domenica 6 marzo 2016

Fra un paio di mesi questa mia concione, scritta come oggi non so più scrivere, ebbi a leggerla alla Fondazione Sciascia.


Fra un paio di mesi questa mia concione, scritta come oggi non so più scrivere, ebbi a leggerla alla Fondazione Sciascia.

l'unica volta che quella istituzione si degnò di consentirmi pubblica e colta apparizione.

Ma fu un disastro morale. Mi concessero di apparire tra i mostri sacri degli eredi della Noce perché il prof. Nalbone era depresso e gli dovevan dare la cittadinanza onoraria unitamente ad un Casuccio conciator di ossa in quel di Padova.

Ma il prof. Nalbone che aveva avuto il testo in anteprima con atto subdolo fece presente agli indignati despoti della Fondazione che lui nn se ne assumeva la responsabilità anzi dissentiva, perché a suo dire non adeguatamente rispettosa del mito assoluto il già defunto Sciascia. Apriti cielo! Sabotaggio civile:  un cicaleccio assordante per non farmi recepire.

Ma io imperterrito a tuonare per ore irritando un Picone che doveva recitare il noi vogliam bene al suo parente Casuccio.

Mia moglie irritatissima ma temendo mie reazioni e ne stette zitta lì, poi temetti il divorzio.

Posso amare io codesta cattedrale nel deserto esproprio pubblico della cultura autoctona racalmutese?







*  *  *
Gentilissimi Compaesani,
ringrazio innanzi tutto il signor Sindaco prof. Petrotto per avermi invitato a partecipare a questa cerimonia celebrativa di due grandi paesani distintisi nel campo medico.
Il mio contributo è di natura sussidiaria e tende a fornire uno squarcio sulla storia di  Racalmuto, terra in cui i due illustri professori Casuccio e Nalbone affondano le loro scaturigini familiari.
 Nei registri parrocchiali della Matrice - una mirabile miniera di dati, sinora sostanzialmente negletta - riscontro già agli albori di quella documentazione [risalenti al 1564 e cioè al tempo della prima attuazione della Controriforma Tridentina] ben undici ceppi familiari con il cognome “Casuccio”, in grafia più o meno corretta.
Sono tutti appartenenti alla buona borghesia del luogo - il prof. Ganci me lo consentirà - e portano spesso un doppio cognome che si rifà nientemeno ai DORIA.
I “Casuccio“ oggi possono vantare veri e propri nobili lombi, e sono i soli a Racalmuto.
Ciò nei limiti, s’intende, in cui i Doria - quelli di Dante e quelli della storia di Genova, quelli del Cardinale Giannettino Doria di Palermo del tempo di M.A. Alaimo e Beatrice del Carretto e gli altri della celeberrima prosapia -  possono essere considerati nobili.
[possibilmente fare proiettare questo prospetto]


 
[PROSPETTO n.° 1]
Cognome
Nome
Coniuge
1
Casuccia
Francesco
Maruzza
2
Casuccia
Gioseppe
Bastiana
3
Casuccia
Jacobo
Ioannella
4
Casuchia
Joanni
Rosa
5
Casuccia
Michele
Beatrice
6
Casuccia
Nardo
Minichella
7
Casuccio
Petro
Cartherina
8
Casuccia
Salvaturi
Juannella
9
Casuccia
Silvestro
Angela
10
Casuchia
Simuni
Contissa
11
Casucci
Vincenzo
Betta
 
Comprovano il doppio cognome questi atti parrocchiali:
10
9
1585
Geronimo
1
Antoni
Gulpi
Agata
Casuchia Doria Joanni
 
24
9
1586
Leonardo
1
Vincenzo
Parla
Solemia
Cimbardo cl. Angilo
Casucia Doria Vinc. m. di Fran.
 
8
7
1585
Jannuccio
Nicolao
Antonuccio quodam
Angila
Fuca'
Agata
Gasparo quondam
Betta
Casucia Doria Giovanni
 
 
 
4
1591
Maruzza
2
Antonino
Muriali
Francesca
Doria Jo:
4
1591
Santo
1
Antonino
Vento
Paola
Doria Jo:
 
10
6
1591
Jacopo
1
Francesco
Rizzo
Vittoria
Casuccia Doria Jo:
 
 
1.8.1616
CASUCCIO DORIA
FILIPPA
 


 
 
 
*  *  * 
 
Quanto al prof. Giuseppe Nalbone
sono stati proprio gli atti della Matrice a farci incontrare, a dire il vero non molto tempo fa: appena tre anni addietro.
Entrambi eravamo già in quiescenza da professioni completamente aliene rispetto alla ricerca storica: scienziato della medicina lui; atipico ispettore della Banca d’Italia, chi parla.
I vecchi registri della Matrice sono stati l’oggetto e l’occasione del nostro incontro. Incidentale era stato l’interesse del Nalbone verso quei lisi quinterni parrocchiali. Un suo lontano parente suo omonimo, di origini racalmutesi, gli chiedeva ragguagli dal Belgio sulle comuni ascendenze.
Chi vi parla è da anni che trascrive pazientemente quei dati anagrafici sul proprio computer e quindi fu in grado di fornire al prof. Nalbone un qualche ausilio. Da lì un sodalizio che per il momento è sfociato nel volume sulla “Numerazione delle anime di Racalmuto del 1593”. E’ un sodalizio fra opposti. Fatte le debite proporzioni - almeno per quanto mi riguarda  - si può mutuare per questo connubio quello che scrive, in premessa ad un libro del Titone, il celebre storico Massimo Ganci - che ci onora qui della sulla prestigiosa presenza -  :
«Personalmente non sono ideologicamente vicino a Virgilio Titone; direi di essere anzi agli antipodi delle sue conclusioni, soprattutto dal punto di vista sociologico e politologico..» [da Introduzione  a SCRITTI EDITI ED INEDITI 1924-1985 di Virgilio Titone - Palermo 1985, pag. 5].
Eppure questa assenza totale di affinità culturale  non ha impedito che il prof. Nalbone ed io potessimo cimentarci nella ricognizione documentata della storia del nostro comune paese d’origine. Come segno esteriore, ci limitiamo a presentare  - per il momento - questo lavoro sulla Racalmuto del Cinquecento.
Il lavoro, che può definirsi storico solo per il suo contenuto, in effetti è una silloge di ricerche documentarie, nelle quali gli storici di professione raramente si cimentano, tutti presi con i loro astratti e generalizzanti teoremi.
Qui - nel volume per ora in bozza dattiloscritta - s’incontrano e si scontrano la scientifica analisi del radiologo insigne che vuol trarre da un informe segno opaco la massima significatività per la diagnosi più precisa e corretta, nulla concedendo alla fantasia, e la deformazione professionale dell’ex ispettore di banche, reduce da scottanti operazioni di polizia bancaria (come quella contro Sindona, per intenderci) tutto proteso ad un inquietante dialogo col Dio ascoso - nell’analisi dei libri contabili, un tempo, nella investigazione - ora - degli atti parrocchiali e dei vetusti segni paleografici delle carte su Racalmuto dell’Archivio di Palermo, o degli archivi ecclesiastici segreti del Vaticano o della Curia Vescovile di Agrigento.
Le vicende di Racalmuto sono ricostruite con amore, con passione, con interesse ma criticamente, spregiudicatamente spazzando via tutti quegli “idola” della ingenua tradizione locale o della mistificante letteratura degli autori paesani. 
E’ una Racalmuto vista con occhi eretici e razionali. Uno almeno dei due autori non crede nella venuta della Madonna del Monte del 1503, non pensa che vi siano stati tasse  per uzzolo dei Del Carretto con buona pace del “terraggio e terraggiolo” secondo la deformazione del pur mirabile ed immenso Leonardo Sciascia. Gli autori - entrambi - sono concordi nel valutare positivamente la presenza del Del Carretto a Racalmuto. Reputano fucina di cultura clero locale, organizzazione parrocchiale, atteggiamenti della fede nel sorgere e nell’abbellimento di chiese, negli insediamenti di conventi, nel diffondersi di confraternite. E poi la vicenda demografica del ‘500 - il secolo della grande peste del 1576, quella che secondo il Calvese impressionò talmente il Caravaggio nella sua infanzia da marcarne l’essenza della sua pittura - viene setacciata per una strumentale analisi del modo di essere, atteggiarsi, convivere,  forgiare il sistema fiscale, legarsi alla chiesa, ed altro, della comunità racalmutese.
Il nostro non è un libro di lettura: è solo materiale di consultazione cui rivendico però una grande dignità, un modo inconsueto di far storia, un soffermarsi sul particolare per una visione non eroica - e deformante - di quel lieve stormire di foglie che in definitiva è la microstoria locale. Agli altri non interesserà - ma ai racalmutesi sì - sapere chi erano a quel tempo i “mastri” ed  i “magnifici”; quanti erano “jurnatara”; se vi erano “facchini” (e ce n’erano); come erano pagati; chi si poteva permettere di mangiare “salsizzi” e chi doveva accontentarsi dei residui del porco; se le donnette (come ai miei tempi del resto) potevano tenere per strada “gaddrini” e “gaddruzzi” ed apprendere che vi era l’imposizione del conte di una “tassa in natura” su quest’uso (l’offerta di una gallina e di un galletto al castello a prezzo calmierato), e via di seguito.
La raccolta che presentiamo ha l’ambizione di costituire una base per successivi studi e ricerche sulla storia locale. Essa è problematica come lo è ogni ricerca. Più che esaurire - pretesa che sarebbe risibile - traccia alcuni percorsi di auspicabili ulteriori investigazioni.
Agrigento con il suo Archivio di Stato - nella speranza che il suo direttore si decida ad aprirlo agli studiosi -   custodisce ben n° 69 Rolli di atti notarili che minuziosamente scandiscono la vita paesana di Racalmuto dal 1561 al 1608; n.° 71 per il periodo 1600-1707, n.° 195 per il tempo 1700-1816; n.° 56 per il tratto 1801-1860.
Quel materiale archivistico è praticamente ignoto. Tolta qualche curiosità di padre Alessi che ebbe a cercarvi con l’ausilio di un paleografo atti per il suo Pietro d’Asaro, la cronaca diuturna di Racalmuto si sta polverizzando nell’Archivio di Stato di Agrigento - sbarrato l’anno scorso agli studiosi dalla protervia burocratica.
La vendita di un mulo, la cessione di una “jnizza”, la suggiogazione di una casa, il “pitazzu” di un “inguaggiu”, vita, morte, sposalizio, tasse, risse, organizzazioni sociali, ruolo di preti monaci e chierici, rettori e governatori di confraternite, il pulsare della vita economica, sociale e religiosa di ogni giorno della Racalmuto del tempo, il suo espandersi demografico ed il suo drammatico falcidiarsi per l’esplodere di pesti, tutto ciò è il vivido quadro che i polverosi registri notarili non rivelano per la neghittosità degli storici racalmutesi.
Ed i politici, oggi, anche quelli che sono qui presenti, potrebbero ovviarvi: penso a cooperative di giovani, a prestiti pubblici comunali - la mia passata professionalità in questo campo  mi rende in ciò particolarmente avvertito - volti a finanziare ricerche d’archivio, scuole di paleografia - giacché leggere quei documenti non è da tutti  - , ad incentivi economici; a borse di studio etc.
 
