1868:
Notaio Calogero Savatteri di Gaetano
1°/11/1852 Atto di Angelo Gambuto
del fu Notarr D: Giuseppe Regio Notaro residente in questo Comune di Racalmuto,
Circondario della stessa Provincia di Girgenti, collo studio nella strada di
Sant’Anna ... si trovò in Casa di D.
Aurelio Alaimo del fu Michelangelo sita in questo quartiere di San Giuliano ...
e Nicolò Restivo Caponcello del fu Giuseppe contadino [qui] dimorante quartiere
di San Giuliano. Raccomando l’anima mia al sommo immortale Iddio ... seguta la
mia morte si prendessero tre bolle di composizione in discarico di mia
coscienza per una sola volta allo luoghi Santi di Gerusalemme tarì due da
pagarsi seguita sarà la mia morte ... e propriamente in casa di D. Aurelio
Alaimo sita in questo comune quartiere di San Giuliano, in una camera a piano
superiore che si ave luce da una porta a mezzogiorno, alla continua presenza di
d. Calogero Vinci del fu d. Giuseppe, civile, di d. Giuseppe Calamera del fu d. Pietro civile, di d. Giuseppe
Santino del fu Rosario, scriba, e di mastro Gaspare Agrò del fu Baldassare
ferraro, domiciliato in questo comune....
Atto Girolamo Cavallaro - 27/2/1846:
dò e lego all’Opera di Maria Santissima del Suffraggio onze due per essere
ascritta come sorella della stessa per godere tutti quei benefizii annessi a
detta Opera per una sola volta. In tutto il resto dei miei beni mobili,
immobili, crediti, denaro ed altro nella metà parte disponibile instituisco
eredi a Salvatore Agrò mio figlio nato, e procreato da me testatrice, e da
Salvatore Agrò mio primo marito, e nella metà parte indisponibile instituisco
eredi del detto Salvatore Agrò , a Calogero, e Maria Domenica Rizzo miei figli
nati e procreati da me testatrice e da Calogero Rizzo mio secondo marito ...
alla presenza di Giovanni Piazza fu Francesco beccaio, di maestro Giuseppe
Picone del fu Giovanni Marammiere, di mastro Giovanni di Falco di Giuseppe
marammiere e di maestro Salvadore Martorana, Nicolò barbieri domiciliati in
questo Comune e quartiere il primo di Santa Croce, il secondo di S. Giovanni di
Dio, il terzo del Monte, e l’ultimo di S. Giuliano.
Sponsali 1751-66 - Mastro Vincenzo
Sciascia sch. F. l. e n.le di mastro Giovanni con Anna Scibetta di questa terra
e per qualche tempo abitatore delli Grotti con Maria Fantauzzo di Mastro
Antonino e Catarina Fantauzzo jug. Delli Grotti. 1759 7^ Agosto 10 - 12 - 15 (solo
pubblicazioni).
=== Nel 1855/12 di giugno Rosa
Ciccotto levatrice di anni 55 - un maschio nato da Anna Cutaia di anni 22 e da
Salvatore Rizzo di anni 24 di professione contadino di dare al medesimo il nome
di Giuseppe
Atto del 31 ottobre 1855 della
prefettura: “copia conforme che si rilascia ad uso di matrimonio”.
Importante
perché rettifica dati aliunde disponibili.
Archivio Vescovile Agrigento - Atti
Vescovi - Registro 1649-1650 (pag. 262) - Racalmuto - Benefizio dell’Itria
assegnato all’arciprete Pitruzzella dopo la morte di Giuseppe Grillo -
**********************
Fogli sparsi Matrimonii - dopo 1670
primo novembre annatoato il passo del canto gregoriano Osanna (scritto: osna)
*********
Importante
Morti del 1622
“ dicto (maji 1622)
Il Ill.mo Gero(nimo) del Carretto fu
morto e sepp.[ellito] nella ecclesia di S.to Francesco per lo clero [n.° 17]
T U F U L I (dalla fabbrica) 11.12.1658 per acqua tt. 3.2. a 28. d. a tre
mastri e sei manuali -/ 1.10. per acqua tt. 3.9. per un mastro et quattro
manuali tt. 15. ad un'homo per ammazzare li tufuli dello gisso cernuto tt. 2.12. per acqua g.a
15. per havere comprato dui imbrici per
metterli
***************
Qui Dorme
nella pace del Signore
Donna Maria Grillo in Savatteri fù
Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo
1862, col maledetto aneurisma.
Pietosa, caritatevole, devota assai
prudente.
Obbiediente figlia, consorte fedele,
amorosa madre.
Della famiglia l’angelo, la pace
l’allegria
Chè sua scomparsa eternamente
cancellò:
allo sposo ai figli.
Deh! Adorabile madre accogliete
questo duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime
bagnato.
In segno di sentita devozione
Beneditelo.
