martedì 8 aprile 2014

Appunti sulla storia dell'Ottocento racalmutese



Ironia della storia: chi avrebbe mai detto che il più circospetto e sagace figlio di Racalmuto, Leonardo Sciascia, avrebbe fatte sue quelle sgangherate parole apologetiche di don Gasparino Matrona, parole che ma celano uno stato di disagio per accuse infamanti contro il congiunto don Paolino Matrona. Nel circolo dei civili, per chi si parteggiava?

Intanto le asettiche carte degli archivi agrigentini ci sciorinano questi dati:

Prefettura di Girgenti - Racalmuto - Consuntivo del 1870

Conto 1871 = Manutenzione Cimiteri: al sig. Lupi cav. Carlo per piantagione cipressi, per cancello di ferro, tavolo mortuario e croci impiantate L. 600.

Conto 1872: al sig. cav. Lupi Carlo, appaltatore dell’illuminazione notturna; al sig. Picone Salvatore per trasporto prostitute L. 10.





1873

19 marzo: fibrillazione in Sicilia per l’onomastico di Garibaldi e di Mazzini. Il 26 marzo il delegato sig. De Benedectis può assicurare il prefetto: non risulta che qui «il partito avanzato avesse inteso promuovere qualche dimostrazione per il giorno 19 corrente.» Calogero Savatteri sarà stato un mazziniano, ma se ne sta buono a curarsi i suoi cospicui interessi. Ancora non poteva permettersi neppure una qualche strampalata concione al Mutuo Soccorso, per il momento feudo incontrastato dei Matrona, liberali sì ma antimazziniani.

2 giugno 1873: « Ieri celebravasi in questa la Festa dello Statuto Nazionale. Il Municipio con tanto lodevole zelo, impegnavasi che tal festa riuscisse con solennità; infatti appena fatto giorno il suono della musica e taluni colpi di mortaretti annunciavano la fausta ricorrenza. Tutte le botteghe lungo il corso, pavesate del tricolor vessillo. Alle 11 il sottoscritto, insieme a tutte le locali Autorità, Consiglieri, e ceto civile, dietro invito di questo signor Sindaco, sono convenuti nel Palazzo di Città, ove riunitesi al Municipio, e tutta la scolareca, seguiti dalle bandiere, e musica, sono andati al Duomo, ove il Clero ha cantato l’Inno Ambrosiano, assistendovi anche il Parroco, e finita tal sacra Cerimonia, si è nuovamente recato nel Palazzo di Città, ove fatti i soliti evviva, e felicitazioni, si è sciolto il convegno. Nelle ore pomeridiane la musica ha continuato ad allettare i Cittadini, fino alle ore 10 ch’ebbe fine la festa. Intanto il suddetto giorno non deplorossi alcun reato, essendo l’ordine pubblico tranquillo. L’Ufficiale di P.S. in missione Luigi Macaluso.» Che motivo avesse l’arciprete Tirone di cantare il Te Deum in lode degli scomunicati sabaudi, quelli della breccia di Porta Pia del 1870, è di ardua ricognizione ma di pesante sospetto. Il ceto civile - quello del circolo unione - è ovviamente del tutto ossequioso: magari la sera, qualche frecciatina verso i nuovi opportunisti (assenti) non sarà stata risparmiata - allora come ora.

Il Messana (op. cit. pag. 495) pubblica un interessante manifesto politico del Tulumello del 1873. «La consorteria - vi si dice e si parla ovviamente di quella del Matrona - vi chiamerà all’urna colle solite promesse, minacce e mostrandovi alle occorrenze anco la carabina!» La congrega del barone Luigi Tulumello era composta da Ignazio Picone Alfano, da Ignazio Alfano Vinci, da Felice Cavallaro Salvo e dal farmacista Lo Presti, nonché da un maltrattato (dal delegato di S.P.) Giuseppe Romano Alessi che definivasi presidente della società operaia. A parte quest’ultimo, si trattava di galantuomini dissidenti che amavano definirsi “cittadini onesti, intelligenti e liberali a tutta prova”. Cercava di far breccia tra i Messana (per i fatti del  60), tra i Picone (per le minacce e le offese personali patite), tra i Mantia (per gli spudorati attentati alla loro proprietà ed alla loro vita); ai Borsellino (per le infamie subite), ai Grillo (per gli orribili fatti del 60 e del 62), ai Picataggi (per gli arresti arbitrari subiti); ai Lo Presti (per un asserito furto ai loro danni); agli Alfano, ai Farrauto; ai Mantione (per imputazioni, oltraggi .. ed il carcere a San Vito). I Tulumello comunque in quella tornata elettorale non vinsero. Si consolida anzi la saga del mecenate don Gasparino Matrona. Per poco, però. Il crollo del 1875 incombe.

