28 giugno 11.21.17
Il primo maggio del 1947 si consumò l'infame stage di
Portella della Ginestra. L'abile poliziotto Messana con encomiabile destrezza
scopre che era stato il bandito Giuliano e la sua banda a compiere
quell'esecrabile eccidio. Ne dà ovviamente subito notizia al Ministro Scelba
che ne informa il Parlamento. La notizia esce sulla stampa di Roma e Palermo.
L'onorevole comunista, l'avvocato professore Giuseppe Montalbano a ciò si aggancia
per una denuncia contro il Messana quale responsabile del reato di violazione
del segreto d'ufficio. L'abile appiglio rivela l'imbarazzo del parlamentare
comunista nel difendersi dalla più grave denuncia per calunnia che il Messana
gli aveva sporto contro. La denuncia per calunnia si originava da un infamante
articolo del Montalbano che si chiedeva sul n. 152 de la "voce di
Sicilia": "Messana correo dei delitti di Fra Diavolo?" A ben
vedere l'odierna campagna di stampa diffamatoria verso il gr.uff. Ettore
Messana si aggancia a quel vecchio articolo del 1947 per le sue dissennate
insinuazioni calunniose. Ma per ora limitiamoci ad alcuni stralci degli atti di
quel francamente risibile processo presso il Tribunale Penale di Palermo del
1947 che abbiamo già integralmente pubblicato. E' lo stesso Montalbano che
attenua il carattere accusatorio affermando: "è vero che le mie accuse
contro il Messana sono poste in quell'artcolo sotto forma ipotetica..." Ma
quello che implacabilmente emerge già dopo mesi da quella insinuazione è quanto
il PM nel chiedere l'archiviazione argomenta il 2 ottobre del 1947 dissolvendo
senza ombra di dubbio ogni sia pure labile sospetto sulla figura del grande
ispettore. " Va appena rilevato - vi si afferma - che non può farsi luogo
a procedimento per calunnia contro il Montalbano, autore dell'articolo, non
avendo egli presentato a carico del dr. Messana alcuna denunzia all'Autorità
giudiziaria o ad altra Autorità designata dalla legge circa la pretesa - quanto
mai assurda - di costui correità nei delitti commessi dal bandito
Ferreri". L'adamantino comportamento del nostro grande compaesano ha
quindi il suggello del Procuratore della Repubblica Barone come si può
riscontrare nello stralcio processuale che qui sotto pubblichiamo. Signor
Casarrubea e accoliti della carta stampata vari quale dato, documento,
conoscenza, competenza avete voi per potere ora dopo sessant'anni mettere in
dubbio la certezza del Tribunale penale di allora che apoditticamente sancisce
che l'Ispettore Generale di PS, gr. uff, Dottore Ettore Messana è un alto
ufficiale di polizia non lambito da alcun sospetto circa "i delitti
commessi dal bandito Ferreri" essendo solo pretesa ASSURDA quella del
compagno comunista Montalbano (allora perché dopo travagliata fu la militanza
politica di quest'uomo di Santa Margherita Belice). Se dite di possedere
archivi, non avete dato peso a siffatti documenti priocessuali? Ma così non si
fa storia, solo prodromica calunnia. PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PALERMO IL P. M. osserva che con denunzia del 25
giugno 1947, indirizzata al Procuratore Generale di Palermo, ripetuta il 30
stesso mese, l’on. prof. avv. Montalbano Giuseppe, deputato alla Costituente,
lamentava che il «Risorgimento Liberale», quotidiano di Roma, ed «Il Mattino di
Sicilia», quotidiano di Palermo, alcuni giorni prima avevano pubblicato la
notizia che egli, citato dall’Autorità Giudiziaria come teste nel processo
Miraglia, per due volte non si era presentato «perché cercava di sottrarsi dal
deporre per paura di essere messo a confronto con un Ufficiale di Polizia
Giudiziale». Nella persuasione che tale notizia fosse stata rivelata dal dr.
Messana Ettore, Ispettore Generale di PS. per la Sicilia, denunziava costui
quale responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio, previsto e
punito dall’art. 326 C.P. Lamentava altresì che il «Giornale di Sicilia» del 22
giugno u.s., aveva pubblicato notizie molto delicate e riservatissime in merito
alle indagini in corso sul selvaggio eccidio di Portella della Ginestra,
riportando il tenore delle deposizioni rese nella fase istruttoria, non ancora
chiusa, dai testi Riolo, Sirchia, Fusco e Cuccia, e che lo stesso giornale, del
successivo giorno 25, precisava che le notizie pubblicate nel numero del 22
giugno erano state desunte da «atti ufficiali riferentisi all’inchiesta in
corso». Ravvisava in tali pubblicazioni la prova che funzionari addetti alle
indagini avessero rivelato segreti d’ufficio e denunziava gli ignoti
informatori da ricercarsi presumibilmente [presso] l’Ispettorato Generale di P.
