[questo è un vecchio mio scritto, redatto con vetusto programma di videoscrittura. Fino ad un certo punto ho dato una limata. Poi mi sono stufato. Ripropongo il tutto così come mi risulta. Se qualcuno si scoccia, pazienza. Nella speranza che futuri ricercatori del prossimo secolo vorranno farmi le bucce, lascio così come ne dispongo a FUTURA MEMORIA, dato che diversamente da Sciascia sono convinto che il FUTURO delle cose storiche è solo memoria del passato]
Il lugubre fardello di "paese di morti" o "morto" si deve al profluvio storico dell'avvocato girgentano, [1]Giuseppe PICONE, che per tutta la seconda metà dell'Ottocento imperversò nella riesumazione della microstoria locale (anche se non senza meriti, come oggigiorno gli viene sempre più riconosciuto).
Avventuratosi il PICONE, tardivamente e da autodidatta, nello studio della lingua araba, egli ritenne suo diritto storpiare il toponimo "RACALMUTO" in RACHAL-MAUT ( Cfr. Giuseppe PICONE:MEMORIE STORICHE AGRIGENTINE, Agrigento, 1982, riedizione anastatica della pubbli‑cazione in Girgenti del 1866 resso Salvatore Montes, pag. 413 e ib. nota n.2)-
Là il termine [1]MAUT[1] e in caratteri arabi, letto in MAUT e quindi traslato i MORTO, il tutto privo di ogni legittimazione linguistica.
Come dopo meglio preciseremo, il più antico toponimo di Racalmuto con cui ci siamo imbattuti è [1]RACHALCHAMUT[1] ed appare nei registri della Corte Angioina di Napoli del 1271 (Reg. 1271 A, f.246 del DE LELLIS).
In vari Diplomi del XIII secolo abbiamo: [1]RAHALMUT[1] (Cfr. DOCUMENTI DA SERVIRE ALLA STORIA DI SICILIA - PRIMA SERIE - DIPLOMATICA a cura di Raffaele STARABBA - PALERMO 1882, pag. 12, [data di riferimento 10 settembre 1282, XI Ind.]) e [1]RAKALMUTO[1] (Cfr. ibidem p. 364: anno di rif. 1283).
Nei Registri avignonesi del XIV secolo - da noi direttamente consultati presso l'Archivio segreto del Vaticano - abbiamo: [1]Rachalmoto[1], [1]Rachalmutu[1] e [1]Rachalmuto[1].
Nel XVI secolo, il monaco saccense FAZELLO indica sbrigativamente il nostro paese con il nome [1]RAJALMUTO[1].
Il PIRRO - ben conosciuto dal PICONE e che scrive nel XVII secolo – trascrice traducendo in latino “]RAHYALMUTUM”.
Nel DIZIONARIO TOPOGRAFICO DELLA SICILIA[1] di Vito AMICO e Gioacchino di MARZO, tenuto costantemente sott'occhio dal PICONE, il toponimo viene riportato in 13 variazioni, a seconda degli autori citati, ma giammai in qualcosa che potesse in qualche modo giustificare la storpiatura [1]RACALMAUT[1] necessaria al funambolismo arabico dell'avv. Picone.
Nelle tardive, ma non troppo, trascrizioni degli amanuensi parrocchiali della Matrice di Racalmuto, le più antiche delle quali risalgono agli anni sessanta del 1500, da noi seguite piuttosto attentamente, il nome di Racalmuto viene spesso storpiato, ma mai in RACALMAUTO o voce simile. [1]RAYALMOTO[1] (10 gennaio 1583), [1]RAULMUTO[1] (7 gennaio 1585), [1]RECALMUTO[1] (28 ottobre 1585), [1]RAYALMOTO[1] (6 febbraio 1594) sono voci presenti negli atti di matrimonio di quel tempo. Sia, però, ben chiaro, quando l'atto è solenne, l'ortografia può essere discutibile, ma il toponimo è preciso: [1]RACALMUTO[1] (cfr. annotazioni del 16 luglio 1598, quando "pigliau la possessioni don Vito Bellosguardo e don Antonio d'Amato procuratori di don Lixandro CAPOZZA per l'arcipretato di [1]Racalmuto[1] come appare per atto plubico"; o del 14 agosto 1599; oppure del 7 marzo 1600 allorché‚ "di la majori ecclesia di “Racalmuto” pigliau possissioni don Andria [1]Argumento[1] a li 7 di marzo XIII ind. 1600".
