui selle nuove guarnute di velluto con due
fascie con li suoi guarnimenti di coiro. Una sella bardiglia guarnuta di
velluto con le sue staffe e con il suo guarnimento simile di velluto nigro.
Item una sella vecchia con suo guarnimento di panno nigro con le staffe e
maldrappa con suo freno di cavallo . . . . Item una sella di coiro invellutato
di mezamina col suo guarnimento senza staffe. Un’altra sella di velluto nigra
guarnuta con suo passamano d’oro, con suo guarnimento di velluto senza staffe.
Altra sella alla giomenta con suo guarnimento e staffe con la sua coperta alla
moresca.
Item una sella di
coiro di posta; dui para di staffi alla giannetta; un guarnimento di tila
vecchio; un guarnimento alla moresca con sue drappe di ramo dorate; due para di
tavolette di velluto carmicino per cavalcare le donne. Due assettiti di velluto
carmicino con la sua frinza simili per una lettica; quattro bandilori di
damasco carmicino con li suoi giumbi e capi per detta littica; un paro di
staffi nigri; cinque spati delli quali ne tiene una Liberanti per ordine del
sig.re d: Vincenzo Sette Capardi, delle quali ne tiene una Marsilio con uno
scuto dorato; un capizzuni; un coccano di scopettina; sei freni di coiro
guarnuto per servizio; un fiasco di stagno; quattro per annivare acqua e vino.
Item una sella di coiro vecchia con suo guarnimento; dui staffi vecchi; una
cascia grandi pri teniri robba; due banchetti di ligno; dui selloni; altre due
li tiene il Principe di Rabia; quattro selle vecchi per diverse genti; dui
bardoni per ammanzare muli; dui fusti di ligno; un fusto rotto di ligni; una
sella di villuto vecchia con sua frinza; una sella bianca per cavalcare; una
sella azzariata guarnuta; un’altra di velluto gialna.
Sei butti e dui
carratelli.
Una cascetta per
fiaschi.
Due landoni di ferro
per stalla.
Dui para di ferri.
Dui catini grossi per
detti.
Una catina di testali
di cavallo.
Una botte di racina.
Un sopracollo di
carrozza.
Un baullo vecchio.
Una lettica vecchia
con sua scala.
Novi casci vecchi.
Tre altri casci
piccoli.
Dui vasi di legno.
Quattro seggi vecchi.
Una sigetta guarnuta
di sella bianca.
Quattro . . . bianchi
vecchi.
Un letto con due
matarazzi con due frazzate, una vecchia e l’altra minuta e linzola vecchi. Tre
silleri dove stanno li selli.
Una tavola dove stanno
li freni.
Dui tavoli dove stanno
li lapardi.
Quattro puppi guarnuti
d’oro e seta del coccio deorato.
Lo cocchio deorato;
l’altro cocchio senza cartali, senza sopraceli, di coiro; due tovagli grossi.
Arcon e artigianato
locale sapranno bene fronteggiare le richieste del Parco in tema di costumi ed
attrezzi di foggia antica, consentendo la realizzazione dei musei di cui si è
detto.
SEZIONE IV
Documenti che
dimostrino la disponibilità alla concertazione locale e l’adesione da parte di
più soggetti sociali, quali enti locali, associazioni di categoria, gruppi
organizzati, associazioni culturali o di volontariato, ecc.
Si allega la
documentazione richiesta, che ci appare del tutto idonea a corrispondere all’avvertita
esigenza di estendere il Parco alle realtà sociali racalmutesi e a quelle dei
centri del circondario. Si noteranno assenze di enti autarchici territoriali: è
una esclusiale intenzionale. Evitare inquinamenti di ogni sorta è assillo di
questa associazione, specie in un territorio non esente da infiltrazioni
malavitose. Gli appetiti politici sono altresì fonte di preoccupazione:
fomentare il clientelismo elettorale con fondi apparentemente destinati ad
iniziative culturali o sociali è vezzo diffuso nelle classi dirigenti di queste
parti. L’associazione vuole starne lontano, anche a costo di vedere vanificare
il suo progetto che con tutta franchezza reputa meritevole di ogni attenzione.