S., diretto dal dr. Messana. D’altro lato quest’ultimo, venuto a conoscenza
della denunzia sporta a suo carico, indirizzava, in data 16 luglio u.s., a
questa Procura un esposto col quale chiedeva il procedimento d’ufficio per
calunnia contro il prof. Montalbano, anche in relazione ad un articolo
pubblicato nel n. 152 de «La Voce della Sicilia» del 1° luglio, a firma del
Montalbano, nel quale egli viene fatto apparire come correo dei numerosi
delitti consumati dal bandito Ferreri inteso Fra’ Diavolo, ucciso poi in
conflitto in territorio di Alcamo. Ciò posto, va subito rilevato che la
doglianza del prof. Montalbano per la notizia pubblicata dal «Risorgimento
Liberale» e dal «Mattino di Sicilia» è pienamente fondata per quanto ottiene
l’offesa recata alla sua personalità morale, essendo chiaro che l’autore
dell’articolo scrivendo ch’egli, sebbene due volte citato dal magistrato
istruttore, non si era presentato a deporre come teste «per paura di essere messo
a confronto con un funzionario di polizia» si proponeva di presentare il
Montalbano sotto una luce poco onorevole al pubblico dei lettori: è risultato,
invece, dalla esauriente istruttoria compiuta da quest’Ufficio che il prof.
Montalbano si presentò regolarmente tutte e due le volte alla Sezione
istruttoria e che per la mancata presenza del giudice non fu messo in grado –
sia la prima che la seconda volta – di rendere la sua deposizione. Intanto il
magistrato inquirente dispose la nuova citazione del prof. Montalbano per il
giorno 25 luglio e, nell’eventualità di dovere eseguire un confronto tra lui ed
il dr. Messana, telefonò a quest’ultimo invitandolo a tenersi per quel giorno a
sua disposizione nel proprio ufficio onde assicurarsene, occorrendo, la comparizione.
Tosto che il prof. Montalbano poté rendere la sua dichiarazione, il giudice non
ritenne di far luogo al confronto ed il dr. Messana fu sciolto dall’obbligo di
tenersi a disposizione. Or poiché la notizia del predisposto confronto era nota
soltanto al magistrato ed al dr. Messana, è sembrato logico al prof. Montalbano
ritenere che il Messana ne avesse informato i giornali, rivelando così un
segreto d’ufficio. Nel fatto lamentato non riscontra però il requirente gli
estremi del reato p. ep. dall’art. 326 C. P. e ciò a prescindere da qualsiasi
esame di merito sulla consistenza dell’addebito. Perché la citazione non è un
atto interno del processo, non è, cioè, un atto segreto posseduto e custodito
dal pubblico ufficiale: bensì è un atto esterno del processo, la cui funzione
si esaurisce all’esterno, concretantesi nella chiamata del giudice, pel tramite
dell’ufficiale giudiziario. Le notizie d’ufficio sono quelle che debbono
rimanere segrete, come le dichiarazioni testimoniali, i verbali di confronto, gli
atti generici ecc. Sicché la loro rivelazione da parte del pubblico ufficiale
si risolve in una violazione dei doveri inerenti alla sua funzione. Come non
costituisce segreto d’ufficio la citazione, a maggior ragione non può
costituire segreto d’ufficio un semplice avvertimento fatto per telefono a
persona ancora da citare pel caso di un eventuale confronto. Il reato di
violazione di segreti d’ufficio è, invece, manifestamente configurabile nei due
articoli pubblicati sul Giornale di Sicilia, rispettivamente sotto il titolo
«Colpo di scena: a Portella della Ginestra ha sparato Giuliano» e «Soppresso a
Portella della Ginestra perché testimone della strage», perché in entrambi gli
articoli appaiono palesati fatti e circostanze che non potevano essere di dominio
pubblico, e, quindi, oggetto di cronaca, siccome acquisite dall’Autorità
giudiziaria e dalla Polizia giudiziaria durante le indagini tuttora in corso.
