domenica
8 settembre 2013
Calen
di maggio; maggio mese dei fiori; maggio mese del mio compleanno. Siamo nel
maggio del 1943. Il 10 di quel mese compio nove anni; frequento la terza
elementare e pare che sia bravo a scuola: il primo della classe, dicono. Mio
cugino, Giacomo Saccomando, non brilla molto a scuola, ma è davvero bravo con
la "fileccia". Colpisce le colombe anche lassù nelle feritoie di
"LU CANNUNI". Svelto coi pugni, si fa rispettare da quelli che
vengono su LU CHIANU CASTIEDDU da SANTA NICOLA o da LA FUNTANA. Io dovrei essere
un funtanaru, ma sto con mia nonna in una sorta di catoio DARRIERI SAN
GNISEPPI, sopra la discesa di San Francesco. Mio cugino sta nelle CAMMARI di
SUSU; il padre è militare in Grecia. Pur anzianotto è dovuto partire per
soldato per il fatto che si era dovuto arruolare nella Milizia dopo un alterco
con milite protetto da Carminu Burruano. Credo che allora mi invidiasse avendo
io oltre che la madre anche il padre a casa. Da fanciullo mio cugino era
piuttosto manesco e forse cattivo: con gli animali era piuttosto crudele. Io
ero fragilino, tanto pio e volevo farmi parrino. A giocare al dottore con le
bambine non andavo: non sapevo neppure cosa facessero. Ed Angila la figlia di
Rita mi ebbe per superbo e ce l'ebbe con me persino a tardissima età. Era bruttarella,
oltretutto, e semmai io arrossivo ed abbassavo gli occhi per una biondina di
San Giuliano. A vederla dopo, piccoletta e rachitella, ebbi a dubitare delle
mie capacità discernitrici.
In
quel maggio, con mia nonna e con la sorella di mia nonna - la zza Turiddruzza,
spirlungona rispetto alla sorella, ma con lo stesso jppuni, egualmente e
totalmente in nero, meno il candido fazzoletto in testa - andai alla Curma a
mettere la ticchiara a li ficara. Poi io, mia nonna e sua sorella, ci
inerpicammo per lu Castidduzzu ove la zza Turiddruzza aveva una robba bella
grande in una proprietà vasta e ben alberata. Anche là mettemmo la ticchiara.
Laggiù, a Portoempedoche sparavano i cannoni in risposta alle cannonate delle
navi americane, ma non ce ne curavamo. Eravamo abbastanza lontani e non era
sera: allora sì che era uno spettacolo sembrava uno spettacolare castieddru
fuocu.
Mia
nonna e sua sorella avevano i figli emigrati in America: a Buffalo la prima; a
New York la zza Turiddruzza. Entrambe prima dello scoppio della guerra erano
state fornite abbondantemente di zucchero e caffè. Mia nonna teneva sopra lu
cantaranu una fila di burnie piene di quel ben di Dio, che era merce rara e preziosa
ora durante il conflitto. Mio cugino, scendeva spesso di soppiatto e salendo su
una siggiteddra, che mia nonna non alta di statura prediligeva, riusciva a
scoperchiare la burnia dello zucchero e trangugiare pugni pieni di quella
prelibatezza. A me sembrava che commettesse peccato mortale ed ero convinto che
non si confessasse neppure, anche se si faceva la comunione. La prima comunione
ce l'eravamo fatta insieme tre anni prima. Io avevo un completo di giacca e
pantaloni lunghi che bianchi com'erano mi facevano apparire come un buffo
angioletto: con libricino bianco in mano frammezzato da una coroncina pur essa
bianca - mio padre ne faceva commercio - mi fecero la fotografia appoggiato ad
una colonnetta piuttosto alta con sopra un vaso di fiori finti. La posseggo
ancora.
Sfogliando
una raccolta ben rilegata di un settimanale dell'epoca IL MATTINO ILLUSTRATO
che il suocero di mio fratello teneva ben custodito, mi soffermo sull'ultimo
numero della Sicilia fascista, l'anno XXI (ovverossia il 1943), mese di maggio.
Mi
colpisce l'assenza assoluta di immagini di Mussolini; ma quel periodico mai
mostra Mussolini; forse era questione di censura di guerra. Sembra ormai che la
guerra non ci sia più. Almeno per la Sicilia. Sono amori ancellari che hanno
spazio; voli aerei dell'epoca, romantici, vagamente sensuali. Sono le cene dei
ricchi che affiorano, in tempi credo (e ricordo) di grandi privazioni. Vestigia
dell'ancora imperante regime un VOI al posto del Lei ed un periodare caro a
Starace (che invero non c’era più).
Dopo
l'ultimo numero di maggio 1943, il periodico non arriva più a Racalmuto, nella
casa dei solerti benestanti della famiglia Palermo.
Neppure
le innocue rievocazioni storiche di un papa pur discutibile per il fascismo
come PIO XI ci saranno più. Sparisce il settimanale con l'ultima pagina
disegnata con scene soprattutto irridenti all'America.
A
giugno sostenni gli esami di terza elementare; terrore di fanciullo il mio;
soddisfazione paterna per il brillante risultato, il primo invero di tant'altri
che hanno costellato la mia vita e che hanno riempito di orgoglio mio padre,
che non lo celava al Mutuo Soccorso incassandone malcelate invidie. Io mi
irritavo tanto; ma pover'uomo non faceva nulla di male. Ovunque tu sia, padre
mio, questo tuo figlio, ora quasi ottantenne, ti ricorda con molto melanconico
affetto e ti vuol bene come se tu fossi ancora fra noi.
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