Gentile improbabile visitatore, se vuoi guatare davvero
questo (lunghissimo) post, ti prego stampalo e portatelo a letto per leggerlo
sfogliando noiosissimi fogli A4. L’eruditissimo ma non altrettanto colto
Bufalino, costretto a chiosare una banale raccolta di foto di un dimesso
Leonardo da Racalmuto, volle nobilitarsi così:
«Pochi mesi prima di
morire Sciascia mi regalò un libro prezioso,
Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, di Paul Valéry, con dedica
autografa dell’autore all’amico poeta Paul Jean Toulet, condannato a letto in
quel tempo (1919) da una malattia senza scampo. A lire au lit, cioè ‘da leggere a letto?, recitava la dedica …»
Ed anche noi – ma senza spocchia – avvertiamo: da leggere
aletto, se non si riesce a prendere sonno. Dinanzi ad un monitor non si può.
Quel che segue vuole essere addirittura una Summa Haeretica di un diavolo
addottrinato (Mefistofele) contro un suo sodale materialone (Mammona).
Residuati moralistici e persino evangelici (E’ più facile che un cammello….)
contro un perfido mondo che parla anglosassone per superfetazioni truffaldine
ma di ingenti importi. E dire che quest’ultimo mondo in qualche modo se non mi
appartiene è stato prodigo di prebende per avere i miei servizi – a dire il
vero più letterari che contabili.
Questa estate mi incalzo per la improvvida chiusura della
nobile Filiale della Banca d’Italia di Rieti. Un centro di cultura bancaria, vi
passò gente che poi a Roma diede lustro all’intero ispettorato Vigilanza ed
oggi dà savi consigli al meglio del mondo bancario. Scrissi una protesta al
Governatore. Lì per lì non mi rispose. Come prima, più di prima mi - dissi.
Venne Natale ed invece di una bella agenda ricevetti un semplice ma
personalizzato biglietto augurale come già giovanissimo pensionato da giovanissimo
Ispettore di vigilanza. Mi commosse. Si vede che il mio vecchio cuore arido sa
ancora lagrimare. Ringraziai il mittente, nientemeno che il signor nuovo
Governatore dottore Ignazio Visco, che ha fama di essere rosso, come lo fui e
lo sono ancora io. Dopo manco un mese mi rispose e rispose anche in uno con il
contrappunto alla mia insolenza sulla indebita e miope chiusura della filiale
di Rieti.
Cortese ma vago nella prima risposta, echeggiante vecchie e
dissolventi teorie conservatrici nella seconda. Venire a dire che la Banca
d’Italia deve agire come una banale società per azioni con l’obbligo di
impostare il conto economico con la ferrea regola del “costo/beneficio”, è come
dire chiudiamo lo Stato perché in deficit di bilancio.
Da lì, nel durante ed ora nel presente ho imbastito una serie
di post, di commenti, di appunti e di contrappunti da eretico bancario di
vecchia data quale sono stato e quale ancora qualcuno mi crede, con mio sommo
orgoglio.
Facendone una silloge con qualche nesso temporale, propongo
qui il tutto. Perdono.
Una mia nota, pubblicata su giornali stampati e on line
recitava:
Ill.mo Signor Governatore dottor
Visco, se Le dico che sono l’ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo
un sorriso: Carneade chi era costui.
Avventuroso siciliano bazzico di
questi tempi la citta di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e
mi dicono in vendita alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale
BI. La realtà reatina è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o
con la stessa provincia di Roma.
Non riesco a comprendere come si
proceda ad obnubilare, per discutibili lesine sulla spesa, gloriose
istituzioni. Una sede provinciale è centro propulsivo propugna iniziative
oculate e crea cultura, lega la periferia al centro, corregge distorsioni di
ordine negli affari bancari e finanziari, svolge una vigilanza a stretto
contatto con il territorio, al momento del
loro insorgere ed altro, altro ancora. Giammai è vacuità dispersiva di fondi
pubblici. Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il
brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito
faccende di “interesse pubblico”,espressione che non convinceva i legulei ma
che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi.
Visto che in questo momento né chiesa
né palazzo Chigi si sono potuti impossessare dello
scranno di via Nazionale 91, La prego
Signor Governatore si conceda una pausa di riflessione, si convinca che
risparmi per riforme dissennate ed “incolte” vanno dismessi. Gli “americani”
che sono approdati a palazzo Koch vanno rettificati, corretti, ripensati e i
loro errori gestionali devono essere superati ripristinando l’autoctona cultura
italiana.
