APPROCCIO
CRITICO ALLA STORIA DI RACALMUTO
di Calogero TAVERNA
Le vicende di Racalmuto possono
venire ricostruite con amore, con passione, con interesse ma criticamente,
spregiudicatamente spazzando via tutti quegli “idola” della ingenua tradizione
locale o della mistificante letteratura degli autori paesani.
E’ una Racalmuto che va vista con
occhi critici e razionali. Non può certo avvalorarsi la saga della venuta della
Madonna del Monte del 1503, così come,
in buona fede, non può affermarsi che vi siano state tasse per uzzolo dei Del Carretto con buona pace
del “terraggio e terraggiolo” secondo la deformazione del pur sommo Leonardo
Sciascia. Noi valutiamo piuttosto positivamente la presenza del Del Carretto a
Racalmuto. Reputiamo fucina di cultura clero locale, organizzazione
parrocchiale, atteggiamenti della fede nel sorgere e nell’abbellimento di
chiese, negli insediamenti di conventi, nel diffondersi di confraternite.
A tanti non interesserà - ma ad
alcuni racalmutesi sì - sapere chi erano a quel tempo i “mastri” ed i “magnifici”; quanti erano “jurnatara”; se
vi erano “facchini” (e ce n’erano); come erano pagati; chi si poteva permettere
di mangiare “salsizzi” e chi doveva accontentarsi dei residui del porco; se le
donnette (come ai miei tempi del resto) potevano tenere per strada “gaddrini” e
“gaddruzzi” ed apprendere che vi era l’imposizione del conte di una “tassa in
natura” su quest’uso (l’offerta di una gallina e di un galletto al castello a
prezzo calmierato), e via di seguito.
L’Archivio di Stato di custodisce
ben n° 69 Rolli di atti notarili che minuziosamente scandiscono la vita paesana
di Racalmuto dal 1561 al 1608; n.° 71 per il periodo 1600-1707, n.° 195 per il
tempo 1700-1816; n.° 56 per il tratto 1801-1860.
Quel materiale archivistico è
praticamente ignoto. Tolta qualche curiosità di padre Alessi che ebbe a
cercarvi con l’ausilio di un paleografo atti per il suo Pietro d’Asaro, la
cronaca diuturna di Racalmuto vi si sta polverizzando.
La vendita di un mulo, la cessione
di una “jnizza”, la suggiogazione di una casa, il “pitazzu” di un “inguaggiu”,
vita, morte, sposalizio, tasse, risse, organizzazioni sociali, ruolo di preti
monaci e chierici, rettori e governatori di confraternite, il pulsare della
vita economica, sociale e religiosa di ogni giorno della Racalmuto del tempo,
il suo espandersi demografico ed il suo drammatico falcidiarsi per l’esplodere
di pesti, tutto ciò è il vivido quadro che i polverosi registri notarili non
rivelano per la neghittosità degli storici racalmutesi. Ed i politici
potrebbero ovviarvi: penso a cooperative di giovani, a sovvenzioni pubbliche
comunali volte a finanziare ricerche d’archivio, a scuole di paleografia -
giacché leggere quei documenti non è da tutti
- , ad incentivi economici; a borse di studio etc.
Sciascia redarguisce
compiacentemente Tinebra Martorana che si produsse in una smaccata falsità a
proposito della Racalmuto araba; egli spreca una delle sue splendide metafore
elevando il falso del Tinebra ad una «tentazione dell’accensione visionaria,
fantastica». E ciò nonostante, per Sciascia il libro del Martorana che degna di
una sua alata presentazione, «va bene così com’è: col gusto e il sentimento
degli anni in cui fu scritto e degli anni che aveva l’autore, con l’aura romantica
e un tantino melodrammatica che vi trascorre. Certo manca di metodo, e tante
cose vi mancano: ma credo che molti racalmutesi debbano a questo piccolo libro
l’acquisizione di un rapporto più intrinseco e profondo col luogo in cui sono
nati, nel riverbero del passato sulle
cose presenti.»
Ma davvero il popolo di Racalmuto è
così disavvertito da aver bisogno di frottole e scempiaggini per percepire ed
amare il riverbero del suo passato storico, il richiamo ancestrale della sua
memoria più vera e più pulsante?
Francamente credo di
no e queste note - bando alle ipocrisie - hanno un suo codice genetico, una sua
cifra culturale ed una sua vocazione storica di segno opposto non solo rispetto
a Sciascia ma anche a Tinebra Martorana, a Serafino Messana, ad Eugenio
Napoleone Messana, al poeta Padalino, ai tanti esimi sacerdoti che semper sacerdos secundum ordinem
Melchisedech hanno scritto di storia racalmutese volti alle cose di Dio ed
al forzoso rinvenimento dell’onnipotente presenza nelle misere cose dell’umano
dissolversi racalmutese.
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