DOTT. FLACCOVIO SALVATORE
TRIBUNALE DI PALERMO
SEZIONE DISTACCATA DI PARTINICO
UDIENZA DEL 04/07/2005
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CONTRO
CASARRUBEA GIUSEPPE
R. G. T. 146/2003
Testi:
1- SPANO’ ARISTIDE
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2- RUTA CARLO
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3-
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4-
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5-
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6-
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7-
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TOT PAGG. 86 RINVIATO AL
17/10/2005
Depositato
il
GIUDICE.
Prego, si accomodi. Legga
la formula di impegno e dia le sue generalità.
TESTE SPANO’.
Consapevole della responsabilità morale e
giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire tutta la verità e
a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
GIUDICE.
Dia le sue generalità.
TESTE SPANO’.
Spanò Aristide, nato a
Palermo il 23/3/1928, residente a Parma. Di professione, avvocato.
GIUDICE.
Va bene. Prego, avvocato.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Grazie, Giudice. Professor
Spanò, lei si è mai occupato dello studio del periodo storico del dopoguerra in
Sicilia e, quindi, in particolar modo, della vicenda relativa alla strage di
Portella della Ginestra?
TESTE SPANO’.
Ho
fatto una mia
personale inchiesta, poi dirò
i motivi, naturalmente senza
avere poteri ma da
libero cittadino che
voleva indagare su problemi
che riguardavano la
permanenza di mio padre
in Sicilia in
qualità di ispettore generale
di pubblica sicurezza con
sede a Palermo.
C’era un Ispettorato generale
per il banditismo. Mi
interessai delle vicende siciliane
di quel periodo perché mio
padre – io, allora, ero appena
laureato – è stato inviato
in Sicilia in missione
in sostituzione del dottor
Modica, ispettore generale
precedente, dopo la
breve parentesi in cui
intervenne il dottor Coglitore
che stette solo
tre giorni e
poi se ne
volle andare. Aveva capito
che era una trappola…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Mi scusi,
professore. Lei ci
parla di suo padre,
di come era
arrivato in Sicilia. Ci
dica chi era
suo padre.
TESTE SPANO’.
Mio padre
aveva fatto una
rapida carriera in Sicilia
negli anni che vanno
dal 1912 al
1925 e aveva – diciamo che
sto parlando di
quella che venne chiamata
“Campagna Mori” – assunto la
direzione di questi servizi di
sicurezza contro il banditismo
dell’epoca, che era un
banditismo feroce, c’era
la mafia del feudo,
la tipica mafia
del feudo, un’altra mafia,
tutta un’altra mafia
rispetto a quella
di oggi. Una mafia
molto radicata, molto forte.
Un banditismo molto feroce,
se mi è
consentito il termine. Mio
padre, sin dall’inizio della propria
carriera, come delegato
di polizia, delegato
di pubblica sicurezza, venne
inviato prima a Nicastro,
dove c’erano briganti di
tutte le specie.
Dove c’era brigantaggio, era
la sua specializzazione, mandavano
lui. E in
Sicilia svolse un’attività intensissima con
conflitti a fuoco perché
era a capo
di una squadriglia che
erano gruppi di carabinieri e
poliziotti a cavallo che andavano
a cercare in
campagna questi delinquenti. Fece
quindici anni di Sicilia
in quella maniera. A
cavallo, con sparatorie,
avventure rocambolesche. Si
raffinò in quel settore
tant’è vero che , ad
un certo punto,
era riuscito a (?)
i rapporti, successivamente, dal ’23
in poi, mandati
all’autorità giudiziaria, a descrivere
le situazioni, a denunciare
i capi di queste
bande armate che
giravano sulle Madonne e poi, anche, indagando sulla
mafia, che allora
si chiamava mafia
interprovinciale, perché le varie
cosche avevano contatti e
si scoprì che un
avvocato era un
po’ al vertice
di questa situazione e
che poi venne arrestato. Ad
un certo punto,
nel ’25, venne il
prefetto Mori. Tante denunce, tanti
processi, tante
insufficienze di prove
e questi processi finivano
sempre così, per ragioni
varie che non
sto a spiegare. Nel
’25 venne rispolverato il prefetto
Mori da una
situazione di empasse perché
era avvenuto il contrasto
con Mussolini per
motivi che…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Quindi, se
ho capito bene,
lei ha detto che
suo padre era
già venuto in Sicilia
con il prefetto
Mori e poi, continuando,
successivamente, ad operare in
Sicilia con un
incarico specifico.
TESTE SPANO’.
Dopo vent’anni.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Dopo vent’anni in che
periodo, per capirci?
TESTE SPANO’.
Dall’aprile 1948 al gennaio
1949.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Perfetto.
TESTE SPANO’.
Era venuto in missione in
Sicilia contro la banda Giuliano.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
A me interessa questo
periodo. Che ruolo rivestiva suo padre in quel preciso momento storico.
TESTE SPANO’.
Ispettore generale di
pubblica sicurezza. Era stato creato, nel ’46, un Ispettorato speciale contro il
banditismo. E, in questo Ispettorato, dapprima ci fu il Modica, il questore
Modica che aveva avuto questo incarico che già, con gli alleati in Sicilia,
aveva assunto la direzione generale di pubblica sicurezza collaborando con un
ufficiale inglese, un certo Snorck. Poi divenne ispettore generale nel quale,
appunto, nel ’46, venne istituito questo nuovo organo di Ispettorato generale
di pubblica sicurezza che aveva sede in Palermo, nel Palazzo Tagliavia e aveva
il compito di battere il banditismo. Non la mafia perché di mafia, in quel
periodo, non si doveva parlare. Fino al 1960 il governo si rifiutò di parlare,
di usare la parola mafia rispetto agli avvenimenti siciliani. Le opposizioni,
ovviamente, avevano fatto molto rumore su tanti episodi di uccisioni di
sindacalisti e via dicendo. Ma il governo mai ammetteva che ci potesse essere
una mafia…
GIUDICE.
Mi scusi, avvocato.
Cerchiamo di andare un po’ più al fatto…
TESTE SPANO’.
Bisogna inquadrare un
pochettino la situazione altrimenti è difficile…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Tornando a questo periodo storico in cui suo
padre ha operato in Sicilia, con riferimento ai compiti che aveva, e alla
attività sua di studio di quel periodo storico in cui suo padre ebbe ad operare
in Sicilia, lei, intanto, ha pubblicato dei testi? Ha fatto delle ricerche che
poi ha pubblicato?
TESTE SPANO’.
Si. “Faccia a faccia con la
mafia”. Molto tardi rispetto alla mia inchiesta. Praticamente ci ho messo
vent’anni a ricostruire i fatti siciliani e, facendo l’avvocato, avevo altro da
fare e mi ci dedicavo nei ritagli di tempo. E poi questo libro l’avevo messo
nel cassetto, l’ho rispolverato nel ’78 e l’ho pubblicato con Mondadori nel ’78
col titolo, appunto, “Faccia a faccia con la mafia”, che erano gli avvenimenti
in Sicilia visti dal punto di vista di coloro, delle forze dell’ordine, di
coloro che erano stati inviati in Sicilia per risolvere i problemi, con tutti i
problemi effettivi che…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Senta, su che documenti ha basato la
scrittura e, quindi, la narrazione che è contenuta in questo libro?
TESTE SPANO’.
Io ho praticamente
interrogato tutti i generali, i comandanti dei carabinieri, che poi erano
diventati vice comandanti generali dell’Arma, con il prefetto Vicari, che poi
divenne capo della polizia e che incontrai al Viminale, ispettori generali,
collaboratori di mio padre. Tutto proprio per indagare su questi fatti. Ed il
motivo c’era, perché mio padre, in Sicilia, trovò una situazione veramente
strana.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Che significa?
TESTE SPANO’.
Lui credeva di potere
risolvere, come aveva fatto nel ’26, la questione agevolmente ma erano tali gli
intrighi, le collusioni e non ci si poteva fidare nemmeno degli uomini
dell’Ispettorato perché c’erano quelli che i giornalisti chiamano “talpe”.
Cioè, tutti i servizi che lui predisponeva, anche nel massimo segreto, non si
sa come, erano comunicati alla banda Giuliano. E preciso sul punto due
circostanze importanti. Quando fu ucciso, nel corso di un conflitto, un
sanguinario bandito, un certo Passatempo, fu trovato, nelle tasche del bandito,
una ordinanza dell’ Ispettorato che disponeva uno schieramento a Cinisi perché
a Cinisi era stata segnalata la presenza della banda Giuliano al completo.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
E l’ordinanza era firmata da chi?
TESTE SPANO’.
L’ordinanza non le so dire
da chi fosse firmata. So che il Passatempo aveva nelle tasche questo documento.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Lei ha parlato di questo
bandito, Passatempo. Io, invece, le chiedo: chi era Frà Diavolo? Lei può
parlarci…?
TESTE SPANO’.
Io il libro l’ho basato
sulla documentazione, ampia, che aveva mio padre del periodo di Mori sia del
periodo successivo, di questi mesi passati in Sicilia.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Che significa
“documentazione ampia che aveva mio padre?
