domenica 10 marzo 2013

Il Cicolano


IL CICOLANO

     DALLE MURA PELASGICHE AL FASCINO DELLE SPIAGGE DEL SALTO

 

 

 

Il sole spunta da dietro il picco di lu Peschiu

All’analogo suono di ALSO SPRACH ZARATHUSTRA

 

Le cineprese si invaghiscono dei degradanti paesaggi verzeggianti … dalla rocca di Petrella  con il tragico castello di Beatrice Cenci ammaliante fedifraga dannata da un papa come dal celebre quadro; giardini perenni e fiori e frutta e sublimi bellezze di una natura ridente, le avevano detto i paraninfi di quel secolo  …. Poi solitudine noia per un talamo in cui con la notte si spegneva l’avvizzito marito … quindi l’empito della delizia peccaminosa con lo stalliere aitante e ciò tra Rieti e l’Aquila in quel discendere soave, boschivo sino al Salto  ….  Riprese e musica in simbiosi …. Mentre scorrono i titoli di testa

 

Quindi un ritorno a lu Peschiu più bucolico, virgiliano. Quel Virgilio che vi si ispirò cantando et te montuosae misere in proelia

 

NERSAE

 

E Nesce è tutta là: quella nuova, minuscola, erta, inaccessibile e quella del piano: antica ROMANA  . Le cineprese vi indulgono curiose e voluttuose, penetrano nei misteri antichi di questa terra aspra, feroce, ferace (almeno un tempo) gioiosamente pagana, religiosamente terrestre.

 

Discendiamo per l’antica via romana, come taluni radi ruderi, attentamente scoperti e studiati dal grande medico di famiglia dell’epoca Domenico Lugini, attestano, anche per ora colpevolmente negletti.

 

 

Dopo l’indugiare dello sguardo dal ponte sul Lago Salto o da laggiù dalla diga sulla gola ad ovest, specie se sono finiti i titoli di testa, un salto brusco, cessa Strauss – pausa musicale, in lontananza accenni di un’arrabbiata musica moderna. Quindi un patetico Arrivederci Roma ed ecco lo sciatto ripiegare su Ponte Mammolo, tra il prosaico, dimesso arrivo delle corriere, degli sgangherati bus Roma Rieti. Parte la corriera per Borgorose. La musica si addolcisce con il patetico intermezzo dell’Ultimo Bacio. Due signore di ammaliante maturità partono per il Cicolano: una natia di quella terra; l’altra: intellettuale, poetica, donna d’arte cinematografica, vanno alla scoperta di quell’antico lembo di civiltà pre-romana (esplode qui la sinfonia dal Nuovo Mondo).

 

 Usciti dall’ultimo tunnel, lungo tortuoso, ammonitore si discende al bivio autostradale a lambire il maestoso monte della Duchessa. Appena sbirciato si espandono le lacrimose salmodie gregoriane. Siamo sotto il monte storico della Duchessa. Falsi pentiti vi stornarono forze militari alla ricerca del sequestrato Moro. Sembrava ritornati ai tempi dell’invasione nazista, con fucili mitragliatori puntati truci e minacciosi. Allora i tedeschi , liberatori di Mussolini nella vicina zona montagnosa di Rieti, ma fatti passare, incolumi,  il minuscolo re e la sua corte, pattugliavano il Cicolano fingendo di temere le incursioni partigiane di un Cariglia  notorio rastrellatore di pecore belanti. Talvacchia, segretario-sodale di Dino Grandi invece se ne stava rannicchiato in un ben murato ipogeo di Leofreni.

 

Alla Duchessa, invero, nulla c’era se non candida neve invernale, spettacolo celestiale, angelico, vergineo, immacolato:

Ecco la vera porta del Cicolano.

 

 

Le due avvenenti signore, espunti i segni del viso estenuato dal viaggio nello sgradevole mezzo Cotral, vanno al bar, per un piccolo ristoro. E’ il prossenetico albergo all’uscita autostradale per la valle del Salto.

 

Abbagliate da un esplodente sole pedemontano, le due signore si guardano, stropicciano gli occhi folgorati da troppa luce repentina ed inforcano gli ammiccanti occhiali da sole che donne astute non al tramonto sanno scegliere per ispirare e subito occultare ambigui richiami vetusti.

 

-       Ma che è ‘sta piana – esordisce la signora romanesca.

-       La piana di Corsaro. Dovrei però dire dei miei antenati, farfuglia,  colta di sorpresa, l’altra del Cicolano.

-       Come? Eravate tanto ricchi e non me l’hai mai detto.

-       Già, eravamo … eravamo.

-       Racconta, via!

-       Per quel che ne so  …. Sa tutto un mio zio acquisito!

-       Dimmi quello che sai. Tuo zio acquisito, lasciamolo per ora da parte … forse dopo chissà!

-       … mi diceva che a fine del ‘700 si affermava un contadino del luogo, uno che non è da escludere che si fosse pian piano finito di rosicchiare terre conventuali, specie delle monache di Borgo – cosa che i vescovi di allora non cessavano di lamentare col papa.                                   Di qua stato pontificio, di là stato borbonico, Regno delle due Sicilie. Le vindici voglie clericali si scontravano con la sornioneria partenopea (Regno delle due Sicilie, appunto… )

-       Come parli colta ed anche difficile

-       Ripeto a memoria le frasi  … ipotattiche di mio zio … e celio il tuo spirito di ‘sta sera a mare chiaro!

-       Mica vogliamo litigare anche qui … a casa tua … nelle tue lande feudatarie  

-       Ex … ex .. come?