1874

Gioacchino Savatteri viene eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto con voti 143 per l’anno 1874

1875

«Prefettura di Girgenti - Duello fra don Gaspare Matrona e Barone Tulumello. 3 settembre 1875 - Si vuol per certo un duello fra Matrona don Gaspare e B.ne Tulumello da Racalmuto, ove forse avverrà, essendo ieri partito da Girgenti per quella volta il sig. Picone d. Nicolò, per fare forse da Padrino al Matrona. Si dice ancora, che ne avverrà un altro tra Matrona Napoleone e certo Cavallaro. Ma il Matrona trovasi attualmente in Girgenti in unione al fratello Paolino, il quale ieri ricevè un telegramma che alla lettura fu visto turbarsi; dietro di che partì il sig. Picone. »

«Telegramma decifrato del 4/9/1875 - Oggi questo Segretario Comunale ritornato. Dicesi duello sospeso da riprendere in 4 giorni. Qui sinora calma. Se avvenisse duello se ne faranno altri. F.to Macaluso Delegato.»

«Segretario Comunale Lauricella è uno dei secondi. Duello per attacchi personali con opposizione municipale. Dicesi di altri duelli. F.to Macaluso.»

«Finora conoscesi solamente barone Tulumello con due secondi fatti venire da Naro sia partito per costà (Girgenti) alle sei. Ignorasi terreno. F.to Macaluso.»

Il 4/9/1875 il prefetto convoca a Girgenti il segretario comunale Lauricella.

Nella sessione del 1875 il cav. Giuseppe matrona viene eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto per l’anno 1875.

Nel n.° 6 dell’8 maggio 1875 del “Don Bucefalo” vi è una “nostra corrispondenza” da Racalmuto. «2 maggio [...] vogliamo tenere parola dello stato anormale del comune di Racalmuto. Sotto crudele ed improba passione, giace questo deplorevole comune affidato al reggime (sic) di un sindaco ambizioso ... Sin dalla di lui promozione al potere, Racalmuto non ha altro segnalato che una amministrazione elevata al più vero assolutismo, ad una colluvie di irregolarità, meri capricci, ed infrazioni alle leggi rispetto a taluni atti della comune azienda [...]» Si parla di un “favoloso mutuo”; di una strada che appena appaltata “si dirupa”; alle enormi spese per il teatro e per le scuole femminili. «Briga per la costruzione di una strada rotabile tra i comuni Racalmuto-Favara, opera grandemente vessatoria e capricciosa che per fornire a questi magnati caporioni facile accesso alle rispettive casine, si condannano e proprietà ed interessi pubblici e privati.»

Eugenio Napoleone Messana fornisce una versione tutta sua alla vicenda del duello Matrona-Tulumello.  Vi innesta una faccenda d’alcova che avrebbe visto coinvolto Luigi Lauricella. Costui, segretario comunale, sarebbe stato gratificato dal Matrona con l’incarico ed un lauto stipendio in cambio dei favori della moglie, secondo quel che avrebbe sussurrato in un articolo di stampa il barone Tulumello. Soggiunge il Messana: «Sta di fatto che la moglie del Segretario si è suicidata e don Gasparino si è eclissato per molto tempo.» «Il segretario Lauricella lasciò Racalmuto meditando nel cuore vendetta. Non passò molto tempo e vide ad Agrigento il Matrona. Lo seguì a distanza pazientemente. Don Gasperino entrò nel negozio Scibetta in Via Atenea. All’uscita fu raggiunto da un colpo di pistola. Il segretario mirò al cuore ma sfiorando il gomito sinistro colpì il femore e si dileguò nella folla. L’assenza da comune indusse la giunta, indignata per le ingiuste accuse contro il suo sindaco, a protestare presso l’autorità tutoria, indi a dimettersi. Nel 1876 fu nominato sindaco l’avv. Gioacchino Savatteri, amico e dello stesso partito del Matrona.» Si sa: Eugenio Napoleone Messana è un immaginifico. Inventata o meno tutta codesta bardatura, a noi non resta che attendere incontri fortunati con carte d’archivio per una ricognizione critica della (salace) vicenda.