Il Picone, dicevamo, tradusse dall’arabo molto arbitrariamente come Racalmuto=PAESE DEI MORTI. Purtroppo, a corrergli dietro è stato il nostro storico locale, l'ottocentesco [1]Nicolò TINEBRA-MARTORANA[1]: così [1]RACALMUTO[1] è divenuto da quel dìsinonimo di "villaggio [1]morto[1], [1]distrutto[1], [1]diroccato[1]" (cfr. pag. 24 dell'edizione racalmutese delle MEMORIE del 1982). Del resto il TINEBRA era, come storico, succubo dell'avvocato girgentano, come il querulo richiamo a quella autorità, ricorrente nelle pagine delle "MEMORIE" del Nostro, sta ad attestare. Il povero TINEBRA, invero, tentòdi fugare la iellatoria etimologia del PICONE e di suo aggiunse, ma timidamente, quel pudico "distrutto". Dalla sua aveva uno studioso del calibro di Vito AMICO, ( [1]AMICO Vito Maria[1]: fu un monaco benedettino, valente storico e geografo, nato a Catania nel 1697 e ivi morto nel 1762. Priore di vari conventi, ebbe la cattedra di storia civile presso l'università di Catania (1743). Dal 1751 fu storiografo regio Carlo III di Spagna. Le sue opere: [1]CATANIA ILLUSTRATA[1] (4 voll. - 1740- 43); [1]LEXICON TOPOGRAPHICUM SICULUM[1] (1757-600. Quest'ultima opera rappresenta il primo dizionario storico della Sicilia e viene tuttora utilmente consultata nella traduzione di [1]G. Di MARZO[1] [1]Dizionario topografico della Sicilia[1], 2 voll. 1855) - [da "[1]LESSICO UNIVERSALE TRECCANI[1]]..
Secondo Vito Amico, Racalmuto "fra gli arabi vale [1]RAHALMUT[1] casale decaduto o diruto". Tinebra Martorana poteva, dunque, omettere la lugubre etimologia del PICONE. Non lo fece, pur conoscendo il [1]'Lessico topografico siculo'[1] dell'AMICO (cfr. nota 12 di pag. 24). Solleticava la sua vanità giovanile il potere scrivere a vent'anni in arabo, sia pure copiando meccanicisticamente due termini presi in prestito dal PICONE: "Rahal" e "Maut".
Si dà il caso che Leonardo SCIASCIA assegni al libro del Tinebra l'insorgere presso i racalmutesi “di un rapporto più intrinseco e profondo col luogo in cui sono nati, nel riverbero del passato sulle cose presenti-“ (v. PREFAZIONE, pag. 9).
Alle scuole elementari, la maestra MARTORANA e il 'professore' CAVALLARO mi insegnarono oltre mezzo secolo fa che Racalmuto significava 'paese di morti'. Mia madre, mi ripeteva il passo del Tinebra che la sua insegnante elementare, la maestra MACALUSO, le aveva fatto e 'imparare a memoria'. Ma con tutto il rispetto che debbo a SCIASCIA e al suo culto per “l'aura romantica che trascorre nel libretto del TINEBRA,” debbo dire che quella funerea etimologia ho voglia di ripudiarla in toto; è davvero stramba, infondata e storicamente insensa.
Se una congettura è ammessa, allora più attendibile appare l'ipotesi che vorrebbe l'etimo "RACALMUTO" quale "[1]CASTELLO DI CHAMUTO. CHAMUTH fu l'ultimo emiro della dominazione araba del territorio tra Agrigento ed Enna. Egli venne vinto, ma non umiliato, dal conte Ruggiero il normanno nel 1087. Tutto fa pensare che a Racalmuto vi fosse una fortezza, se non due, vuoi al Castelluccio, vuoi 'a lu Cannuni'. E 'RAHAL' vuol anche dire in arabo fortezza, castello, stazione. Quella fortezza era sotto il dominio di CHAMUTH. In quel tempo, o dopo nella memoria degli arabi umiliati, essa non poteva che venire indicata che come la Rocca di CHAMUT, donde - almeno per noi - RACALMUTO.
[Debbo però ora aggiungere che i miei studi e le mie rcerche posteriori mi hanno, e di molto, allontanato da siffatte pur affascinanti tesi. La storia è fatta così: non si dice mai l’ultima parola.] Conosciamo le gesta di CHAMUTH perché‚ un benedettino normanno, che fu al seguito del conterraneo RUGGIERI, ce ne ha tramandato la memoria. Trattasi della cronaca del secolo XI del monaco [1]Gaufredo MALATERRA[1]. Michele AMARI non lo ebbe in grande stima, ma nel raccontare quegli eventi nella sua [1]Storia dei Musulmani di Sicilia[1] fa solo l'eco al monaco benedettino. A nostra volta, noi trascriviamo quel passo di sapido stile ottocentesco. E' una pagina di storia che, in ogni caso, investe la nostra terra di Racalmuto nel frangente della sconfitta araba ad opera dei predoni normanni.
® Il cauto normanno [il conte Ruggieri] avea occupata Girgenti, - narra appunto Michele AMARI - mentre i marinai italiani si apparecchiavano tuttavolta all'impresa di al-Mahdyah. Sbrigatosi di Benavert nel 1086, radunava a dì primo aprile del 1087 le milizie feudali, volenterose e liete per la speranza di acquisto; e sì conduceale all'assedio di Girgenti. Ubbidiva allora Girgenti con Castrogiovanni e con tutto il paese di mezzo, a un rampollo della sacra schiatta di Alì, del ramo degli Idrisiti che avevano regnato un tempo nell'Affrica occidentale, e della casa de' Bamì[1]Hammud[1], la quale tenne per poco il califato di Cordova (1015- 1027) indi i principati di Malaga e di Algeziras (1035-1057), ma cacciata dalla Spagna, andò cercando fortuna qua e là. Par che un uomo di codesta famiglia, passato in Sicilia, non sappiamo appunto in qual anno, abbia preso lo stato in quelle province, tra le guerre civili che si travagliarono coi figli di Tamil; portato in alto non da propria virtù, ma dal nome illustre e dalle pazze vicende dell'anarchia.