*********
Savatteri Calogero nato il 15/6/1833
morto il 5/6/1878, sposato Santa Picone, nato nel 1840 e morta nel 1920.
Savatteri Leonardo (fratello di
Calogero) - Francesco Paolo (quello del libro) e padre di Gaetano Maria.
Gioacchino fratello ; Salvatore fratello. Rosalia sorella sposa Messana Eugenio
Napoleone (nonno di Genio) e Vincenza sorella..
Figli di Gaetano (sindaco a cavallo
dell’Unità) e di Grillo Maria Antonia Cavallaro (quella della lapide). Gaetano
nato nel 1812 e muore il 19/9/1876.
Figlio di Leonardo e Vincenza Tirone
Figlio di Gaspare e Angelica
Gambuto:
Gaspare figlio (?) di Francesco.
****************
I precedenti appunti mi sono stati
forniti oggi 27 gennaio 1998, a casa mia dal giornalista Gaetano Savatteri,
figlio del prof. Lillo Savatteri. Altre notizie importanti fornitemi riguardano
il circolo del mutuo soccorso. In particolare mi ha esibito lo statuto con
tessera d’iscrizione del notaio Calogero Savatteri. Là figura come il n.° 5 dei
soci onorari ed vi fa parte nell’agosto del 1873 - dopo, dunque, le vicende del
maggio di quel Circolo. Presidente effettivo risulta Scibetta Salvatore. Il
Savatteri è quindi perché - penso - i primi quattro soci onorari erano Giuseppe
Garibaldi Presidente onorario e Maurizio Quadrio, Aurelio Saffi e Federico
Campanella (vedasi Gabinetto Girgenti 10/7/1875).. Gaetano Savatteri mi ha
fatto vedere anche la bozza della lettera che il notaio Calogero Savatteri
mandò al circolo nell’agosto di quell’anno per aderirvi. Non fu dunque socio
della prima società inaugurata il 6 gennaio 1873. Palesemente vi aderisce per
polemizzare con i Matrona ed anche, indirettamente, con il fratello
Gioacchino.Mi Pare che lo statuto - datato 6/1/1873 reca la firma di un
presidente, se non ricordo male Romano, e del segretario Orcel.Tutti questi
dati vanno però ricontrollati. Il Messana ne parla ma a modo suo. )Vedere il
trafiletto del Giornale di Sicilia).
Gaetano Savatteri mi ha fatto vedere
la bozza di un proclama su carta intestastata del Mutuo Soccorso risalente alla
data della morte del notaio Calogero Savatteri, ove viene tagliata una frase
d’attacco contro il sindaco (Gioacchino Savatteri) - onta oltre la morte, mi
pare - sindaco che avrebbe negato il gonfalone del Comune ai funerali del
fratello Calogero Savatteri.Una bega di famiglia continuata, a quanto pare,
dopo. Morto - per infarto, dice il Messana - Gioacchino Savatteri, senza figli,
i suoi beni furono rapinati (ma c’erano ancora?) degli eredi diretti (il
fretello Francesco Paolo e quella Rosalia che sposa Eugenio Napoleone Messa.
Poco finì al figlio di Calogero - Gaetano - caduto nelle grinfie di un tutore
poco benevolo. Cause a non finire! Ma per motivi d’eredità che non interessano
lo storico. La causa per peculato delle famose settemila lire e rotte contro il
Sindaco Gioacchino Savatteri si protrasse a lungo fino alle soglie di questo
secolo.
Da notare che il timbro sul
libretto-tessera-statuto dato al Savatteri reca i classici simboli della
massoneria.
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Trafiletto del Giornale di
Sicilia del gennaio (attorno al 18)
1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.
Racalmuto, “Mutuo Soccorso”
festeggia i suoi primi 25 (sic) anni.
RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei
locali del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide
in ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice
sindaco Pippo Di Falco e del presidente
Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello
statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano,
Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e
Lorenzo Viviani nel 1873.
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******
fianco sinistro di chi entra della
stessa cappella:
Notaro Pietro Cavallaro/ di gentil
lignaggio, di Santa Fè cultore/ cultore/per lustri molti/ da chiragra e podagra
oppresso/ostile funereo vel/ finì mondo quasi, a sue luci appose/ storia,
filosofia, onestà rimaste/ patrocinar l’oppresso/ fugar l’intrigo/invida parca,
infin, suo fil recise/ Egidio Tulumello/ desioso goder il nonno/ ratto al ciel
volò/ Passeggier dai requie al grande/ ammira il paraninfo il bimbo/ detta
conforti a genitori amati/ che su pietra e ne’ cuor/ cadauno incise/
Il 20 giugno 1860. Il 5 febbraro
1863.