Per di più lo stesso giornale nel n. 149 del 25 giugno 1947, riportava un
articolo in cui si ribadiva che le notizie precedentemente pubblicate erano
state desunte da atti ufficiali e da conclusioni ufficiali di una inchiesta
accertante la responsabilità del bandito Giuliano. Nulla, tuttavia, autorizza a
ritenere che il dr. Messana abbia dato ai giornali le informazioni in discorso.
Ben vero il prof. Montalbano ha manifestato il convincimento che tali notizie
fossero state propalate dall’Ispettore Generale di PS. nella considerazione che
ancora prima che le indagini avessero preso una consistenza qualsiasi, il
Messana si era affrettato a comunicare al Ministro dell’Interno che autore
della strage era stato Giuliano con la sua banda, per cui avvenne che il
Ministro ne informò l’Assemblea Costituente: da qui l’interesse del Messana di
dimostrare al pubblico che egli non si era sbagliato. È evidente la buona fede
dell’on.le Montalbano nella incolpazione fatta al Messana, ma, alla stregua
delle risultanze istruttorie, l’addebito deve dirsi del tutto infondato.
Parrebbe, infatti, accertato che i redattori degli articoli incriminati
trassero le notizie, in discorso, da indagini direttamente fatte dai cronisti
dei giornali, che abilmente seguivano quelle che si svolgevano nell’ambito
della polizia giudiziaria e dell’Autorità giudiziaria (ff. 19 - 22 - 23 - 26,
testi Pirri, Melati, Petrucci, Seminara, e Marino), ma anche se ciò non fosse
vero, nessuna prova sussiste, atta a far ritenere che fosse stato proprio il
Messana a rivelare le risultanze delle indagini ufficiali, specie se si
consideri che i motivi posti a base dell’incolpazione contro il Messana valgono
anche per tutti i funzionari e gli agenti dell’Ispettorato di PS. che
collaborarono col loro Capo nelle operazioni di polizia, sicché per tutti
poteva essere di soddisfazione far sapere che l’Ispettorato non aveva sbagliato
nell’individuazione dei responsabili dell’efferato delitto. Non sono altresì da
escludere altre ipotesi circa la fonte alla quale le notizie poterono essere
attinte. Stando così le cose non si vede perché si debbano inseguire delle
ombre, quando si ha la prova di un’attività giornalistica, abilmente, ma anche
imprudentemente manovrata ai margini di uffici giudiziarii e di polizia. Il che
non è reato. Non essendo penalmente punibili pel titolo di violazione di
segreti di ufficio i fatti lamentati dal prof. Montalbano, discende la
conseguenza logica e giuridica che non possono riscontrarsi gli estremi della
calunnia nella incolpazione di fatti non costituenti reato. Parimenti non
incriminabile pel titolo di calunnia è l’articolo pubblicato nel n. 152 de «La
voce di Sicilia» sotto il titolo «Messana correo dei delitti di Fra-diavolo?».
Il contenuto dell’articolo è diffamatorio, ma di ciò non si è doluto il dr.
Messana, mancando in atti la prescritta querela. Va appena rilevato che non può
farsi luogo a procedimento per calunnia contro il Montalbano, autore
dell’articolo, non avendo egli presentato a carico del dr. Messana alcuna
denunzia all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità designata dalla legge
circa la pretesa – quanto mai assurda – di costui correità nei delitti commessi
dal bandito Ferreri. La pubblicità col mezzo della stampa di una falsa
incolpazione di reato, fatta sia pure con l’intento di provocare un
procedimento penale di ufficio, non ha nulla di comune con la denunzia che la
legge richiede per la sussistenza della calunnia. Per l’anzidetto essendo il
caso di provvedere ai sensi dell’art. 74 C. P. P. e succ. mod. CHIEDE Che il
Giudice Istruttore voglia ordinare la archiviazione degli atti. Palermo
2.10.1947. Il Procuratore della Repubblica. Barone. PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PALERMO IL P. M. osserva che con
denunzia del 25 giugno 1947, indirizzata al Procuratore Generale di Palermo,
ripetuta il 30 stesso mese, l’on. prof. avv. Montalbano Giuseppe, deputato alla
Costituente, lamentava che il «Risorgimento Liberale», quotidiano di Roma, ed
«Il Mattino di Sicilia», quotidiano di Palermo, alcuni giorni prima avevano
pubblicato la notizia che egli, citato dall’Autorità Giudiziaria come teste nel
processo Miraglia, per due volte non si era presentato «perché cercava di