TESTE SPANO’.
Lui teneva copia dei
rapporti, aveva molti appunti perché lui cercava di ricostruire la mappa della
nuova mafia e, quindi, aveva dei documenti in cui segnava “il tizio capomafia
di Torretta, quello ha fatto questo e quest’altro”. E, a proposito del…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Dai documenti che aveva suo
padre, da questi rapporti che suo padre aveva,…
TESTE SPANO’.
C’era un’annotazione, che
io produco anche in copia, un’annotazione in matita rossa, tra le tante, (?) ad
un certo punto di Frà Diavolo si diceva, testualmente…. Parlando di un mafioso,
uno dei più noti in Sicilia, dei più vicini alla banda Giuliano, di Vincenzo
Rimi di Alcamo, si diceva “Fu il fiduciario per l’uccisione di Ferreri perché
temeva che Ferreri arrestato potesse parlare”. Io sono partito da questo punto
per interessarmi a questo episodio che ho ricostruito attraverso a queste
testimonianze che ho raccolto raggiungendo questi personaggi, comandanti di
divisione dei carabinieri, di brigata, con rapporti amichevoli perché io, non
essendo un giornalista ficcanaso, ma era uno che si presentava come figlio
dell’ispettore Spanò, che nell’ambiente godeva di una notevolissima fama e
tutti quanti mi hanno aiutato in questa inchiesta rivelandomi anche delle cose
che potevano essere anche un po’ riservate, ma ormai era passato del tempo,
riservate per modo di dire. Mi hanno rivelato tanti particolari che poi, in
buona parte,…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Sulla…
TESTE SPANO’.
Sul Ferreri, sul Ferreri io
ho altri riferimenti che ho raccolto nell’inchiesta e che, forse, potrebbero
essere quella di colui che fu un certo questore, cioè colui che era stato
segretario, praticamente, o meglio capo di gabinetto di tutti gli ispettori
generali partendo da Modica e via via Messana, Spanò e anche l’ultimo, che fu…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Il questore Albertini, forse?
TESTE SPANO’.
Il questore Albertini ero
questo personaggio di cui sto parlando, che fu capo di gabinetto di tutti gli
ispettori generali.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Cosa le disse a proposito
del bandito Ferreri e della sua uccisione?
TESTE SPANO’.
Per quanto riguarda la
faccenda del Ferreri mi disse che Messana aveva effettivamente come confidente
il Ferreri. Gli era stata offerta questa possibilità dal padre di Ferreri, che
abitava in Francia e aveva dei contatti con una personalità politica, adesso
non ricordo il nome, e questa personalità politica l’ha messo in contatto con
Messana e Ferreri aveva dato la disponibilità di essergli fiduciario, come si
diceva. Qualcosa che assomiglia un po’ ai pentiti. Cose completamente diverse,
forse. Per catturare Giuliano. E ci furono questi rapporti sino al punto che
l’ispettore Messana si preoccupò di fare operare di appendicite il suo
confidente e – quello che sto per dire sarà una rivelazione perché si sapeva
dell’operazione di appendicite ma non si sapeva chi l’aveva effettuata – e mi
disse l’Albertini che l’aveva effettuata il figlio del professore Oristano. Il
professore Oristano si dice che fosse una persona molto nota a Palermo,
personaggio anche con possibilità economiche notevoli, proprietario di una
clinica molto rinomata. E mi disse che nella clinica dell’Oristano venne
operato di appendicite il bandito Ferreri. Questo, direi, che era inedito fino
a quel momento. Si sapeva dell’operazione di appendicite ma si diceva sempre
che era stato operato in campagna chissà da chi. Questo è importante perché poi
l’autore di questa operazione, il figlio del professore Oristano, venne
barbaramente ucciso. Mi pare che nella stessa clinica si presentarono due
figuri, si diceva, si era appurato che fossero della banda Giuliano, che, forse
volevano uccidere anche il padre perché, nella descrizione dell’accaduto, si
dice che il figlio morì facendo scudo col proprio corpo al padre perché non
uccidessero il padre. Quindi era, secondo l’Ispettorato, secondo Albertini, era
la vendetta del bandito Giuliano perché, attraverso le solite “talpe”
dell’Ispettorato, che dicevano anche tutto quello che avveniva in gran segreto
nell’Ispettorato, aveva saputo dell’operazione di appendicite e, quindi, del
fatto che Frà Diavolo era diventato confidente di Messana. Questo come
premessa.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Torniamo un attimo a Frà Diavolo e alla sua
uccisione e alle ragioni della sua uccisione.
TESTE SPANO’.
La sua uccisione. Senz’altro, e questo è un
fatto storico assodato, non c’è dubbio, Frà Diavolo doveva essere ucciso.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Perché?
TESTE SPANO’.
Per il fatto che lui potesse…. Perché sapeva
tutto e aveva partecipato, e questo Messana non lo sapeva inizialmente, alla
strage di Portella della Ginestra, e ormai si sapeva che era confidente di
Messana per cui Giuliano si era già vendicato uccidendo chi lo aveva operato ed
evidentemente il movente, chiarissimo, chi poteva avere interesse ad uccidere il
bandito Ferreri, era il bandito Giuliano. Ora, quando si dice bandito Giuliano,
si dice poco. Perché bisognerebbe dire tutti i rapporti che Giuliano aveva con
la mafia, con i Rimi di Alcamo ed i rapporti che avevano altri elementi
dell’Ispettorato, non Messana, con questo Rimi di Alcamo. Per cui le ipotesi
sono tantissime. Comunque il fatto chiaro che mai e poi mai sarebbe…, il
fiduciario Rimi che, mi pare il capitano Giallombardo, nelle sue dichiarazioni
non aveva mai rivelato il nome di Rimi. Prima aveva detto che erano stati fatti
mesi di indagini delicatissime, difficili per poter prendere Ferreri e farlo
cadere in trappola. Poi, infine, dovette ammettere che, a parte le indagini che
aveva fatto, e senz’altro si sarebbe dato da fare per uccidere questo bandito
che era un bandito sanguinario e implicato in mille delitti, già condannato
all’ergastolo. Però, dico, quella volta aveva avuto una soffiata, come si dice
volgarmente, da parte di questo Rimi di cui, naturalmente, non aveva rivelato,
fino a che ha potuto, il nome di questo, chiamiamolo, fiduciario. Rimi,
naturalmente, non può avergli detto “Arrestami Frà Diavolo”. Sarebbe contro la
logica delle cose. Bisognerebbe non conoscere la situazione dell’epoca per fare
un’affermazione del genere. Rimi ha voluto tendere una trappola a Ferreri
pensando che nell’agguato i carabinieri lo avrebbero ucciso. Quindi
l’iniziativa del capitano Giallombardo di pensare di poterlo arrestare, secondo
me, era abbastanza fuori dalla realtà nel senso che poteva farlo però, per
carità, avrebbero fatto saltare la stazione dei carabinieri con tutte le
persone che c’erano dentro. Ma mai avrebbero consentito che Frà Diavolo potesse
essere arrestato e si presentasse ai giudici e potesse rivelare i segreti
enormi che aveva. Comunque le cose pare che fossero andate in un certo modo.
Ecco, come andarono le cose, per carità, sarà difficile contestare una versione
fatta da un ufficiale dei carabinieri -
e nessuno la vuol fare, per carità. Però che quella versione presentasse
lacune e dubbi di ogni genere, questo è un fatto assodato che il Giudice potrà
verificare attraverso tutte quelle che saranno le risultanze processuali.
Contraddizioni, cose inverosimili, il fatto stesso che si fosse appartato in
una caserma dei carabinieri con un pericoloso bandito senza preoccuparsi di
nessuna cautela, senza che ci fosse qualcuno, senza essere stato ammanettato,
che è la prima regola dei carabinieri che, quando, c’è un detenuto, per prima
cosa lo si ammanetta. Era leggermente ferito, individuo pericolosissimo. Si è
appartato a tu per tu. Ad un certo punto un pistola, pare che c’era su un
tavolo, in un primo tempo, poi nella fondina, sarebbe stata strappata da questo
individuo, poi ci sarebbe stata una colluttazione, poi il capitano si sarebbe
accorto, avrebbe pensato, si sarebbe ricordato di avere un’altra pistola da
un’altra parte, l’ha tirata fuori, in una colluttazione furibonda a cui non
parteciparono, mi pare, altri carabinieri – non c’era nessuno, come mai non ha
assistito nessuno non si sa – e a un certo punto il Frà Diavolo avrebbe, prima
di tutta questa colluttazione, sparato…
GIUDICE.
Scusi. Le eventuali
incongruenze del rapporto saranno valutate dal Giudice.
TESTE SPANO’.
Poi diceva di averlo
colpito allo stomaco, in un primo tempo, come pare sia stato effettivamente,
poi in altre versioni al processo di Viterbo, non ricordo, con due colpi alla
tempia.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Quindi, sostanzialmente,
lei dice che la ricostruzione ufficiale sostanzialmente fornita, non è
convincente alla luce delle sue conoscenze. Io le chiedo… lei ha,
sostanzialmente, detto che, mi corregga se sbaglio, il Ferreri, Frà Diavolo, è
stato, sostanzialmente, eliminato perché
c’erano tante persone che avevano interesse ad eliminarlo.