NOTA FINALE
Purtroppo si è venuti
a conoscenza del “concorso di idee” per un parco letterario molto tardi: pur di
inviare la nostra adesione entro il termine di scadenza, si sono affrettati i
tempi di lavorazione. Testi non ricontrollati adeguatamente, difetti formali,
precipitose concertazioni appannano la formulazione della nostra proposta. Ce
ne scusiamo e ce ne rammarichiamo. Vogliamo sperare nella comprensione e nella
benevolenza dei nostri esaminatori. Pronti, comunque, come siamo a fornire ogni
ragguaglio, a produrci nelle debite rettifiche a semplice richiesta. In ogni
caso ringraziamo per l’attenzione che ci verrà riservata.
[1]Emerge come il
feudo di Gibillini sia cosa ben diversa dalla contea racalmutese. Per
Gibillini, s’intende il territorio degradante tutt’intorno al castello - oggi
denominato Castelluccio - e non soltanto la contrada della omonima miniera, che
forse un tempo non faceva neppure parte di quella terra feudale.
Il primo accenno
storico a Gibillini risale al 21 aprile 1358 ;[1] il diplomatista così
sintetizza il documento che non ritiene di pubblicare:
“Il Re concede al
milite Bernardo de Podiovirid e ai suoi eredi il castello de GIBILINIS, vicino
il casale di Racalmuto e prossimo al feudo Buttiyusu [feudo posto vicino
SUTERA, v. doc. prec., n.d.r.], già appartenuto al defunto conte SIMONE di
CHIAROMONTE traditore, insieme a vassalli, territori, erbaggi ed altri dritti;
e ciò specialmente perchè il detto Bernardo si propone a sue spese di
recuperare dalle mani dei nemici il detto castello e conservarlo sotto la regia
fedeltà: riservandosi il Re di emettere il debito privilegio, dopoché il
castello sarà ricuperato come sopra.”
Pare che Bernardo de
Podiovirid non sia riuscito a prendere possesso di Gibillini: il feudo ritorna
prontamente in mano dei Chiaramonte. Simone Chiaramonte è personaggio ben noto
e fu protagonista di tanti eventi a cavallo della metà del XIV secolo. Michele
da Piazza lo cita varie volte. Il fiero conte ebbe dire recisamente a re
Ludovico“prius mori eligimus, quam in potestatem et iurisdictionem incidere
catalanorum”: preferiamo morire anziché finire sotto il potere e la legge dei
catalani. Mera protesta, però; il Chiaramonte è costretto a fuggire in esilio
presso gli angioini. Scoppia la guerra siculo-angioina che si regge
sull’apporto dei traditori. Per Michele da Piazza, i chiaramontani, che pur
vivevano nella loro tirannica fede, non contenti né soddisfatti di tanta
immensa strage, da loro inferta ai siciliani, si rivolsero agli antichi nemici
della Sicilia per spogliare dello scettro re Ludovico.
Nel marzo del 1354 i
primi rinforzi angioini pervennero a Palermo e Siracusa. In tale frangente fame
e carestia si ebbero improvvisi in Sicilia, favorendo gli invasori. Ne
approfittò Simone Chiaramonte “capo della setta degl’italiani - secondo quel
che narra Matteo Villani - [promettendo] ai suoi soccorso di vittuaglia e forte
braccia alla loro difesa: i popoli per l’inopia gli assentirono”.[1] Prosegue
Giunta [1] “queste premesse spiegano il rapido inizio dell’impresa
dell’Acciaioli, il quale accanto a 100 cavalieri, 400 fanti, sei galere, due
panfani e tre navi da carico, si presentò “con trenta barche grosse cariche di
grano e d’altra vittuaglia”, sì da ottenere festose accoglienze da parte dei
Palermitani “che per fame più non aveano vita”, nonché il rapido dilagare della
insurrezione a Siracusa, Agrigento, Licata, Marsala, Enna “e molte altre terre
e castella””.Tra le quali possiamo includere tranquillamente Racalmuto e
Gibillini.
Simone Chiaramonte
muore a Messina avvelenato nel 1356, un paio d’anni prima del citato documento.
Ma da lì a pochi anni, Federico IV, detto il Sempliceriuscì a riconciliarsi con
i Chiaramonte e nel febbraio del 1360 accordava un privilegio tutto in favore
di Federico della casa chiaramontana.
