In coincidenza del grido di rabbia rappresa del 6 agosto, 27 sette anni dopo, come ad un brindisi della sua contestata elezione a membro del CdA della Fondazione, egregio dottor Cavallaro, la farebbe lei una sorta di tavola rotonda per "fare i conti con un certo candore", prendendo empito dall'odierno articolo di Carbone? Lei potrebbe portare a Racalmuto il gotha della carta stampata da Sorge a De Aglio, dallo stesso Nando Della Chiesa accompagnato dal suo amico nostro compaesano l'Editore Garlisi a Buttafuoco, forse a Ferrara e altri noti opinionisti. Se fa questo potrei forse anch'io passare sul suo carro magari per seguire la moda di correre in soccorso del vincitore.
Illudendomi le segnalo quest'articolo che ovviamente derido, ma così per essere anch'io bipartizan.
o RT @Libero_official:
Al Grinzane c'era pure Ezio Mauro. Poteva non sapere dei soldi in nero? fb.me/20PMWkO6t
15 hours ago
Leonardo Sciascia, il Palazzo e i Professionisti
dell’Antimafia. Ma che schifo!
Pubblicato:
28 marzo 2012 in ITALIA
Tag:Corriere della Sera, Il giorno della civetta, Leoluca Orlando, Leonardo Sciascia, Mafia, Paese d'ombre, Paolo Borsellino, Pier Luigi Battista, Professionisti dell'antimafia, Roberto Carta, Sicilia
Tag:Corriere della Sera, Il giorno della civetta, Leoluca Orlando, Leonardo Sciascia, Mafia, Paese d'ombre, Paolo Borsellino, Pier Luigi Battista, Professionisti dell'antimafia, Roberto Carta, Sicilia
Paolo
Borsellino con Leonardo Sciascia
Oggi scrivo di Mafia e di Leonardo Sciascia,
approfitto del commissariamento di alcuni comuni italiani per infiltrazioni
mafiose, tra cui Racalmuto paese natio dello scrittore siciliano, per
affrontare un tema quanto mai complesso. Su Repubblica e La Stampa,
prendendo spunto dalla notizia, sabato scorso (24 marzo 2012) sono stati
dedicati degli approfondimenti sull’insegnamento morale e letterario di
Sciascia. Il Corriere della Sera si è limitato a una tiepida nota.
L’intellettuale di Racalmuto è noto al grande pubblico per dei celebri passaggi
di scrittura presenti ne Il giorno della civetta, «Io –
proseguì don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo
l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento,
la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con
rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i
mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E
invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini
che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora
di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i
quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la
loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… […]».
Ancora, sempre ne Il giorno della Civetta, «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma…».
Ancora, sempre ne Il giorno della Civetta, «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma…».
A me interessa ricordarlo per un altro scritto, non si
tratta di un romanzo ma di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del
10 gennaio 1987, dal titolo «I professionisti dell’antimafia». Il tema è
quello dell’antimafia come strumento di potere, una linea che discende dal noto
Prefetto Mori che sotto il fascismo divenne potentissimo combattendo la Mafia
senza comunque estirparla. Che l’antimafia diventi potere, secondo Sciascia,
può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e
spirito critico mancando. L’intellettuale simbolo della Sicilia scelse due casi
esemplari: il politico Leoluca Orlando e il magistrato Paolo Borsellino. Per il
primo sosteneva che fosse sufficiente proclamarsi antimafioso per diventare un
Sindaco inattaccabile dentro e fuori il partito. «…Anche se dedicherà tutto
il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei
problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese,
in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può
considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente,
oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal
di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere
un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione?
Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere
marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno».
Per il secondo, invece, la questione è ancora più complicata. A Paolo Borsellino viene assegnato il posto di Procuratore della Repubblica a Marsala per la specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare. Questo a discapito di un collega magistrato più anziano, definito «magistrato gentiluomo» nella motivazione dell’assegnazione, a cui teoricamente sarebbe spettato il posto. Conclude così Sciascia «I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di «magistrato gentiluomo», c’è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?».
Questo articolo scatenò un finimondo, divise la Sicilia e con essa l’Italia. Un articolo spartiacque, scritto dall’autore che aveva insegnato a leggere la mafia a un paio di generazioni e che quindi si sarebbe prestato a meraviglia per essere usato contro il nascente movimento antimafia. Il che naturalmente accadde. Il coordinamento antimafia di Palermo mise Sciascia «ai margini della società civile» e lo definì un «quaquaraquà». Quel coordinamento antimafia era fatto da studenti stufi di terrore, da donne mai impegnate in politica, da qualche poliziotto voglioso di dare giustizia ai colleghi assassinati. Gente semplice, non intellettuali.
Ma quali erano gli schieramenti di allora? Coordinamento antimafia, il circolo «Società civile» di Milano e pochi intellettuali (Stajano, Rodotà, Rositi, oltre a Pansa) da un lato; tutti i partiti, tutti i sindacati, tutti i direttori di giornale (Scalfari escluso) con Sciascia, annodati in un intreccio surreale, che combinava complicità, omertà di partito, desiderio di una legalità mitigata, diffidenze verso i pool di magistrati nati nei processi al terrorismo. Altro che il vuoto intorno a Sciascia. Pochi e con poco potere contro un intero sistema.