E ciò glielo dico da Sinistra. Riapra
Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il Paese gliene
sarebbe grato.
22 agosto 2012
Credo che una lettera così non possa del tutto venire
considerata la solita fregola del pensionato che vuole ancora dire la sua e
scrive ai direttori di giornali che subito cestinano. Ci fu un certo silenzio,
ma alla fine venne da Palazzo Koch una qualche risposta:
Lusingatissimo per l’onore di una risposta che il signor
Governatore mi aveva dispenato (cosa più unica che rara) ma non soddisfatto del
contenuto della seconda parte della pregiata lettera. Risposi a modo mio,
scrivendo con qualche libertà sul mio blog. L’avrà letta il signor Governatore
la mia noterella come al solito alquanto saccentucola? Mah!
Eccola comunque: (vedi preedente post)
Nei pressi del Natale scorso, ricevuta una sostituzione della
consueta strenna, ma stavolta in forma personalizzata ed intimista, riscrissi
al signor governatore Ignazio Visco. Ne ho pubblicato il testo, ma emendato
dalle confidenze che mi permettevo.
Tante volte avevo scritto ai miei ex superiori. Lo avevo
fatto con Ossola, l’avevo fatto con De Sario, l’avevo fatto con Finocchiaro,
l’avevo fatto soprattutto con Fazio: mai un rigo di risposta. Non mi degnavano.
Ma mentre me ne stavo in Sicilia, nel paese di Leonardo Sciascia,
ecco una splendida sorpresa: mia moglie mi legge per filo un carinissimo
pensiero personale nientemeno che del signor governatore Ignazio VISCO.
Codesta lettera per
buona educazione dovrei tenermela riservatissima. Ma a me li stullicherie della
buona borghesia mi danno fastidio. Io la pubblicai. Spero che il governatore
non se ne abbia a male. Non posso dire che sono in buonafede .. in fondo mi
sento dispensato da ogni obbligo di riservatezza perché trattasi di gesto
gentile, signorile, democratico, rispettoso che segna un nuovo deal in Banca
d’Italia. Ecco un segno che qualcosa sta cambiando in questo glorioso istituto
con sede in via Nazionale 91 Roma. Che a dire il vero si stava sclerotizzando.
Mi attiravo questa sera un sorriso compiacente di una bella signora (ed a me le
donne piacciono anche se sono fedelissimo a mia moglie; se leggete La Donna del
Mossad saprete che assieme a De Sario ero l’unico monogamo dell’Ispettorato
Vigilanza) facendole la genealogia dei successori nel massimo scranno di Via
Nazionale, come per i papi a San Paolo fuori le mura. Tralasciamo i papi o gli
antipapi dell’epoca fascista, dell’occupazione di Roma e partiamo dall’economo
(sic) Einaudi (Andreini veniva malamente sbertucciato dalla signora
governatrice quando si azzardava a lamentare il costo della bistecca per
ottenere una busta in nero in più per il personale: la famiglia Einaudi correva
il rischio di non mangiare più carne). Eccoci Menichella, cupo, serio o tetro
nel parlare con De Gasperi ed altri d’altissimo loco, che pur di non fare
strabordare il pinguissimo bilancio della banca di ultima istanza non assunse
laureati per vent’anni. In Banca d’Italia si assumevano quindi solo applicati,
uscieri e cassieri, semplici principali e centrali che figli di generali e
dintorni andavano a lavorare in tight e cravattino. Certo poteva scapparci che
nel liquidare certi assi ereditari in contanti chiedevano se c’erano tutti i DE
CUIUS.