DA CASINO DI NOBILI A CIRCOLO UNIONE
di Calogero Taverna
* * *
Il circolo Unione l’anno venturo,
nel 1999, compie 160 anni: è il più vecchio circolo di Racalmuto, il più
glorioso, quello maggiormente emblematico di una classe media con aspirazioni
nobiliari. Oggi è di certo meno pretenzioso, più riservato, amante del pettegolezzo
d’alto bordo - tra il politico, il sociale, l’irriverente, il caustico, il
miscredente. A sera pochi soci ormai cercano di perpetuare il cicaleccio
arrogante, impietoso ed ilare dei personaggi passati alla storia (letteraria)
per la penna di Leonardo Sciascia. Ma di don Ferdinando Trupia, di Martinez, di
Lascuda, di don Carmelo Mormino, del dott. La Ferla, di don Antonio Marino
ormai neppure l’ombra. I loro eredi - quasi tutti professionisti affermati in
Continente o a Palermo - hanno ritenuto di potere sbeffeggiare il circolo dei
loro sbeffeggiati (da Sciascia) antenati facendosi espellere per morosità da
una deputazione post-sessantotto, di estrazione non nobile e talora persino
proletaria. La fuoriuscita dei virgulti degli antichi galantuomini vorremmo dire è persino fisiologica.
A sera, ora, tocca alla facondia
suadente e beffarda di Guglielmo S. mantenere viva la conversazione al circolo:
gli fa eco il tranchant assiomatismo di Calogero S.; sorride con intelligente
silenzio Gioacchino F.; fino a qualche anno fa scoppiava l’ira funesta
dell’avv. Salvatore C.; al dott. Gioacchino T. il compito del divertito
spettatore; Ignazio P. ascolta silente, ma si arrabbia se gli toccano la sua
Democrazia; il Presidente non è faceto: se occorre stigmatizza; Salvatore S.
arriva tardi, in tempo per un paio di sorrisi se Guglielmo S. è in vena nelle
sue sforbicianti allusioni. Quando vado a Racalmuto, partecipo anch’io a tali
dibattiti serotini: nessuno ha voglia di prendermi sul serio: provoco, sono
provocato, insolentisco, vengo insolentito: la serata passa piacevole: val la
pena di pagare quel piccolo contributo quale socio con “dimora precaria”.
Di tanto in tanto arrivano poesie in
vernacolo: sono composizioni miserande, cattive, senza gusto: sono intollerabili.
I soci però sembrano divertirsi lo stesso.
Leonardo Sciascia trasse motivi ed
argomenti per il suo iconoclasto deridere i poveri galantuomini di Racalmuto.
Vi era associato; lo eleggevano deputato e persino cassiere. Ma amava stroncare
quei figuri nati effettivamente per lasciare “un’affossatura nelle poltrene del
circolo”. Ebbe il cattivo gusto di morire lasciando in sospeso il pagamento dei
“buoni” associativi: inflessibili i membri della deputazione non mancarono di
verbalizzare nel 1992 la circostanza.
Lo scrittore è disinvolto
nell’accennare alle gloriose origini del circolo: «Il circolo della concordia -
annota quasi con prosa burocratica -
prima denominato dei nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio, sotto l’AMG sede
della Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa zona della Sicilia
all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e infine ribattezzato della concordia, pare sia stato fondato
prima del 66, se appunto nel 66 la popolazione infuriata contro le sabaude
leve, istintivamente trovando un certo rapporto tra la leva che toglieva i
figli e i nobili che se ne stavano al circolo molto volenterosamente vi appiccò
il fuoco; ma pare ne ricevessero danno soltanto i mobili, le persone si erano
squagliate al primo avviso, le sale restarono superficialmente sconciate.»