Per il secondo, invece, la questione è ancora più complicata. A Paolo Borsellino viene assegnato il posto di Procuratore della Repubblica a Marsala per la specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare. Questo a discapito di un collega magistrato più anziano, definito «magistrato gentiluomo» nella motivazione dell’assegnazione, a cui teoricamente sarebbe spettato il posto. Conclude così Sciascia «I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di «magistrato gentiluomo», c’è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?».
Questo articolo scatenò un finimondo, divise la Sicilia e con essa l’Italia. Un articolo spartiacque, scritto dall’autore che aveva insegnato a leggere la mafia a un paio di generazioni e che quindi si sarebbe prestato a meraviglia per essere usato contro il nascente movimento antimafia. Il che naturalmente accadde. Il coordinamento antimafia di Palermo mise Sciascia «ai margini della società civile» e lo definì un «quaquaraquà». Quel coordinamento antimafia era fatto da studenti stufi di terrore, da donne mai impegnate in politica, da qualche poliziotto voglioso di dare giustizia ai colleghi assassinati. Gente semplice, non intellettuali.
Ma quali erano gli schieramenti di allora? Coordinamento antimafia, il circolo «Società civile» di Milano e pochi intellettuali (Stajano, Rodotà, Rositi, oltre a Pansa) da un lato; tutti i partiti, tutti i sindacati, tutti i direttori di giornale (Scalfari escluso) con Sciascia, annodati in un intreccio surreale, che combinava complicità, omertà di partito, desiderio di una legalità mitigata, diffidenze verso i pool di magistrati nati nei processi al terrorismo. Altro che il vuoto intorno a Sciascia. Pochi e con poco potere contro un intero sistema.
A distanza di tanti anni viene da pensare che Sciascia
ebbe un spunto istintivo contro la retorica dell’antimafia e la possibilità,
tramite la proclamazione di eroe dell’antimafia, di agevolare carriere in
magistratura o in politica. Un po’ come quello che accade oggi con la sfida tra
il Gruppo Espresso e Berlusconi: obbligati ad ascoltare continuamente e
ossessivamente la retorica anti-berlusconiana, si arriva a provare antipatia
per questa e maggiore simpatia per l’uomo di Arcore. Borsellino, nel suo ultimo
discorso pubblico, affermò con stizza che l’ostruzionismo contro lui e Falcone
nacque con l’articolo sui professionisti dell’antimafia.
Mi restano dei dubbi. Sciascia sapeva che la Mafia era mutata? Che non era più quella da lui descritta decenni prima (Buscetta docet) in Il giorno della civetta? Sapeva cosa voleva dire Corleone dentro Cosa Nostra? Possibile che avesse così sottovalutato il valore del «merito» di Paolo Borsellino a vedersi assegnato quel posto di Procuratore, al di là dei primati per «anzianità» di altri colleghi? Possibile che ritenesse Borsellino un esponente di quella retorica dell’antimafia antipatica e fastidiosa che sembra di più la cifra di Leoluca Orlando?
Corsi e ricorsi, il 2 gennaio 2006 Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, a seguito di due precedenti articoli di Attilio Bolzoni su Repubblica e di Sandra Amurri sull’Unità, riprende la polemica e chiede a chi vent’anni fa criticò Sciascia di chiedere scusa allo scrittore. Interviene anche Piero Ostellino, che da direttore del Corriere vent’anni fa curò la regia giornalistica dell’intervento di Sciascia.
Per difendere Sciascia si mosse (e si muove) uno schieramento compatto e bipartisan di giornalisti, intellettuali, politici, di destra e di sinistra (fino a Rossana Rossanda sul Manifesto). I toni sono da difesa della libertà d’espressione contro la dittatura della maggioranza, da battaglia contro il conformismo dell’antimafia. Insomma, Berlusconiani molto prima di Berlusconi. Che schifo!
Mi restano dei dubbi. Sciascia sapeva che la Mafia era mutata? Che non era più quella da lui descritta decenni prima (Buscetta docet) in Il giorno della civetta? Sapeva cosa voleva dire Corleone dentro Cosa Nostra? Possibile che avesse così sottovalutato il valore del «merito» di Paolo Borsellino a vedersi assegnato quel posto di Procuratore, al di là dei primati per «anzianità» di altri colleghi? Possibile che ritenesse Borsellino un esponente di quella retorica dell’antimafia antipatica e fastidiosa che sembra di più la cifra di Leoluca Orlando?
Corsi e ricorsi, il 2 gennaio 2006 Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, a seguito di due precedenti articoli di Attilio Bolzoni su Repubblica e di Sandra Amurri sull’Unità, riprende la polemica e chiede a chi vent’anni fa criticò Sciascia di chiedere scusa allo scrittore. Interviene anche Piero Ostellino, che da direttore del Corriere vent’anni fa curò la regia giornalistica dell’intervento di Sciascia.
Per difendere Sciascia si mosse (e si muove) uno schieramento compatto e bipartisan di giornalisti, intellettuali, politici, di destra e di sinistra (fino a Rossana Rossanda sul Manifesto). I toni sono da difesa della libertà d’espressione contro la dittatura della maggioranza, da battaglia contro il conformismo dell’antimafia. Insomma, Berlusconiani molto prima di Berlusconi. Che schifo!
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