Venne Carli e fu il
Risorgimento. Questa Italia non più contadina, non più pezzente, euforica,
persino opulenta si deve alla ingegneria finanziaria del principe
rinascimentale Guido Carli. Poi la notte dei lunghi coltelli del settembre
1974. Caso Sindona e Occhiuto che non vuole saperne di assistenze dissipatrici
e si rivolta contro il nordico antagonista di due gradi superiore a lui, ma
inidoneo a tenergli testa. Un senescente Baffi che passa dai libri ad un doppio
talamo avrà gli osanna di chi glieli vorrà tributare, ma non i miei. Quando una
volta ebbi a dovergli fare da commensale (i signori del Direttorio pensavano di
democratizzarsi stando seduti nella frugale mensa aziendale - ma in stanzette
riservate – con quattro o cinque della carriera direttiva): Oh! Ma lei è quello
che l’avvocato Sindona la redarguisce con un “un tal Calogero Taverna”. La mia
carriera era finita! Fece nervoso andarivieni per una intera notte preparandosi
atterrito come uno studentello per il giorno dopo, convocato da Alibrandi. Ma
Alibrandi fu cortesissimo: si alzò in piedi e andò ad ossequiarlo.
L’interrogatorio fu un rispettosissimo declinare le generalità e il magistrato
si scusò persino per l’incomodo.
Lascio Ercolani alle
sue conquiste, anche ad ottant’anni e mi dovrei dilungare nell’ossequio a
Ciampi: diciamo che nessun grande uomo è grande per la sua cameriera ed io
cameriere di codesti grandi uomini lo sono stato. Non fatemi parlare, finirei
inquisito per vilipendio. Certo io a Ciampi glie ne ho dette .. ma lui me ne ha
date. Chiamerei a testimoniare persino Sarcinelli.
Che dire di Fazio? In
questi ultimi tempi mi ero persino impegnato a difenderlo, ma uno sciagurato
Confiteor con risposte in latino ad un abile Mucchetti ha rovinato tutto: una
condanna definitiva ed un rinvio al secondo grado da parte della Cassazione lo
stanno squartando anche finanziariamente, persino il grande avvocato deve
pagare di tasca sua: la Banca d’Italia non intende accollarsi spese legali di
sorta.
Sull’americanino Gradi
che debbo dire? Non è che l’occultamento di derivati dalla finanza creativa di
provenienza statunitense si deve a questo ex direttore generale del tesoro,
emigrato in America e ritornato come estraneo ai vertici dell’ex istituto di
emissione.
Ora che la Tarantola
non è finita al top di via Nazionale per predilezione cardinalizia e per
volontà del novello uomo della provvidenza un tal Silvio, insufflato da un tal
Giulio junior e al suo posto per un mancato regolamento dell’art. 19 ci sta il
dottor Ignazio Visco io comincio a rasserenarmi. E’ uomo avveduto e colto, sa
davvero di economia, è integro, educato e con qualche venatura rossa che ai
miei occhi non guasta. Il MPS non gli appartiene: non è toscano, non è
livornese, non è triglia. L’Italia può ben sperare. I dipendenti della Banca
d’Italia un po’meno: si è messo in testa che la parsimonia si addice all’Istituto
che una volta emetteva carta moneta. Non mi piace che ogni lunedì nella sua
sede di via XX settembre in quella strana cassa che si dice di sovvenzioni, c’è
la fila da parte di postulanti qualche migliaio di euro chiesti in prestito
sotto forma di apercredito.
Quello che Visco mi
dice in risposta ai miei convenevoli (si fa per dire) l’accetto di buon grado e
ringrazio. Peccato che non ho figli, diversamente quella elegante lettera
gliela avrei lasciato come cespite di altissimo valore.
Quanto alla risposta
per Rieti, sono molto costernato ma debbo dire che non sono d’accordo: se la
Banca d’Italia ragiona con il metro mercantilistico dei costi/benefici scade in
banale organismo con l’obbligo del profitto. E mi si dice che di questi tempi manco
il conto economico riesce più a chiudere. Scempiaggine: mi chiamino e in
quattro e quattr’otto pinguissimo ritorna il saldo sotto la linea patrimoniale.
Certo quando la Tarantola faceva la ragioniera le cose sballottavano. Vi sento
puzza qui di vecchia gestione, alla Finocchiaro per intenderci. No! Signor
governatore non si faccia infinocchiare: si sa che questo non è il suo campo.
Non si fidi degli eredi dell’uomo che impoverì i dipendenti creando un
ribellismo nella compagine impiegatizia che tanto ha contribuito al
deterioramento del buon nome dell’istituto. Esiste l’Istituto della mobilità;
non occorre licenziare basta spostare. Ai tempi di Carli (meglio di Occhiuto)
l’ispettore capo alla Vigilanza come cambiava e come migliorava il Servizio.