[se possibile proiettare documenti antichi]
 
Con questo libro, intendiamo innanzi tutto, dunque, rivolgere un invito pressante, provocare, sollecitare, avviare processi nuovi di ricerca storica su Racalmuto e per quanto ci è stato possibile distruggere tante infondate credenze.
Sciascia redarguisce compiacentemente Tinebra Martorana che si produsse in una smisurata patacca a proposito della Racalmuto araba; egli spreca una delle sue splendide metafore elevando il falso del Tinebra ad una «tentazione dell’accensione visionaria, fantastica». Così l’imbroglio storico diventa solo «spia di questa tentazione alla visionarietà, alla fantasia» che spinge a «non resistere al piacere di riportare un documento falso sapendo che è falso.» E ciò nonostante, per Sciascia il libro del Martorana che degna di una sua alata presentazione, «va bene così com’è: col gusto e il sentimento degli anni in cui fu scritto e degli anni che aveva l’autore, con l’aura romantica e un tantino melodrammatica che vi trascorre. Certo manca di metodo, e tante cose vi mancano: ma credo che molti racalmutesi debbano a questo piccolo libro l’acquisizione di un rapporto più intrinseco e profondo col luogo in cui sono nati, nel riverbero  del passato sulle cose presenti.»
Ma davvero il popolo di Racalmuto è così «bacuccu» da aver bisogno di frottole e scempiaggini per percepire ed amare il riverbero del suo passato storico, il richiamo ancestrale della sua memoria più vera e più pulsante?
Francamente credo di no e questo libro - bando alle ipocrisie - ha un suo codice genetico, una sua cifra culturale ed una sua vocazione storica di segno opposto non solo rispetto a Sciascia ma anche a Tinebra Martorana, a Serafino Messana, ad Eugenio Napoleone Messana, al poeta Padalino, ai tanti esimi sacerdoti che semper sacerdos secundum ordinem Melchisedech hanno scritto di storia racalmutese volti alle cose di Dio ed al forzoso rinvenimento dell’onnipotente presenza nelle misere cose dell’umano dissolversi racalmutese.
Il Cinquecento racalmutese che troverete descritto in questa silloge irride alle tante credenze locali, e cerca di documentare l’espandersi, il flettersi ed il riprendersi del popolo di Racalmuto nel primo secolo dell’era moderna, alle prese sicuramente con la protervia dei Del Carretto - invero in poche marginali questioni - ma principalmente con le varie curie agrigentine e parrocchiali, viceregie e spagnole, inquisitoriali ed episcopali; con il governatore del Castello, con i familiari dei Del Carretto, con un suo genero di nome Russo, uno scalcinato nobilotto che fa fortuna sposando la figlia spuria dell’omicida ed assassinato Giovanni del Carretto; con gli arcipreti - quelli buoni come l’indigeno arciprete Romano le cui spoglie appetisce l’ingordo vescovo Horoczo Covarruvias  e quelli latitanti come il napoletano Capoccio; con il chierico Vella, un religioso assassino che vescovo e conte si contendono per fargli espiare nelle proprie carceri il fio della sua colpa.
Per il resto - ed è tanto - non posso che rinviare alla consultazione dell’ampio dattiloscritto.
I falsi del Tinebra Martorana - che nel 1986 tornarono a gravare sulle casse del Comune e tornarono davvero visto che per l’amicizia con i famigerati Tulumello quell’autore studiava a spese del Comune come attesta un anonimo conservato nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma - sono talmente tanti e perniciosi da rendere irritante la lettura di quel volumetto. Altro che spingere alla “carità del natìo loco”. E purtroppo sono stati falsi fortunati. Per colpa di essi abbiamo uno sconcio, improbabile stemma comunale. Tinebra, invero,  lo voleva pudico “con un uomo non nudo, bensì con una gonnellina dentellata ai margini, come l’antico guerriero romano”. Altri volle o rispolverò lo stemmo con l’uomo nudo.  In ogni caso l’uomo invita  al silenzio: obmutui et silui; come dire: star muto, subire e starsene zitti. Lo stemma di Racalmuto scandisce manie, prevenzioni e visionarietà della borghesia postunitaria racalmutese. Il prof. Nalbone ha fotografato interessanti documenti dei primi anni del ‘Settecento ove figura il timbro a secco del Comune di Racalmuto. Ebbene, lì non vi è nulla di tutto questo. Trattasi di uno stemma a bande e chiomato, totalmente austero, dignitoso, nobile. Non vorrò di certo io, con il mio laico scetticismo, riaccendere una guerra di religione su una bazzecola come è uno stemma. Ma francamente, a me racalmutese da almeno dieci generazioni - sia pure per tre quarti, visto che l’altro quarto è narese - dà fastidio lo sguaiato stemma comunale che sembra ammiccare al silenzio omertoso ed a qualche vezzo omosessuale.


