L’arciprete
«risiede ed amministra la cura dell’Anime per se stesso e li suoi coadiutori
sono il rev.do sac. D. Francesco Torretta ed il rev.do sac. D. Leonardo La
Matina cui le si somministrano onze 12». Due chieri sono inoltre al servizio
della Matrice, a pagamento.
Ancor oggi
sono godibili i libri parrocchiali, in definitiva per l’amorevole cura
dell’arciprete Algozini, guarda caso: non era neppure racalmutese. Trattasi dei
seguenti libri: «parrocchiali, cioè de Battezati, de Matrimonij, dello stato
dell’Anime (invero, al momento v’è un salto delle numerazioni delle anime
passandosi da quella del 1654 a quella del 1755), de morti, osservando il
metodo prescitto dal rituale romano con alfabettarsi; libri de confermati non
si ha ritrovato per quante diligenze abbia fatto.»
“Sermoni
pastorali” ogni domenica e tutte le feste comandate; la dottrina cristiana
viene insegnata il dopo pranzo di tutte le feste dall’arciprete che si serve “della dottrina di Bellarmino in
volgare per li figlioli" ” del "catechismo romano" per gli
adulti. Una menda: “non v’è scola per la dottrina”.
Ancor oggi
ammiriamo il primo libro delle “denuncie da farsi al popolo” che è proprio
dell’Algozini: ivi «ogni domenica si denunciano tutte le feste e vigilie e si
pubblicano gli editti del vescovo e del S.to Officio”. Quest’ultima
denominazione – che avrebbe fatto drizzare le orecchie di Sciascia – resta solo
un flatus vocis, visto che nulla di orripilante è dato di rintracciare nel
citato volume parrocchiale. Leggiamo, ad esempio, questo tediosissimo bando
(come si vedrà non vi è nulla degno della Santa Inquisizione, almeno nella
versione ormai corrente): «Avendo pervenuto alla notizia del Procuratore
Generale de’ Santi Luoghi di Gerusalemme che molte persone abbiano detenuto,
impedito, occupato, sottratto, et in altro uso
convertito l’elemosine, legati, denari, ed altri, in qualsivoglia modo
spettanti a detti Santi Luoghi, essendovi anche di tal occupazione, detenzione,
sottrazione et impedimento scienti alcune persone i quali per rispetto umano
non vogliono rivelarlo, per ordine di Monsignore Ill.mo vescovo di Girgenti si
fa canonica monizione a tutte le suddette persone che dovessero rivelare, e ciò
fra il termine di giorni 15, cinque de’quali se l’assegnano per il 1° termine,
5 per il 2° e 5 per il 3°, quale spirato e non fatti li suddetti riveli si
procederà da esso Mons. Vescovo e Sua E.C.V. alla fulminazione della sentenza
della scomunica contro li scienti e non revelanti li detinenti, occupanti,
impedienti e sottraenti l’elemosine dìsuddette. – 1731 Xa ind.
Ottobre.» L’avrà spegato l’arciprete
Algozini a quei basiti contadini racalmutesi, tutti alla messa della domenica?
Se no, davvero avevano poco da capire. Così come anche noi stentiamo a scoprire
le ragioni che spingono il “devoto e santo vescovo” Gioieni a quelle veementi
minacce di scomunica … contro ignoti. A meno che, dopo l’interdetto, erano
proprio i preti locali ad accaparrarsi i proventi della vendita delle bolle
della crociata; in questo caso erano davvero faccende interne e prudenza voleva
che si si facesse scandalo. Avrà l’Algozini farfugliato qualcosa per non
disobbedire al vescovo ed al contempo non disorientare i suoi parrocchiani, i
nostri antenati?
In quel periodo approda a Racalmuto M° Filippo Agostino
Bianco ed intende sposare “Marca Peri, schetta, figlia legittima e naturale di
M° Rosario e Vita Peri di questa suddetta terra di Racalmuto.» Il cognome
Bianco fu celebre anche ai miei tempi per la spiccata personalità di don
Pasqualino. Il Pepi è patronimico scomparso da Racalmuto a memoria d’uomo. Mastro Filippo Bianco era
stato davvero un girovago e fu fatica improba per l’amanuense della Matrice
trascrivere tutti quei toponimi esteri in cui il nubendo aveva dimorato più o
meno a lungo: dalla Plagia del Marchesato di Brandeburgo alla terra di Aisein,
ove si recò quando aveva 29 anni; «indi andò a travagliare da lavorante» in un
paio di città estere e dopo finì a Proohoki per approdare a Vienna, passare in
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