Quanto a storia locale ci reputiamo
più fortunati di Sciascia e siamo in grado di retrodatare di almeno un
trentennio la fondazione dello storico circolo. Se si spulcia l’Archivio di
Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia
vol. 412, si rinviene il “Notamento dei
Così detti Caffè e luoghi di riunione esistenti nei vari Comuni di questa
Provincia ..., Girgenti, 26 agosto 1839.” Sotto tale data abbiamo dunque la
consacrazione ufficiale del nostro circolo o se si vuole il riconoscimento
giuridico. Scrive Carmelo Vetro «In
provincia i sodalizi si registrano a Licata (due circoli), Palma, Racalmuto, Ravanusa, Bivona,
Villafranca, S. Giovanni, Santa Margherita, Montevago, Sciacca, Naro,
Canicattì, Alessandria, Campobello, Cammarata, Caltabellotta, Menfi, Sambuca,
Burgio ed Aragona: tutti con i loro bravi regolamenti, autorizzati dalle
autorità di polizia, ... E’ da dire che molti di questi circoli erano favoriti
dall’autorità locale che in tal modo poteva registrare gli umori politici e gli
orientamenti prevalenti. Non a caso parecchi sodalizi nascono negli anni Trenta
dell’Ottocento dopo la tempesta politica del 1820-21 ed il tentativo borbonico
di riavvicinarsi agli intellettuali e borghesi.» Siamo pressoché certi che il
circolo sorgesse in piazza su un marciapiede “sopraelevato rispetto al resto
della piazza, ove era vietato, per inveterata consuetudine, passeggiare alla
‘gente comune’ ... Si aveva così un effetto quasi grottesco, che sottolineava
la gerarchia feudale, essendo i notabili una ‘spanna’ più alti degli altri”. Il
Vetro soggiunge: «Un rigido cerimoniale regolava l’ammissione dei nuovi soci ai
vari circoli.... si poteva essere ammessi riportando la maggioranza di “voti
segreti per bussoli”, nell’assemblea dei soci. Ogni due anni venivano eletti
quattro deputati, il più giovane dei quali faceva da segretario. Nelle
assemblee avevano diritto di voto i soli contribuenti. Ai deputati erano
affidati la “polizia interna” e il “buon ordine della conversazione. Nelle sere
di gala la conversazione era illuminata “a cera”. Al circolo erano ammessi solo
“gli associati, le loro mogli, i figli e le figlie nubili e fratelli conviventi
nella stessa casa”. Infine gli ospiti non si
dovevano “permettere di discorrere e discutere di cose” che si
allontanavano “dallo scopo di una onesta conversazione”. Parimenti vietata era
la lettura di fogli, giornali, libri o stampe non autorizzati dalla polizia.
... I contribuenti avevano la facoltà di presentare alla conversazione
“forestieri distinti e di loro conoscenza, chiesta il permesso ai Deputati,
salvo alla deputazione di deliberare in seguito l’esclusione se non li avesse
riconosciuti “meritevoli”. ... Il
circolo era provvisto dei “fogli officiali”
di Palermo e di qualche altro giornale letterario. Un cameriere ed un
“bigliardiere” si occupavano di servire i soci con un vestito decente e a testa
scoperta”. Un puntuale tariffario
stabiliva le quote da versare per i diritti di gioco. Le illuminazioni
“a cera” erano ordinariamente previste nella sera di gala ed in talune
ricorrenze. ... Leonardo Sciascia ci introduce nello spazio dorato, quasi senza
tempo del Circolo della concordia di
Regalpetra, dove vecchi e nuovi notabili vengono a celebrare il rito della
fedeltà al passato ed alimentare inutili sogni di difesa dei propri privilegi.
Il circolo è situato nella parte centrale dei corso: “Consiste di una grande
sala di conversazione, con tappezzeria di color pesco e poltrone di cuoio
scuto, una sala di lettura, tre sale da gioco”. I soci del circolo non sono,
ormai, più i ricchi: “I ricchi si trovano nel circolo del mutuo soccorso, una
società operaia che è venuta trasformandosi ...; il più ricco dei “don” non
possiede più di dieci salme di terra” ma i soci del circolo della Concordia
“continuano ad essere il sale della terra”. Anche qua si discute di politica
“scienza di cui molti soci del circolo si sentono al vertice e fanno previsioni
che, verificandosi poi fatti esattamente opposti, si possono considerare
attendibilissime.” Dopo la politica, le donne. E allora “le mani si muovono a
plasmare nell’aria grandi corpi di donne, donne si gonfiano nell’aria come
mongolfiere. Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta
le confidenze del giudice di corte d’appello in pensione”. Nella
rappresentazione letteraria la ritualità della “conversazione”, che
autogratifica con la sua immobilità l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla
stessa esistenza: ci si sente, allora, “lievi e giustificati, d’aver vissuto
tutta la giornata soltanto per attendere, come una novità, come una grazia
insolita e particolare, quest’ora che compendia le ragioni ideali del mondo,
che chiarifica e motiva finalmente l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei
giorni, riattacca la morta gora dell’abitudine al canale della continuità”. Una
continuità che nell’illusione di molti esercita, ancor oggi, come un fossile
vivente, esercita il fascinoso richiamo di un’elitaria società che più non
esiste.»
FONDAZIONE DEL SODALIZIO
Il circolo Unione sorge dunque poco
prima del 1839 con un nome ben diverso: Casino
di Compagnia. Leonardo Sciascia è sapido e sfottente sul termine “casino”:
deliziosa la sua verve ironica in
Occhio di Capra. «CASINU. Casino. Casino di compagnia. - annota a pag. 43 - Ma
non tutti i circoli erano così denominati. Il casino per (non per modo di dire)
eccellenza era quello dei ‘galantuomini’ cui il fascismo, impadronendosene,
diede nome di “dopolavoro delle forze civili”. Raccoglieva proprietari
terrieri, professionisti, funzionari dello Stato, maestri delle scuole
elementari; e vi si entrava se approvati, per votazione a palle nere e bianche,
dai due terzi dei soci. La non approvazione - piuttosto frequente - era un
fatto mortificante e non privo di conseguenze morali, sociali. Una macchia.