 
 


 
*  *  *
L’intreccio del volume che presentiamo si dipana su una fonte, sinora sostanzialmente ignota, la “numerazione delle anime” che si è svolta a Racalmuto nel 1593. La documentazione rintracciata dal prof. Nalbone negli archivi di Palermo è stata trascritta in calce al volume ed illustrata nel testo. Essa offre spunti per descrivere usi, costumi, vicende, disavventure e, principalmente, sviluppo ed assestamento demografico racalmutese. Il segmento del secolo XVI viene raffrontato con quello che è avvenuto prima e con quanto si è svolto dopo. Dalla tassazione dei tempi del Vespro, alle grassazioni ecclesiastiche dei papi avignonesi, ai censimenti fiscali dell’intero corso di quel primo secolo dell’era moderna, Racalmuto viene inquadrato nel suo essere un consorzio civile collegato con la realtà agrigentina, palermitana, romana e persino avignonese. Altro che essere un’isola nell’isola, nel cui ambito la famiglia era un’isola nell’isola nell’isola. Racalmuto non è certo l’ombelico del mondo ma un cordone ombelicale con il mondo ce l’ha avuto di sicuro.
Fa alta letterura di certo Sciascia quando scrive in Occhio di Capra:
«Isola nell’isola, ...la mia terra, la mia Sicilia, è Racalmuto.. E si può fare un lungo discorso su questa specie di sistema di isole nell’isola: l’isola-vallo  .. dentro l’isola Sicilia, l’isola-provincia dentro l’isola-vallo, l’isola paese, dentro l’isola-provincia, l’isola-famiglia dentro l’isola-paese, l’isola-individuo dentro l’isola-famiglia ...». Un discorso questo che oggi si può leggere persino nelle banali riviste patinate del tipo “Meridiani”.
Se il passo ha un valore metafisico, filosofico, di incomunicabilità esistenzialistica, non oso addentrarmici, ma se vuol essere nota storica su Racalmuto, ebbene mi pare proprio inattendibile.
La Racalmuto - quella del Cinquecento, quella di prima e quella di dopo - è solo uno scisto della storia ma tutta quanta vi si riverbera. Se leggo il magistrale libro di Fernando Braudel  su “Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II” e nel frattempo trascrivo carte, diplomi, atti notarili, ‘riveli’ e simili del Cinquecento racalmutese, scatta un’assonanza sorprendente:  le linee e le scansioni della storia mediterranea trovano eco, conferma, oppure una riprova o un completamento o una specificazione proprio nel nostro paese, nelle appannate note delle sue vicende.
E la documentazione da me esaminata è solo una minima parte di quanto è disponibile presso gli archivi: da quelli parrocchiali a quelli agrigentini, per non parlare di quelli di Palermo o di Roma o di quanto trovasi su Racalmuto in Spagna, a Barcellona o a Simancas o a Madrid.
Racalmuto, la patria di Sciascia, potrebbe essere davvero un laboratorio di ricerca storica; potrebbero attuarsi iniziative culturali per approcci originali e mirati verso nuove forme di microstoria. Con positivi riflessi sull’occupazione giovanile locale.
 
Chi consulterà l’opera che presentiamo s’imbatterà con richiami diffusi agli studi del Titone sulle “Numerazione delle anime”. Non competeva agli autori stare ad illustrare tecniche e modalità di censimento nella Sicilia del Cinquecento. Sovveniva quanto approfonditamente uno studioso del calibro del Titone aveva già appurato in proposito. La sua prosa è piana e comprensibile e non vi era ragione alcuna per non farne ampi richiami, del resto tutti virgolettati ed adeguatamente specificati.
E’ servito pure lo studio della giovane Rosaria Cancila sul primo rivelo del 1505 per stabilire una base di partenza per un confronto dello sviluppo della popolazione racalmutese con quello dell’intera Sicilia nell’arco di un secolo: il sedicesimo.
Dopo, l’erudizione viene scrupolosamente bandita. Racalmuto è studiato nelle vicende del secolo per quello che è: una terra baronale con gli alti e bassi della sua popolazione, con le sue “tande” da ripartire, con le traversìe della famiglia del Carretto che si riverberavano sui paesani, con le pretese della curia vescovile che sovrastava sul clero locale e debordava nell’assetto civile, con il sorgere e l’affermarsi di confraternite laiche, con l’invadente  ruolo conventuale di francescani e carmelitani, con i rapporti tra il feudo maggiore e quelli minori contermini di Gibbillini, Bigini, Gructi e Cometi, con l’assetto della proprietà terriera, con gli oneri domenicali del conte sulle case e sulle terre, con il terraggio ed il terraggiolo, con la tematica della finanza locale.
Quattro quartieri: Santa Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte, con al centro la gloriosa chiesetta di Santa Rosalia, quadripartivano l’abitato comitale, come moderne circoscrizioni. Funzionari di quartieri con i loro cognomi ancor oggi presenti a Racalmuto censivano, vigilavano, tassavano. I preti - allora - collaboravano, anche nello stanare evasori e falsi “miserabili”. La faccenda fiscale era allora, come oggi, faccenda seria, ficcante, perturbativa. Era una faccenda fiscale quadripartita: tasse per il barone prima e conte poi per i suoi diritti “dominicali”; “tande” per l’estranea e sfruttatrice Spagna; imposte comunali e, poi, tasse - e tante- di natura religiosa.
Queste ultime, secondo una nostra stima, erano la metà di tutta l’incidenza tributaria: andavano dalle decime arcipretali (chiamate primizie) ai “diritti di quarta”  della Curia vescovile; dai gravami basati su un falso diploma del 1108 (quello di Santa Margherita) in favore di un canonicato agrigentino che nulla aveva a che fare con Racalmuto (sappiamo di canonici beneficiari saccensi) ai tanti balzelli per battezzarsi, sposarsi in chiesa, avere il funerale religioso. Beh! la chiesa tassava il fedele racalmutese dalla culla alla tomba.
Un’appendice, se non altro ponderosa, correda il volume per fornire la trascrizione di una illuminante “descrittione generale del numero delli fuochi, anime, e valore delle facultà delli stabili allodiali, come dei mobili delle persone seculari” che se è del 1653 è valida anche per il censimento del Cinquecento e contiene dati su Racalmuto. Varie tavole statistiche testimoniano, poi, lo studio rivolto dagli autori alla vicenda demografica di Racalmuto nel Cinquecento e nei periodi antecedenti e posteriori.
E’ ancora problema aperto quello dell’esatto ammontare della popolazione di Racalmuto nel 1593: Tinebra Martorana parla di n.° 4447 abitanti, copiando naturalmente da qualche pubblicazione. I dati desumibili dagli atti originali di quel Rivelo dànno altre cifre. Ultimamente la Regione Siciliana ha pubblicato su L’Amico del Popolo dati su quella “numerazione di anime” non accorgendosi che era stata sottratta la numerazione di un importante quartiere come quello del Monte. Con questo studio, abbiamo cercato di analizzare quei dati, integrarli e correggerli. Il frutto di questa ricerca è un elenco alfabetico di tutti capifamiglia racalmutesi di fine secolo XVI desunti dal Rivelo di Palermo e dagli atti parrocchiali di Racalmuto. L’apposita appendice enumera n.° 1420 “fuochi” ripartiti nei suaccennati quattro quartieri. E’ un risultato che  credo non manchi di pregio e direi che è unico nel suo genere.
Sui fuochi mancanti del Monte il prof. Nalbone ha fatto poi una indagine spulciando i ponderosi volumi delle cosiddette “facultà”. La rilevazione non colma purtroppo le lacune dei “riveli”  ma è pur sempre chiarificatrice. L’Allegato B del volume fornisce i risultati di questa specifica ricerca.
L’allegato “C” è quello basilare dell’intera fatica di ricerca e di studio su Racalmuto nella numerazione delle anime del 1593. E’ la fedele trascrizione di tre dei quattro quinterni che costituivano la parte del “rivelo” racalmutese: i nuclei familiari, la loro composizione, l’età dei figli maschi e qualche rara annotazione vengono riportati passo passo, così come nell’originale e secondo la ripartizione per quartiere. Manca il quartiere del Monte perché, ripetesi, il relativo quinterno è andato smarrito o travasi fuori posto negli archivi di Stato di Palermo.
Solo recentissimamente si è venuti in possesso di una documentazione su importanti decisioni della locale giurazia del 1577, giacente nel “Fondo Palagonia” degli archivi di Stato di Palermo che sta per essere encomiabilmente investigato dal prof. Nalbone. Ne daremo ragguaglio in seguito. Qui notiamo che essa è stata trascritta e riportata  a mo’ di seconda appendice.
 
 
*  *  * 
 
Il lavoro di ricerca si appoggia e presume la pluriennale indagine che è stata svolta sui libri parrocchiali di Racalmuto. Sono libri, ripetesi, che annotano nascita e morte, battesimo e matrimonio, precetto pasquale di ogni racalmutese, senza distinzione di classe sociale o di propensioni religiose, dal 1554 sino ad oggi. Dapprima lo stato moderno non si preoccupò di questi aspetti anagrafici; quando poi cominciò a farlo incontrò spesso - come avvenne per Racalmuto nei primi anni dopo l’Unità - l’astio vandalico delle popolazioni inferocite e in gran parte quelle note burocratiche finirono irrimediabilmente distrutte.
Ma alla Matrice di Racalmuto, no.  Solo una mano sacrilega strappò qualche foglio, magari per provare l’indubitabile origine racalmutese di Marco Antonio Alaimo, nato sicuramente a Racalmuto nei pressi di via Baronessa Tulumello il 16 gennaio 1591, diversamente da quello che attestano le pretenziose lapidi comunali e come invece afferma l’Abate d. Salvatore Acquista nel suo saggio sul medico racalmutese del 1832, pag. 25.
Ed a ben guardare quel libretto, sembra proprio lui - l’autore - il vandalico che ha sottratto il foglio di battesimo di M. A. Alaimo. Mi riprometto di rintracciare quel foglio tra quei cinque sacchi di scritti che l’esecutore testamentario Giuseppe Tulumello depositò nella Biblioteca Lucchesiana  il 24 aprile 1879 [Domenico De Gregorio: Biblioteca Lucchesiana Agrigento, Palermo 1993, pag. 209]
 