Inopinatamente, improvvisamente, inspiegabilmente LOTTA
CONTINUA nell’ultimo trimestre del 1979 sfodera questa inchiesta su Sindona,
svelandone giochi e corruttele, intrecci di fissati bollati e compiacenze
ministeriali, politiche persino in zone insospettabili della più pulita e
massonica finanza. Intrecci con INPS e dintorni. Poi un libro SOLDI TRUCCATI di
LOMBARD. Chi era Lombard? A distanza di... una decina di anni dalla sua morte
posso svelarne i dati anagrafici. ROMANO GATTONI, in ultimo ispettore di
Vigilanza della Banca d’Italia, apparteneva ad una buona famiglia della media
borghesia napoletana. Era entrato in Banca d’Italia vincendo un concorso a a
segretario in esperimento. Quasi barbone, orbitante nel clan Boato-De
Aglio-Mimmo Pinto era non molto gradito alla perbenista dirigenza dell’istituto
di emissione. Veniva tenuto d’occhio ma non fu scomunicato. Emulo del trio
Micossi-Frasca-De Mattia – la 127 delle mie ironie; primo secondo e settimo in
un’alta graduatoria di elevati al rango dell’alta dirigenza BANKITALIA, Gattoni
ne fu del tutto escluso ed anche se dell’estrema sinistra si arrabbiò davvero.
Finì in Vigilanza ma distaccato presso Vigna a Firenze. Un male incurabile alla
testa lo stroncò ancora giovane.
Certo molte delle cose scritte o firmate a Lotta Continua o nei SOLDI TRUCCATI non poteva saperle di suo. Si disse che fummo sodali, ma non ebbi mai a confermarlo neppure dinanzi ai giudici. Una cosa è certa:quell’inchiesta e quel libro cambiarono la storia economica finanziaria e bancaria d’Italia. Il libro ebbe fulminante successo. Ma dopo pochi giorni la Feltrinelli lo ritirò ed oggi è libro pressoché introvabile.
Certo molte delle cose scritte o firmate a Lotta Continua o nei SOLDI TRUCCATI non poteva saperle di suo. Si disse che fummo sodali, ma non ebbi mai a confermarlo neppure dinanzi ai giudici. Una cosa è certa:quell’inchiesta e quel libro cambiarono la storia economica finanziaria e bancaria d’Italia. Il libro ebbe fulminante successo. Ma dopo pochi giorni la Feltrinelli lo ritirò ed oggi è libro pressoché introvabile.
Economia
Irvap e Covip ed Angelo De Mattia di Calogero Taverna
Irvap e Covip ed Angelo De Mattia di Calogero Taverna
Lo confesso: a leggere la nota su MF del mio amico Angelo De Mattia su IRVAP e COVIP mi è venuto il capogiro. Pubblicata il 3 agosto, la recupero solo stamattina e un ribollire di cattivi pensieri si addensa nell’ultra mia canuta testa. Sono vecchio, lo so e sono desueto per lo meno da trent’anni, dopo certi miei Vaffa’ a Ciampi e Sarcinelli, a Somma e per converso a Pomicino ed anche a Cesare Geronzi se ci metto in mezzo la poco gloriosa Banca Mediterranea di irpinia memoria. Dovrei aggiungerci l’ingloriosa AIMA (sic!) di Via Palestro, 60.
Da trent’anni e più mi curo solo di microstoria racalmutese, magari per fare le bucce al defunto Leonardo Sciascia. Sono diventato un modestissimo, incolto, ignoto cittadinuzzo di questa gloriosa Repubblica a nome Italia. Se scrivo certe erratiche “lettere al direttore” né Belpietro né Ferrara mi degnano di un sia pure distrattissimo sguardo: eppure quando rifilavo veline e fotocopie – di per sé incomprensibili – nel settembre-novembre 1979 a Lotta Continua, cribbio se avevano successo persino in parlamento. Con quella foto del corrucciato La Malfa junior. E quando poi Feltrinelli incautamente mise in libreria Soldi Truccati – a firma Lombard, certo; ma al 70% tutto mio -, cribbio se ebbe successo quel volumaccio: in tre giorni esaurito. Dopo se ne persero le tracce e sarebbe piacevole sapere perché dopo quel primo gennaio 1980 la signora Feltrinelli censurò la pubblicazione, e dire che di soldi per finanziare Lotta Continua ne aveva dovuti sborsare tanti pur di editare lo sconcio pamphlet.