Chamut il suo nome, qual si legge nel Malaterra e ben risponde alla voce che a nostro modo si trascrive Hammùd. Il quale si rannicchiò tra sue rupi inaccesse di Castrogiovanni, mentre la moglie e i figlioli soggiornavano in Girgenti, e i Normanni circondavano la città , batteano le mura con lor macchine; tanto che occuparonla a dì venticinque luglio del medesimo anno. Ruggiero v'acconciò fortissimo un castello, munito di torri, bastioni e fosso; lasciovvi buon presidio, e battendo la provincia, in breve ne ridusse undici castella: Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera,[1]Rahl[1], (su tale toponimo [1]RAHL[1] abbiamo appuntato tutta la nostra attenzione ritenendo che potesse essere quello del nostro paese. AMARI riduce in RAHL un [1]RACEL[1] che trovavasi nel manoscritto malaterrano che fu trafugato dall'Italia dallo spagnolo ZURRITA e pubblicato a Saragozza nel 1578. Quel manoscritto è andato perduto. La pubblicazione che resta ancora l'edizione principe fu recepita nella colossale opera di Ludovico Antonio MURATORI, [1]RERUM ITALICARUM SCRIPTORES[1] nel vol. V con il sintetico titolo HISTORIA SICULA, Gaufredi MALATERRAE[1]. Il Muratori dà la lezione [1]RACEL[1] e in calce annota [1]RASEL-BIFAR[1] ad indicazione di altre lezioni da lui tenute presenti. L'Amari non si produce in ulteriori ricerche paleografiche: distingue RACEL da BIFAR; per lui arabista, RACEL equivale a RAHL [casale]; si confessa incapace di individuare un RAHL nelle pertinenze agrigentine, che ne sono piene. Il PICONE segue la pista dell'AMARI e nelle sue MEMORIE (cfr. pag. 401) reputa incompleto il toponimo e segna [1]RAHAL...[1], distinguendolo comunque da [1]BIFAR[1], una località piuttosto nota tra Campobello di Licata e Licata. Si sa che la raccolta di 'scriptores rerum italicarum' è stata, a cavallo di secolo, oggetto di pregevolissime riedizioni con interventi di personalità della cultura del calibro del CARDUCCI. Il testo del monaco benedettino dell'XI secolo ha avuto nel 1927 una diligentissima riedizione con una illuminante introduzione da parte di Ernesto [1]PONTIERI[1]. Questi venne in Sicilia; trovò altri codici (A=Cod. X. A 16 della Biblioteca Nazionale di Palermo; B=Cod.II.F 12 della Società Siciliana per la storia patria; C=Cod. 97 della Biblioteca universitaria di Catania e D=Cod. QqE 165 della Biblioteca comunale di Palermo) che, comunque, mutili e scorretti e pur sempre derivanti dalla fonte dell'edizione principe del 1578, non gli furono di molto aiuto. Il PONTIERI adottò la lezione [1]RASELFIFAR[1], legando insieme Racel e Bifar, e in nota fornì la versione della Biblioteca universitaria di Catania (C): [1]RACEL GIFAR[1]. Nel 1937, Carlo Alfonso NALLINO, nell’integrare le note della [1]STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA[1] di M. AMARI controbatteva al PONTIERI e reinterpretava il passo malaterrano con questa dissertazione [aggiunta a nota n. 1 di pag. 177 op. cit.]: In realtà i castelli sono 10 e non 11. L'ed. princeps del Malaterra (Saragozza 1578), e le prime cinque che la seguirono pedissequamente, hanno 'Ravel, Bifara', come se si trattasse di due luoghi diversi; ciò ingannò V.D'Amico, Diz. topogr. trad. Dimarzo (Palermo 1855-56, l'ed. latina è del 1757-1760), che nel vol. I, pag. 143-144 tratta di Bifara e nel II, p. 398 di RACEL (dal solo Malaterra), e quindi l'Amari. Nessuno dei due pose mente all'attenzione del Diz. stesso, I, p. 143, che Bifara 'dicesi anche RAGAL BIFARA' (evidentemente nell'uso locale siciliano). Il traduttore Dimarzo, I p. 144, n. 1, osserva che Bifara ' è un sottocomune aggregato a Campobello di Licata , in provincia di Girgenti (Agrigento), circondario di Ravanusa'. Campobello dista 50 Km. da Girgenti (Agrigento) e 9 da Ravanusa. E. Pontieri, ultimo editore del Malaterra (1928), trovò nei mss. anche le varianti Raselbifar e Raselgifar e scelse a torto la prima nel testo (p. 88) e nell'indice (p. 153), mentre è certo che il primo componente e [1]rahl[1] (racel, racal, ragal), come ben vide l'A. [cfr. pag. 178 op. cit.] Quel che sorprende in entrambi quest'ultimi due studiosi è il fatto che con la loro lezione i casali conquistati da Ruggiero il Normanno diventano dieci in aperto contrasto con la premessa del MALATERRA che parla di ben undici castelli agrigentini presi all'arabo CHAMUTH: una contraddizione che andava per lo meno giustificata. Come si vede un gran pasticcio e ci scusiamo se l'averlo qui accennato può essere apparso pedante e tedioso. Ma è l'unico proba‑bile appiglio ad una fonte storica delle origini del toponimo RACALMUTO. Alla fine della fatica, vien però da domandarsi se sia proprio importante trovare un antico toponimo da assegnare alla storia della nostra terra. [ed ora aggiungiamo che alla luce di atre nostre ricerche questa è una lezione che abbamo del tutto abbandonata. Noi ne siam certi, Racalmuto sorde e viene denominata alla fine dell’XII secolo. Invero il oponimo già esisteva. Era attribuito ad una località di Sottana , ad un locale convento di Basiliano). Che questi si siano insediatia nache a Racalmuto, magari presso i convento di an Benedetto e si siano partati dietro quel toponimo ben documentato dal Cusa? Noi pensiamo di s, ma esta nostra singola non autorevole congettura. Ai migliori di noi l’ardua sentenza).