*  *  * 
 
Le carte della matrice di Racalmuto sono un po' stregate: appaiono vendicatrici.
 Basta che uno storico locale si sbilanci in ricostruzioni storiche che prescindano dalla loro consultazione per scattare la vendetta: esse stanno lì per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono rispetto, deferenza, assidua  frequentazione e meticolosa attenzione.
Quando il giovane studente in medicina - il Tinebra Martorana  - si mise a scrivere improvvisandosi storico locale, nella totale ignoranza dei libri parrocchiali, questi lo hanno ridicolizzato smentendolo impietosamente specie nelle fantasiose saghe dei del Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di sesso del figlio Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa dalla cornata di una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra). Dispiace che il grande Leonardo Sciascia si sia fatto travolgere dal suo fidato storico e sia incappato in spiacevoli topiche, specie nell’anticlericale attribuzione di un nefando crimine al frate Evodio Poliziense - che davvero era un pio monaco e che a Racalmuto, se vi mise mai piede,  ciò avvenne poche volte e per compiti istituzionali e conventuali, limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli di S. Giuliano. In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto quando Girolamo del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto trucidare dal monaco - era poco più che tredicenne.
Non fu, poi, questo Girolamo del Carretto ad essere tiranno di Racalmuto in modo “grifagno ed assetato” secondo il lessico del Tinebra, né fu lui ad accordarsi con i maggiorenti di Racalmuto per una promessa di affrancamento in cambio di 34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è colpevole del “terraggio” e del “terraggiolo” e di tutte quelle altre nefandezze che sono l’humus storico-culturale delle Parrocchie di Regalpetra o di Morte dell’Inquisitore. Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto l’età di venticinque anni e da oltre un anno con atto di donazione tra vivi si era liberato di tutti i suoi beni in favore dei due figli Giovanni - quello giustiziato poi a Palermo nel 1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre, aveva nominato amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di cui, peraltro, si conosce bene il cognome. Era, costei,  una Ventimiglia.
(E tanto grazie alle recenti scoperte d’archivio del prof. Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche notizie su Dorotea del Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta defunta da poco nel 1654 [pro comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii filiaeque donnae Dorotheae Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et praefati d.ni Joannis Comitis Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno della restituzione da parte del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi domini racalmutesi con diploma emesso nel  Cenobio di S. Lorenzo il   28 ottobre 1654).
 
Anche il pur meritevole Eugenio Napoleone Messana incappò in disavventure storiche per avere disatteso le carte della Matrice. Si credeva incontrollabile e storicizzò una frottola di famiglia facendo sposare nel ‘500 tal Scipione [o Sypioni o Sapioni] Savatteri ad una inesistente figlia dei Del Carretto per legittimare una inverosimile ascendenza nobiliare. Impietosamente - anche qui - i libri di matrimonio e di battesimo della Matrice di Racalmuto danno i dati anagrafici di detto Scipione Savatteri, oriundo peraltro da Mussomeli, di rispettabile stato piccolo borghese, andato sposo ad un’altrettanta plebea Petrina Saguna:


12/10/1586 -SAVATERI SCIPIONI DI PAOLINO E BELLADONNA sposa  SAGUNA PETRINA DI ANTONINO E MARCHISA. Benedice le nozze: don Paolino Paladino -TESTI:  Montiliuni Gasparo notaro e cl. Cimbardo Angilo
 


Superfluo aggiungere che quella “Marchisa” - madre di Petrina - è solo un singolare nome e nulla ha a che fare con storie di nobiltà locale. Per chi volesse saperne di più, faccio rinvio al volume che qui presentiamo sul cinquecento racalmutese.
 
*  *  *
Se poi consultiamo le tantissime carte dell’Archivio della Matrice sulle congregazioni o sui pii legati e simili, abbiamo piacevoli sorprese sulla vera storia di Racalmuto. Certo, svanisce nel nulla la vicenda del prete Santo d’Agrò che da solo costruisce l’attuale Matrice: anche qui ci troviamo di fronte ad una distorsione del Tinebra, che viene ripresa da Sciascia per una sua impareggiabile rilettura. E’ però una rilettura che esplode in una irriverente raffigurazione dell’incolpevole e probo sacerdote Agrò: questi viene immerso in deliri erotici ed addirittura proteso in viaggi allucinati, deposto sulle spiagge del deliquio sensuale, e, con immagine spagnola, sommerso nell’Alumbramiento onirico (vedi Sciascia: Introduzione al Catalogo illustrato delle opere di D’Asaro, pag. 20).  
E dire che sarebbe bastato un fugace sguardo ad un atto transattivo degli eredi di detto sacerdote  - atto transattivo che si conserva in Matrice -  per fugare tali infamanti sospetti e rispettare la verità storica sulla “fabbrica della Matrice”; la quale ben due rolli - sia detto per inciso - seguono passo passo, sino al primo ventennio dell’ottocento. Per lo meno si sarebbero evitate ricadute che non si possono non lamentare in libri pubblicati non più tardi dell’altro ieri.
[proiettare fotocopie della “Fabrica”]
 
*  *  *
 
Mi rincresce davvero dover qui dissentire da quanto scrive lo scrittore nostro compaesano sulla sua origine racalmutese.
I registri parrocchiali - che il grande scrittore invero disdegnò di consultare approfonditamente - forniscono dati sulla genealogia di Leonardo Sciascia che vanno ben al di là del “nonno di suo nonno” (cfr. Occhio di Capra, ed. 1990 pag. 12).
 [Proiettare i fogli dell’albero genealogico di Leonardo Sciascia]


 
1690 circa
SCIASCIA
LEONARDOM.°
sposatosi alla fine del Seicento ad Agrigento nella Parrocchia di S. Pietro con
QUAGLIATO
VINCENZA
 
1726
29.9.1726
SCIASCIA
GIOVANNI M.°
del fu m. Leonardo e Vincenza Quagliato vivente olim jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae S. Petri
SCIBETTA
ANNA
di m.° Stefano et q. Rosa Anna Rizzo di Racalmuto
1754
7.1.1754
SCIASCIA
LEONARDO M.°
di m.° Giovanni ed Anna Scibetta
ALFANO
INNOCENZA
di m.° Bartolomeo e Caterina olim jugati
1766
28.3.1766
SCIASCIA (XIASCIA)
GIOVANNI M.°
vir Annae Scibetta di anni 68
Morti 1760-1767 - n. 184
jugatus h.[uius] T.[errae] [ quindi racalmutese nato attorno al 1698] refectus obiit eiusdem cadaver sepultum fuit in Fovea S. Francisci.
1801
31.8.1801
SCIASCIA
LEONARDO
vir Innocentiae - anni 78 circiter in fovea Sacramenti
Morti 1797-1811 - pag. 1235
 
1802
24.2.1802
SCIASCIA
CALOGERO
fu m.° Leonardo e la vivente Nucentia Alfano
SCIBETTA
FRANCESCA
f. di m.° Pasquele  e Calogera Nalbone
1810
26.8.1810
SCIASCIA
PASCALIS
di m.° Calogero Sciascia e Francesca Scibetta jug.
Ego Sacerdos Nicolaus Savatteri ex lic. Parochi baptizavi infantem natum heri
dal registro dei battesimi 1810-1815 n. 14
1879
12.9.1879
SCIASCIA
PASCALIS MAGISTER
fu Calogero e fu Francesca Scibetta vir Angelae Alferi obiit - anni 68
Morti 1875-1889 - Matrice Racalmuto
1884
25.10.1884
SCIASCIA
LEONARDO
fu Pasquale
e Angela Alfieri
SCIASCIA
ANNA
1887
27.1.1887
SCIASCIA
PASQUALE (PASCALIS)
DI LEONARDO SCIASCIA
e Maria Anna Sciascia
 
1920
8.3.1920
SCIASCIA
PASQUALE
figlio di Leonardo e  fu Marianna Sciascia di anni 33 dom. a Racalmuto
MARTORELLI
GENOVEFFA GIUSEPPINA
di Giuseppe e Rosalia Fantauzzo di anni 22 - di Racalmuto [Promessa Sposa] 
1920
27.3.1920
SCIASCIA
PASQUALE
figlio di Leonardo e  fu Marianna Sciascia
MARTORELLI
GENOVEFFA GIUSEPPINA
1921
8.1.1921
SCIASCIA
LEONARDO
di Pasquale
e Martorelli
Genoveffa Giuseppina
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
1.  1690 circa       SCIASCIA LEONARDO M.°
2.  29.9.1726         SCIASCIA    GIOVANNI M.°
3.  7.1.1754           SCIASCIA    LEONARDO M.°
4.  24.2.1802         SCIASCIA    CALOGERO
5.  26.8.1810         SCIASCIA    PASCALIS
6.  25.10.1884      SCIASCIA      LEONARDO
7.  27.3.1920         SCIASCIA    PASQUALE
8.  8.1.1921           SCIASCIA    LEONARDO