28 giugno 1875  «Racalmuto - Miniere Pernici e Frappaolo - Quesiti - Dalle diverse indagini che segretamente e con qualche studio da me operate risulta 1) che circa duemila operai attualmente lavorano nel gruppo di miniere Pernice e Frappaolo di proprietà del Pr.pe di Aragona. 2) La produzione approssimativa dell’anno 1874 di queste miniere potrebbe ascendere a duecentomila quintali, ogni quintale composto di cento rotoli ed in quest’anno sono suscettibili di aumento. 3) Una sorta di minerale grezzo e poi messa in fusione produce in media  .. 20 (venti) balate ed ogni due balate, che si chiama carico, portano il peso di quintali uno, e rotoli cinquanta circa. 4) Da poco tempo e nei vari discorsi sulle miniere della Pernice si è usato il titolo di Nuova California per le immense speculazioni di escavamento che ogni giorno si operano per trovare il minerale. Però questa voce non si è ancora generalizzata, per il fatto che la montagna Pernice è gravida di suoi rappresentanti del minerale sulfureo ed un buon agente delle tasse potrebbe arrecare dei vantaggi alla Finanza dello Stato. Tutto questo ho potuto raccogliere con la massima avvedutezza per non destare degli allarmi ai proprietari delle miniere che per lo più sono tutti civili e di alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse; e ciò in esecuzione degli ordini della S.V.I. contenuti nella riservata nota qui riguardata. Il delegato di S.P. - Macaluso.» Macaluso fu dunque sbirro accorto: non amò infastidire i “civili” - uomini di “alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse”. I civili parcheggiavano nei loro due circoli: gli interessi solfiferi venivano tenuti nascosti, non tanto per paura dell’agente delle tasse - diversamente da quel che avverrà nel dopo guerra con i contributi unificati su cui sarcasticamente si sofferma Sciascia - ma per timore di quello sbirro, che pur dovevano ospitare nelle loro sale sociali.

1877

4 giugno: «Duca di Cesarò - Suo passaggio a Racalmuto colla Consorte. L’on. Duca e consorte si intrattennero alquanto nel Palazzo municipale ... visitarono il teatro, la famiglia dei signori Matrona e quella del dr. Scibetta Troisi Giovanni.»

Conto del 1877 presentato dal Tesoriere Matrona Carlo.

1878

Conto del 1878 presentato dal tesoriere Nalbone Luigi.





*   *   *

Il sindaco “garibaldino” don Gaetano Savatteri viene in malo modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62 lo coglie e lo travolge in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta annientato dalla morte della moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:

Qui Dorme

nella pace del Signore

Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col maledetto aneurisma.

Pietosa, caritatevole, devota assai prudente.

Obbediente figlia, consorte fedele, amorosa madre.

Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria

Chè sua scomparsa eternamente cancellò:

allo sposo ai figli.

Deh! Adorabile madre accogliete questo duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.

In segno di sentita devozione

Beneditelo.



Si dice che il Savatteri, preso da sconforto esistenziale, finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel convento di Santa Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse come fratello laico, alla stregua di un monaco.

Tra i diversi figli andavano emergendo don Calogero Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.

Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie mazziniane: quando, nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si rivoltava contro i fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello, il Savatteri - ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello che faceva capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel circolo e periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano semplicemente un moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava sorbirsi tutto quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso scendeva a terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri - dovevano sentirsi dire gli “egregi operai”  - a lavarvi spesso tutto il coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte impedisce che malattie di pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente il corpo dell’operaio che deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e pulito più di ogni altro.» Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare l’Uomo e la donna ritti, colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo robusto, sano ed anche agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza e pulitezza del corpo, lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva raggiunte vette speculative affermando: «l’istinto della propria conservazione fa sentire all’uomo il bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le mutande.» Ed il Savatteri era davvero originale ribadendo l’opinione di Melchiorre Gioia sull’igiene, giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre ad arrecare sollevamento all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza e salute al corpo e s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla salute, togliendo il puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e le mutande quando sono sporchi.»