Il feudo di Gibillini
appare sufficientemente descritto nell’opera del San Martino de Spucches .[1]
Secondo l’araldista il feudo di Gibillini, quello di Val Mazara, territorio di
Naro, da non confondersi con l’altro ancor oggi chiamato di Gibellina,
appartenne, “per antico possesso”alla famiglia Chiaramonte. Fu Manfredi
Chiaramonte a costruirvi la fortezza, quella che ora è denominata Castelluccio.
L’ultimo della famiglia a possedere il feudo fu Andrea Chiaramonte, quello che,
dichiarato fellone, ebbe la testa tagliata a Palermo nel giugno del 1392, nel
palazzo di sua proprietà, lo Steri.
Re Martino e la regina
Maria insediarono quindi Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Caltanissetta. Il
feudo divenne ereditario, iure francorum, con obbligo di servizio militare e
cioè con due privilegi, il primo dato in Catania il 28 gennaio 1392 (registrato
in Cancelleria nel libro 1392 a foglio 221) [1]; col secondo diploma, dato ad
Alcamo, li 4 aprile 1392 e registrato in Cancelleria nel libro 1392 a foglio
183, fu dichiarato consanguineo dei sovrani, ebbe concessi tutti i beni stabili
e feudali, senza vassalli, posseduti da Manfredi ed Andrea Chiaramonte, dai
loro parenti e dal C.te Artale Alagona, beni siti in Val di Mazara, eccetto il
palazzo dello Steri ed il fondo di S. Erasmo e pochi altri beni. Nel 1397 ad
opera del cardinale Pietro Serra, vescovo di Catania e di Francesco Lagorrica,
il Moncada fu deferito come reo di alto tradimento, avanti la gran Corte,
congregata in Catania; ivi con sentenza 16 novembre 1397 fu dichiarato fellone
e reo di lesa maestà ed ebbe confiscati tutti i beni. Morì di dolore nel 1398.
Subentrò Filippo de
Marino, fedelissimo vassallo del Re (1398); non abbiamo la data precisa della
concessione; per quel che vale il de Marino figura possessore del feudo di
Gibillini nel ruolo del 1408 dello pseudo Muscia.[1]
Il feudo pervenne
successivamente a Gaspare de Marinis, forse figlio, forse parente. Da questi,
passa al figlio Giosué de Marinis che ne acquisì l’investitura il 1° aprile
1493 more francorum, [1] per passare quindi a Pietro Ponzio de Marinis, investitosene
il 16 gennaio 1511 per la morte del padre e come suo primogenito. [1] Costui
sposò Rosaria Moncada che portò in dote i feudi di Calastuppa, Milici, Galassi
e Cicutanova, membri della Contea di Caltanissetta, come risulta
dall'investitura presa dalle figlie Giovanna e Maria il 22 settembre 1554 (R.
Cancelleria, III Indizione f.96).
Succede Giovanna De
Marinis e Telles, moglie di Ferdinando De Silva, M.se di Favara con investitura
del 15 gennaio 1561, come primogenita e per la morte di Pietro Ponzio suddetto
(Ufficio del Protonotaro, processo investiture libro 1560 f. 271).
Maria De Marinis
Moncada s'investì di Gibillini il 26 dicembre 1568, per donazione e refuta
fattale da Giovanna suddetta, sua sorella (Ufficio del Protonotaro, XII Indiz.,
f.479) .
Beatrice De Marino e
Sances de Luna s'investì di due terzi del feudo il 17 ottobre 1600, per la
morte di Alonso de Sanchez suo marito, che se l'aggiudicò dalla suddetta
Giovanna, M.sa di Favara (Cancelleria libro dell'anno 1599-1600, f. 15);
peraltro v’è pure un’investitura di questo feudo, datata 7 agosto 1600, a
favore di Carlo di Aragona de Marinis, P.pe di Castelvetrano, figlio di detta
Maria de Marinis (R. Cancelleria, XIII Indiz., f.160); un’altra investitura la
troviamo in data 28 agosto 1605 a favore di Maria de Marinis per la morte di
Carlo suo figlio (R. Cancelleria, III Indiz. , f. 491); dopo non ci sono
investiture a favore dei Moncada.