Sciascia è racalmutese per lo meno a partire dalla fine del Seicento e non dai “primi dell’Ottocento” come amò credere sulla scia di una sua metafora irridente all’irridente avversione locale verso i “nadurisi” (Occhio di Capra, pag. 95). Là Sciascia ama inventarsi un bisnonno appunto “nadurisi”. Per i racalmutesi: «Venire dal Naduri - cito Sciascia - era come venire da una sperduta contrada di campagna: essere dunque zotici e sprovveduti. Quasi peggio dei milocchesi. Dal Naduri è venuto a Racalmuto il nonno di mio nonno, Leonardo Sciascia: da contadino che era stato, a Racalmuto intraprese il mestiere di conciatore di pelli, pure commerciandole”.
Non so dove abbia appreso  queste notizie il grande scrittore: so solo, però, che i libri parrocchiali lo smentiscono su tutta la linea. Da lì vien fuori un albero genealogico di Leonardo Sciascia ben diverso da quello che tratteggiò lo stesso Sciascia.
L’invocato “nonno del nonno” era un apprezzato mastro locale, fedele appartenente alla “maestranza” ancora esistente all’Itria. Di nome Calogero (e non Leonardo), apparteneva ad una famiglia di mastri che in linea diretta ci conduce sino ad un capostipite del Seicento di nome Leonardo, sposatosi con l’agrigentina Vincenza Quagliato.
“Lapsus della memoria” vorrebbe la famiglia - da me consultata. Può darsi: ma non può neppure affermarsi - come è stato fatto - che il grande scrittore volesse riferirsi al “nonno di sua nonna”, che in effetti si chiamava Leonardo Sciascia.  Invero, anche costui era racalmutese, figlio di racalmutese, fratello di quell’Antonino Sciascia, professore universitario, di cui parla il Tinebra ed a cui  lo stesso Leonardo Sciascia teneva particolarmente.
Mi si perdoni questo mio insistere sulle origini racalmutesi dello scrittore.
Il «'lapsus' della memoria» mostra, a mio modesto avviso, un atto trasfigurante occorso - o cui il grande scrittore ha indulto - per esigenze dell'intelligenza ai fini di uno dei suoi raffinati aforismi. Se voi - se noi - racalmutesi avete in uggia i 'nadurisi', ebbene allora io sono 'nadurisi'. E con ciò? Il dramma o la farsa di essere «un'isola» o «un'isola nell'isola» o «un'isola nell'isola dell'isola..» etc. permane non so se tragicamente o esistenzialisticamente.
 
Racalmuto non ha una storia esemplare. E' una storia paesana, qualche volta violenta, tal altra generosa, ma sempre entro le righe, in un pentagramma di invariabile moderazione. L'unica sua gloria è Sciascia. Svetta e se ne distacca. Radicarlo nella terra del sale, è un mio orgoglio ed una mia ambizione. 'Occhio di Capra' sembrava smentirmi: le carte della Matrice mi rasserenano e suffragano la mia convinzione.
Non pretendo certo di scandagliare il mondo dei sentimenti verso Racalmuto del grande Sciascia: viceversa, ho tentato di risalire la corrente pluricentenaria di quella 'blasfema ironia' che Sciascia ritaglia per Racalmuto (Kermesse, pag. 54 ), convinto che da quelle antiche propaggini si diparte l'insondabile gene atto a far sbocciare il genio inquieto ed irriverente dello Scrittore racalmutese.
 
Un monito discende da questo discorso: chi vuol scrivere di storia locale non può esimersi dal macerante consultare il rosario di libri e rolli della nostra Matrice di Racalmuto. Diversamente diviene ineludibile incappare in smentite cocenti.
 
CARTEGGIO DEL 1577
 
Quando con il prof. Nalbone si scriveva il presente volume sulla Racalmuto del Cinquecento, non si era ancora scoperta l’eccezionale importanza del carteggio del 1577 rinvenuto di recente nel Fondo Palogonia di Palermo. Esso viene pubblicato in seconda appendice al nostro libro con qualche scarna nota di commento.
Ma è materiale che va bene studiato e soppesato, essendo fondamentale per la storia civile e politica di Racalmuto all’epoca di Filippo II.
Non so se in atto il prof. Massimo Ganci è dell’avviso palesato quando ebbe a commentare gli studi del Titone sui Riveli. Allora, nel 1962, il prof. Ganci sottolineava la parte del Titone che intravedeva “sperequazioni” nella “ripartizione dei pesi del donativo” risultando “maggiormente gravate le università demaniali di quelle feudali” e dovendosi ritenere che “sperequazioni più gravi si avessero all’interno delle università” (cito dalla recensione del libro del Titone in STUDI STORICI 1962 anno III n. 3 pag. 606).
Altra tesi lambita è quella che sarebbe non provata l’accusa di fiscalismo rivolta alla Spagna del tempo (pag. 611) dato che “gran parte del denaro esatto dalla Spagna rimaneva in Sicilia”. E se anche questo fosse stato vero, ciò poco però importava ai racalmutesi del tempo che venivano pelati  - e come! - dalle Tande ed il denaro spillato a tutti indistintamente i nostri compaesani se non andava in Ispagna a Racalmuto certo non rimaneva.
Il carteggio che qui richiamo illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai danni dell’università feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità viceregia.
Nel 1576 si era abbattuto su Racalmuto quella immane pestilenza che colpì l’Italia intera.
Del pari sconvolgente dovette essere lo scenario racalmutese: leggiamo nel carteggio che «per lo contaggio del morbo che in quella s’ha ritrovato che sono stati morti da tre mila persone [a Racalmuto]  restano solamente ... due mila e quattrocento delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel precedente Rivelo del 1570  Racalmuto in effetti contava 5279 abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui Del Carretto e sulle  sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso che anch’io ero scettico su questo crollo demografico di Racalmuto prima della consultazione dei documenti del Fondo Palagonia. Ancor oggi non è che creda in pieno in questo tracollo: ci fu un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di scontare la tragedia della peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio tributario. Il terremoto di Messina e la sciagura del Belice sono al riguardo ben significativi.
Tuttavia, la flessione vi fu e forte. I nostri antichi progenitori parlano di un dimezzamento della popolazione nel vano intento di intenerire gli agenti delle tasse palermitani; ma per bocca del viceré don Carlo d’Aragona e della sua corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non se ne diedero per intesi. Le “tande” o più graziosamente “donativi” andavano pagati sino all’ultimo grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna. Ed andavano pagate anche le tasse arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli atti una secca e perentoria negativa alla seguente perorazione dei Giurati racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo Signore, li Giurati della terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza, dovendosi per l’Università di quella Terra molta quantità e somma di denari alla Regia Corte cossì per donativi ordinarij, et extraordinarij et altri orationi [per oblationi ?] fatti per il Regno à Sua Maestà,  come per le tande della Macina, non havendo quelli possuto satisfare per lo contaggio del morbo che in quella s’hanno ritrovato  ... ,  à vostra Eccellenza l’esponenti hanno supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta università deve alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università fossero devenute [condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva pagare ..»
La burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione (provista) di Sua Eccellenza si compendia in un “non convenit” “non conviene”. La tragedia racalmutese agli occhi palermitani si traduce in una gretta questione di convenienza: come oggi, anche allora, come per Berlusconi o Bossi anche per don Carlo d’Aragona, lo stato sociale o quel che si reputa assistenzialismo deve cedere il passo alla rigida logica del debito pubblico: l’abbuono di tasse non è ammesso, non conviene alle esigenze del bilancio dello stato. Una storia dunque che si ripete; un localismo, il nostro, quello di Racalmuto,  che ha valenza oltre il tempo, oltre la landa municipale. Altro che isola nell’isola ..
Remissivamente i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il loro fato e fatalisticamente annotano:
[Ma tale petizione non ha avuto esito] “ per lo chi attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato per vostra Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di poter fare eligere persona facultosa, poiche pochi vi sono in detta Terra di poter vendere augumentare, e raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per consiglio si concluderà, acciò potersi sodisfare nullo preiudicio generato ad essa università circa detta diminuttione, e difalcatione che hanno supplicato doversi fare à detta Terra per detta mortalità, e mancamento di persone, e resti servita Vostra Eccellenza  sia quello mezzo che si concluderà quello che di sopra si è detto per detto conseglio concederli dilattione almeno di mesi due, altrimente stando assentati non potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia Corte non verria ad esser sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di sodisfare, ne tener altro patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa in mora  della locale amministrazione per ritardo nel versamento delle tande sulla macina scatena dunque la cupidigia di commissari palermitani squinzagliati nel malcapitato paese moroso ad esigere, oltre alle imposte, pingui “giornate” (le attuali diarie per missioni) e ad aggravare le esauste finanze locali  «con eccessivi danni ed interessi».
Si accordino - si chiede da Racalmuto - due mesi di dilazione per trovare un sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente autorità viceregia detta una serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo delle procedure per uno nuovo sovraccarico fiscale sulla cittadinanza racalmutese.
Il carteggio qui va attentamente studiato raffigurando istituti, costumi, organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo dell’epoca moderna. Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente messa in luce dalla cultura storica degli accademici.
Viene fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che non può ridursi al mero dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri fiscali) ma che fa trasparire una vocazione democratica impensata. Per sopperire alle necessità tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune libero, democraticamente organato, con una sua assise plebiscitaria, avente poteri decisionali.
L’ordine, certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale, ma è ordine volto ad attivare le istituzioni democratiche comunali. Con aperture sociali che gli attuali consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è il popolo che viene chiamato a raccolta, è il popolo che decide sui propri ineludibili gravami tributari, ovviamente sotto la guida e la direzione di quella che oggi chiameremmo la giunta comunale: la giurazia.
Leggo con vero gusto questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che debbiate in giorno di festa é sono di campana come è di costume congregare il vostro solito consiglio sopra le cose contenute nel preinserto memoriale, e quello che per detto conseglio seù maggior parte di quello sarà concluso, et accordato, e sigillato lo trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò di quello fattone relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi 11. Martij 5^ ind. 1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus Sucadellus  ... conservatore [f. 229] Marianus Magister Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de Aurello Magister Notarius, ..»
 
