Fammi fare dell’erudizione. Odi et amo di Catullo. C’è chi lo
traduce così (mi piace di più); Odio e amo; vuoi sapere come mai? Non lo so, ma
lo sento, e sono in croce. Si tratta di un distico che qualcuno ha definito. ‘Una
passione in una miniatura’. E’ chiaro che noi non ci entriamo per nulla. Io,
per l’età; tu – se ho ben capito – le miniature in amore le mandi al diavolo.
Croce e delizia volgarizzava il parolaio di Verdi. Ma qui siamo sul banale. A
me piace l’aragosta e il caviale ed anche il migliore champagne francese. E francamente
non credo che a te piaccia l’untuoso e oleoso pollo alla diavola. Oh! qui non
ti arrabbiare! Perché voi donne mai e poi mai tollerate l’ironia del maschio?
Ne avete paura o tedio?
Tornando al latino, il confronto lo si fa tra Lucrezio e Catullo:
«Entrambi opponevano alla civitas una
ristretta cerchia di uomini accomunati da
un ideale che non coincideva più con quello della collettività. L’uomo di
fronte al cosmo; è l’epicureo Lucrezio. L’uomo di fronte all’amore: è il
neoterico Catullo. La voluptas atque
horror dell’uno e l’odi
et amo dell’altro convergono in un’esperienza profondamente vissuta - fino ad identificarsi col senso stesso
della vita - fuori dall’ambito e senza la mediazione della civitas.» E qui davvero hai cominciato ad odiarmi senza amor. Mi fermo. Anche perché siamo
finiti in politica. Come vedi si tratta in tempo antico di qualcosa che io
individuo in Berlusconi e Grillo. Ma questi sono frittura un po’ mefitica.
Qualcosa ci richiama Vittorio Arfinengo e quel laureato messinese che a non più giovane età va ancora in moto,
potendosi rompere l‘osso del collo. Tutti e due fuggono dalla Civitas, dalla civiltà. Io mi tolgo perché
la civitas mi piace tanto sia che sia
Roma ma anche Bovo a Racalmuto o Santa Lucia di Fiamignano. Mi va di dire:
beate voi donne che tutti ‘sti uzzoli della civitas, sì; civitas no, non li avete.
O mi sbaglio?
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