C’è un punto del suo che ci aveva fatto pensare ad una fede socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei Savatteri: ed è quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine, fuga ogni malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere, egregi Operai, che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e del denaro, per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori dell’ordine sociale, e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono d’innovatori; no affatto: sono sicuro che simili fandonie e falsità non allignano nelle vostre menti.» Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di ... vestiario. «Oggi nessuna legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a conservare ancora che il civile deve vestire diverso dal mastro, il mastro differente dallo zolfataio, e questo diverso dal contadino. Continuando in tal guisa, malgrado i nostri sforzi   ed i vostri lavori di emancipazione, e di rialzamento, mantenete sempre vivo il germe della divisione delle classe e la disuguaglianza tra gli uomini. ... Persuadetevi, egregi operai, che la foggia del vestire influisce assai ad essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi esorto di abbandonare il taglio degli abiti a costume  che l’odierna civiltà a [sic] sfatato e che ancora si conserva nei nostri comuni... Incominciate per Dio! Forse v’incresce o avete paura al pensare che i signoroni rideranno alle vostre spalle? Lasciateli ridere e verrà tempo che vi seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del dilemma savatteriano nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.

Quest’anno (1998) i padroni di quel sodalizio hanno ritenuto di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto. Disponiamo di questi riferimenti giornalistici:

Trafiletto del Giornale di Sicilia   del gennaio 1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.



Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi primi 25 (sic) anni.



RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice sindaco Pippo Di Falco  e del presidente Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano, Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e Lorenzo Viviani nel 1873.



Niente di più falso. Avevamo cercato di mettere sull’avviso con questo fax:

Racalmuto 5 gennaio 1998

Alla Presidenza del Mutuo soccorso di Racalmuto

Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex presidente del sodalizio e socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo codesta Presidenza dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale del Mutuo Soccorso di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già sunteggiata nella conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag. 1 e segg.) agli atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed eventi di cui alla copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento che l’allora presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente conservare.

Ci si riferisce in particolare all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42 della prefettura di Girgenti del 16 giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto del 13 giugno 1876, ove emergono tra l’altro le figure di

•       )  Scibetta Salvatore;

•       ) Rossello Giovanni;

•       ) Marchese Giuseppe Primo;

•       ) Lumia Gaetano;

•       ) Grillo Giuseppe;

•       ) Farrauto Angelo;

•       ) Giardina Pietro;

•       )  Bellavia Elia;

•       ) Licata Nicolò;

•       ) Scimé Salvatore;

•       ) Ferrauto Vincenzo;

•       ) Giancani Luigi;

•       ) Palumbo Angelo;

•       ) Palumbo Antonino.



Con invito alla debita informazione ai soci.

 ..................................

( Carmelo Gueli, ex presidente)

...................................

(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)





Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda disattenzione. In cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del Mutuo Soccorso poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto. Ma la storia vera della fondazione del Mutuo Soccorso resta incagliata nell’astioso rapporto di S.P. (Pubblica Sicurezza), che abbiamo prima riportato e così rubricato:



DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto addì 14 giugno 1876.



La faccenda partiva da lontano, da un esposto del Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:



R. PREFETTURA DI GIRGENTI

n. 419 sub 1\6\75

Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875



Al Signor Prefetto della Provincia di

Girgenti



Signore



I sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.

La detta Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento  morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per approvarsi, e diresse il tutto.

La Società, dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.

Lo mentre la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle faccende proprie.

Il Sindaco non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona, e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.

Le diatribe e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.

O fortunati! E ciascuna era certa

della sua sepoltura.

Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.

Racalmuto lì 31 maggio 1875.

Falletta Calogero - Romano Calogero

Salvatore Scimè - Lumia Gaetano

Agrò Rosario - Rossello Giovanni

Giuseppe Romano.



E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio. Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.



PREFETTURA DI GIRGENTI



REGNO D'ITALIA

MINISTERO dell'INTERNO

SEGRETARIATO GENERALE

DIV. 2^ SEZ. Gabinetto

N. 3296

oggetto: Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.

Signor Prefetto di Girgenti

/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di Racalmuto/



Roma, addi 7 Luglio 1875

Dalla Società di mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete opportuno  di adottare.

p IL MINISTRO.

(firma illeggibile)

/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:

"Vorrà poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./

In allegato la copia che così recita:



Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto - provincia di Girgenti.

CIRCOLARE

Soci Onorari

Maurizio Quadrio

SAFFI Aurelio

Campanella Federico

 Presidente Onorario

GARIBALDI

----------------

RECALMUTO



PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti 13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.



Girgenti 13 maggio 1876

 Signor Delegato di P.S.

Racalmuto.



La Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi quella Società.

Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.