sottrarsi dal deporre per paura di essere messo a confronto con un Ufficiale di
Polizia Giudiziale». Nella persuasione che tale notizia fosse stata rivelata
dal dr. Messana Ettore, Ispettore Generale di PS. per la Sicilia, denunziava
costui quale responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio,
previsto e punito dall’art. 326 C.P. Lamentava altresì che il «Giornale di
Sicilia» del 22 giugno u.s., aveva pubblicato notizie molto delicate e
riservatissime in merito alle indagini in corso sul selvaggio eccidio di
Portella della Ginestra, riportando il tenore delle deposizioni rese nella fase
istruttoria, non ancora chiusa, dai testi Riolo, Sirchia, Fusco e Cuccia, e che
lo stesso giornale, del successivo giorno 25, precisava che le notizie
pubblicate nel numero del 22 giugno erano state desunte da «atti ufficiali
riferentisi all’inchiesta in corso». Ravvisava in tali pubblicazioni la prova
che funzionari addetti alle indagini avessero rivelato segreti d’ufficio e
denunziava gli ignoti informatori da ricercarsi presumibilmente [presso]
l’Ispettorato Generale di P. S., diretto dal dr. Messana. D’altro lato
quest’ultimo, venuto a conoscenza della denunzia sporta a suo carico,
indirizzava, in data 16 luglio u.s., a questa Procura un esposto col quale
chiedeva il procedimento d’ufficio per calunnia contro il prof. Montalbano,
anche in relazione ad un articolo pubblicato nel n. 152 de «La Voce della
Sicilia» del 1° luglio, a firma del Montalbano, nel quale egli viene fatto
apparire come correo dei numerosi delitti consumati dal bandito Ferreri inteso
Fra’ Diavolo, ucciso poi in conflitto in territorio di Alcamo. Ciò posto, va
subito rilevato che la doglianza del prof. Montalbano per la notizia pubblicata
dal «Risorgimento Liberale» e dal «Mattino di Sicilia» è pienamente fondata per
quanto ottiene l’offesa recata alla sua personalità morale, essendo chiaro che
l’autore dell’articolo scrivendo ch’egli, sebbene due volte citato dal
magistrato istruttore, non si era presentato a deporre come teste «per paura di
essere messo a confronto con un funzionario di polizia» si proponeva di
presentare il Montalbano sotto una luce poco onorevole al pubblico dei lettori:
è risultato, invece, dalla esauriente istruttoria compiuta da quest’Ufficio che
il prof. Montalbano si presentò regolarmente tutte e due le volte alla Sezione
istruttoria e che per la mancata presenza del giudice non fu messo in grado –
sia la prima che la seconda volta – di rendere la sua deposizione. Intanto il
magistrato inquirente dispose la nuova citazione del prof. Montalbano per il
giorno 25 luglio e, nell’eventualità di dovere eseguire un confronto tra lui ed
il dr. Messana, telefonò a quest’ultimo invitandolo a tenersi per quel giorno a
sua disposizione nel proprio ufficio onde assicurarsene, occorrendo, la
comparizione. Tosto che il prof. Montalbano poté rendere la sua dichiarazione,
il giudice non ritenne di far luogo al confronto ed il dr. Messana fu sciolto
dall’obbligo di tenersi a disposizione. Or poiché la notizia del predisposto
confronto era nota soltanto al magistrato ed al dr. Messana, è sembrato logico
al prof. Montalbano ritenere che il Messana ne avesse informato i giornali,
rivelando così un segreto d’ufficio. Nel fatto lamentato non riscontra però il
requirente gli estremi del reato p. ep. dall’art. 326 C. P. e ciò a prescindere
da qualsiasi esame di merito sulla consistenza dell’addebito. Perché la
citazione non è un atto interno del processo, non è, cioè, un atto segreto
posseduto e custodito dal pubblico ufficiale: bensì è un atto esterno del
processo, la cui funzione si esaurisce all’esterno, concretantesi nella
chiamata del giudice, pel tramite dell’ufficiale giudiziario. Le notizie
d’ufficio sono quelle che debbono rimanere segrete, come le dichiarazioni
testimoniali, i verbali di confronto, gli atti generici ecc. Sicché la loro
rivelazione da parte del pubblico ufficiale si risolve in una violazione dei
doveri inerenti alla sua funzione. Come non costituisce segreto d’ufficio la
citazione, a maggior ragione non può costituire segreto d’ufficio un semplice
avvertimento fatto per telefono a persona ancora da citare pel caso di un
eventuale confronto. Il reato di violazione di segreti d’ufficio è, invece,