Sì, tutto questo è vero. E se mi mancano intelligenza e conoscenza per afferrare del tutto il senso recondito della stroncatura demattiana di questo malaccorto governo, la colpa è tutta mia. Ma come modestissimo cittadino di questa ancora repubblica democratica, ho diritto di capire persino cosa davvero significano Covip e Ivarp e perché mai governo camera e senato giochino a farsi i dispetti e a quanto pare persino tra gli stessi membri del governo. A prima battuta, a me sembra che gira e rigira si tratti sempre del solito Tremonti che nella sua megamania dissolvente della Banca d’Italia del cattolicissimo governatore Antonio Fazio, volle far proliferare vacue superfetazioni istituzionali per sgraffignare tutto sotto l’egida del “suo” TESORO. Se ora Angelo De Mattia tira fuori i suoi esiziali aculei (istituzionali) e mette in imbarazzo Monti e Saccomanni tanto da spingerli ad incazzate quanto ingenue smentite, beh! gatta ci cova.
Lo dico da giorni: state attenti a quello lì. E’ giunta l’ora della sua (giustissima) vendetta. Ma a Berlusconi interessa tanto difendere l’operato del suo delfino (pro tempore)? A riparazione perché non impone una grande commissione di ex grand commis alla Antonio Fazio, all’Angelo De Mattia, a Mario Sarcinelli, a Cesare Geronzi (sì, proprio lui, perché dite quel che volete, fu abile falso speculatore agli ordine della banca d’italia nel ingrato compito di fare vera ed efficace controspeculazione), a qualche silurato vice direttore generale, fatto anzitempo trasmigrare ai LINCEI, per citare solo quelli che conosco io, commissione atta a suggergire al parlamento una legge risanatrice di tutte le devastazioni, amputazioni, umiliazioni che Tremonti& C. hanno inferto alla più grande, prestigiosa, legalitaria tecnostruttura pubblica di cui può vantarsi l’Italia?
Tutta questa palcottiglia di enti, entucoli, pubblici e semi pubblici, e ci metto anche consob e agenzie varie di controllo finanziario e creditizio, a che serve se non ad avere acconsentito a qualche bleso guru del passato regime di annidarvi propri famigli, che senza tecnostrutture consolidate in esperienze ormai più che secolari stanno solo lì per certe parate televisive, ove sbadigli e sonnecchianti pose si sprecano, a disdoro di tutti, e dovendo controllare ciò che ignorano, nulla controllano. E i danni nei fondi assicurativi, nelle ruberie previdenziali ed assicurative, negli arcani giochi di borsa (giochi speculativi sovranazionali che restano ovviamente incontrastati), nelle ciarlate a tutela della privacy, nei maneggi dei giochi di stato in uno con lotto, lotterie, cartoline ruba soldi e via discorrendo, e i danni – dicevamo –sono agli occhi di tutti.
E così potrei sperare che ritorni vivida e cogente la vecchia legge bancaria a tutela del risparmio, a sostegno dell’esercizio del credito, a moderazione di costosissimi sportelli bancari – pullulanti dappertutto, per procurarsi il favore di questo o quel piccolo satrapo -, che martelli il connotato di“pubblico interesse” in ogni aspetto dell’operare bancario italiano che deve esplicarsi in una insuperabile distinzione tra la vicenda creditizia a breve e quella a lungo, che deve sottostare ad un controllo “atipico” – né qualitativo né quantitativo, a disdoro della pasticcera di Milano – il cui apice tecnico è il Governatore ma il referente è un organo interministeriale di cui peraltro fa parte lo stesso governatore, cui intatta deve restare la sua funzione valutativoa anche dei fatti aventi rilevanza penale (ex. Art. 10). E qui non smetterei, ma il resto ad altra occasione. Bando comunque a tanta ciarlataneria che sorge in quell’ottobre del 1974 quando il terrore corse sul filo ed investì soprattutto il direttorio di via nazionale 91, a seguito della furente contesa Carli-Occhiuto per la sconvolgente vicenda Sindona (di cui credo di saperne qualcosa di più degli altri, come si evince dal mio romanzetto LA DONNA DEL MOSSAD, apologo sul caso Sindona.
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