TESTE SPANO’.
Doveva essere eliminato.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Perché se avesse parlato…
TESTE SPANO’.
Si.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Allora io le chiedo: chi
aveva interesse a che venisse ucciso?
TESTE SPANO’.
Tanti. Primo il bandito
Giuliano in persona per i motivi che ho detto. E poi…. Bisognerebbe indagare
su…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Il Rimi di cui lei ha
parlato,…
TESTE SPANO’.
Il Rimi era uno dei
fiancheggiatori maggiori della mafia di Giuliano. Era proprio il primo
fiancheggiatore mafioso di Giuliano. Il Rimi. Il quale era anche confidente del
tenente colonnello Paolantonio, che era il comandante dei carabinieri
dell’Ispettorato il quale seguiva una sua strategia personale per la lotta la
banditismo. Tant’è vero che venne in contrasto con mio padre, la loro coabitazione
divenne incompatibile, ci fu un’inchiesta condotta dal generale dei carabinieri
Teddei e dal vice capo della polizia Coglitore e, insomma, a questo punto
vennero sostituiti alcuni vertici dei carabinieri dell’Ispettorato con il
maggiore Visani, un altro…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Senta, l’ispettore Messana
che rapporti aveva con Frà Diavolo e se aveva interesse a che lo stesso Frà
Diavolo venisse eliminato.
TESTE SPANO’.
Non aveva alcun interesse.
Tant’è vero, mi disse Albertini – queste cose, essendo segretario degli
ispettori, le conosceva bene – che, quando apprese della morte di Frà Diavolo,
l’ispettore Messana ebbe un gesto di stizza, evidentemente contrariato e, alla
fine, però, disse: “Tutto sommato gli sta bene così impara perché lui non mi disse
della stage di Portella della Ginestra né prima né dopo”. Era un confidente che
era diventato veramente inaffidabile. Questo mi disse Albertini e questo
disse…. Alberini disse anche, e questo è confermato, disse quello che Sogiu,
nel processo di Viterbo, dichiarò il difensore di uno degli imputati, adesso
non ricordo quale, dichiarò che Messana aveva detta ed era convinto che Frà
Diavolo fosse stato ucciso assieme agli altri nel corso del conflitto. Ora di
questa convinzione di cui ne aveva parlato l’avvocato Sogiu al processo contro
la banda Giuliano, mi venne confermata dall’Albertini che veramente Messana era
dell’opinione che nel corso del conflitto fu ucciso anche Ferreri. Questo per
dire che effettivamente, senza volere, per carità, entrare nel discorso che,
giustamente, il Giudice ha detto “Queste cose le valuto io”, per dire che
effettivamente c’erano dei dubbi, delle incertezze. Dubbi, per altro, e questo
non l’ho detto di importante, che mi furono anche manifestati dal generale dei
carabinieri Robino che era il comandante della divisione di Napoli e che io
raggiunsi a Torino proprio per parlargli. Mi furono confermati dal generale
Polani, che era comandante della sesta brigata di Palermo dei carabinieri e che
ebbe questa carica quando mio padre era in Sicilia. Tutti quanti non è che
hanno detto che non era vera la versione del Giallombardo. Non potevano dirlo.
Però dei dubbi su questo racconto l’avevano avuti. Anche questo io l’ho scritto
nel mio libro, naturalmente con tutto il soft necessario perché non posso dire,
non posso documentare il contrario, insomma.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Non ho altre domande, per
ora, Giudice.
GIUDICE.
Va bene. Prego, Pubblico
Ministero.
PUBBLICO MINISTERO.
Grazie, Giudice.
Buongiorno. Senta, signor Spanò, io volevo cercare di capire una circostanza.
Lei ha detto che la fonte delle sue conoscenze sono, soprattutto, interviste e
documenti dell’Arma dei carabinieri.
TESTE SPANO’.
Si. Ma anche di polizia.
PUBBLICO MINISTERO.
Benissimo. Delle forze
dell’ordine, allora.
TESTE SPANO’.
Il prefetto Vicari era il
vice capo della polizia.
PUBBLICO MINISTERO.
Perfetto. Del fatto
specifico, e parliamo, ovviamente, della morte di Frà Diavolo, lei ebbe a
consultare le dichiarazioni dei soggetti presenti al fatto?
TESTE SPANO’.
Io non so neanche se
qualcuno dei presenti ha testimoniato. Non posso saperlo.
PUBBLICO MINISTERO.
Allora mi scusi. È
un’analisi limitata.
TESTE SPANO’.
Si capisce. Forzatamente
limitata. Io non ho il potere delle autorità giudiziarie di indagare sui vari
rapporti. Io potevo sentire i testimoni…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
C’è opposizione, Giudice,
per un motivo molto semplice. Noi abbiamo appreso, in questo procedimento,
dalle parole dello stesso generale Giallombardo, persona offesa, che, in
realtà, presente oltre a lui non c’era nessuno. Solo la moglie. Quindi quali
altri soggetti avrebbe dovuto interrogare il teste? Ha consultato rapporti e
documenti di cui ha parlato. Altri soggetti che sapevano. Per cui…
GIUDICE.
La domanda del Pubblico
Ministero è ammessa perché il Pubblico Ministero ha interesse a sapere qual è
la fonte delle informazioni del teste. Prego.
PUBBLICO MINISTERO.
Quindi lei non ebbe a
consultare o sentire i testimoni oculari? Ebbe mai modo di parlare direttamente
con l’allora capitano Giallombardo?
TESTE SPANO’.
No.
PUBBLICO MINISTERO.
Per quale ragione?
TESTE SPANO’.
Era stato trasferito in
Calabria. Anche la Commissione Antimafia diceva che era stato un trasferimento,
se mi consentite, di punizione e poi perché è stato detto anche dalla
Commissione, l’ho letto negli atti della Commissione Antimafia che è stato
trasferito in Calabria a seguito di questo episodio. Sono cose che non sono
decisioni delle autorità giudiziarie, ma sono di tipo amministrative. L’Arma
dei carabinieri ha ritenuto che fosse una cosa disdicevole…
PUBBLICO MINISTERO.
Mi perdoni. Lei parla di
contraddizioni nella relazione, di una relazione quasi romanzesca. Però, dico,
lei non si informa con quello che è stato protagonista diretto? La circostanza
che era in Calabria mi sembra superficiale.
TESTE SPANO’.
Scusi, signor Pubblico
Ministero, ma fino ad oggi non sappiamo fino a che punto si siano fatti dei
rapporti precisi, delle autopsie come andavano fatte, eccetera. Per cui non
potevo essere di certo io a raccogliere questi elementi. Lo stesso verbale
mandato – io l’ho conosciuto dopo, attraverso gli atti – dalla Commissione
Antimafia…. Comunque combaciava con quello che era stato detto dai giornali
dell’epoca. Quindi, tutto sommato, il quadro era quello. Poi, i particolari,
non li avrei mai risolti io.
PUBBLICO MINISTERO.
Mi conferma la circostanza
chela sua è una ricostruzione parziale?
TESTE SPANO’.
Certo. Molto parziale. Non
so neanche se sono stati sentiti i carabinieri, se c’era qualche testimone
oculare. Non lo so.
PUBBLICO MINISTERO.
Benissimo. E si può dire
che questo conflitto a fuoco, come lei lo ha appreso dalle fonti che ha
consultato, si può considerare un’esecuzione posta in essere dal Giallombardo,
un fatto assolutamente criminale?
TESTE SPANO’.
Non da parte del
Giallombardo. Il Giallombardo potrebbe essere…. La mia idea è questa: è entrato
in un gioco molto più grande di lui. Perché ci sono dei retroscena, che qui non
posso neanche dire, che non riguardano proprio questo episodio e che però, nel
complesso, sono molto significativi. Era una situazione incredibile, quella che
c’era in Sicilia in quel periodo.
PUBBLICO MINISTERO.
Io le faccio una domanda
precisa: lei, nel suo libro, in un’intervista, avrebbe mai detto, scritto, che
Giallombardo…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
C’è opposizione, Giudice.
Stiamo chiedendo un’opinione al teste su…
GIUDICE.
La domanda non è ammessa.
PUBBLICO MINISTERO.
Io volevo capire: che
interesse, allora, poteva avere il Giallombardo a porre in essere una condotta
del genere, ad eliminare il Ferreri per non farlo parlare?
TESTE SPANO’.
Questo è il mistero di
questo processo. Anche di questo processo. E non posso mica svelarlo io.
Interesse non ne aveva, sicuramente. Era entrato, inconsapevolmente, in un
gioco che non sappiamo ancora perfettamente. C’è il discorso di Paolantonio che
diceva che aveva tutta una sua strategia. Il Rimi era il suo più noto e stretto
confidente. Paolantonio aveva parlato prima col capitano. Il capitano, in un
primo tempo, ha negato e poi, se non erro, al processo ha ammesso che aveva
parlato con Paolantonio. Mi pare. Per carità, i ricordi adesso sono anche
sfumati ed è passato un po’ di tempo. Paolnatonio aveva anche una sua
strategia. Non sappiamo quale, non sappiamo…
PUBBLICO MINISTERO.