Il Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata - che anche allora, molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene operante a Racalmuto -  ed abbiamo anche il verbale consiliare che mi pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind. 1577.
Die festivo Supradicti Martij in Ecclesia Sanctae Mariae Annuntiatae dictae Civitatis existens in platia publica.=
 
[Consilium detentum die predicto in Ecclesia predicta ad sonum campanae more solito in quod magnificos Juratos iuxta formam literarum Secretarum Eccellentiae Suae et Tribunalis Regij Patrimonij eis  directarum datarum Panormi die 11. Martij prox: pret: 5^ ind. instantis 1577. iuxta formam propositionum, et hoc ad informandum predictam Eccellentiam Suam et Tribunal predictum Regij Patrimonij super infrascriptis. ]
 
Perche ritrovandosi l’università di questa Terra di Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
 
 per donativi ordinarij, et altri oblationi fatti per il Regno à Sua Maestà, et alcuni tandi imposti sopra la Macina, come ancora per alcuni debiti correnti non havendo passuto in tutto satisfare per la tanta mortalità successa in quella del contagio, e tanta diminutione di persone,
 
è stato supplicato da parte di detta Università per li Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti debiti se li concedesse dilatione competente per potersi ritrovare il modo di quelle sodisfare, et in quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto offerta à Sua Maestà, et ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone di tutte città, e terre del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino [f. 230] che per il ripartimento e numero di persone che allora vi erano in detta terra tocca à detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
 
che allora concesse Sua Eccellenza potestà alli Giurati, che volendo et apportandosi per consiglio li cittadini pagare tali tande di Macina alli Minuti del sopradetto modo à raggione di denari novi per tummino, o veramente per tali pagamenti volessero imponere alcune gabelle dummodo che quelli se imponessero sopra cose comestibili, e potabili stasse in loro arbitrio, e volontà, e per tale causa sono imposte per la sodisfatione di dette tande di macina alcune gabelle, li quali per la diminutione, e mortalità di persone sono mancanti in tal modo che non possono assuplire, ma in poche parti alla sodisfatione predetta che restasse Sua Eccellenza servita difalcare detta Università per tale diminutione non si potendo per tali tandi di Macina tassare ne ritrovare il modo di pagarsi, fù provisto quod non convenit quo ad dilationem, e tuttavia alla giornata si causano à detta Università mille danni di spese, et interesse di giornate di Commissarij, che nel spesso si destinano, et in tal forma che appena si può esigere quello che per giornate di Commissarij si paga,
 
e vedendosi che tuttavia detta Università non si vederà libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra volta à Sua Eccellenza che resti servita concederli potestà di poter eligere persone facultose, ò vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle di detta Università, e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere acciò si potesse detta Università liberare di tal debito et interesse nullo prejudicio generato à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che se li deve fare per detta Regia Corte stante le raggioni predette come si contiene per memoriale alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et essendo stato provisto per la prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real Patrimonio che si congregasse sopra le cose contente in detto memoriale consiglio, e quello si trasmettesse per poter provvedere come convenisse, per ciò s’ha devenuto alla congregatione del presente consiglio come intesa la presente proposta habbiano sopra le cose prenominate ogn’uno possi liberamente dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo uno delli Magnifici Giurati di detta Terra, e locotenente del Magnifico Capitano di quella, è di voto, e parere che s’aggiongano onze quaranta di rendita da pagarsi quolibet anno come meglio e per manco interesse di detta Università si potrà accordare con quelle persone che vorranno attendere à tal compra di rendita,
 [e per l’altri pagamenti cosi di donativi ordinarij, et extraordinarij come per quelli detti debiti correnti per ritrovarsi li genti che sono remasti in detta Terra tutti quasi rovinati che s’habbiano di raddoppiare tutte le infrascritte gabelle accioche per futuro il provento di quelle vengono à convertirsi in sodisfattione di quello che annualmente si deve à detta Regia Corte, li quali denari che si perciperanno di detta suggiogatione s’habbiano à convertere in sodisfattione di quello si deve per detta Università a detta Regia Corte o per li debiti correnti ut supra alli quali suggiugatarij che compriranno detta rendita se l’haveranno d’hypotecare expresse quello che avanzerà d’augumento, et accriscimento che si raddopierà et imponerà danno sopra le infrascritte gabelle, lo quale novo imposto habbia da servire per corpo e capitale di tal rendita, della quale vendittione s’haverà à fare atto publico con obligarsi li Giurati nomine Universitatis, et Juratorio nomine modo con quelle debite clausole justi cauteli, e patti che sopra ciò si [f. 232]  ricercano, e come meglio si potrà accordare con li compratori, con questo che detta rendita s’habbia à pagare in tre terzi, cioè lo primo, al primo di Gennaro, il Secondo al primo di maggio, e l’Ultimo al’ultimo del mese d’Agosto ogn’anno con la rata del tempo che vi entrerà nel giorno che si farà tal atto di vendittione, e per facilitare l’effetto di tal negotio per liberare detta Università di tal debito et interesse che alla giornata che ci causano, quanto prima s’habbia da mandare à persona seria, à suplicare à Sua Eccellenza, e Real Patrimonio sopra le cose preservate, e principalmente sopra la difalcazione che si deve fare à detta Università, cossi delle tande della Macina come di quelli altri donativi ordinarij et extraordinarij, e novi pagamenti per la tanta Mortalità e mancamento di persone come ancora per quel tanto che occorse farsi intorno conversione che si ha da fare della venditione di detta rendita, et altro che succedesse tentarsi in beneficio di detta Università
 
E pertanto
 
le gabelle ... averanno da raddoppiare, et accrescere
 
sopra le quali s’haverà d’imponere il novo imposto il quale sarà per il corpo, e capitale della detta rendita
 
che s’haverà d’obligare et hypotecare expresse alli suggiugatarij e s’intenderà per superato, e segregato dalle gabelle obligate alla Regia Corte in parte per le predette tande saranno le unfrascritte.
 
E prima sopra la gabella del vino
 
siccome il passato s’ha pagato à raggione di tarì uno per botte di Musto, e vino, da pagarsi per li venditori et al minuto à raggione di tarì uno per botte s’intende de futuro à detta gabella novamente imposta altro tarì uno per botte, et al minuto altro tarì uno per botte.
 
[f. 233] Sopra la gabella dello Pani, fogli, fiori, e frutti virdi, e sicchi,
 
sicome pagava sopra quelle delli Pani à raggione di tarì uno, e grana dieci per onza, s’intende de futuro di novo imposto sopra quella, altro tarì uno, e sicome quella delli fogli, fiori, e frutti si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intendono sopra quelle de futuro imposti di nuovo altri tarì uno e grana dieci per onza alla quale gabella, s’intendda sottoposta la venditione di qualsivoglia sorte di legumi che si vendirà à minuto da pagarsi per lo venditore à raggione di tarì tre per salma, e tarì tre per ogni salma d’orgio si vendirà a minuto.
 
