24 giugno 16.24.43
Finalmente troviamo e subito pubblichiamo il ponderoso
fascicolo processuale della denunzia che l'on.le comunista Montalbano avanzò
contro l'ispettore Generale dottore gr. uff. Ettore Messana da Racalmuto.
Sottolineo senza indugio il finale: archiviazione senza se e senza ma. Hanno i
detrattori postumi di oltre un sessantennio preso visione di questa
documentazione, l'hanno analizzata? cosa hanno da rimarcare? Quanti loro
castelli denigratori vanno in misero fumo? Hanno da fare qualche atto di
resipiscenza operativa, o aspettano sentenze giudiziarie. La famiglia del
calunniato sta finalmente reagendo: vuole il ripristino dell'ottimo nome di
S.E. Gr.Uff. Dottore Ettore Messana , ispettore generale di PS da Racalmuto
Ecco tutta la verità, processualmente appurata, in
ordine alle vicende del gr.uff. dottore Ettore Messana ispettore generale di PS
di Racalmuto. Ogni superfetazione denigratoria s'infrange contro la verità
processuale: è calunnia. Così relaziona al magistrato il gr. uff. Messana
quanto alla intricata storia del bandito Giuliano e al suo ruolo. Cosa hanno da
opporre i denigratori postumi e posticci? Il bandito Giuliano La strage di
Portella della Ginestra Documenti sulla strage Documento 13 VERBALE
INTERROGATORIO DELL’ISPETTORE VITO MESSANA Verbale di continuazione di
dibattimento del 20 luglio 1951 [cartella 4, vol. V, n. 5] D’ordine del
Presidente, introdotto il testimone Messana Ettore fu Clemente di anni 66, nato
a Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps. Interrogato in
merito ai fatti della causa, risponde: «Fui mandato in Sicilia a capo
dell’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi rimasi
fino a tutto luglio 1947. Il decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile
1945 e funzione di tale organo fu quella di integrare l’opera repressiva e
preventiva nell’eliminazione del banditismo ed in genere della delinquenza
associata in Sicilia». D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350
agenti e 14 funzionari, che distribuii in tutte le province della Sicilia da
Messina a Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei
centri dove a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni
feci nelle province di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945
incominciò ad affiorare l’attività della banda Giuliano. Tale fatto fece
aumentare la mia attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila si
erano poste al servizio dell’Evis». D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella
nelle ore pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una riunione indetta dal
prefetto Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani
mi recai a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era
proceduto all’arresto di quattro persone ad opera di un nucleo dipendente
dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo rastrellamento arrestando
centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in
libertà. Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità». D. R. «Tutto
ciò venne fatto ad opera della questura che si limitò poi a denunciare solo i
quattro arrestati». D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza
dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a Palermo dal Ministero, fu
deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere affidata
al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui». D.
R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era stato sequestrato,
dopo la sparatoria, un campiere, certo Busellini, del quale non si seppe nulla
per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in un fossato da un nucleo alle
mie dipendenze». D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini
avvenne a mezzo di cani poliziotti od a mezzo solo di ricerche». D. R. «Mi
sembra di ricordare che sul petto del cadavere del Busellini fu trovato un
cartello con la scritta «questa è la fine dei traditori», la qualcosa ci
convinse che il delitto era stato consumato dalla banda Giuliano. Tale
convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché ci convincemmo
che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva sparato a
Portella». D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo che la
strage di Portella era da attribuirsi alla banda Giuliano, perché il fatto era
avvenuto nella zona così detta d’imperio della banda stessa, mentre l’Angrisani
ed il Guarino avevano orientamento diverso». D. R. «Tale convincimento da parte
dell’Ispettorato fu però rafforzato dal rinvenimento del cadavere del Busellini».
Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere del Busellini non vi
è traccia del cartello rinvenuto sul suo cadavere, risponde: «Può darsi che io
abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma pure mi sembra di ricordare così».
