Confesso la mia piacevole sorpresa nel vedere visitato a
frotte ed in poche ore il mio post provocatorio (per celia) diretto all’amico
Piero Carbone. Mi dico non vestirti delle penne del pavone, il richiamo promana
da Piero. Cristo Santo ma Piero è così popolare?. Certo certissimo. Fascino
intellettuale a parte e incidenza letteraria di prm’ordine hanno prodotto il
miracolo dell’affollato ascolto delle note del Taverna.
Purtuttavia, qualche merito debbo averlo. Credo che si tratti
dell’additata prospettiva di valorizzare questa ormai cattedrale nel deserto
che è la Fondazione. A leggere i primissimi articoli dello statuto,
l’esorbitante spreco di soldi pubblici, la regalia dello stabile residuo della
incipiente indutrializzazione di Racalmuto (iniziata nel fascismo e seppellita
nel dopoguerra), la dotazione di accorgimenti informatici dell’ultima ora,
pretesa dalla famiglia per dare quello che doveva dare (e dopo manco tutto
diede) dovevano far di Racalmuto una fucina letteraria, culturale, esegetica
intorno all’opera (magistrale) del grande Sciascia. Altrimenti perché si
sarebbero spesi tanti soldi? Per nulla? Per le rimembranze di coloro
(forestieri) che godettero dei “ricchi silenzi” di Sciascia nel chiuso di un
“grumo d’affetti e d’intelligenze”? Non
ce l’ho con il prof. Antonio di Grado, che anzi a seguirlo su FB mi convince e mi erudisce
sempre più. Solo vorrei che tirasse fuori i suoi zebedei per imporre saggezza,
dignità, iniziativa, slancio statutario a chi vi bivacca per un lauto pranzo o
per un esagerato rimborso spese, cededendo che per sé e la degnissima consorte
gli alberghi non sono degni se non oltre le cinque stelle.
Non nego che cose buone siano state fatte, che niente è stato
banale – salvo qualche indulgenza ad aspiranti storici o filosofi o a qualche poeta vulgo sciocco – ma molto e
molto di più era doveroso fare. Intanto, mi risulta che il fascicolo “Sindona”
non sta in Fondazione, che le carte vescovili di Mons. Ficarra latitano (e non credo per scrupoli ecclesiali),
che i ritegni testamentari valgono salvo interesse contrario. Ma lasciamo
perdere, non sapremmo ora con chi prendercela; prima si poteva, prima si
doveva. Tutti quelli che si sono assisi nello strapuntino della cattedra sciasciana
hanno colpe da cui si dovevano emendare e non l’hanno fatto. Ora,
risvegliamoci; riprendiamoci quello che ci spetta; trasformiamo un inutile e
pretenzioso maniero al vertice d un paese parsimonioso e dignitoso, ricco di
case a misura d’uomo che non dimentica le sue recenti dimensioni contadine.
Non sono né letterato né moralista, mi pare però che ad
ottant’anni e dopo mezzo secolo di letture sciasciane scoprire che il “rondismo
di Sciascia” è ancora un lato oscuro di questa sublime esperienza letteraria d
un ex sartore divenuto il maestro della lingua colta di fine novecento; dovere
ammettere che l’alterco (cortese ma agguerrito) tra Sciascia e Pasolini sullo
scrivere, sulla buona tecnica scrittoria, sul diverso approccio tra il
conosciuto ed il conoscibile non fu una questione di puntiglio tra sommi, ma
nulla si dice in proposito. Non posso farmi anchilosare dal francese Claude
Ambroise che si crede originale negligendo l’istinto tutto gallico nel dire
cese chiare e distinte ed agglovigliarmi in vacui endiadi del tipo : “scrittura
della verità o verità della scrittura: in uno scrittore , il problema della
verità è, per forza, reperibile nella pratica della scrittura”. Davvero
Sciascia fu ossessionato dalla verità? forse non apprezzò Bulgakov che nel
Maestro e Mmargherita scopre che Cristo alla richiesta di Pilato su che cosa fosse
la verità, tronca il discorso e si consegna alla crocifissione? Non aveva letto
sorbito Pirandello, già? Cosi è se vi pare. In uno scritto minimo, presentando
le memorie di Tinebra, il Nostro si lascia andare ad una umanissima confidenza:
“voglio confessare che anch’io non mi sono privato del piacere di
riportare un documento pur conoscendone
la falsità”. E lo fece spesso: ricordarsi dell’appunto di Spagnolette sulla
documentazione di cui si avvale Sciascia nell’osannare il poeta morto bruciato
per incendio nelle carceri dirette da don Luis de Paramo, Antonio Veneziano. Ha
poi un bell’esibire Russi Sciuti carte secentesche che smontano fame, miseria,
violenza e muffoli di fra’ Diego. Divertente: Felice Cavallaro ragguaglia con
fedeltà su questa irruzione della “verità” nel palazzotto in cima al colle
della Fondazione, il sunto pubblicato viene talmente emendato da fare apparire
persino conferma la contestazione Russi Sciuti.