Va bene. Io non discuto
delle strategie perché il processo non verte delle analisi delle strategie ma
di un fatto specifico. Dico, quando lei scrive un libro, questo libro “Faccia a
faccia con la mafia”, ha consultato gli atti del processo di Viterbo?
TESTE SPANO’.
Li ho seguiti attraverso la
stampa.
PUBBLICO MINISTERO.
La stampa?
TESTE SPANO’.
Si.
PUBBLICO MINISTERO.
Non ha consultato le
deposizioni, i verbali di trascrizione?
TESTE SPANO’.
Capisce, è anche un
discorso di un certo onere. E poi alcuni processi erano secretati. Io sono
venuto in Sicilia perché volevo vedere gli atti di quei processi ed il
cancelliere della Corte di Appello mi disse che non era possibile. Vidi il
numero che c’era di questi processi, erano stati fatti. Ne ho preso nota. Il giorno successivo sono andato per insistere
ed erano spariti addirittura i numeri di ruolo dei processi. C’era tutto un
sistema…. L’Archivio di Stato, per esempio, che aveva ricevuto questi documenti
dall’Ispettorato, questo forse nemmeno la Commissione Antimafia l’aveva
appurato, quando fu sciolto l’Ispettorato di polizia, tutti i documenti furono
consegnati dall’Albertini all’Archivio di Stato.
PUBBLICO MINISTERO.
Mi perdoni. La sentenza del
processo di Viterbo, però, non è stata mai secretata.
TESTE SPANO’.
Ma io non l’ho seguito
attraverso le carte. L’ho seguito attraverso la stampa, con resoconti precisi.
PUBBLICO MINISTERO.
Mi perdoni, dottor Spanò.
Com’è che rileva una serie di incongruenze in questo fatto del giugno ’47
quando non consulta gli atti ufficiali?
TESTE SPANO’.
Si, ma mi pare che,
attraverso quello che si è detto e si è scritto della Commissione Antimafia,
queste incongruenze sono state…
PUBBLICO MINISTERO.
Io voglio sapere le ragioni
per le quali non ha consultato gli atti ufficiali.
TESTE SPANO’.
Avevo anche delle
difficoltà, insomma.
PUBBLICO MINISTERO.
Nessun altra domanda.
GIUDICE.
La difesa di parte civile?
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Si, Giudice. Buongiorno,
dottore Spanò. Da quello che lei ha oggi testimoniato mi sembra di avere capito
che Frà Diavolo fosse un confidente di Messana.
TESTE SPANO’.
Chiaro.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
E, quindi, doveva essere
ucciso dal bandito Giuliano. Io non ho capito, e credo che nessuno l’abbia
capito. Anzi pongo la mia domanda invitandola a rispondere e a chiarire al
Tribunale, al Giudice: la sua tesi – non le chiedo un’opinione – la sua
ricostruzione storica, sulla base delle fonti che lei ha avuto, che ha cercato,
sulla base di tutte quelle informazioni, quelle lettere, di tutto quel carteggio
che ha rinvenuto in quella attività che ci ha oggi descritto, la sua
ricostruzione storica, questo le chiedo, della morte del Ferreri, in maniera
schematica, qual è, dottore Spanò? Perché non ho chiara la ricostruzione
storica che lei ha fatto, se l’ha fatto, della morte del bandito Ferreri.
TESTE SPANO’.
Io dico innanzitutto che
non sono uno storico e che non mi sono mai piccato di essere uno storico. Ad un
certo punto, molto legato, tra l’altro, a mio padre, ho voluto chiarire alcuni
misteri della situazione per il fatto che mio padre, ad un certo punto, ha
avuto delle difficoltà strane, tra virgolette “strane”, connesse a situazioni
ambientali. Parlava delle “talpe” che c’erano nell’Ispettorato. Parlava di due
attentati, di cui uno a mio padre, uno, senz’altro di Giuliano – quello che ho
detto che hanno trovato delle carte in tasca, non so se ne ho parlato di
questo, dove c’era addirittura la dislocazione di tutti i nuclei mobili
dell’Ispettorato Generale – e…. Ho perso il filo del discorso. Stavo dicendo?
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Io volevo sapere se c’era
una sua ricostruzione, sulla base delle fonti da lei consultate, dell’episodio
circoscritto, limitato alla morte del bandito Ferreri.
TESTE SPANO’.
Io l’ho detto su che cosa
mi sono basato. Una versione che, però, non era dei giornali soltanto perché
tutto quello che ho scritto venne poi confermato anche nelle carte della
Commissione Antimafia, nelle stesse dichiarazioni del capitano, sia pure non
sempre coerenti. Ho visto le carte della Commissione Antimafia, ho visto e
seguito i giornali, ho seguito questi episodi. Io, non essendo uno storico, non
è che abbia fatto quello che lei diceva e cioè se ho consultato i testi
presenti – non sappiamo chi fossero e dove sono andati a finire - …
GIUDICE.
Va bene. Mi pare che la
risposta sia completa. Prego, avvocato.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Lei, nella sua odierna
deposizione, ha creato, ha quasi indicato un rapporto tra Giuliano, Rimi e,
dico io, i carabinieri, perché ha parlato di Giuliano che, in un certo senso,
era legato a Rimi, da cui l’episodio della morte del Ferreri. Può sintetizzare
schematicamente come sono collegati tra loro Giuliano, Rimi e la morte del
bandito Ferreri? Perché anche questo è un episodio che io non ho compreso.
TESTE SPANO’.
Le posso dire
semplicemente, da quello che io ho appreso, che Rimi era uno dei…
PUBBLICO MINISTERO.
C’è un nesso tra il bandito
Giuliano, Rimi e la morte del bandito Ferreri?
TESTE SPANO’.
Il movente più chiaro
dovrebbe essere quello di Giuliano, che aveva interesse ad eliminare Ferreri.
Intendiamoci. C’era poi l’interesse della mafia e, pian piano, tutti questi
banditi che sapevano, vennero eliminati. Sino ad arrivare, poi, a Giuliano
stesso, a Pisciotta e…
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Si, ma cosa c’entrano i
carabinieri ed il generale? Come si arriva…
TESTE SPANO’.
I carabinieri…, non si sa.
Voglio dire questo. C’è stato anche un certo discorso da parte dei servizi
segreti. C’erano persone che remavano contro e, francamente, io non so dire
perché a come questo discorso. C’erano degli intrighi difficili da approfondire
e da conoscere. Rimi era anche confidente del tenente colonnello Paolantonio
che era all’Ispettorato. Aveva, il bandito Ferreri ucciso, mi pare che avesse
un documento che quello dell’autista del colonnello Paolantonio. Questo non
vuole dire niente. Vuole dire semplicemente che c’erano degli intrecci, non se
basati sulla rivalità tra polizia e carabinieri o cos’altro, ma c’era un po’ di
pasticcio, diciamo, in questa situazione. Paolantonio era molto vicino al Rimi
nel senso che era un suo confidente importante. Non so che ruolo avrebbe potuto
rivestire in questa faccenda.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Mi scusi, dottore. Noi,
qua, siamo di fronte ad una verità storica che è quella legata al fatto che il
generale Giallombardo è stato ed è considerato da tutti un eroe per ciò che è
avvenuto quella notte. Adesso si viene a confutare questa tesi, e per questo è
il processo. Lei viene qui a testimoniare. C’è un’altra verità, oltre a quella
storica, che lei conosce o no? A me non interessa che continui a parlare di
tutta la storia del…
GIUDICE.
Mi scusi, avvocato. La
domanda non è ammessa in quanto il teste ha già detto di non conoscere le
circostanze del fatto in sé. Ha ricostruito soltanto le possibili motivazioni e
ha detto anche che, eventualmente, i carabinieri possono essere considerati
come un’arma inconsapevole. Comunque non ha ricondotto ai carabinieri una
consapevolezza, una volontà. Quindi questa domanda è già stata risposta dal
teste in maniera esauriente.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Lei, dottor Spanò, può
affermare che la versione del generale Giallombardo è falsa?
TESTE SPANO’.
Neanche per idea. Ci sono
dei dubbi per la versione stessa che si sono creati in avanti ed è quello che
non dico soltanto io ma che hanno detto in tanti. Dubbi che hanno avuto anche i
superiori dell’allora capitano Giallombardo. Io ho parlato col Robino, che era
comandante di divisione, comandante dell’Arma. Il Robino, tra l’altro, ce
l’aveva a morte col colonnello Luca ed il capitano (?) per tutto il pasticcio
che avevano combinato finito il conflitto, che avevano denunciato subito a
Roma, mentre a Roma continuavano a dire che la versione ufficiale era quella
vera. Dopo mesi e mesi che era scontatissimo perché lo stesso giorno il
Ministero dell’Interno fu informato dai carabinieri, proprio dal generale
Robino e da Polani, con rapporti precisi e particolareggiati su come si erano
svolti i fatti e…
GIUDICE.