Il Malaterra quindi completa l’elenco con Biifara, Micolufa, Naro, Caltanissetta, Licata, Ravaenusa. A completamento del discorso sui toponimi svolto prima, riportiamo il commento dell'AMARI nella sua STORIA (pag. 177, n. 1): I nomi delle castella prese nella provincia di Girgenti, sono tolti dal Malaterra, correggendo alcun evidente errore del testo. Rimane dubbio il suo [1]Racel[1], che ho trascritto sicuramente in Rahl (stazione), ma vi manca il nome che dee seguire per determinare quella appellazione generica, il qual nome io non saprei indovinare tra i moltissimi Rahl di quella provincia. Credo avere bene letto Ravanusa il Remise (variante Remunisse) del testo, poichè‚ MICOLUFA sorgea presso Ravanusa. Del resto Simone da Lentini, autore del XIV secolo, il quale copiò Malaterra nel suo libro 'La conquista di Sicilia' recentemente uscito alla luce (Collezione d'opere inedite e rare, Bologna 1865, in -8),dà otto soli nomi degli undici, dicendo non avere ritrovato gli altri ne' testi; ed un ms. della stessa opera, appartenente alla Bibliothéque de l'Arsenal in Parigi (Ital. N. 68) ne dà sette soltanto: Platani, Musan, Guastanella, Catalanixetta, Bosolbi, Mocofe, Ciaxo 'e li altri, aggiunge, non so chi si fusseru e non si canuxirianu, ect.). Intorno i nomi non si trovano nella lista odierna de' Comuni di Sicilia, vi vegga il Dizionario Topografico dell'Amico e l'Indice che io ho messo in fine della 'Carteomparée de la Sicile, [1859], Notice'.
L’Amari così continua la sua storia dei Musulmani: Ruggero “talché occupava tutto il paese dalla foce del fiume Platani a quella del Salso ed a Caltanissetta, di che ei compose non guari dopo, con qualche aggiunta la Diocesi di Girgenti, ed or vi risponde tutt'intera la provincia di questo nome e parte della finitima di Caltanissetta.
La moglie e i figlioli dell'Hammudita caduti in suo potere, tenne Ruggiero in sicura e onorata custodia: pensando, così nota il Malaterra, che più agevolmente avrebbe tirato quel principe agli accordi, con servare la sua famiglia illesa da tutt'oltraggio.” ( Cfr. Michele [1] AMARI[1] - STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA, Catania 1937, Vol. III, parte prima, pagg. 174, ss. Nel trascrivere il CHAMUTH del MALATERRA in HAMMUD, l'AMARI annota [nota 1 di pag. 175]: la [1]h[1], sesta lettera dell'alfabeto arabico, fu resa per lo più, sino ad uno o due secoli addietro, con le lettere latine [1]ch[1]; e il [1]d[1], ottava lettera, più spesso con una [1]t[1] che con una [1]d[1]. L'anonimo ha HAMUS [cioè ANONIMO, presso Caruso, Bibl. Sic. pag. 855].