Paradossalmente, fu il fascismo a democratizzare l’ammissione al casino:
bastava appartenere alle “forze civili” (e cioè alla categoria popolarmente
detta dei “sucanchiostru”, dei succhia-inchiostro, della burocrazia anche
infima) per essere, dietro domanda, ammessi. Ma caduto il fascismo, si tornò al
vecchio statuto. [...] In tutti [i circoli] prevalente attività era il gioco di
carte: a passatempo durante l’anno, d’azzardo durante il periodo natalizio. Nel
frattempo (negli anni Cinquanta) scompariva nell’accezione di circolo la parola
casino, ormai d’uso generale nel significato - derivante da casino = casa di
prostituzione - di confusione, tumultuazione, chiasso.
«Il casino = casa di prostituzione
non esisteva nel paese; e le case di prostituzione dei grossi paesi vicini
erano semplicemente bordelli. Qualcosa di simile alla casa di prostituzione
pare fosse esistita, non in regola con la legge, alla fine dell’Ottocento in un
quartiere chiamato Santa Croce: e ne rimase memoria nel dire “santacruci” come
sinonimo di licenziosità, di puttanesimo. Curiosamente, è con l’abolizione
delle case di prostituzione che cade l’interdetto sulla parola casino, e per il
fatto che ormai tutti sapevano che cosa fosse stato un casino. Per cui casino,
incasinare, incasinato, far casino, sono espressioni che soltanto i giovani,
fra di loro, usano. La pruderie dei
racalmutesi si può senz’altro dire di tipo vittoriano. Ancora oggi c’è chi
chiama “biancu” (bianco) il petto di pollo; chi evita di dare precisa
denominazione a quella pera cerea e succosa detta “coscia” o - peggio - “coscia
di monaca”; chi, azzardandosi a parlare di prostitute, ricorre all’eufemismo di
“donne che fanno qualche favore” ...»
Il 1839 seguiva di poco a Racalmuto
il temendo cataclisma che era stata la peste del 1837. Un fraticello del
Convento di S. Francesco ci ha lasciato questa tremenda testimonianza :
«Nell’anno 1837: mese di agosto vi fù il colera e in questa di Racalmuto
morirono circa mille persone e furono sepolte nella sepoltura di Santo Alberto
al Carmine, all’Anima Santa del Caliato, in Santa Maria di Gesù e porzione in
San Francesco; Monte San Giuseppe e in altre chiese, cioè persone perticolari;
poi nella nostra sepoltura grande vi è sepolto il paroco don Antonino Grillo,
che morì a 25 agosto 1827 ed altre persone riguardevoli.»
In quel torno di tempo si era dunque
nella solita euforia esistenziale che segue ai grandi sconvolgimenti
demografici: voglia di vivere, di procreare, di lavorare, di arricchirsi, di
consociarsi, di amare e di divertirsi. Il Casino nasce per conversare, giocare,
ma soprattutto per scambiarsi idee, per saggiare il terreno delle opportunità
commerciali. Racalmuto era stato invaso dalla febbre dell’oro giallo, dello
zolfo che le viscere delle sterili terre del nord contenevano a profusione. Nel
quadriennio 1834-1837 erano state attivate
a Racalmuto 35 solfare su un totale di 332 in Sicilia: il prodotto medio
annuo era stato di 34.696 cantari su una produzione intera della Sicilia
calcolata in 1.478.254 cantari. Presso
il circolo di conversazione si radunavano quindi i maggiori proprietari di
solfare; s’informavano reciprocamente su quelli che erano gli umori del
mercato; sulle prospettive, sulla faccenda complicata del monopolio solfifero
accordato dai Borboni allaTaix, Aycard e C. (con decreto reale del 5 luglio
1838). La compagnia si obbligava a comprare ogni anno 600 mila cantari di zolfo
prodotto in Sicilia “avendo la sperienza comprovata eccedente e di gravi danni
produttrice ogni maggior produzione” . La produzione doveva quindi
autodisciplinarsi. Non saranno stati grandi ingegni quei nostri proprietari
terrieri, trasformatisi all’improvviso in imprenditori minerari, ma il bisogno
dovette acuirne l’ingegno; al circolo era possibile, magari sotto forma di
feroce dibattito e di reciproche contumelie, avere modo di giungere ad un
qualche chiarimento, ad un orientamento delle proprie scelte produttive. Erano
i problemi della nuova società borghese ed anche i ‘civili’ racalmutesi ne
venivano inghiottiti. Sono aspetti per ora in nessun modo indagati dalla
storiografia, ancora anchilosata da ideologismi e prevenzioni
intellettualistiche oscuranti la ricerca
del vero evolversi sociale di quel tempo.