Sopra la gabella delli panni, arbascie, cannavazzi, e cordi
 
si come prima si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intendano sopra quella de futuro  di nuova imposta altri tarì due per ogn’onza da pagarsi per li venditori.
Sopra la gabella dello pilo di qualsivoglia animale sicome prima si pagava à raggione di grani dieci per onza, cioè prima cinque per lo venditore, e grana cinque per lo compratore, e permutazione d’animali grossi si paga à raggione di tarì uno per ogn’uno delli permutanti, e per l’animali sumerini à raggione di grana dieci per ogn’uno similmente di detti permutanti de futuro s’intendano sopra detta gabella novamente imposta altri tarì uno per uno nella permutazione si debbia pagare de futuro tarì due da qualsivoglia che permuterà animali grossi, et sumerini à raggione di tarì uno per ogn’uno che similmente permuterà.
 
Sopra la gabella dello linu cànnavu (canapo), ferro, e ramo rustico, e lavorato, e legname d’ogni sorte rustica, e lavorata
 
che viene di fora, e legnami di cittadini, ò qualsivoglia persona siccome prima si pagava di tt. uno per onza s’intenda de futuro sopra quella di nuovo imposta [f. 234] e si debba di nuovo pagare à raggione d’altro tarì uno per onza da pagarsi per li venditori.
 
Sopra la gabella delli Pisci, e Salsizzi,
 
siccome prima si pagava à raggione di tarì sei per ogni carico di pisci de futuro si debbiano pagare à tarì novi per ogni carici, e siccome si pagava per ogni porco che si macellava per farsi salsizzi alla raggione di tarì tre per ogni porco, de cetero s’intenda altro tarì uno di novo imposto per ogni porco.
 
Sopra la gabella delli Pani, formaggi, cascavalli, Meli, e cera
 
 si come prima si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intenda de futuro sopra quella devono imposta altro tarì uno per onza, e cosi in tutto à raggione di tarì due per onza d’esigersi in vendita del venditore, e la metà del compratore.
 
Per le quali gabelle, e loro pagamenti s’haveranno da fare li capitoli per li Magnifici Jurati, e con l’impositione delle pene solite come sono l’altri capitoli.
Il Magnifico Jacobo Piamontese Giurato è del sopra parere.
Il Magnifico Jacobo Sciurtino ut supra.
Il Magnifico Signor Giovanni Artale Tudisco ut supra.
Il Magnifico Giuseppe d’Ugo ut supra.
Petro Barberi ut supra.
Martino Rizzo ut supra.
Magistro Antonio Vulpi ut supra.
Il Mastro Notaro Giovan Vito d’Amella è di parere come di sopra, et si, et quatenus lo raddoppiamento raccrescimento che si farà alli gabelli predette non bastassero per la sodisfatione di quello che si deve alla Regia Corte quolibet anno, e per la soggiugatione che si farà quod utique dette gabelle s’habbiano da aggumentare, e raddoppiare, et accrescere, tante volte, quante sarà f. 235] di bisogno  in modo che si complisca il pagamento predetto, e che s’habbiano d’imporre altre gabelle essendo di bisogno in modo che detta Università non venghi a pagare pagare al minuto, e per tassa, e che si debbia fare thesaureri persona sicura, d’eligersi per li giurati quolibet anno  per li pagamenti predetti e suoi spisi, con salario d’onze vinti l’anno il quale s’habbia d’obligare nomine proprio et à fare li pagamenti predetti con li debiti cauteli per atto publico come à detti Giurati parerà.
 
[proiettare i seguenti nomi]


 


1.    Giovanni Curto ut supra.
2.    Martino Curto ut supra.
3.    Mastro Valerio Faccipinta ut supra.
4.    Petro Murriali ut supra.
5.    Angelo La Ficarra ut supra.
6.    Antonio Mulé di Palermo ut supra.
7.    Simone di Geraci ut supra.
8.    Mastro Antonio Malifera ut supra.
9.    Giovanni Romano ut supra.
10.Mastro Petro Lo Nobili ut supra.
11.Cola Capobianco ut supra.
12.Antonuccio Rizzo ut supra.
13.Antonio La Porta ut supra.
14.Vincenzo Romano ut supra.
15.Jacobo di Lintini ut supra
16.Mastro Francesco Erbicella ut supra.
17.Mastro Lisi Macaluso ut supra.
18.Vincenzo di Spina ut supra.
19.Cola di Migliuri ut supra.
20.Francesco La Serra ut supra.
21.Geronimo La Scalia ut supra.
22.Jacobo La Licata ut supra.
23.Petro La Sthorana ut supra.
24.Santo La Matina ut supra.
25.Giuseppi Juliana ut supra.
26.Geronimo Castronovo ut supra.
27.Francesco Martorana ut supra.
28.Carlo Sicili ut supra.
29.Giovanne di Randazzo ut supra.
30.Mastro Gioseppe Cacciatore ut supra.
31.Antonino Ferlazza ut supra.
32.Petro Lo Jodici ut supra.
33.Petro di Regula ut supra.
34.Gerlando La Licata ut supra.
35.[f.236] Marco d’Alaymo ut supra.
36.Philippo di Poma ut supra
37.Notaio Gaspare Monteleone ut supra
38.Jacobo Macaluso [di Palermo?] ut supra
39.Mastro Giacomo di Milia ut supra
40.Francesco Giaccuni ut supra
41.Jacobo Picuni ut supra
42.Geronimo d’Alaymo ut supra
43.Antonino Gagliano ut supra
44.Petro d’Antonio Curto ut supra
45.Mastro Giulio di Racusa  [rectius: di Ragusa, n.d.r.] ut supra
46.Orlando Borsellino ut supra
47.Antonino Murriali ut supra
48.Vincenzo Collura ut supra
49.Fabio di Palermo ut supra
50.Mastro Petro Facciponti ut supra
51.Notaro Bartolomeo Curto ut supra
52.Mariano di Palermo ut supra
53.Jacobo La Matina ut supra
54.Francesco Macaluso ut supra
55.Philippo l’Avarello ut supra
56.Gerlando d’Averna ut supra
57.Giuliano Picuni ut supra
58.Antoni d’Amella ut supra
59.Antoni l’Amorella ut supra
60.Jacobo Macaluso ut supra
61.Jacobo di Benedetto ut supra
62.Francesco di Montura (?)ut supra
63.Battista Palumbo ut supra
64.Giovanni Fiderico ut supra
65.Enrico di Marco ut supra
66.Vito Lo Sardo ut supra
67.Geronimo Sciandra ut supra
68.Paulo di Gueli ut supra
69.Gerardo Predilicaro ut supra
70.Mundo Taibbi ut supra
71.Alfio di Giraci ut supra
72.Cola Curto ut supra
73.Leonardo La Matina ut supra
74.Antonino Sfirlazza ut supra
75.Petro La Matina ut supra
76.Mastro Antonino d’Alaymo ut supra
77.Antonino Nalbuna ut supra
78.Roggerio di Jassio (?)ut supra.



Per inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato racalmutese del 1577 Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della giurazia. Viene indicato con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.

 

[proiettare il seguente foglio]


 

Vin.o f. delli q.dam Gasparo et Geronima La matina della T.ra di PETRAPERTIA con Francesca f.a del q.am Jac.o et Letitia di Randazzo servatis servandis contrassero matrim. pp.ce in facie ecc.e foro benedetti per .....

 

                                                

223 29   9 1651 LA MATINA GIOSEPPE M.RO di VICENZO Q.AM e di FRANCISCA SORO 
con
SURRUSCA DI CANDICATTI'        ANNA di ANTONINO e di ANTONIA:
si  fecero le denunciationi e la fede  per tt. 3. 10.
 
 
Trattasi del fratello di frate Diego LA MATINA. [n.d.r.]
 

 


Tralascio qui, per ragioni di tempo e di luogo, l’irrisolta questione della vera identità di fra Diego La Matina. Quello di cui parla Sciascia è nato nel 1621 e non nel 1622. Il 1622 è una svista paleografica dello scrittore come attestano addirittura due fonti della  Matrice. Non è per nulla poi certo che il Diego La Matina battezzato da don Paolino d’Asaro il 15 marzo 1621 in base a quest’atto che va correttamente letto:

[proiettare il seguente foglio]

 


Eodem [nello stesso giorno del 15 marzo 1621quarta indizione] DIECHO f.[figlio] di Vinc.° [Vincenzo] et Fran.ca [Francesca] La matina di Gasparo giug. [giugali o coniugati] fui ba—tto [battezzato] per il sud.^ [suddetto e cioè don Paolino d’Asaro] p./ni [patrini] iac.° [ illeggibile secondo Sciascia, ma in effetti Jacopo o Giacomo] Sferrazza et Giov.a [Giovanna] di Ger.do  [Gerlando] di Gueli.