IL PREFETTO

(firma illeggibile)





R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 - Urgente -  Oggetto: Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO



Girgenti 9 giugno 1876



Prego la S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.

DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.

Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.



Racalmuto addì 11 giugno 1876.



In riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).



A S. E. il Ministro dell'interno Roma

OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.



Anche a questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.

Però non si è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.

E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.

Messi così in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico ricorso che si restituisce.

IL PREFETTO.  



*   *   *

Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.

Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i guanti gialli.   Per converso, il Messana - che con i Nalbone ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.

Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone. Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora:







«Signori Presidenti e componenti la Commissione d'inchiesta - Canicattì.

«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.

«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto; quando il denaro del popolo  trovasi impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi; quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente, né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico cessi una volta di essere il patrimonio di una ..  casta.

«Alcuni lodarono l'attuale stendardo tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto, perchè  ebbero il coraggio di seguire l'impulso della propria coscienza, e  negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo dicendo che  non lo schiaffeggiava per non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la ricchezza pubblica e la privata ancora.  E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.

«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente? Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria, preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.

«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire, Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è riparato. Quando nella relazione del valente  professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro , non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove, e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.

«Or allora che questi, quando ci parlano tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci uno per uno in segreteria e trucidarci.

«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e depauperato non avrà pace giammai.»



Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere. Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof. Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello, Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.

Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli, mafiosi e massonicamente  corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (1710-1755) di sposare una Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora quelle del ricco prete don Francesco Busuito  , ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di Grotte.  t. Vanta il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe - fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.

La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili” il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango; devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo casino” come dice il gesuita.

I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo - mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti, in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.

*  *  *

  Ma in fin dei conti la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei galantuomini dissidenti è stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze di quella missiva del gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta parlamentare sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta celebre negli annali del nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi allarmanti: l’ordine pubblico è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è circondato da bagarioti in odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli animino dei codini e questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa Matrona con un prete don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario delle terre del Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne infischia del liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio che appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata sul luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico, ma che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi hanno modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce meschinella e patetica, in pratica floscia ed insignificante.

Di quella prolissa inchiesta sono stati pubblicati gli atti; a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la lesse: lì c’erano elogi sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi fratelli; traspare una sospetta intesa massonica; restano oscurati gli intrecci negativi che coinvolgono la potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la lettera che abbiamo riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982, si prese la briga di prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe a dire: «A loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i Matrona si occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di dargli splendido teatro e di farlo attivamente funzionare, ma anche della sicurezza sociale. Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, del 1875-76, citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di Girgenti Rossi, riguardano Racalmuto ...  e della deposizione del colonnello comandante la zona militare di Girgenti ..» Il prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona; questi invece vengono osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso della misura. «Ci sono esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel circondario di Girgenti. A Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli si sono messi d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi delitti -; montavano a cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo hanno reso quel paese il modello non solo della Sicilia ma del continente. Sulla strada per andare a Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo dove ci sono scuole, locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno fatto di quel paese qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno voluto ...» Certo Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva, avendo tra l’altro scritto Il Giorno della civetta -   avrebbe dovuto diffidare delle parole di quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati fino ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini, come vigilantes all’americana. Le carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di Agrigento e quelle comunali - testimoniano invero su tali arditezze dei Matrona; non c’è da rimanerne ammirati. Tutt’altro!

Il 20 dicembre 1875 era partita da Racalmuto questa lettera anonima:

«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle Signorie loro ill.me per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano

«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. [...] Sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose (sic) per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare. Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic) Mantia, Arciprete, Michiele (sic) Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi chi più chi meno; e formano i gaudenti dell’azienda Comunale.»

Sappiamo così da chi era formato il clan dei Matrona. Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti cinque fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue manie mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il fratello Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai Tulumello, e finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo visto sopra. Un anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora l’anniversario, in pompa magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma questi rifiuta lo stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è scandalo. Il Tulumello stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo aggiunto a scandalo: chissà chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi gli eredi di Calogero Savatteri detengono quella lettera non firmata.