Sapendosi dalla storia che Chamuth, fatto cristiano con tutta la famiglia, rimase sotto il dominio del conquistatore, possiamo ben identificare il casato con quello di Ruggiero HAMUTUS, già proprietario di certi beni che Federico II concedea nel 1216 alla chiesa di Palermo (Diploma presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 142) e dell'Ibn Hammud, ricchissimo signore che Ibn GUBAYR vide in Sicilia nel 1185. Questo nobil uomo poteva essere nipote o bisnipote del regolo di Castrogiovanni. Sapendosi ch'ei portasse il soprannome d'Abù al Qàsim, sembra anco il Bucassimus, celebre per brighe alla corte di Palermo, ne' primordi del regno di Guglielmo il Buono. Ancor oggi, alcune nobili famiglie siciliane vantano discendenze da quel ceppo Hammùdita. Trattasi dei nobili NICASIO di BURGIO. Impietoso l'Amari contro il libello di Nicasio Burgio, conte palatino XXIII intitolato “Ladiscendenza di Achmet” ultimo potente ammiraglio fra i Saraceni dominanti in Sicilia, rappresentato in questo medesimo luogo dalla chiarissima famiglia Burgio. pubblicato a Trapani nel 1786. Indulgente il NALLINO che nella stessa nota si dilunga accogliendo le precisazione di una nobildonna di quella famiglia. Costei segnala che i primogeniti della casata Burgio continuano a chiamarsi ACHMET, ( ad. es. ACHMET RUGIERO NICASIO BURGIO, principe di Aragona e di Villafiorita, di Palermo).
Per quel che ci riguarda, un'ipotesi potrebbe avere qualche fondamento. Tra i beni del citato Ruggiero HAMUTUS poteva esserci qualche signoria sul diruto castello di Racalmuto, un tempo appartenuto al nonno, o bisnonno, CHAMUTO. Ma trattasi di congettura che lascia il tempo che trova [e che noi abbiamo del tutto abbandonato come una delle tante cervellotiche congetture che si continuano a contrabbandare per questo paese che essendo di Sciascia dovrebbe essere rigoroso nella ricostruzione delle proprie origini.]
Il racconto del MALATERRA ([1]l*@4pD?3[1]l*@4H 3 Trascriviamo
qui per eventuali cultori delle fonti l'intero passo latino
della cronaca del Malaterra: ® Comes ergo Rogerius, omnes
potentiores Siciliae a se debellatos gaudens, et nemine, excepto
CHAMUTO, seper‑stite, ad hoc assidua deliberatione intendit, ut
ipso circumveniendo debellato, omnem sibi de caetero Sici‑liam
subdat. Unde, exercitu admoto, ipso apud Castrum-Joannis
immorante, uxorem eius ac liberos apud Agri‑gentinam urbem
obsessum vadit, anno Dominicae Incarnationis millesimo
octogesimo sexto [l'AMARI corregge in 1087], prima die Aprilis,
quam undique exercitu vallans, diutina oppressione lacessivit;
studioque machina‑mentis ad urbem capiendam apparatis, tandem
vicesimaquinta die Julii viribus exahusta, imminentibus hosti‑
bus, patuit: uxor Chamuthi, cum liberis, Comitis inventa est
captione. Comes itaque, pro libitu suo positus, uxorem Chamuti,
omni dehonestatione prohibita, suis custodiendam deliberata,
sciens Chamutum sibi facilius reconciliari, si eam absque
dehonestatione cognoverit tractari. - Urbem itaque pro velle suo
ordinans, castello firmissimo munit, vallo girat, turribus et
propugnaculis ad defensionem aptat, finitima castra
incursionibus lacessens ad deditionem cogit. Unde et usque ad
undecim aevo brevi subjugata sibi alligat, quorum ista sunt
nomina: Platonum, Missar, Guastaliella, Sutera, [1]Rasel[1], Bifar,
Muclofe, Naru, Calatenixet, quod, nostra lingua interpretatum,
resolvitur Castrum foeminarum, Licata, Remunisce.¯ [Le lezioni
dei nomi sono molte e spesso fortemente differenziate. Chi
volesse averne completa conoscenza, deve consultare l'edizione
del PONTIERI, varie volte citata, pag. 88 e ss. A parte RASEL,
che ovviamente abbiamo seguito con puntigliosa attenzione, per
il resto abbiamo scelto alquanto liberamente, intendendo
privilegiare le lezioni che maggiormente si avvicinassero ai
toponimi di Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera, Racalmuto,
Bifara, [1]Milocca[1] (?!), Naro, Caltanissetta, Licata e Ravanusa.]
.CW12
?[1]4pDl*@)fornisce altri dettagli sulla sorte 3[1]P(p della
famiglia di CHAMUTO che credo non abbiano nulla a che spartire
con le vicende del nostro paese. Caduto in un tranello
dell'astuto Ruggeri, per salvare moglie e figli, si arrende e si
fa cristiano. ® Chamut - precisa Malaterra - enim cum uxore et
liberis christianus efficitur, hoc solo conventioni inperposito,
quod uxor sua, quae sibi quadam consanguinitatis linea conjunge‑
batur, in posterum sibi non interdicetur¯ . In altri termini,
CHAMUTO si fa cristiano con moglie e figli alla sola condizione
che non gli fosse tolta la moglie, alla quale peraltro era
legato da vincoli di parentela. Poi non gli resta che far
fagotto per MILETO in Calabria. Un indice di come quei rudi
normanni, guer‑rieri e bigotti, imponessero gi… la conversione
agli arabi vinti. E qui siano in presenza di quelli nobili.