 


Sovverte ogni consolidata credenza sul frate dal tenace concetto la presenza a Racalmuto nel 1664 (anno a cui risale la seconda delle numerazioni delle anime della parrocchia della Matrice che ci sono state tramandate)  - e cioè a sei anni di distanza dell’esecuzione dell’agostiniano fra Diego -  di tal clerico Diego La Matina che ha tutta l’aria di essere lo stesso che era stato battezzato nel 1621.

[proiettare il seguente foglio]


CENSIMENTO DEL 1664

 

974
LA MATINA
DIEGO
 
C.
1
 
1
CL(ERICO)
975
PIAMONTISI
ANTONI
 
C.
1
 
1
 
976
BORZELLINO
GIUSEPPE DI FILIPPO
C.
4
1
5
 
 
 
DOMINICA
M.
C.
 
 
 
 
 
 
FRANCESCO
 
 
 
 
 
 
 
 
ANTONINO
 
C.
 
 
 
 
 
 
FILIPPO
F.
 
 
 
 
 
977
ALAIMO (D')
ERASMO
 
C.
1
1
2
 
 
 
PAULA
M.
C.
 
 
 
 
978
VINCIGUERRA
LEONARDO
 
C.
2
4
6
 

 


*  *  *

Ritornando al nostro tema del carteggio del 1577, resta evidente che vi si trova uno spaccato della vita pubblica comunale, dal taglio democratico, con istituzioni pubbliche che ci richiamano alla mente né il diritto feudale, né quello romano, né quello del sorgere dello stato moderno ma la tipica organizzazione greca della Polis, con la sua Ecclesìa, e con il ricorso al voto cittadino espresso in una solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.

[se possibile proiettare l’ex voto del Monte]

Al suono della campana della Ecclesia dell’Annunziata, sita nel centro della grande piazza di Racalmuto che dal vecchio Santissimo si allargava nello spiazzo ove ora sorgono le torri campanarie della Matrice e si riversava nell’attuale Piazza Castello per risalire nel largo ove ora sorgono i palazzotti degli invadenti Matrona [la vaniddruzza di Matrona].

Nel confrontare l’attuale assetto urbanistico con  quello che l’ex voto del Monte ci fa intravedere, divento irrazionalmente conservatore ed esecro la mania piccolo borghese degli arricchiti di Racalmuto dello scorso secolo di piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati sulle case terrane (o al massimo solerate) nel bel mezzo della storica piazza dell’Università di Racalmuto. E dire che riuscirono a farsi credere anche dalle menti più elette del nostro paese  come dei benemeriti filantropi!

Sono andato troppo al di là dei limiti assegnatimi e quindi trascuro gli altri importanti aspetti del carteggio. Vi emerge il ruolo marginale dei Del Carretto in questa vicenda fiscale. Vi è un documento rivelatore di quello che allora era il ricorso pubblico al prestito, quello cioè che oggi avviene tra i Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo che allora per Racalmuto siffatta Cassa DD.PP. era nient’altro che uno strozzino di Agrigento, tal Caputo, superriverito ed adulato dal pubblico notaio. Materia questa tale da accendere le ire di un vetero comunista quale si reputa chi vi parla.

Intendo concludere precisando che il grafico della popolazione di Racalmuto - quale reiteratamente viene tentato nel libro - va ulteriormente corretto alla luce dei dati del carteggio del 1577.

La curva dell’andamento demografico della Racalmuto del ‘500 si avvalla vistosamente, come è ovvio, nell’anno della peste del 1576, e così si dispiega:

[proiettare il grafico]



 


Il crollo demografico del 1576, come si vede, sembra irreversibile (anche se fu dovuto                                                             più alla fuga che alla morte dei racalmutesi: i superstiti quindi ebbero poi modo di ritornare nelle loro case di paese, lasciando - riteniamo - quelle di campagna). Occorrerà aspettare il 1658 (un secolo) per risalire a quota 5.165 e solo nel 1660 la popolazione supererà quella del 1570 assestandosi a quota 5488.

[proiettare i fogli delle finanze di Racalmuto]


 

« [f. n.° 807] Praesentant  Ragalmuti die XI Julij V ind. 1593 [...]
Rivelo Ragalmuto .. presentato allo spettabile Natalitio Buscello in virtù di bando promulgato d’ordine di detto spettabile delegato.
 
Stabili                                                                                                                        
 
In primis la gabella dello pane et foglie: lo pilo, vino, formaggio, panno, la ligname,  pesci e sono affittate questo anno onze quattrocento sesanta che a ragione de dieci per cento sono onze quattromilia e seicento........................................................................................................................................-/ 4.600
stabili onze quattromilia sei cento .............................................................................................. -/ 4.600
 
Gravezze
 
Nota: Paga ognie anno alli Sindicaturi onze quindici; il capitale sono onze centocinquanta: a dieci per cento.......................................................................................................................................... -/     150
Paga ognie anno per salario dello orloggio, oglio  et conci onze dodici:
 il capitale sono centovinte......................................................................................................... -/     120
                                                                                                                                                                   e anno per salario dello mastro notaro et carta per le ocurentie onze dieci: il capitale son onze cento  ......................................................................................................................................... -/    100
 
Paga ognie anno per spese de bagaglie de cumpagnia onze trenta:
 il capitale son onze tricento.........................................................................................................-/    300
 
Paga ognie anno per salario di procuratori per occorentia apresso la Corte onze dudici:
il capitale sono cento vinte ......................................................................................................... -/    120
 
Paga ognie anno alla Regia Corte onze tricentosettantaquattro, tarì tridici e grana quattro a dieci per cento sono onze tremila setticento quaranta quattro .................................................................... -/ 3.744
 
Paga ognie anno onze sei per lo pagamento della Regia Corte in tre tande onze sei; il capitale sono onze sesanta ........................................................................................................................................ -/     60
 
Paga ognie anno a don Loise  Mastro-Antonio di Palermo onze vinteotto e tarì dicidotto a ragione de dieci per cento: il capitale sono onze duecentoottantasei ............................................................. -/    286
 
GRAVEZZE QUATTROMILIA OTTO CENTO OTTANTA ................................................... -/   4.880
 
INTROITO ONZE QUATTROCENTO SESANTA .................................................................. -/     460
 
ESITO ONZE QUATTROCENTO OTTANTA OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO... -/   488.1.4
 
RESTA DI GRAVEZZE OGNIE ANNO ONZE VINTE OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO.... ................................................................................................................................................-/   280.1.4
 
che a dieci per cento dette onze vinte otto tarì uno e grana quattro a dieci per cento sono il
capitale onze duecento ottanta tarì undici ............................................................................. -/  280.11.0
                                                                                                                                        ------------ 
 
                                                                                                                                      
+ cola macaluso. J[uratus]
+ joseppi cachaturi. [Juratus]
+ antonino vilardo J:[uratus]
+ notar giseppi sauro e grillo __ J[uratus].

 


Quanto alle finanze locali, la crisi del 1577 fu in qualche modo tamponata e nelle carte che commentiamo nel presente libro, il bilancio comunale ha un disavanzo di appena 28 onze, un tarì e quattro grani (460 onze  d’introito ed onze 488, tarì 1 e grana quattro d’esito). La forte pressione fiscale - tutta basata sulle imposte indirette - portarono ad una asfissiante strozzatura dei consumi da parte dei poveri. I proventi dalle rinomate salsicce racalmutesi furono pressoché nulli: pane, foglie, pilo, vino, formaggio, legname, pesci e qualche altra voce danno un gettito tributario che si volatizza essenzialmente per le spese militari e per oltre la metà per ciò che è dovuto alla regia Corte a titolo imprecisato. Per di più  si pagano sei onze annue per “tande”. Ai moderni assertori delle riforme fiscali incentrate sul ripristino delle imposte indirette ( e mi riferisco al libro bianco dell’ex ministro Tremonti) bisognerebbe dar da studiare queste carte cinquecentesche su Racalmuto. Un paese che rifugge dal ruolo di isola nell’isola ma che anzi, ancor oggi, ha da erudire persino i presunti geni del Nord, più o meno leghista. A noi racalmutesi  il compito di rievocare, ma con fedeltà, le nostre esemplari memorie storiche. Agli autori del libro siano perdonate le tante sviste in nome dell’attaccamento profondo alla loro terra, a questa nostra Università di Racalmuto. Grazie.

Roma, giugno 1995. 

 

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