Va bene.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Lei ha detto oggi, per
quello che le consta, che il generale Giallombardo, allora capitano, fu
trasferito per punizione. Adesso io le chiedo: lei sa che, invece, c’è un
documento che testimonia che il generale Giallombardo, allora capitano, fu
confermato nella sede, proprio in quel periodo, dal comandante dell’Arma e che,
successivamente, per motivi suoi personali, fu trasferito?
TESTE SPANO’.
Lo dice Albertini. “Sa,
queste cose qui, può darsi che loro le sapessero per sentito dire”. Questo, che
fu detto sia dalla stampa che da altri intervistati, sembrava che fosse questo.
Mi pare che anche alla Commissione Parlamentare si è parlato di questo
trasferimento come dubbio.
GIUDICE.
Va bene. La risposta è
completa. Prego.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Un’ultima domanda. Lei sa
che il comandante generale dell’Arma dei carabinieri scrisse anche una lettera
di compiacimento al Giallombardo in ordine all’episodio della morte del
Ferreri?
TESTE SPANO’.
No.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Non lo sa. Va bene. Nessun
altra domanda.
GIUDICE.
Avvocato, se ci sono altre
domande su quelle già fatte.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Si. Avvocato Lanfranca. A seguito delle
domande che le hanno fatto il Pubblico Ministero e la parte civile, io le
chiedo: quello che lei ha scritto, quello che lei ha detto in questa aula, con
riferimento ai fatti di cui abbiamo parlato, sono frutto della riproposizione e
di un ragionamento che lei ha sviluppato sulla base degli atti che suo padre
aveva in archivio, su questi fatti? Si o no?
TESTE SPANO’.
Mio padre, nell’archivio
dei fatti, aveva solo quelle annotazioni.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
In queste annotazioni cosa
si diceva? Cosa c’è scritto?
TESTE SPANO’.
Dicevano che Rimi fu il
fiduciario per la morte di Ferreri perché riteneva…
PUBBLICO MINISTERO.
Giudice, mi perdoni. Il
nuovo esame dovrà vertere su nuove domande.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
È una nuova domanda.
PUBBLICO MINISTERO.
Ma che cosa? Gliel’ha
chiesto prima e sta ripetendo il contenuto dell’annotazione. La prima domanda
che ha fatto. Io mi oppongo, Giudice, per il semplice motivo che non si tratta
di una domanda nuova.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Vorrei dire
soltanto questo. Le domande
che hanno fatto
le altre parti sono
state: quali atti
ha conosciuto, quali atti
ha studiato, se ha
letto il processo
di Viterbo, ed
il processo di
Viterbo riguarda fatto differente
rispetto alla morte di
Frà Diavolo in sé.
Quindi, sono state
fatte delle domande. Ora
io sto chiedendo,
a questo punto, ovviamente
volte ad un obiettivo evidente,
che non ho bisogno
di esplicitare alla
Signoria Vostra. Siccome abbiamo
citato il teste perché
sappiamo che è il
figlio del dottore
Spanò, che ha avuto
ruolo in Sicilia,
sentiamo il dottore Spanò
anche perché i
testi, la volta scorsa,
ce ne hanno parlato, dei
documenti del dottore Spanò. Sto
chiedendo a lui,
che è il figlio, se
quello che ha
detto l’ha detto sulla
base della lettura e
della elaborazione di
questi documenti. A me
interessa solo un si
o un no.
Solo questo.
GIUDICE.
La domanda è ammessa.
TESTE SPANO’.
Mi sembrava molto rilevante
l’annotazione, quella che ho detto, e documentalmente è quella. È molto
rilevante il discorso che Rimi era il fiduciario per l’uccisione del bandito
Ferreri perché temeva che vivo potesse
parlare. Questo è importante e mi pare che sia stato anche una svolta nelle
indagini degli altri, eccetera. Questo elemento aveva un grosso rilievo nella
vicenda. Rimi, di cui nessuno aveva parlato, da allora è saltato fuori che,
effettivamente, qui c’è una riprova di quello che aveva scritto mio padre. E
poi c’è il fatto che, conoscendo l’esperienza di mio padre sulla mafia, una
annotazione non era un’idea così, balzana, ma l’aveva scritta perché aveva gli
elementi per potere scrivere quelle cose, come l’aveva fatto anche per tutti
gli altri capimafia dell’isola cercando di ricostruire vita e miracoli di
questa gente. Quindi io ho dato molto peso a quell’appunto. Scarno, sono poche
parole, ma diceva una cosa importante. Lì c’è un fiduciario e si chiama Rimi. E
Rimi sappiamo chi è, sappiamo anche che era amico e collaboratore intenso di
Giuliano. E poi che lo scopo era quello di ucciderlo perché se fosse
sopravvissuto avrebbe parlato. E Frà Diavolo era una fonte pericolosissime per
molti. Da Portella della Ginestra ad altro.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Va bene così. Nessun altra
domanda.
GIUDICE.
Va bene. Può andare.
Proseguiamo con l’esame del teste Ruta. Prego, si accomodi. Legga la formula di
impegno.
TESTE RUTA.
Consapevole della
responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno
a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
GIUDICE.
Dia le sue generalità.
TESTE RUTA.
Ruta Carlo, nato a Ragusa
il 26 agosto 1953, residente a Pozzallo in via Ungaretti, 46.
GIUDICE.
Prego, avvocato.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Grazie. Lei che attività
svolge.
TESTE RUTA.
Io svolgo attività di
comunicazione, diciamo così, in bilico tra informazione e storia.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Si è occupato dello studio
del periodo storico della Sicilia che va dall’immediato dopoguerra fino agli
anni cinquanta?
TESTE RUTA.
Si. Me ne sono occupato nel
1993-’94 quando ho pubblicato prima una serie di articoli su vari giornali
siciliani e soprattutto, appunto, nel ’94, quando è uscito un libro con la casa
editrice Rubettino dal titolo “Il binomio Giuliano-Scelba”. Poi me ne sono
occupato dopo perché ho pubblicato un altro libro. Però l’impegno maggiore si
concentra in quegli anni.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Lei, in questo libro che ha appena citato, ha
scritto, a pagina 17: “Il 27 giugno del ’47, in un’imboscata dei carabinieri in
cui caddero quattro banditi, fra cui i fratelli Pianelli, Frà Diavolo fu fatto
prigioniero e condotto al comando di Alcamo dinanzi al capitano Roberto Giallombardo. Era stato un messaggio anonimo
ad avvisare la compagnia locale dei carabinieri del passaggio dei banditi.
Evidentemente si intendeva chiudere in modo definitivo la partita con Frà Diavolo.
Ed i quattro morti sul terreno ne danno atto. Ferreri…”. E quindi lei
ricostruisce, sostanzialmente, a questo punto del suo libro, la morte del
bandito Ferreri. Ci dice, con riferimento a quello che lei ha, appunto, scritto
nel suo libro se la ricostruzione, innanzitutto, ufficiale della morte di
questo bandito sia una ricostruzione credibile e se è no, perché e sulla base
di quali elementi lei afferma quello che afferma.
TESTE RUTA.
Dal mio
punto di vista,
come ho rilevato in questo testo,
la ricostruzione ufficiale non è
credibile. Dobbiamo tenere
presente che il bandito
Ferreri, Frà Diavolo,
viene praticamente arrestato dopo un’imboscata
che i carabinieri della compagnia
di Alcamo hanno
teso alla banda.
Non era solo
lui, ovviamente, ma c’era
anche il padre,
un altro componente
della famiglia e due….
Erano cinque persone. Quattro
vengono ammazzate. Lui viene,
invece, arrestato. Ferito lievemente ad
un fianco, comunque quanto basta
per creare nel
medesimo Ferreri una situazione, insomma, di
difficoltà non solo
dal punto di vista
morale perché gli hanno
ammazzato il padre,
il fratello e, praticamente,
tutta la banda. Ma
anche dal punto
di vista fisico perché
è una persona
ferita. Anche se non
gravemente ferita, però
è ferita. D’altra
parte noi dobbiamo considerare,
tenere presente che la
compagnia di Alcamo – ora
io non sono stato
ad Alcamo e
non ho visto la
caserma dei carabinieri
di Alcamo – posso intuire che,
data la situazione che
c’era, doveva essere una
roccaforte abbastanza guarnita sia
dal punto di
vista dei militari, sia
anche dal punto
di vista delle strutture.
Teniamo presente che Alcamo,
come tutta l’area qua
intorno era un’area
in cui imperversava un
forte banditismo. Quindi
Frà Diavolo si trovava
in una situazione
di debilitazione a livello
mentale, a livello psicologico
estrema e si trovava
in una situazione
di debilitazione fisica estrema,
si trovava in una
caserma guarnitissima retta da
un capitano – non era
una casermetta in cui
c’erano due militari - …
GIUDICE.