Quelli ignobili e contadini - come dovettero essere i paesani
dei castelli agrigen‑tini conquistati, poterono forse
risparmiarsi l'onta di una abiura religiosa. Ma restando
musulmani furono ridotti ad una sorta di schiavit— , tartassata
ed angariata. E tale sorte pianse‑ro per secoli gli antenati
nostri di Racalmuto. ® DIMMA, GESIA [o GIZIA], AGOSTALE, ALIAMA,
ALGOZIRIO, JOCULARIA, ANGARIA, CABELLA, SECRETO, BAJULO,
CATAPANO, CENSO, TERRAGGIO, TERRAGGIOLO etc.¯ , sono termini che
sanno di tasse, soprusi, discriminazioni, anghe‑rie, iattanze,
arroganza del potere. Sono la lingua degli uomini del potere
che parlano forestiero ma si servono di disponibili figuri
locali, ammessi nella loro congrega. E si fanno da padrini nei
battesimi, da compari nei matrimoni, in certa familiarit… a
danno e scorno degli altri, degli esclusi, del popolino basso e
villano. Sono i nomi dell'impotenza, della rabbia e dello sfrut‑
tamento perduranti sino ai giorni nostri. E l'impareggiabile
Sciascia ne coglie gli umori e i malumori quali si aggrumavano
al CIRCOLO della CONCORDIA [rectius, UNIONE] negli anni
cinquanta. Chi non ha letto 'Le Parrocchie di Regalpetra'? (v.
p. 60 e 61 e per quel che riguarda l'argomento, la pag. 17).
Il tremendo passaggio dalla libert… araba allo stato servile
alle dipendenze di vescovi esattori, santi per i fatti loro
eppure vessatori per il bene delle varie 'mense' della chiesa e
del canonicato agrigentino, lo si intuisce, lo si pu•
ricostruire ma non Š documentabile se non con le poche righe del
MALATERRA ([1]l*@4pD‑[1]3[1]l*@4H 3 Sul MALATERRA poche e scarne sono
le notizie. Goffredo MALATERRA fu dunque un cronista normanno
del esca. XI. Monaco benedettino a Sanie-Evreul-Ouche, pass•
nell'Italia meridionale e si stabil in Sicilia. Qui fu
incaricato dal gran conte RUGGIERO a scrivere la cronaca delle
gesta del Normanno. Il racconto si estende per quattro libri. La
sua opera Š variamente intitolata. La riedizione del Pontieri
(Bologna 1927), sopra ricordata, titola: ® De rebus gestis
Rogerii ..... et Roberti Guiscardi¯ . [V. Enciclopedia
Treccani, o, per puntuali riferimenti, la prefazione dello
stesso E. PONTIERI].
A corto di notizie, TINEBRA MARTORANA ricorre alle imposture
dell'Abate VELLA - e SCIASCIA vi indulge con un benevolo sorriso
p+30 - e alle frottole di un signorotto della fine del secolo
scorso, Serafino MESSANA.[v.pag. 40 n.18] Son dunque fandonie
quelle di un governatore di RAHAL-ALMUT a nome AABD-ALUHAR,
servo dell'emi‑ro Elihir, diligente nel censimento del nostro
fantomatico Racal‑muto nell'anno 998; di una popolazione di 2095
anime [si pensi che nella seconda met… del XIV il solerte
arcivescovo Du Mazel contava per la curia papale di Avignone non
più di seicento anime nel nostro paese, abitanti in gran parte
in case di paglia 'pale‑arum']; e tutte quelle altre amenit… del
capitolo III e dintorni. Non sapremo mai dove don Serafino
MESSANA abbia preso l'aire per le bubbole dei due giovani
saraceni messisi a strenua difesa di Racalmuto nell'aggressione
del gran conte Ruggeri, e del seguito che li vuole, dopo avere
inflitto gravi danni al nemico, notturni fuggitivi alla volta di
Licata. Ma invano, perchŠ furono l rag‑giunti ed uccisi dallo
stesso gran conte, nel frattempo imposses‑satosi e divenuto
signore di Rahal-Maut [v. p. 40]. Nulla di storico in quelle
pagine del Tinebra-Martorana, salvo le spigola‑ture sulle tasse e
sulla 'dsimmi' prese dal lavoro dell'avvocato agrigentino
Picone.([1]
Evidente il supino recepimento di
quanto PICONE scrive a pag. 405 e ss. sulla 'dsimma' e sulla
'gezia'.
I gravami, le violenze, le soggezioni, la morte, il pianto, la
paura, l'ignominia dell'invasione di Racalmuto nell'XI secolo vi
furono, ma solo l'immaginazione pu• ricostruire quelle scene di
panico e distruzione. I cronisti del tempo o ebbero il compito
di osannare il potente, come il Malaterra nei riguardi di
Ruggiero il Normanno, o erano poeti arabi di altri luoghi che
non ebbero occasione di tramandare echi, rimpianti o cenni sulla
devastata Racalmuto. Non abbiamo neppure il ricordo di quel nome
antico. Solo il [1]RACEL[1] del Malaterra, incerto e controverso.
