Vedo che qualche mio gentile visitatore torna indietro ed ha
curiosità sul mio contrastare persino lo stemma di Racalmuto.
Qua e là ne ho scritto ed in stile tutto mio, dadaista – vi sommergeremo in un mare di ridicolo - e ciò perché quell’uomo nudo cu la ciolla di fora mi sembra cattiva
allusione a certi non intemerati – per fortuna , non numerosi – racalmutesi.
Non sono omofobo. Ma talune oscenità di altri tempi non mi sono mai piaciute.
So persino di violenze estreme sotto la Fontana. Non c’entra la costumatezza
cattolica dei costumi; c’entra persino il buon gusto. A Racalmuto molto senso
estetico non c’è; fatta eccezione per quei cinque o sei validi gestori di
pennelli. Ce lo dobbiamo mettere in testa, senza cultura e senza erudizione non
si fa né buona pittura, né buona scrittura.
Non sono poche le minchiate
che si sono scritte sullo stemma di Racalmuto. Sciardelli mi griderà: ah! Professù, picchi vossia nn ‘nn’ ha scrittu
di minchiate. Certo, anch’io; e con
ciò?
Ma visto che il nostro stemma è una antiestetica sconcezza e
quel latino là, è come il cartiglio che di recente si è inventato il Circolo
dei Galantuomini, noi che galantuomini non siamo, perché non corriamo ai ripari?
Sciascia - quello
mirabilmente pubblicato da Sciardelli nel 1977 per la Fondazione - ci offre il destro:
«e ci sono gli orti. E queste sono le oasi, nella gran calura
del giorno; né ci manca , a darne l’illusione, la palma. La palma de oro y el azul sereno; e questo verso di Machado,
palma d’oro in campo azzurro, è diventato per me una specie di araldico simbolo
del luogo.»
E se per Leonardo Sciascia, perché mai non per noi, per noi
tutti racalmutesi, stanziali e foresti? Bello un cartiglio con il verso
spagnolo di Machado. Senza latino. Se non è inglese a me starebbe bene.
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