Mi scusi,
avvocato. Io devo interrompere un
momento questo esame perché
se si tratta
di sentire questo teste
su elementi che
tutti noi abbiamo, le
considerazioni, poi, le farà
questo Giudice sulla ricostruzione del
fatto. Se, invece, il
teste ha avuto
possibilità di ragionare su
altri documenti che hanno potuto confermare questa
ricostruzione, ben venga. Se, però, dobbiamo
sentirlo sulle sue ipotesi
su questo fatto,
questo non può essere
ammesso. Prego, avvocato.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Si. Il teste, ora faremo
tutti noi le domande che si riterranno opportune, io immagino che verrà chiesto
al teste quali sono gli elementi in base ai quali dice determinate cose, ora ha
detto che sulla caserma di Alcamo lo ritiene lui perché non l’ha mai vista.
GIUDICE.
Ma ha detto, tra l’altro,
di non averla mai vista.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Si, si. Anche perché,
possibilmente, non è più come poteva essere cinquant’anni fa.
GIUDICE.
Però dobbiamo uscire dal
campo delle ipotesi e andiamo ai fatti ricostruiti anche…
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Io sono d’accordo. Le
domande che io faccio sono su fatti. I fatti che io conosco sono quelli che lui
ha rappresentato nel suo libro, glielo chiedo e poi vediamo quello che dice.
GIUDICE.
Certo.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Io torno nuovamente a
quello che lei ha scritto, questa volta a pagina 18. Lei ha capito il tipo di
osservazione che il Giudice ha fatto e cioè che quello che lei immagina non ci
interessa. Sostanzialmente ci interessa quello che lei sa. Io torno alla
lettura di quello che lei ha scritto a proposito di questo fatto. Quello che
lei sa, quello che è frutto di una sua riflessione critica e sulla base di
quali documenti questa riflessione critica è stata fatta. Lei scrive, a pagina
18: “In realtà si trattò di un’esecuzione a freddo. Si parlò, in particolare,
di un ordine perentorio, pervenuto via telefono, dal Comando Regione
Carabinieri di Palermo, che a sua volta dovette ricevere precise direttive da
altre sedi. Frà Diavolo fu, insomma, il primo testimone di troppo ad essere
stato soppresso dentro un edificio dello Stato”. Questo sempre a pagina 18 del
libro che lei ha scritto. Su quello che ho appena letto le chiedo, appunto,
quel è il percorso che l’ha portata a fare questa sua riflessione su un fatto
storico, che è la morte, l’uccisione di Frà Diavolo all’interno della caserma
dei carabinieri di Alcamo e sulla base di quali documenti lei ha ricostruito
criticamente la vicenda.
TESTE RUTA.
Certamente. Intanto bisogna
dire che non esistono documenti segreti cui io ho attinto. Esistono documenti
storici. Esistono osservazioni che sono state fatte. Esistono tutta una serie
di elementi che, certamente, anche in sede giuridica, andrebbero presi in
considerazione. Quali? Intanto il fatto che una persona, non importa se si
tratta di un bandito perché anche i banditi hanno i loro diritti civili, è
stata ammazzata dentro una caserma dello stato. Questo è un fatto che, secondo
me, è significativo di tutta una serie di elementi che…
GIUDICE.
Scusi. L’avvocato le ha
fatto una domanda ben precisa. Le ha detto di indicare i documenti in base ai
quali lei è arrivato ad una ricostruzione che è quella letta dall’avvocato. Non
documenti segreti per forza. Anche documenti pubblici.
TESTE RUTA.
Documenti pubblici….
I libri che io
ho letto
le posso dire,
insomma, riguardanti quel periodo.
Sicuramente ho letto il
libro edito da
La Terza dello
storico Nicola Tranfaglia “Mafia, politica e
banditismo”, un libro
di cinquecento pagine. Ho letto
gli atti dell’Antimafia, la relazione Berardinetti, in cui si parla
chiaramente di fatti
anomali anche se poi
non vengono dati
dei giudizi definitivi
e perentori. Vengono lasciate
cadere le responsabilità di altri
elementi dello Stato. Ho
letto alcuni testi, a
parte questi dell’Antimafia, che poi
sono vari perché
anche l’opposizione all’interno
dell’Antimafia ha fatto
un suo rapporto firmato
dal D’Alema padre, cioè
Giuseppe D’Alema. Ho
letto gli atti pubblici.
Da questi atti pubblici
emerge nettamente – si può dire
tutto quello che
si vuole – però emerge
nettamente che ci
sono delle zone d’ombra
ed io, sulla base
di questa zone
d’ombra, da storico, perché
lo storico ha un
blocco di cemento
armato tra sé ed
i fatti.
Non è il giornalista che interagisce con
i fatti. Nessuno
si è mai permesso
di dire che lo
storico, la storiografia
è il quinto
potere o il
sesto potere. Lo
storico ha la
storia tra sé ed
i fatti.
Quindi è sulla
base di questi elementi
non evidenziati, non usciti chiaramente alla luce, che lo
storico si può
permettere di dire che
queste zone d’ombra
possono significare
determinate cose.
GIUDICE.
Va bene. Mi inserisco un
momento nella sua domanda perché a me interessa, in particolare, capire la
parte in cui lei dice che questo omicidio fu frutto di un comando, di un
ordine, se non ho sentito male. Vorrei sapere questo punto come lei lo ha
dedotto, come lo ha appreso. È un fatto specifico che vorrei chiarito. Una comunicazione
telefonica del comando, se non sbaglio.
TESTE RUTA.
Questo è stato riportato da
alcuni giornalisti dell’epoca. Io ho letto anche la stampa dell’epoca. Si parla
di Besozzi, si parla di Nicola Ad elfi, si parla di altre persone che hanno
scritto in quel periodo e, tra le altre indiscrezioni, viene sussurrata anche
questa. Ma qua si dica chiaramente che si parla di un ordine, non si dice che
l’ordine, effettivamente, c’è stato. Però, mettendo insieme tutta una serie di
tasselli, uno può anche sospettare che…
GIUDICE.
Va bene. La ringrazio per
il chiarimento. Avvocato, vada avanti.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Lei ha parlato della morte,
prima della conduzione in caserma del bandito Ferreri, anche di altri soggetti.
E ha detto che uno era il padre, gli altri erano i fratelli Pianelli, lei ha
scritto. Chi erano questi fratelli Pianelli? Erano anche dei confidenti? Se è
si, di chi? E poi le chiederò di chi era confidente, se lei lo sa, lo stesso
Ferreri.
TESTE RUTA.
Q uesto, per ammissione degli stessi carabinieri dell’epoca, i
fratelli Pianelli erano confidenti dei vertici, del comando dei carabinieri di
Palermo. Questo risulta agli atti per cui non c’è bisogno che io spieghi
niente.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Dico, se le risulta a lei e
da quali atti le risulta.
TESTE RUTA.
Certamente. Questo risulta
chiaramente dagli atti fatti e sottoscritti dalla Commissione Antimafia. La
prima, che ha fatto il primo rapporto. Quindi siamo nel ’75. Lì risulta
chiaramente che i fratelli Pianelli erano confidenti dei carabinieri. Tra le
altre cose la Commissione Antimafia aveva udito, aveva fatto parlare di queste
cose qua proprio i comandi, coloro di cui erano direttamente confidenti, con
cui erano a contatto, insomma. Quindi esistono anche fonti dirette. Comunque la
fonte pubblica, la fonte che è stata da me visionata, sono gli atti della
Commissione Antimafia.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Lei quando parla di questo
comando dei generali si riferisce, per caso, al colonnello Paolantonio?
TESTE RUTA.
Al colonnello Paolantonio e
Lo Bianco, mi sembra, che collaborava col Paolantonio.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Che collaborava con il
colonnello Paolantonio. Senta, lei ha detto che anche i fratelli Pianelli erano
dei confidenti. Vennero uccisi per una ragione anch’essi, in quella occasione,
oppure no?
TESTE RUTA.
Da persona che si diletta a
scrivere di fatti storici, ritengo di si, ritengo che non possa trattarsi di
qualcosa di casuale. La leggenda che quello che facevano i carabinieri era
completamente sconosciuto alla polizia e quello che faceva la polizia di Stato
era completamente sconosciuto ai carabinieri, per me non ha ragione di esistere
perché i fatti non…. Questa era la leggenda che girava nei giornali, diciamo
così, che c’era questo contenzioso per cui ognuno sapeva le cose sue e non
sapeva niente dell’altro. Noi sappiamo che sia i carabinieri, sia la polizia,
dovevano de conto di quello che facevano ad alcuni livelli precisi dello Stato
che poi, naturalmente, arrivavano ai livelli più alti. Non è che un colonnello
dei carabinieri si poteva assumere una responsabilità che, naturalmente, non
era propria. È chiaro che di certe cose ne doveva parlare con i propri uffici
superiori e così anche la polizia. Automaticamente non poteva non esserci una
conoscenza tra di loro, cioè tra quello che faceva l’uno e quello che faceva l’altro. Per cui lo
polizia, in questo caso Messana, non poteva non sapere che i Pianelli erano
confidenti dei carabinieri. Per cui se li hanno ammazzati, nonostante sapessero
che erano degli uomini che collaboravano con la giustizia, la cosa lascia
pensare che ci dovevano essere delle ragioni. Per cui lo storico, sulla base di
questi elementi, può trarre delle conclusioni.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Lei ha parlato di Messana.