Eppure, furono giorni funesti: i normanni - cavalieri nordici,
possenti e biondi - erano famelici di vergini e di prede. La
Racalmuto contadina poco bottino potŠ farsi levare; ma le
vergini o le giovani mogli furono di certo ghermite da quei
predatori dagli occhi cerulei e dai capelli chiari. Ed il misto
di razze, di figli nerissimi e saraceni e di figli longilinei e
di vezzoso colore, ebbe da allora inizio per durare fino ai
nostri giorni, inevitabilmente.
Michele AMARI non ebbe in simpatia il nostro CHAMUTH - quello a
cui ci sembra debba ascriversi il toponimo di Racalmuto - e lo
descrive come fellone, vile e rinnegato. Prende spunto dal Mala‑
terra, ma ne stravolge senso e giudizi:
[1]l*@4pD® E veramente - scrive l'A. a pag. 178 della sua Storia dei
Mussulmani - [1]Ibn Hammud[1] si vedea chiuso d'ogni banda in
Castrogiovanni; occupata da' Cristiani tutta l'Isola, fuorch‚
Noto e Butera; potersi differire, non evitar la caduta; n‚ egli
ambiva il martirio, n‚ i pericoli della guerra, n‚ pure i disagi
della gloriosa povert… . Ruggiero fattosi un giorno con cento
lance presso la r“ cca, lo invitava ad abboccamento; egli scendea
volentieri ed ascoltava senza raccapriccio i giri di parole che
conducevano a due proposte: rendere Castrogiovanni e farsi
cristiano. Dubbi• solo intorno il modo di compiere il tradimento
e l'apostasia, senza rischio di lasciarci la pelle: alfine,
trovato rimedio a questo, accomiatossi dal Conte, il quale se ne
p33pP[1] tornava tutto lieto a Girgenti. N‚ and• guari che il
Normanno con fortissimo stuolo chetamente si avviava alla volta
di Castrogiovanni; nascondeasi in luogo appostato gi… con
musulmano; e questi fatti montar in sella i suoi cavalieri,
traendosi dietro su per i muli quanta altra gente potŠ , quasi a
tentar impresa di gran momento, usc di Castrogiovanni, li men•
diritto all'agguato. E que' fur tutti presi; egli accolto a
braccia aperte. Allor muovono i Cristiani alla volta della
citt… ; la quale priva dei difensori pi— forti, si arrende a
parte, e Ruggiero vi pone a suo modo castello e presidio. Ibn
HAMMUD poi si battezz• , impetrato da' teologi del Conte di
ritenere la moglie ch'era sua parente, n‚ gradi permessi dal
Corano, vietati dalla disciplina cattolica. Ma non tenendosi
sicuro de' Mussulmani in Sicilia, n‚ volendo che Ruggiero pur
sospet‑tasse di lui in caso di cospirazioni e tumulti, il cauto e
vile 'Alida chiese di soggiornare in terra ferma; ebbe da
Ruggiero certi poderi presso Mileto e quivi lungamente visse
vita irreprensibile, dice lo storiogra‑fo normanno.¯ [1]4pDl*@
Di quei cento lancieri al seguito di Ruggiero per la consunzione
di una resa proditoria e vile, quanti erano stati prima a Racal‑
muto (la RACEL del Malaterra) a seminare terrore, violenza e
morte? A RACEL vi era certo un castello (o entrambi i due
castel‑li: il Castelluccio e quello di piazza Castello); vi era
una guarnigione di arabi sognatori e disattenti; non erano
eroici guerrieri e comunque erano pochi. Piombarono i cento
lancieri di Ruggiero da Girgenti, li soppressero e si sparsero
per il casale e per le campagne a razziare e violentare. I
lancieri erano soprattutto predoni.
L'Amari Š aspro nei giudizi contro il capo degli arabi, CHAMUTH.
Ma costui aveva gi… moglie e figli in mano dei Cristiani a Gir‑
genti. Il Malaterra, monaco benedettino, intorbidisce ancor pi—
la sua non chiara prosa per mettere un velo pudico alle insane
voglie dei predatori suoi compaesani. Costa fatica al Conte Rug‑
gieri non far violare la sua eccellente prigioniera. E noi qual‑
che dubbio l'abbiamo sull'effettivo successo dell'iniziativa del
Normanno. I suoi sudditi erano irrefrenabili. Anche lui del
resto si era gi… macchiato di molte ignominie, specie in
giuvent— . Il suo biografo ufficiale che pure Š chiamato
all'osanna del suo committente, ne sente tante a corte da
inorridire, fors'anche per la sua mentalit… claustrale. Ed
allora la sua settaria cronaca si lascia andare a pesanti
giudizi morali contro i suoi.
Quando, per• , si tratta di cose militari, il candido monaco
crede alle esagerazioni dei vecchi soldati del Conte. Le forze
del nemico - naturalmente sconfitte - si accrescono a dismisura;
quelle amiche e vittoriose si assottigliano contro ogni logica
ed attendibilit… . L'AMARI, tutto preso dalla simpatia per i
musulma‑ni, sbotta e sentenzia che nelle cronache del monaco
Malaterra, le cifre sulle forze musulmane vanno divise per otto
ed, invece, vanno moltiplicate per otto le cifre che riguardano
le forze normanne, quando vincono.