  All’archivio di stato di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico gesto dei Matrona su cui in definitiva quel colonnello citato da Sciascia poggia i grandi meriti di lotta alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo nel novembre del 1873. L’intera corte familiari di quegli ottimati se ne sta ancora in “campagna”, in quella villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due volte: nella citata prefazione al libro del Tinebra e nella recente pubblicazione - a spese della comunità comunale provinciale e regionale - “gli amici della Noce”. Nella prefazione (pag. 13) abbiamo questa ammaliata descrizione «Mentre scrivo, nella mia casa di campagna di contrada Noce, ho di fronte - da una collina all’altra - la settecentesca casa di villeggiatura dei Matrona, grande ed armoniosa .. E ancora negli anni della mia infanzia era luogo di meraviglia, di delizia. C’erano palme e magnolie, siepi di rose e d’oleandro, alberi qui rari come i corbezzoli, i giuggioli; e giganteschi pini di fitta ombra e odorosi. C’era pure una grotta che nelle pareti e nella volta era stata rivestita di cristallini, splendenti schisti di zolfo e di salgemma, di stalattiti. C’erano le due fontane: una rettangolare, ad abbeverarvi  i cavalli; l’altra rotonda, grande, in mezzo una colonna con sopra un vaso traboccante di capelvenere - e il fresco suono dell’acqua.» E la suggestione si accende di erotismo - insolito in Sciascia - ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle villeggiature di quella grande famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle feste; delle colazioni sull’erba in cui tra i lini e gli argenti, nel profumo delle magnolie, e luminose e profumate come magnolie, donne di mai più vista bellezza splendevano; delle carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei cavalieri, dei lacché, degli stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo usuale velo pudico [pag. 11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni sera, - confida - alla stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che fa da sfondo all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come un ventaglio, quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di stelle e con la luna così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare come un gong.»



Ma una cronaca meno ammaliante, anzi prosaicamente meschina, la possediamo e riguarda proprio quella grande famiglia. Citiamola, senza orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23 novembre ultimo scorso, la contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di più malfattori. Il fatto che quattro persone armate, eransi rivolte giorni prima per la casina dei ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono dalla rete dandosi alla fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina Francesco, erasi pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di portarsi in quelle campagne.

« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone armate si presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig. Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il comandante dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4 banditi: due però riescono a scappare, ma non vanno lontano visto visto che il fratello Napoleone con Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.

«E la giunta, compresa della valorosa  azione, sul riguardo:

«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34, ammogliato senza prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di fortuna;

«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36, ammogliato e padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;

«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo di 31 anni ...

«tutti figli di Pietro di Racalmuto, arrischiarono evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori, che infestarono la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a ciascuno degli stessi, una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato sarà effigiato lo stemma di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e nell’altro lato scolpito il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA 4 dicembre 1873. CONTRADA NOCE.

« ... Questa Amministrazione accorda le seguenti ricompense pecuniarie:

«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria, contadino:

«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria, contadino;

«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto, contadino;

«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria, contadino;

«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»

Quella storiella che puzza di ipocrisia e di peculato per retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune - altro che un don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il colonnello di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai commissari dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio indispettito per tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare apparire atti eroici mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno di bagarioti, di quel sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben tratteggiato nella lettera anonima  che racconta della strusciata di piedi avverso il nuovo casino del barone Tulumello. Va notato che il prefetto stizzosamente boccia quella impudente delibera della giunta comunale di Racalmuto con queste eloquenti parole: «le insegne e medaglie dei quali possono fregiarsi i cittadini sono quelle concesse dal governo.» (nota del 25 marzo 1875). Più che un sindaco repressore della mafia, don Gasparino  emerge dai vecchi documenti come un uomo al top della cupola cui non si può impunemente far torto alcuno. Un incidente come quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e latitanti pietivano un po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si ripeté qualche tempo dopo. Riferisce il procuratore del re  alla Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma, naro, Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più serie. Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo grassazioni in un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi contadini che noi vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come accadde a pochi passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura pubblica dove vi erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto, hanno intimato al cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla vettura, li hanno fatto mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700 o 800 lire, e poi tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi disse che erano quei lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si sono già fatti sette arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do Gasparino  non lo subì passivamente: poi gli amici degli amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il maltolto e nel punire gli insolenti.

Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di spunti storici pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di Gaspare Matrona (pag. 265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per compiacere Sciascia, che però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente attendibilità e con dovizia di documenti inediti.

Un quadro disarmante viene però dal testo delle deposizioni che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al distaccamento della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon effetto e così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un deputato e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare sui massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione sedente in Racalmuto.  Trascriviamo dal fascicolo 11, sott. 8  gli «Appunti degli interrogatori tenuti dalla sottocommissione nella città di Racalmuto nel giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da presidente, Alasia, Consigliere di Stato, Cav. Luigi Gravina Deputato - Testimoni uditi:

1) Gaspare Matrona - Sindaco

2) Enrico Micali-Freri Pretore

3) Delegato di Pubblica Sicurezza

4) Bonfanti Antonio Maresciallo Carab.