Ha appena citato Messana. Io le chiedo: lei sa chi era Messana e che ruolo ha
svolto, se ne ha svolto, nella vicenda di cui ci stiamo occupando, ovvero
l’uccisione di Frà Diavolo?
TESTE RUTA.
Noi sappiamo, e questo risulta sempre agli
atti del processo che c’è stato dopo l’assassinio, diciamo la morte violenta
del Frà Diavolo. Noi sappiamo che il Frà Diavolo, tra le sue ultima parole,
disse: “Lei non mi può fare niente…” questo l’avrebbe detto al Giallombardo
“…perché io sono un uomo di Messana”. Ora, perché nonostante fosse un uomo di
Messana viene ammazzato o viene ucciso, diciamo così, in un conflitto? La cosa
è molto strana. È già strano il conflitto nei termini in cui si è detto perché
non c’erano, secondo me, le condizioni per un conflitto. Poi il conflitto viene
dopo che il Frà Diavolo fa questa rivelazione. Il Frà Diavolo, dopo che fa
questa rivelazione, si dovrebbe sentire protetto, dovrebbe non temere nulla, a
quel punto. Il problema era solo quello di comunicare a Messana che si trovava
in una situazione un po’ particolare. Come mai, invece, questo afferra la
pistola, tenta di reagire…. Voglio dire…, siamo sempre sul piano delle
supposizioni, che la decisione o, comunque, quella situazione, abbia avuto
anche degli inneschi che non erano lì dentro ma ci può essere stato qualcosa
che veniva da fuori.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Non ci sono altre domande.
GIUDICE.
Va bene. Prego, Pubblico
Ministero.
PUBBLICO MINISTERO.
Grazie, Giudice. Signor
Ruta, io volevo farle qualche domanda in base alle sue risposte. Lei ha detto
che, tra i documenti consultati, principalmente c’è il libro del professor
Tranfaglia. Senta, nel libro del professor Tranfaglia, a proposito della notte
del 27 giugno ’47, si parla di imboscata? Lei ha detto che la sua fonte
principale…
TESTE RUTA.
Io ho detto che la fonte…
PUBBLICO MINISTERO.
Nel libro, la domanda è precisa, si parla di
imboscata?
TESTE RUTA.
Questo io non lo posso
ricordare. Comunque, in ogni caso, ritengo che la cosa non abbia importanza.
GIUDICE.
Lei non può fare queste
valutazioni. Deve rispondere si o no o non ricordo.
TESTE RUTA.
Va bene.
PUBBLICO MINISTERO.
Nel libro del professor
Tranfaglia si parla di esecuzione a freddo, a proposito della notte del giugno
‘47?
TESTE RUTA.
Non si parla, di questo
posso esserne sicuro perché nel libro del professore Tranfaglia vengono esposti
tutta una serie di documenti ufficiali e quello che io ho rilevato è che, nei
documenti ufficiali, dell’Antimafia eccetera, non si parla specificamente di…
PUBBLICO MINISTERO.
E lei come mai, allora, ne
parla esplicitamente?
TESTE RUTA.
Le ho detto che esistono,
forse non sono stato chiaro, tutta una serie di fonti ufficiali e poi esistono
le fonti perché sul fatto hanno scritto centinaia di persone. Non se ne è
occupato solo l’Antimafia; se ne sono occupati decine, centinaia di giornalisti
dell’epoca; se ne sono occupati diversi storici; se ne è occupato il Barrese e
sicuramente tanti altri. Quindi emerge che, nella versione ufficiale, quella
che passa attraverso l’Antimafia, c’è una posizione abbastanza timida e direi,
più che timida, prudente.
GIUDICE.
Va bene. Queste sono sue
considerazioni.
PUBBLICO MINISTERO.
Senta, in quel momento Frà
Diavolo era ricercato o era un cittadino libero?
TESTE RUTA.
In quel momento Frà Diavolo era ricercato.
Però, allo stesso tempo,…
PUBBLICO MINISTERO.
No, no.
TESTE RUTA.
Scusi. Io devo dare la
risposta completa. Non è che lei mi può suggerire la risposta. Era ricercato,
come era ricercato Pisciotta, però, allo stesso tempo, collaborava con le forze
dell’ordine. È la storia, insomma.
PUBBLICO MINISTERO.
Io vorrei capire. Quando
dei rappresentanti delle forze dell’ordine si trovano dinanzi ad una persona
ricercata, si può parlare di imboscata?
TESTE RUTA.
Si può parlare benissimo di
imboscata perché le imboscate le fanno anche le forze dell’ordine nei confronti
dei banditi. Il problema è che questi banditi collaboravano sia con la polizia
che con i carabinieri. Questa è la cosa strana.
PUBBLICO MINISTERO.
Giudice, io, questo
giudizio di imboscata per l’arresto di un bandito, non lo vedo. Allora le
chiedo una cosa: l’arresto di Salvatore Riina, il 15 gennaio del ’93, è stata
un’imboscata?
TESTE RUTA.
Si, ma non c’è stata
nemmeno una goccia di sangue. Mi deve scusare. In italiano imboscata vuol dire
quando ci sono delle persone nascoste che tendono un’imboscata e sparano. E
fanno un atto violento. In quel caso i carabinieri hanno fatto un’imboscata e
un atto violento. Hanno ucciso quattro persone.
PUBBLICO MINISTERO.
Benissimo. Lei, il concetto
di imboscata, da cosa lo desume? Ha consultato gli atti relativi al fatto
specifico, se si era istruito un…?
TESTE RUTA.
Si, si. Il processo è stato
fatto e, chiaramente,…
PUBBLICO MINISTERO.
Quale processo è stato
fatto? È stato fatto un processo per questo episodio del giugno ’47?
TESTE RUTA.
I carabinieri hanno dovuto
rendere conto di quello che era successo e, quindi,…
PUBBLICO MINISTERO.
Ma non mi risponde. Lei ha
detto, ora, “Sarà stato fatto un processo”. Lei è sicuro che è stato fatto un
processo da parte del Procuratore della Repubblica?
TESTE RUTA.
Si, perché anche nel sito…
PUBBLICO MINISTERO.
Lei l’ha letto?
TESTE RUTA.
Si.
PUBBLICO MINISTERO.
Ha letto gli atti?
TESTE RUTA.
Io non ho letto gli atti.
Ho letto le dichiarazioni e le giustificazioni che sono state date in questo
caso, in questo episodio.
PUBBLICO MINISTERO.
Allora è stato istruito un
procedimento.
TESTE RUTA.
E si.
PUBBLICO MINISTERO.
Lei ha letto le
dichiarazioni dei singoli carabinieri presenti?
TESTE RUTA.
Io non ho letto le
dichiarazioni. Io ho letto quello che è stato pubblicato, come dire, scritto
dal comando e in cui emerge che c’è stato un conflitto a fuoco nel corso del
quale sono state ammazzate quattro persone. Questa è imboscata.
PUBBLICO MINISTERO.
Ho capito. Lei sa che, per
questa imboscata, lo Stato Italiano ha insignito Giallombardo di
un’onorificenza?
TESTE RUTA.
Lo so ma non mi interessa.
GIUDICE.
Ascolti. Lei si deve
limitare a rispondere alle domande che le vengono poste. Non può insultare né
fare considerazioni. Deve assolutamente moderare i termini e…
TESTE RUTA.
Non è da me insultare le
persone.
GIUDICE.
Però questo tono non va
bene.
TESTE RUTA.
Va bene.
PUBBLICO MINISTERO.
Lei, tra i documenti che ha consultato, ha
avuto modo di leggere la relazione fatta dell’allora capitano Giallombardo? Ha
avuto modo di incontrarlo, di intervistarlo? Perché, dico, uno storico, lei mi
insegna, consulta documenti. Non è che legge giornali, consulta siti…. Se no….
TESTE RUTA.
Io ho letto la relazione
del generale Giallombardo…
PUBBLICO MINISTERO.
Dove l’ha letta?
TESTE RUTA.
L’ho letta. Io, tra
l’altro, ho un sito in cui è pubblicata. Per cui l’ho letta. Non ci sono dubbi.
Ho un sito internet in cui, tra gli altri documenti, c’è anche questo. L’allora
capitano Giallombardo giustifica quello che è successo come un normale atto.
Ma, del resto, non è che qui si sta dando la colpa di qualcosa al generale
Giallombardo, per carità.
PUBBLICO MINISTERO.
Mi perdoni. Lei scrive
“imboscata” e “esecuzione a freddo”. Nessuna colpa non mi pare.
TESTE RUTA.
Bisogna decifrare la
responsabilità delle persone. E, su questo, mi creda, non penso che abbia detto
qualcosa e non penso che avrei potuto dire qualcosa. Io dico semplicemente “Si
parla di…”. È legittimo avere il sospetto delle cose ma non ne sono sicuro.
PUBBLICO MINISTERO.
Però ha detto “si parla di…” in base a delle
fonti.
TESTE RUTA.
Si.