Il circolo era tutt’altro che il
punto d’incontro di neghittosi nobilotti di paese, alle prese con il problema
del molto tempo libero da occupare in qualche modo. V’era spirito
imprenditoriale: vi accedevano, se non i gabellotti arricchiti, freschi di studi universitari. La
stampa cominciava a farvi capolino. Il circolo è dunque più di un’occasione per
attizzare una certa vivacità culturale. E la cultura cambia in paese: esso non
è più la contea alle prese con i problemi del terraggio e del terraggiolo;
anche il nuovo barone Tulumello - un prete suo antenato aveva acquistato per
due terzi il feudo di Gibillini il cui titolo doveva essere assegnato a persona
da nominare - deve ora accontentarsi solo del vacuo trofeo di un blasone
nobiliare che deve condividere con il barone Girolamo Grillo. In quel torno di
tempo ben 3 personaggi racalmutesi si arrogavano quell’altisonante fregio.
Eccoli secondo le annotazioni di un rivelo coevo:
GRILLO
|
GIROLAMO
|
BARONE
|
TULUMELLO
|
LUIGI
|
BARONE
|
TULUMELLO B.NE
|
GIUSEPPE SAVERIO
|
BARONE DON
|
Furono sicuramente tra i promotori
del circolo quali nobili per eccellenza; dovettero però convivere con gli
emergenti, con i nuovi ricchi e
soprattutto con i nuovi notabili ormai senza più cordoni ombelicali con i settecenteschi
potentati feudali. Sindaco di Racalmuto è don Nicolò Mattina Calello che
“don” lo è di recente: nel seicento la
sua famiglia era notabile solo per qualche prete come don Federico Mattina,
nato un ventennio prima di fra Diego La Matina, che però era di diverso ceppo
ed era un Randazzo per parte di madre. I La Mattina Calello affiorano qua e la
come notabili ma sempre marginalmente sino a tutto il Settecento: poi il salto
di qualità nella gerarchia degli ottimati locali, sino ai nostri giorni. Gli
eredi sono tuttora i più cospicui elementi dell’attuale Circolo Unione.
Scottante era in quel tempo la
questione delle Decime da pagare alla mensa vescovile di Agrigento: tutto il
territorio di Racalmuto vi era assoggettato. Sciascia è piuttosto disinvolto
quando riduce a poca cosa la vicenda del passaggio dal feudalesimo all’economia
libera. Scrive, nelle sue Parrocchie di
Regalpetra (pag. 20 ed. 1982): «Nel 1819 ... Regalpetra [alias Racalmuto] è
considerata ex feudo: la riforma di Sant’Elia era già stata attuata, ma buona
parte del territorio era in mano dei preti.» Naturalmente non era vero. Ed
ancora oggi è da chiarire cosa abbia inteso il grande scrittore siciliano nel
compendiare così la riforma di Sant’Elia (ibidem, pag. 19): Cessata la famiglia
del Carretto, «l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi
di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; ...». A noi pare
essere questa della riforma una grande topica storica: i Sant’Elia non fecero
alcuna riforma, subirono gli effetti dell’abolizione del feudalesimo, si
trovarono ad essere solo titolari di alcuni diritti dominicali, i censi appunto.
Ma fu la Chiesa agrigentina che pretese - ed ottenne - le decime su tutte le
terre racalmutesi in forza di un falso diploma del 1093 che sarebbe stato
rilasciato dal conte Ruggero al vescovo Gerlando appena prescelto a capo della
Chiesa di Girgenti. Su ciò una pubblicistica smisurata (). E proprio nel 1839, il 25 febbraio vi è una
seduta straordinaria presediuta dal sindaco don Nicolò Mattina. Il suo o.d.g.
contiene la «nomina della terna per le decime del 1839 dei periti agronomi:
Eletti: 1° Don Aurelio Alaimo; 2° Don Nicolò Grillo Macaluso; 3° don Giuseppe
Capitano. - Firmato: Nicolò Mattina, sindaco; Giuseppe Tulumello; Michelangelo
Alfano; Girolamo Grillo ecc.»