5) Dr. Diego Scibetti Troise

6) Carlo Lupi

7) Giuseppe Grillo.»

Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente trascrizione stenografica:

«Racalmuto 21 Dicembre 1875.

Comm. Verga

Comm. Alasia

Deputato Gravina

                 ------

Gaspare Matrona - Sindaco di Racalmuto.

= S.P.?

“Ottime le condizioni di S.P. qui si è dato sempre il buon esempio a reprimere i birbanti. Le autorità hanno coadiuvato.

= Ammonizioni?

“Molti e bene ammonimenti. Si è visto tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic] Morello di Canicattì. E’ ritornato prima che finisse la pena. La voce pubblica dice che la prefettura l’ha fatto tornare prima per servirsene.

= Sono sorvegliati gli ammoniti?

“Non abbiamo che i Carabinieri ed a questi è affidato il servizio.

= Le autorità disimpegnano il loro ufficio?

“Sì, succede qualche cosa ma non è scossa la S.P.

= Ma la S.P. anche in campagna?

“ Parlare di Racalmuto nelle campagne non ci può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva di Favara, un altro di Girgenti e qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la classe dei solfatari che è a tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre dato braccio forte alle Autorità.

= Attriti ce ne sono?

“ Da qualche tempo in qua c’èstato qualcosa, per quistione municipale. La reale causa è la presenza di un Gesuita Padre Nalbone il quale ha suscitato degli attriti; si è messo a capo di un partito elettorale.

= Ci è partito clericale?

“E sì, ci è.

= Le Autorità si sono immischiate?

“ No ... Io come sindaco non mi sono immischiato, ma quando si è trattato di questione elettorale ho dovuto prendere parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare, qui li chiamano Canonici.

= L’amministrazione comunale?

“E’ in buone condizioni, debiti non ne abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio di consumo.

= Scuole?

Le scuole elementari, e le scuole facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole serali.

= Asili?

“ Niente.

= La sovrimposta?

“ La sovrimposta l’abbiamo per la costruzione delle vie.

= Opere Pie?

“ L?antico monte frumentario, oggi tradotto in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le congreghe che sono ricche, ho fatto di tutto per farle tradurre in opere di beneficenza, ma non ci sono riuscito.

= Amm.ne Giustizia?

“ Non ho che osservare. E’ in regola mentreché è importantissima questa Pretura.

= E l’affare fanciulli nelle zolfare?

“E’ questione grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altro.

= Produce danni fisici e morali?

“ Non quanto si crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe potersi avvalere della costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.

= Ferrovie?

“ Insiste per la linea Caldaje dicendo essere utile all’industria per lo zolfo e le saline. Dice che la strada di Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono fatte due strade intercomunali.

= Pel servizio delle imposte?

Ci sono sempre reclami, ci è deèerimento sempre e variazioni continuee nelle miniere.

= Ricchezza Mobile, ci è vessazione?

“ Si lamenta la lungheria nella via dei reclami, a me non consta che ci siano lagnanze per arbitrio dell’Agente. Io credo che il lamento non è di pagare la tassa, è di avere i vantaggi che ha il resto d’Italia, manchiamo di strade.

= Macinato?

“ Procede bene. Racalmuto è molto ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e l’affare della strada provinciale.



Pretore Enrico Micali-Freni

= S.P.?

“ S.P. non lascia nulla a desiderare. I cittadini si prestano grandemente in favore della S.P. per la scoverta dei reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il Sindaco si seppe tutto e si procedette all’arresto.

= Ammonizioni?

“ Ce ne sono molte. Quelli per i quali finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto a sorveglianza è difficile perché il numero è esuberante.

= Quell’individuo Caloggero Morelli ritornato dal domicilio coatto prima del tempo?

“ Non lo so. In quanto ad ammonizioni io credo che bisognerebbe amminire meno.

= Partiti?

“ Ci è un partito che cerca spiantare l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito attuale stia bene al potere.

= Chi è capo del partito contrario?

“ Il fratello dell’attuale Sindaco il quale per non comparire mette avanti il barone Tulumello.

= Altri servizi? Imposte?