-       Prosegui con la storia e lascia perdere le punzecchiature campanilistiche … anche perché gira e rigira siamo entrambe partenopee … regnicoli. Dunque dicevi?

-       Quel mio antenato aveva nome strano: SABBANTONIO. Aveva due figli GIACOMANTONIO e CELESTINO …

-       E dove l’hai letto questi pretesi tuoi nobili lombi…

-       Veramente questo l’ho letto in certi studi di SALVATORE LUCIANO BONVENTRE …

-       Buono a sapersi  … lo rintracceremo per farcele dire da lui meglio di te…

-       Perché io non so raccontare?

-       Male … molto male …

-       Allora me ne sto zitta e buonanotte ai suonatori.

-       Non fare la stronza, continua.

-       Questi due fratelli avevano anche una sorella piuttosto bisbetica, vezzo non insolito nella mia famiglia ..

-       E tu ne sei un esempio!

-       Ricambio la stronzaggine!

-        … dunque?

-       Dunque: questa sorella sposa attorno al 1750 un tale Domenicantonio DI GIOVANNI di Castelgiudeo, e o perché si sposa troppo tardi o per inidoneità di lui, muore senza figli. A chi va l’eredità avuta in dote con i suoi sonanti beni parafernali? Questa mia antenata di nome MARIANNA cova una vecchia ruggine, con i suoi familiari ce l’ha … con tanto di pitazzu scritto l’avevano superdotata di tali misteriosi beni parafernali ma poi all’atto pratico se li erano tenuti stretti stretti e la sorella ancora al momento di far testamento ristava ad aviri.

-       Bella ‘sta storia … non nuova peraltro, specie nei matrimoni combinati della media ed alta nobiltà medievale…

-       Mio zio mi dice che la vicenda si verificò tale e quale a Racalmuto nei primi anni del ‘600 con la nobile virago Donna Aldomza del Carretto …

-       Ma questa tua Marianna, una virago non mi pare ..

-       Veramente da parte maschile i miei cari antenati trottavano troppo la cavallina. Pensa che ancor oggi tanti si chiamano di Sabbantonio .. come dire figli illegittimi di mio catabisnonno.. Per non parlare dei tanti preti della mia famiglia.. molto avveduti negli affari e mai casti. Qualcuno vestiva con fibbie d’argento, azzimatissimo e pur non essendo neppure parroco nel suo portone si fa effigiare un baculo episcopale … forse a simbolo di qualche altro arnese maschile …

-       Ah! Ah! Ah! L’epilogo della storia?

-       Lo so a memoria .. ed è quello che racconta SALVATORE LUCIANO BONVENTRE (che è andato a spigolare in ASA Notai dell’Aquila, b. 1809 . quando l’Aquila era ancora in piedi) .. “nel 1789 Marianna B. di Baccarecce, evidentemente senza prole e titolare di una dote del valore di sessanta ducati, regolò con due clausole la sua eredità, con la prima di esse lasciò i ‘tanti mobili di diversa sorte’, ossia il corredo ascendente al valore di trenta ducati ricevuto dal padre Sabbantonio al momento del matrimonio, a suo marito Domenicantonio Di Giovanni di Castelgiudeo e con la seconda clausola lasciava la proprietà della dote restante, che ancora doveva ricevere a “complimento’, ai suoi fratelli Giacomantonio e Celestino e l’usufrutto della stessa a suo marito Domenicantontio”.

-       Una bella beffa, non c’è che dire.  Ma il patrimonio di famiglia ebbe ad assottigliarsi a beneficio dei Di Giovanni?

-       Manco per niente … vi pensarono i tanti preti venuti dopo con i loro bravi patrimoni sacri, raccolti chissà come. Pensa che ancor oggi sta in catasto una stranissima partita catastale che dopo tre o quattro secoli sta a ratificare non si capisce bene quale lascito enfiteutico per far celebrare messe a salvezza dell’anima di cicolani o forse cicolane che avevano fiducia nella missione salvifica di alcuni collaterali di miei antenati … Che Dio li abbia in gloria. Vai a Baccarecce e troverai nei portoni del palazzo avito stemmi lapidei con soli splendenti, bastoni pastorali ed il famoso acronimo JHS bellamente crociato. C’è qualche intruso in famiglia che ironizza sulla dedizione ad un vecchio zio ricchissimo di una pimpante vecchietta a nome Berenice. Fatto sta che la mia famiglia divenne locupletissima con migliaia di coppe di terra e rendite tra le più cospicue di tutto il Cicolano. Tutte queste terre una volta erano nostre .. e tali rimasero ma solo al catasto per molto tempo. La paura dell’IMU ci fa dichiarare ora la verità: quelle terre furono cedute illo tempore per il tramite di un tal geometra a nome Cavalieri che con sue scritture private cedeva, divideva, acquisiva beni immobili come noccioline. E compratori e venditori vi prestavano fiducia meglio che ai costosi e sottili notai. Tutto il Cicolano vive la tragicommedia di cessioni ed acquisti vetusti ignoti al catasto. Gli accomodamenti si sono però trovati e la nuova e già chiusa agenzia del territorio non va per il sottile.

 

 

La frivola ciarla tra avvenenti signore ha la sua dissolvenza … ora tocca tradurre in immagini ed intrufolare colti commenti nello studio della Dottoressa Giovanna Alvino – Direttore archeologo coordinatore della SBAL Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio  ---

 

 

 

IL TUMULO DI CORVARO

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