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
Giudice, sulle fonti, il
teste, è stato abbastanza chiaro. Ha detto venticinque volte che ha letto gli
atti della Commissione Antimafia, ha letto la relazione dell’epoca dell’Arma.
Dico, questo c’è e l’abbiamo pure prodotte queste cose. Non è che c’è molto.
Poi c’è una attività di valutazione del critico che, in questo caso come in
altri casi, è particolarmente critica. Ritengo, perché se si fa l’opposizione a
me sul fatto che ripeto la stessa domanda, io a questo punto mi sento in dovere
di farla anche al Pubblico Ministero perché sta ripetendo venticinque volte…
GIUDICE.
Va bene. Effettivamente,
Pubblico Ministero, sul tema il teste ha già risposto.
PUBBLICO MINISTERO.
Torno su una frase che il
teste ha riferito. Il capitano Giallombardo avrebbe sentito dal Ferreri quella
frase. Lei da dove lo ha appreso questo? Quale fonte di informazione, di
conoscenza ha consultato?
TESTE RUTA.
Se non è una leggenda
metropolitana, le posso dire che ne hanno parlato centinaia di storici.
PUBBLICO MINISTERO.
Dico, così generico no. O
mi parla di leggenda metropolitana o di cento storici. Quali sono questi cento
storici? Quali testi, quali articoli? Me lo deve dire perché stiamo facendo un
processo penale.
TESTE RUTA.
Si, si, non lo metto in
dubbio. Però deve capire anche che ci possono essere problemi di memoria. Io
non posso avere, di un fatto di cui mi sono occupato nel ’94, conoscenza fino
ad oggi, dopo undici anni. Sicuramente di questo fatto ha parlato, ha scritto
Barrese nel libro “Gli anni dell’Antimafia”. Direi che sono sicuro anche perché
ho tratta da lì alcuni elementi. Barrese è, oltretutto, come storico, una
persona degna del massimo rispetto. Questo è un nome. Sicuramente ce ne sono
altri che hanno parlato di questa voce, di questa cosa che è corsa all’epoca,
di un contatto tra la caserma di Alcamo e Palermo, in questo caso.
PUBBLICO MINISTERO.
Torno sulla caserma dei
carabinieri di Alcamo, che è un dato fondamentale. Uno storico, oltre che
apprendere, non verifica anche un fatto prima di esprimere un giudizio così
duro? Perché lei dice “è avvenuto un fatto gravissimo tra le mura dello Stato”.
Lei così ha detto. Lei conosce queste mura dello Stato? Nel 1947 quel era lo
stato delle singole caserme dei carabinieri?
GIUDICE.
Pubblico Ministero, questa
domanda non è ammessa perché ha già detto che non conosceva questo particolare
della caserma.
PUBBLICO MINISTERO.
Nessun altra domanda, Giudice.
GIUDICE.
La difesa di parte civile?
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Si, grazie. Signor Ruta, lei, alle pagine 16,
17 e 18 del suo libro che si intitola “Il binomio Giuliano-Scelba”, usa quattro
termini precisi e mi scuso fin d’ora per i punti di contatto che ci possono
essere con le domande già poste dal Pubblico Ministero. E parla di “ordine
telefonico”, di “esecuzione a freddo”, parla di “imboscata” e usa il termine
“soppresso”. Ora, in questa aula di giustizia, noi sentiamo da tempo, al di là
della questione glottologica, ripetere questi termini. Ora i fatti sono due.
Faccia la premessa alla domanda. O c’è qualcuno tra gli storici, tra i
giornalisti che si sono succeduti in questa aula che non fa altro che
scopiazzare l’altro ed usare questi termini – e questa è la tesi che, credo,
non sia da accettare – o, di contro, viceversa, ci sono delle fonti precise da
cui si traggono termini così gravi, così circostanziali e così precisi come
“ordine telefonico”, “esecuzione a freddo”, “imboscata” e “soppresso”, che lei
usa e che altre persone in parte hanno usato. Allora io dico: escludendo che
lei abbia scopiazzato questi termini dal Barrese o dal Tranfaglia o da chiunque
altro, io le dico: da dove ha tratto queste considerazioni? Da quale fonte ha
tratto queste considerazioni per arrivare ad usare termini di una gravità
eccezionale come quelli che dietro la morte del Ferreri ci sia stato un ordine
telefonico, come quello che…? Cominciamo con ordine. In quale fonti lei trova
il concetto, la parola di “ordine telefonico”?
DIFENSORE DELL’
IMPUTATO.
È la stessa domanda che ha
posto il Pubblico Ministero poco fa.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Allora la pongo in modo diverso. Lei ha
tratto il termine “ordine telefonico” leggendo il libro di un suo collega o di
uno storico o lo ha tratto da una fonte ben precisa? E se è si, ci dica quale.
GIUDICE.
Non è ammessa neanche
questa domanda.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Va bene. Dove ha tratto il
termine “esecuzione a freddo”? Lei perché parla di “esecuzione a freddo”?
Gliel’ha raccontato qualcuno? L’ha letto in un libro? L’ha letto in un libro di
qualche collega? Questo è un punto fondamentale del processo, signor Giudice.
“Esecuzione a freddo” significa uccidere deliberatamente un uomo. Lei come dice
che il generale Giallombardo ha compiuto un’”esecuzione a freddo”? Chi gliel’ha
detto?
TESTE RUTA.
Ma chi l’ha detto?
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Lei.
TESTE RUTA.
Non era in questi termini.
“Si parla di…”, io ho detto.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Io glielo leggo. Lo ricordo
a lei che non ricorda quello che scrive. “…in realtà si trattò di un’esecuzione
a freddo…”. Pagina 18 del suo libro.
TESTE RUTA.
E poi? Continui.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Io non continuo. Non mi
deve dire quello che…. Io non continuo. Questo è gravissimo. Questo è da
trasmissione di atti alla Procura della Repubblica.
VOCI CONFUSE E SOVRAPPOSTE.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Io le riformulo la domanda. Lei da cosa ha
tratto questo termine “…si trattò di un’esecuzione a freddo…”, riferita al
capitano Giallombardo? Qual è la sua fonte?
TESTE RUTA.
Il discorso delle fonti è
un discorso che, a livello storico, insomma…
GIUDICE.
Non deve rispondere in
generale. Deve rispondere in ordine a questo punto preciso.
TESTE RUTA.
Allora io posso dire che mi
sono avvalso di tutta una serie di fonti che, se non sono fonti dirette, quelle
che, in termini giornalistici, si chiamano fonti primarie, senza dubbio sono
delle fonti assai attendibili. Quando io parlo di “esecuzione a freddo” però
bisogna tenere presente che io non parlo assolutamente del generale
Giallombardo. Il computo delle responsabilità non è qualcosa che appartiene
allo storico ma, semmai, appartiene agli uffici giudiziari.
GIUDICE.
Va bene. La risposta è
chiara. Vada avanti, avvocato.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Mi scusi. Lei dice di non
parlare del generale Giallombardo mentre qua lo cita. Io leggo testualmente
“…per tutta risposta…”
TESTE RUTA.
Si dice, si parla.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
No, no. Lei dice “…venne
ucciso con un colpo di pistola dallo stesso Giallombardo, ufficialmente per
legittima difesa…” e poi arriva a dire “…si trattò di un’esecuzione a freddo…”.
TESTE RUTA.
Quando cito il generale
Giallombardo preciso che è una voce che io raccolgo.
GIUDICE.
Va bene. Avvocato, non
stiamo processando il teste. Se non sa riferire niente di più preciso, andiamo
avanti.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
L’ultima domanda sul
termine “soppresso”. Lei dice “…Frà Diavolo fu, insomma, il primo testimone di
troppo ad essere soppresso dentro un edificio dello Stato…”. Anche questo
termine “soppresso” da dove lo trae?
GIUDICE.
Avvocato, anche questa
domanda non è ammessa perché è uguale a tutte le altre. Il concetto è sempre lo
stesso: l’omicidio commesso dentro la caserma. Siamo sempre lì. Cambiano i
termini ma la domanda è sempre quella.
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Un’ultima domanda. È possibile che lei abbia
tratto questi termini, abbia usato questa terminologia dopo avere letto libri
di altri storici, di suoi colleghi e non, quindi, fonti ufficiali?
TESTE RUTA.
Anche a questa domanda ho
risposto. Comunque, rispondo di nuovo. Io mi sono avvalso di numerose fonti
ufficiali che, tra l’altro, pubblico nel mio sito. Ci sono settanta documenti
ufficiali che vengono pubblicati nel…. È evidente che me ne sono avvalso di questi
documenti. E anche mi sono avvalso di fonti scritte autorevoli, di fonti
abbastanza stimate e, quindi, soprattutto, attendibili.
VOCI CONFUSE E SOVRAPPOSTE.
GIUDICE.
Ci sono altre domande?
DIFENSORE DI PARTE
CIVILE.
Nessuna.
GIUDICE.
Va bene, può andare. A
questo punto, per sentire i testi Livio Milone, Pia Blandano e Vito Coraci,
rinviamo all’udienza del 17 ottobre 2005, ore nove e seguenti.
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