Verranno incisi ben n.° 1281
proprietari terrieri: Tal Taverna Calogero (mio antenato) per tre tumoli di
terra deve corrispondere tarì 2 e grana 1. Il totale delle terre soggette alle
decime venne dalla triade di agronomi stimata in salme 441, tumoli 8 e mondello
1. Il gettito sarà stato di oltre 235 onze ( qualcosa come 130 milioni di lire
attuali): una bazzecola per i ricchi signori; una dannazione per i minuscoli
coltivatori diretti. I tre agronomi erano tutti “don”: tutti quindi con diritto
di accedere al neo casino della conversazione. Di loro si vociferò di sicuro
male quando assenti; con sussiegoso encomio quando presente. Come oggi, il
sindaco Mattino dovette subire il tagliente dileggio specie dei più vetusti
galantuomini. Se Sciascia avesse scritto un romanzo alla Gattopardo, avrebbe così
rievocato quelle affabulazioni del ‘casino’: «Ma raramente il segretario della
Dc dà modo di fare esaurire gli sfoghi contro il suo partito e il governo, una
sorta di sesto senso possiede, un fiuto sempre quando un discorso sulla Dc
ribolle lui vi piomba dentro, arriva sempre in tempo, lo sente nell’aria se il
discorso cade o si mimetizza. Il domatore che entra nella gabbia delle belve e
giù uno schiocco di frusta, l’immagine è vecchia ed indecorosa: ma come rendere
il ringhio di don Carmelo Mormino che rientra nel guscio della poltrona?,
l’improvviso mutar discorso del dott. La Ferla?, il “però” che sulle labbra di
don Antonio Marino affiora dall’invettiva e apre un solleticante elogio della
Dc?. Il segretario, che senza la viltà del mondo che lo circonda sarebbe
certamente un uomo migliore e un più accorto dirigente, comincia a snocciolare
tutte le opere pubbliche avviate e progettate, racconta i suoi incontri con
deputati e gerarchi del suo partito, quel che gli hanno promesso, i
provvedimenti che saranno varati. Quasi tutti approvano, dicono - questa ci
voleva, bene, mi compiaccio - poi quando il segretario si allontana respirano
di sollievo, il discorso contro la Dc violentemente divampa.»
Il sindaco don Nicolò Mattina del
1839 come il segretario Dc degli anni Cinquanta di questo secolo? Molto verosimilmente.
Il casino di conversazione come il circolo della concodia di Sciasca? Senza
dubbio.
Il panorama politico racalmutese del
1839 dovette essere variegato reagendo in diverso modo alla riforma tributaria
borbonica: inferociti i proprietari terrieri ed i nuovi proprietari di miniere;
entusiasticamente filoborbonici il popolo minuto, come si diceva allora. Nel
‘casino della conversazione’ l’ondata protestaria covava sotto le ceneri della
formale fedeltà ai borboni.
Nel 1837 v’era stata nelle grandi città
dell’Isola una sorta di ribellione per il colera. L’anno successivo il re
Ferdinando II fece un giro della Sicilia e si convinse che l’irrequietudine
popolare nasceva principalmente dalla mancata applicazione delle leggi
esistenti. Corse subito ai ripari: tra l’altro, ridusse l’imposta del macinato
e compensò il deficit aumentando l’imposta fondiaria e imponendo un tributo ai
proprietari di miniere.
Eugenio Napoleone Messana visita
quei tempi: fornisce dati di cronaca molto succosi. Invitiamo a leggere le
pagine 190-198 della sua storia di Racalmuto. Stralciamo questo passaggio (pag.
194): «Gli amori clandestini pullulavano, le leggi morali probabilmente erano
rilasciate [sic, forse per rilassate, n.d.r.]
abbastanza ed una costumanza, per nulla affine alle norme etiche della più
semplice e civile vita associata, era diventata preoccupante. I nati da amori
illeciti venivano facilmente abbandonati o
comunque elusi dalla registrazione negli elenchi anagrafici, se non
erano soppressi da morte violenta o naturale, dovuta quest’ultima sovente a
fame. Ciò lo prova [sic] le numerose domande che giacciono nell’archivio di
stato di Agrigento, nei carteggi dello stato civile attorno al 1848 e
posteriori, presentate da giovani che non potevano contrarre matrimonio per
mancanza di registrazione della loro nascita allo stato civile. Il sindaco
Mattina appena insediato promosse l’erezione della ruota dei proietti e diede
incarico ai due deputati comunali, primo e secondo eletto, di indagare e
riferire. Poscia, in seguito alla relazione degli incaricati, riunì il
decurionato, precisamente il 13 gennaio 1838, ne propose la costruzione e fu
approvata ad unanimità per una spesa di onze 1, tarì 9 e grani 12 per legname,
magistero, gesso e fuso di ferro. La ruota era un congegno semplice molto in
uso nel passato nei monasteri, oggi limitato alle clausure. [..] Dalle firme in
calce di quella deliberazione si rileva
che i decurioni di Racalmuto, nel triennio 1838-1841 erano: Nicolò Mattina,
sindaco, Girolamo Grillo e Martorana, Gaetano Savatteri, Nicolò Grillo e
Macaluso, mastro Gaetano Di Rosa, Aurelio Alaimo, Nicolò Troisi, Michelangelo
Alfano, Gaetano Grillo e Scibetta, Biagio Messana, mastro Calogero Mattina,
Giuseppe Matrona, Baldassare Curto, Giacomo Giudice sottofirmato dal segretario
perché analfabeta.»