manifestamente configurabile nei due articoli pubblicati sul Giornale di
Sicilia, rispettivamente sotto il titolo «Colpo di scena: a Portella della
Ginestra ha sparato Giuliano» e «Soppresso a Portella della Ginestra perché
testimone della strage», perché in entrambi gli articoli appaiono palesati
fatti e circostanze che non potevano essere di dominio pubblico, e, quindi,
oggetto di cronaca, siccome acquisite dall’Autorità giudiziaria e dalla Polizia
giudiziaria durante le indagini tuttora in corso. Per di più lo stesso giornale
nel n. 149 del 25 giugno 1947, riportava un articolo in cui si ribadiva che le
notizie precedentemente pubblicate erano state desunte da atti ufficiali e da
conclusioni ufficiali di una inchiesta accertante la responsabilità del bandito
Giuliano. Nulla, tuttavia, autorizza a ritenere che il dr. Messana abbia dato
ai giornali le informazioni in discorso. Ben vero il prof. Montalbano ha
manifestato il convincimento che tali notizie fossero state propalate
dall’Ispettore Generale di PS. nella considerazione che ancora prima che le
indagini avessero preso una consistenza qualsiasi, il Messana si era affrettato
a comunicare al Ministro dell’Interno che autore della strage era stato
Giuliano con la sua banda, per cui avvenne che il Ministro ne informò l’Assemblea
Costituente: da qui l’interesse del Messana di dimostrare al pubblico che egli
non si era sbagliato. È evidente la buona fede dell’on.le Montalbano nella
incolpazione fatta al Messana, ma, alla stregua delle risultanze istruttorie,
l’addebito deve dirsi del tutto infondato. Parrebbe, infatti, accertato che i
redattori degli articoli incriminati trassero le notizie, in discorso, da
indagini direttamente fatte dai cronisti dei giornali, che abilmente seguivano
quelle che si svolgevano nell’ambito della polizia giudiziaria e dell’Autorità
giudiziaria (ff. 19 - 22 - 23 - 26, testi Pirri, Melati, Petrucci, Seminara, e
Marino), ma anche se ciò non fosse vero, nessuna prova sussiste, atta a far
ritenere che fosse stato proprio il Messana a rivelare le risultanze delle
indagini ufficiali, specie se si consideri che i motivi posti a base
dell’incolpazione contro il Messana valgono anche per tutti i funzionari e gli
agenti dell’Ispettorato di PS. che collaborarono col loro Capo nelle operazioni
di polizia, sicché per tutti poteva essere di soddisfazione far sapere che
l’Ispettorato non aveva sbagliato nell’individuazione dei responsabili
dell’efferato delitto. Non sono altresì da escludere altre ipotesi circa la
fonte alla quale le notizie poterono essere attinte. Stando così le cose non si
vede perché si debbano inseguire delle ombre, quando si ha la prova di
un’attività giornalistica, abilmente, ma anche imprudentemente manovrata ai
margini di uffici giudiziarii e di polizia. Il che non è reato. Non essendo penalmente
punibili pel titolo di violazione di segreti di ufficio i fatti lamentati dal
prof. Montalbano, discende la conseguenza logica e giuridica che non possono
riscontrarsi gli estremi della calunnia nella incolpazione di fatti non
costituenti reato. Parimenti non incriminabile pel titolo di calunnia è
l’articolo pubblicato nel n. 152 de «La voce di Sicilia» sotto il titolo
«Messana correo dei delitti di Fra-diavolo?». Il contenuto dell’articolo è
diffamatorio, ma di ciò non si è doluto il dr. Messana, mancando in atti la
prescritta querela. Va appena rilevato che non può farsi luogo a procedimento
per calunnia contro il Montalbano, autore dell’articolo, non avendo egli
presentato a carico del dr. Messana alcuna denunzia all’Autorità giudiziaria o
ad altra Autorità designata dalla legge circa la pretesa – quanto mai assurda –
di costui correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri. La pubblicità col
mezzo della stampa di una falsa incolpazione di reato, fatta sia pure con
l’intento di provocare un procedimento penale di ufficio, non ha nulla di
comune con la denunzia che la legge richiede per la sussistenza della calunnia.
Per l’anzidetto essendo il caso di provvedere ai sensi dell’art. 74 C. P. P. e
succ. mod. CHIEDE Che il Giudice Istruttore voglia ordinare la archiviazione
degli atti. Palermo 2.10.1947. Il Procuratore della Repubblica. Barone.
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