“ Procedono regolarmente; le Autorità non sono ostacolate.

= Ma le campagne sono sicure?

“ Ci sono piccole grassazioni. Io feci fare degli arresti dei sospetti ed ora stiamo bene. Sono giovanotti che lavorano molto, guadagnano, giocano e bevono. I carabinieri sono ottimi.

Delegato di S.P.

[E’ in missione di delegato da due mesi. La S.P. è migliorata. Parla delle piccole grassazioni e degli arresti fatti e dell’arresto fatto per lettera di scrocco di un tale di Bagheria. La classe intelligente aiuta le autorità. E’ tornato qualcuno dal domicilio coatto.]

= Se con condotta regolare dal loro ritorno? E Calloggero Morelli?

“ L’adopero qualche volta come confidente, perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore. Sino ad ora un bel servizio non l’ha ancora reso.

= Partiti?

“ Matrona attuale sindaco e l’altro Tulumello.

= E lei cosa crede?

“ Credo che se trionfa l’altro il bene del paese non ci guadagnerebbe certo.

= Amministrazione della giustizia?

“ Nessun reclamo.

Bonfanti Antonio - Maresciallo dei Carabinieri

 = S.P.?

“ Non è cattiva. Vi è stata qualche cosa perché ora giocano molto. Io credo che tra gli arrestati vi siano i rei delle grassazioni. Io questi li ho visti sempre giocare, con delle donne, anche nelle bettole.

= Ma non ci sono ammoniti?

“ Come si può? Gli ammoniti sono 61 e noi siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è facile, ci è un sindaco ottimo ed ha un partito di ottima gente.

Dott. Diego Scibetti-Troise - Consigliere Comunale

“ Raccomando le ferrovie delle Caldaje per Canicattì. Vorrebbero che più sorvegliata la classe dei forestieri che vengono a lavorare in Racalmuto. Aumentare la forza per sorvegliarli e mettere le librette.

= Crede nocivo ai fanciulli il lavoro delle miniere?

“ Non soffrono molto. Si sa che il peso che portano sempre loro nuoce. Il paese reclama che non si pensi all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica, non vi sono che scuole elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose di lusso e fare il palazzo.

= Ma le poteva fare, non vi sono debiti?

“ Debiti non appariscono ma ci sono. Di 100.000 lire che furono stanziate per spese se ne sono spese 87.000 per la sola casa comunale, circa 40.000 per la casa dei carabinieri; quindi i debiti ci sono. [Dice che sarebbe inutile la via di Favara].

= Ma le elezioni si fanno regolarmente, le liste sono ben fatte? Che cosa può fare in questo la Commissione d’inchiesta? Si sa che il sindaco deve avere la maggioranza; prendete voi il di sopra!

In fatti di S.P. si aiuta l’Autorità?

“ Siamo tutti uniti nell’ajutare l’Autorità, in quel caso termina ogni idea di partito. Ma nel Consiglio ci vorrebbe altri.

= Che?

“ Io ritengo di sì. La pretura, il delegato, i carabinieri fanno il loro dovere.

= Imposte?

“ Niente ... Abbiamo ottimo esattore.

= Macinato?

“ Niente.

Carlo Lupi

= L’Amministrazione comunale?

“ Va benissimo l’amministrazione comunale perché il sindaco è ottimo.

= S.P.?

“ Nell’interno è ottima ma nelle campagne ci è qualcosa.

= Le ammonizioni procedono bene?

“ Sì.

= I carabinieri?

“ Ottimi.

= Elezioni, imposte?

“ Niente

= A’ altro da dire?

“ [Parla del Matrona fratello del sindaco che è un clericale, nemico di ogni progresso.

= Ma per la casa ci è debito?

“ No.

= E’ forte il partito Matrona?

“ Non tanto ... Il Matrona ed il gesuita che venne qui, hanno cercato minare il paese. Il Matrona accusa il Municipio di aver fatta la strada comunale per andare commodamente al suo podere.

= Ma si lagna il partito contrario per la mancanza di scuola tecnica?

“ La scuola tecnica non avrebbe che un solo allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza di allievi.

= La scuola elementare quanti allivi ha?

“ Oggi sono dodici.



Giuseppe Grillo Cavallaro

 S.P.?

“ Qualche cosa succede raramente.

= Imposte?

“ Niente a deplorare.

= Partiti?

“ Sì per ambizione.»

Pubblicato da  Calogero Taverna     a  04:43      Link

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