Diego Giardina
s'investì di due terzi il 24 gennaio 1615, per donazione fattagli da Luigi
Arias Giardina , suo padre, a cui le due quote furono vendute da Beatrice
suddetta, agli atti di Not. Baldassare Gaeta da Palermo il 5 dicembre 1608
(Cancelleria, libro 1614-15, f. 265 retro). Vi fu quindi una reinvestitura in
data 18 settembre 1622, per la morte del Re Filippo III e successione al trono
di Filippo IV (Conservatoria, libro Invest. 1621-22, f. 283 retro).
Subentra - sempre nei
due terzi - Luigi Giardina Guerara con investitura del 28 febbraio 1625, come
primogenito e per la morte di Diego, suo padre (Cancelleria , libro del
1624-25, f. 214); viene quindi reinvestito il 29 agosto 1666 per il passaggio
della Corona da Filippo IV a Carlo II (Conservatoria, libro Invest. 1665-66, f.
119). Il Giardina morì a Naro il 24 novembre 1667 come risulta da fede rilasciata
dalla Parrocchia di S. Nicolò.
Diego Giardina da
Naro, come primogenito e per la morte di Luigi suddetto, s'investì dei due
terzi il 7 ottobre 1668 (Conservatoria, libro Invest. 1666-71, f. 89).
Luigi Gerardo Giardina
e Lucchesi prese l’investitura il 9 settembre 1686 dei due terzi, per la morte
e quale figlio primogenito di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest.
1686-89, f. 17).
Diego Giardina Massa
s'investì il 26 agosto 1739, come primogenito e, per la morte di Luigi Gerardo
suddetto, nonché come rinunziatario dell'usufrutto da parte di Giulia Massa,
sua madre, agli atti di Not. Gaetano Coppola e Messina di Palermo, del 1°
ottobre 1738 (Conservatoria, libro Invest. 1738-41, f. 58).
Giulio Antonio
Giardina prese l’investitura dei due terzi il 3 dicembre 1787, come primogenito
e per la morte di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1787-89, f. 25).
Diego Giardina Naselli
s'investì dei due terzi del feudo di Gibellini il 15 luglio 1812, quale
primogenito ed erede particolare di Giulio suddetto (Conservatoria vol. 1188
Invest., f. 124 retro); non ci sono ulteriori investiture o riconoscimenti.
Ma a questo punto
scoppia il caso Tulumello. Il San Martino de Spucches non segue bene le vicende
feudali di Gibillini. Comunque nel successivo volume IX - quadro 1454, pag. 221
- intesta: “onze 157.14.3.5 annuali di censi feudali - GIBELLINI- Cedolario,
vol. 2463, foglio 204” ed indi rettifica:
“Giulio GIARDINA
GRIMALDI, Principe di Ficarazzi s'investì di due terzi del feudo di GIBELLINI a
3 dicembre 1787 come figlio primogenito ed indubitato successore di Diego
GIARDINA e MASSA (Conservatoria, libro Investiture 1787-89, foglio 25).
1. - Quindi vendette
agli atti di Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li 22 luglio 1796 a D. Giovanni
SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157, tarì 14, grana 3 e piccioli 5
di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2 di terre, dovute sul feudo di
Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di onze 3500 pari a lire 44.625. Il
detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar Giuseppe ABBATE di Palermo che il
vero compratore fu il Sac. D. Nicolò TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata
dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato lo smembramento di dette onze 157 e rotte
dal feudo di GIBELLINI già effettuate senza permesso Reale (Conservatoria,
libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77).
2. - D. Giuseppe
Saverio TOLUMELLO s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore
fatte dal Sac. D. Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di
Ragalmuto li 22 aprile 1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi,
foglio 40). Questo titolo non esce nell'“Elenco ufficiale diffinitivo delle
famiglie nobili e titolate di Sicilia” del 1902. L'interessato non ha curato
farsi iscrivere e riconoscere.”
[2]) Leonardo
Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag.
51.
[3]) Carmelo Vetro -
L’associazionismo borghese nella Sicilia dell’800: le case di compagnia - in Il
Risorgimento, anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994, pag. 301
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