D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i primi fermi
effettuati dal nucleo centrale comandato dal colonnello Paolantonio, il quale
mi riferiva lo sviluppo di esse». D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io
non ero più Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato sostituito il 1.8.47
dal questore di Napoli Coglitori». D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante
la mia permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno, venivo informato di
quanto si riusciva a sapere dai fermati». D. R. «L’Ispettorato aveva dei
confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci ponevano in
comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore». D. R. «Io nessun contatto
diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti
elementi di collegamento». D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i
nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che
qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro
funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di
Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato». D. R. «Il nostro
convincimento che l’azione di Portella era dovuta alla banda Giuliano fu
maggiormente rafforzato dal riconoscimento effettuato da quattro cacciatori sequestrati
in quella mattina del 1° maggio, i quali in una fotografia di persona a cavallo
riconobbero proprio colui che ritenevano fosse il capo del gruppo che li aveva
sequestrati». D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in
Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno ritenuto partecipe della strage
di Portella per confidenze avute dal Ferreri». D. R. «Escludo di aver avuto mai
rapporti con Pisciotta Gaspare, come escludo di avergli rilasciato un tesserino
di riconoscimento sia al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».
Contestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver avuto rilasciato un
tesserino proprio da lui che glielo fece recapitare tramite Ferreri, risponde:
«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto». Richiamato l’imputato
Gaspare Pisciotta e contestatagli la dichiarazione resa dall’Ispettore Messana
a proposito del tesserino, risponde: «Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri,
portava la firma Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu strappato ed io
spero che colui che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà». D. R. «Luca
potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il tesserino esista ancora, ma a
me risulta che fu stracciato». Il teste Messana: D. R. «Io facevo da organo
propulsore nell’attività dei miei funzionari; dissi loro di indagare anche
sulla ragione per cui Giuliano fece l’azione di Portella ma nessuno di essi mi
parlò mai su tale fatto». D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi
non mi occupai più della cosa». A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde: «Non
ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di libera circolazione, ma
non escludo che esso possa essere stato rilasciato da altri sotto il mio nome,
essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire per altro che la mia firma
ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi ritengo che sia del tutto
inintellegibile». D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai
confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio nome dai miei dipendenti che
nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri
confidenti ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i
superiori». D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i confidenti ai
miei dipendenti, i quali mi rilasciavano ricevuta sulla quale si limitavano a
dire. -- per un confidente- senza indicarne le generalità». D.R. «Certamente i
rapporti col Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di aver
saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei
dirigenti del Partito Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai
per la opportuna vigilanza il questore e fu il colonnello Paolantonio che
avvisò direttamente il Li Causi». D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto
d’armi, ma ciò rientrava nel progetto di venire all’arresto di Giuliano. Sentii
parlare del rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del Ferreri, ma
ciò non constatai personalmente». D.R. «Escludo che il padre del Ferreri
facesse parte della banda Giuliano». D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia
dell’Evis Giuliano abbia mantenuto rapporti con persone insospettabili». D.R.
«Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica, poi Spanò, poi
Verdiani» D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda Giuliano».
D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis ed all’attività da
esse spiegate, rapporto redatto dal nucleo centrale alle mie dipendenze». D.R.
«Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi che l’elenco contenuto
in detto rapporto non sia completo e non comprenda tutta la materia, essendo
potuta qualcosa essere sfuggita e qualcosa sopraggiungere». D.R. «Non ricordo
il nome di Genovesi Giovanni tra i confidenti della polizia, né so se egli sia
stato interrogato dal colonnello Denti». A domanda dell’avv. Crisafulli,
risponde: «Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore generale del
Ministero, come di solito avviene quando succedono fatti di una certa
rilevanza». D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in questura
e poiché ogni organo comunicò i risultati delle indagini svolte, l’Ispettore
volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza esautorare e
sostituire alcuno, dette la direzione al questore Giammorcaro al quale doveva
essere comunicata ogni attività degli organi di polizia. Tutto ciò per quanto
riguarda i fatti di Portella». D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di
appendicite». A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde: «Non mi risulta che al
Ferreri sia stata rilasciata una tessera intestata a Salvo Rossi, autista del
colonnello Paolantonio». A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde: «Parlando di
un rapporto Coglitore mi riferivo solo al rapporto firmato dal maresciallo Lo
Bianco relativo ai fatti di Portella» A domanda del Pisciotta Gaspare,
risponde: «Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri, né mi
risulta che ciò sia stato fatto da qualcuno dell’Ispettorato. A quell’epoca
avevamo penuria di armi». Il Pisciotta aggiunge: «I cinque mitra servirono per
l’azione di Portella, secondo quanto mi disse Ferreri». Dopo di che il
Presidente rinvia la prosecuzione del dibattimento all’udienza del 23.7.1951
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