Eppure il Malaterra resta sempre cronista piuttosto attendibile,
come dimostra il PONTIERI nell'opera citata. I tanti episodi
cruciali della conquista della Sicilia da parte delle orde nor‑
manne, tra i quali quelli relativi all'assalto della fortezza di
Racalmuto (o Racel), hanno una sola fonte storica che Š la
crona‑ca del Malaterra. Questo monaco non sempre Š stato
testimone oculare. Ormai avanti negli anni, Š onorato ospite
della corte di p73 Ruggiero il quale ormai si ammanta dei fregi
regali, anche se non dismette il suo nomadismo ereditato dagli
avi vichinghi. Ascolta le fanfaronate dei decrepiti Veterani del
Conte. Vantano ora i galloni di generali, si fanno chiamare
baroni, si sono arricchi‑ti, hanno possedimenti in Sicilia, ma
restano i rudi vandali, incolti ed immorali della loro
avventuriera giovinezza.
Il Malaterra ode nefandezze che gli mettono il disagio morale.
E' fervente cristiano, di buona cultura ecclesiastica. Scrive,
esalta il Conte; indulge, per• , al suo moralismo ed ama moraleg‑
giare chiosando gli eventi con citazioni bibliche e religiose.
Abbiamo visto l'AMARI irridere a CHAMUTH. Lo ha fatto alla luce
degli incisi moraleggianti del Malaterra. Il giudizio sul padre
del toponimo - almeno secondo noi - di Racalmuto va corretto
leggendo pi— spassionatamente la cronaca del benedettino.
Questi dice che il Conte Ruggiero aveva gi… debellato tutti i
potenti di Sicilia, eccetto Chamuto. La voglia di annientarlo
era tanta ma l'impresa non era agevole e ci• costituiva un
cruccio per il Normanno. Ruggiero ne fa un suo pensiero fisso;
sa per• che non Š sul campo che pu• avere ragione del musulmano.
Pensa, quindi, a batterlo con l'astuzia e l'inganno. L'ablativo
assoluto adoperato dal Malaterra Š efficace: ® ipso
circumveniendo debella‑to¯ . Lo si pu• debellare solo circuendolo.
Chamuth allora non Š l'imbelle che ama descrivere M. Amari. Per
vincere il Saraceno, il conte Ruggiero assalta l'impreparata
Girgenti ove sa che dimorano moglie e figli di Chamuth. Prende
la citt… , la fortifi‑ca. Principalmente si preoccupa della sorte
della moglie di Chamuth. Questa viene sottratta da ogni
® dehonestatione¯ e viene messa sotto diretta tutela del conte
normanno, il quale Š consa‑pevole che in tal modo il Saraceno pu•
venire ricattato ed essere facile preda del nemico. Il conte
Ruggiero Š proprio ® sciens Chamutum sibi facilius reconciliari¯ ,
afferma il Malaterra; ci• equivale a dire che cos sarebbe stato
più facilmente soggiogabi‑le.
Per fare terra bruciata attorno al nostro Chamuto, tocca ad 11
castelli l'ignominia delle scorribande dei lancieri di Ruggieri.
Alla nostra Racalmuto Š dato assaggiare le moleste attenzioni
dei normanni, come ai citati e sicuri Platani, Naro,
Guastanella, Sutera, Bifara, Caltanissetta e Licata o agli
incerti Missar, Muclofe e Remise.
Se poi il Chamuto si arrese, non ci sembra proprio che tutto sia
da imputare al suo essere un flaccido uomo d'armi. E se anche
fosse stato, questo non ci pare un grande demerito.
Lo stesso Amari nella nota di pag. 179 della sua Storia dei 13
Musulmani in Sicilia integra, e corregge, le sue impressioni
(33[1]l*@4H 3 L'Amari cita prima le fonti: ® Malaterra, lib.
IV, cap. 6; Anomimo, presso Caruso, Biblioteca Siciliana, p.
855.¯ e quindi aggiunge: ® Secondo fra Corrado, op. cit., pag.
48, Castrogiovanni e Girgenti furono occu‑pate nello stesso anno.
Ma ci• non Š detto precisamente dal Malaterra; n‚ citato l'anno
dell'avvenimento, il quale, secondo la serie dei fatti narrati
dallo stesso cronista, tornerebbe al 1087, ovvero ai primi mesi
del 1088. Gli ARABI pongono la resa di Castrogiovanni nel 484,
tre anni dopo quella di Girgenti (1088-89) e le fecero cedere
entrambe agli orrori della fame: [1]Ibn al-ATIR, Ab– al-FIDA,
an-NUWAYRI e Ibn AbŒ DINAR,[1] nella 'Biblioteca Araba-Sicula',
pag. 278, 414, 448, 534 [trad. I, 499, e II, 99, 145, 287
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