Il sindacato passò quindi - dal 1841
al 1845 - a don Giuseppe Farrauto. Non tutti questi personaggi erano ‘civili’,
ma molti di loro sì e questi ultimi in frotta ebbero ad iscriversi nell’appena
sorto casino della conversazione: una conversazione di cui si sono perse le
tracce per una malaugurata perdita dei verbali sociali.
Il grande trambusto del 1848
coinvolse di certo anche Racalmuto: E.N. Messana ebbe a trovare dei carteggi
che mettevano in risalto un membro della sua famiglia, Biagio Messana. Non si
trattiene più, pagine e pagine per esaltarne le imprese. Noi non abbiamo
elementi per contraddirlo: siamo però scettici sulla fibra rivoluzionaria
racalmutese, a qualunque classe si appartenga. Un’occasione vi fu per sperare
di ribaltare lo strapotere di alcuni ottimati locali; il giudice supplente don
Biagio Messana - che poi era discendente
di un un borghesuccio arricchitosi con il commercio dello zolfo, Luigi Messana
- crede che sia giunto il suo momento. Sa di una bandiera tricolore da mettere
al posto a quella candida dei Borboni, sale su un balcone, fa una concione, il
popolo - incuriosito - l’ascolta. Si sparla del re, si osa irriderlo sia pure
con versi sgangherati in vernacolo:
Comu lu chhiù perversu Firdinannu
Di li nazioni scannalu ed orruri
Di li figli cannibali e tirannu
Di liggi e sacri diritti usurpaturi.
Già Ferdinando aveva osato tassare
le miniere! Aveva toccato le tasche dei Messana, prodighi di parole, parchi
negli esborsi. Ad una commissione agrigentina si chiede la persecuzione di
odiati antagonisti. Ne fanno le spese
Gli Alfano. Don Calogero Alfano, il notaro don Giuseppe Alfano, don
Nicolò, don Filippo, don Alfonso, don Giuseppe e don Giuseppe di don Giuseppe
Alfano dovettero prendere la via dell’esilio. Sicuramente erano soci del
circolo: di materia di conversazione ve ne fu all’improvviso tanta.
Soprattutto si ebbero a commentare
le efferate vicende dell’uccisione di Calogero Rizzo Inzalata, dell’incidente
mortale occorso a Damiamo Tulumello, e della giustizia sommaria in cui perì
Rosario Agrò. In specie l’atroce dubbio che si ebbe sulla partecipazione
all’esecuzione dell’Agrò da parte addirittura dello stesso giudice supplente
don Biagio Messana.
Con i moti del 1848, il giudice
supplente Biagio Messana organizza un Comitato sovversivo: si autoelegge
Presidente del Comitato dell’Annona e Vice Presidente del Comitato generale.
Nomina il fratello Serafino, Presidente del Comitato di Finanza. Ama comunque
continuare a fare il giudice, stavolta a pieno titolo.
Il 30 gennaio del 1848, i fratelli
Messana - ormai padroni del paese - rimuovano una guardia, liberano carcerati
ed ergastolani, riabilatano i sorvegliati speciali. Ne fanno addirittura una
personale guardia civile. Gli Alfano - evidentemente avversari politici dei
Messana - vengono costretti all’esilio. Oggetto dell’aggressione era
soprattutto don Calogero Alfano, Capo urbano dei Borboni. Ciò avviene per
l’appoggio che inopinatamente fornisce al Messana il clero locale,
evidentemente stizzito per qualche riforma del Borbone che l. aveva colpito nel
portafoglio. Tra i firmatari,
fiancheggiatori del Messana, troviamo l’arciprete Salvatore Puma ed il vicario
foraneo sac. Carmelo Troisi. Ma non mancano le firme di ben altri 14 preti e
religiosi locali, ivi compreso don Giuseppe Cavallaro, “parroco di
Bompensiere”. Della combriccola fanno parte i Picataggi, i Busuito, i
Cavallaro, i Farrauto, Michelangelo Scimé e Vincenzo Tinebra, i ricchissimi
Savatteri, un La Mantia, Angelo Presti e Gioacchino Lo Brutto, i Picone, tal
Calogero di Giglia, Nicolò La Tona, Giuseppe Mattina, Vincenzo Saldì, Salvatore
Argento, Carmelo Romano, Ferdinando Martino - quello dell’ospedale -, Francesco
Vinci, Gaetano e Francesco Grillo, Carmelo Pomo ed altri. Non tutti sono “don”,
anzi la maggior parte sono burgisi, mastri e gabellotti: un rigurgito di
contestazione borghese; una rivolta di industriali dello zolfo contro
l’imposizione borbonica; una reazione clericale avversa alle tentate riforme
della manomorta ecclesiastica.
I nobili - quelli veri alla
Tulumello, alla Matrona, alla Grillo Borghese o alla Grillo Belmonte etc. -
sono assenti. Assenti per ovvie ragioni i grandi burocrati borbonici quali gli
Spinola, i Gambuto, gli Amella, i Baeri.
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