Non soffriamo di pedanteria, per noi tutto è cultura, tutto è
umano, nel suonare le varie corde, sublime quando si pizzica la corda “pazza”.
Ma pizzicare per pizzicare, che grande concerto per sola
chitarra potrebbe congegnarsi in questa nostra Fondazione, che studi
concentrici su Sciascia che si irradiino però sino all’infinito(umano)! Che
occasione di lavoro proficuo, intellettuale, degno di questa intelligenza
sconfinata racalmutese che purtroppo quasi sempre si disperde nell’accidia soffocante! Questa la chiusa del mio post che tanto riscontro
d’ascolto ha avuto. Qui ho voluto ribadire.
In seguito cercherò di sfruttare questa insperata attenzione per reiterare su
cose già dette nei vari blog: occupazione indotta da iniziative industriali e
culturali quali lo sfruttamento delle nostre risorse naturali, alabastro, il
giallo dello zafferano di Strabone (ne parla in greco infatti questo geografo
dell’era augustea); attuazione delle disposizioni testamentarie a partire da
quelle di Ferdinando Martini per day hospital specie per quanto attiene alle
malattie mentali (idea da me già sviluppata nel mio progetto del parco
letterario, progetto sabotato per la speciosa argomentazione che vi era
oltraggio alla memoria di Sciascia); scuole professionali di addestramento del
personale impiegatizio comunale, lasciato spesso in balia di se stesso e quindi
indotto ad assurdità amministrative e legali come occorsomi per la vecchia ici;
iniziative imprenditoriali in joint venture tra ente locale e forze giovanili
in settori quali il turismo, le culture specializzate, la salvaguardia
ambientale; ricerca di collaborazione di capitali esteri (oggi vorrebbero
investire i cinesi per alleggerire il loro dissennato finanziamento del debito
pubblico americano; trovano ostacoli burocratici per sotterranee pressioni
d’oltreoceano; il nostro dormiente progetto aeroportuale con scali merci e non
di passeggier,i non è solo un sogno mio nel cassetto.
Quel che occorre è una nuova amministrazione comunale, con
idee, con coraggio, un po’ ma non troppo spregiudicata, colta e idonea al
colloquio con forze industriali di questo nuovo diverso millennio.
Buona volontà senza cultura, ed anche conoscenze
professionali finiscono nel mattataio di un blog localistico. Vedo che Piero
Carbone ha ascolto, ha persino seguito personale, è ”homo politocus” oltre che
letterato molto raffinato. Si inizi a costituire un tiaso di intelletti non immondi (e a Racalmuto vi stanno e in
abbondanza) e ci si prepari a subentrare il più presto possibile a questi
signori venuti da lontano per osteggiare inventate infiltrazioni mafiose (tanto inesistenti da avere una condanna alle
spese del ministero retto dalla nostra commissariante Ministra Cancellieri,
socia onoraria del Circolo Unione).
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