Note e
dettagli sull’avvento dei Del Carretto
Il
grandissimo storico spagnolo Surita ha una pagina che ci coinvolge, che attiene
proprio ai Del Carretto fiancheggiatori del Duca di Montblanc. Essa recita [1]:
Antes que la armada lle gasse a Sicilia; el Rey dio su
senteçia contra el Conde de Agosta, como contra rebelde, è in gratissimo a las
mercedes y beneficios que avia recebido del y del Rey fu padre, y se
confiscaron a la corona las islas de Malta, y del Gozo, y las vallas de Mineo y
Naro, y otros muchos lugares de los varones que se avian rebelado, y el Conde
murio luego: y con la llegada de la armada la execucion se hi zo rigorosamente
contra ellos, y di se entonces el officio de maestre justicier al Conde Nicolas
de Peralta, que vivio pocos meses despues. Murio tambien en este tiempo Ugo de
Santapau, y quedo en servicio del Rey de Sicilia Galceran de Santapau su
hermano: y por este tiempo embio el Rey a don Artal de Luna, hijo de don Fernan
Lopez de Luna a Sicilia, para que se
criasse en la casa del Rey su hijo, que era su primo, y sucedio despues
en la casa de Peralta, que era un gran estado en aquel reyno. Sirvio
tambien al rey de Sicilia en esta guerra, que duro algunos annos, Gerardo de
Carreto Marques de Sahona: y haziendose
la guerra muy cruel contra los rebeldes, el Conde de Veyntemilla, que sucedio
en el Contado de Golisano al conde Francisco su padre se reduxo a la obediencia
del Rey ...
Per il
Surita, dunque, fu Gerardo del Carretto, Marchese di Savona, che si mise al
servizio del re di Sicilia, Martino, in questa guerra che durò alcuni anni. Lo
spagnolo desunse, sicuramente, questa notizia dagli archivi aragonesi, ma
abbiamo il dubbio che ad ispirarlo siano state le cronache cinquecentesche,
specie quella del Fazello. Se del tutto attendibili, queste note di cronaca ci svelano
il fatto che Gerardo del Carretto attorno al 1392 si faceva passare come
marchese di Savona, il che non collima proprio con la storia di quella città
ligure. Più che il fratello Matteo del Carretto, è Gerardo che si dà da fare in
un primo tempo per accattivarsi le simpatie dei Martino. E’ sempre Gerardo che
si mette a guerreggiare in difesa dei catalani nella lotta contro la parzialità
latina di Sicilia. Quanto credito si possa concedere è questione ardua, non
risolvibile allo stato delle attuali conoscenze.
Una documentazione probante della titolarità su Racalmuto
i Del Carretto sono, comunque, costretti a darla alla fine del secolo, quando
la cancelleria dei Martino diviene intransigente e vuole prove certe delle
pretese feudali. Alle prese con la corte non è più però Gerardo ma Matteo, il
fratello cadetto. Fu vero l’atto transattivo tra i fratelli che fu presentato
alla corte in quello che può considerarsi il primo processo per l’investitura
della baronia di Racalmuto? Davvero avvenne il riparto dei beni tra i due
fratelli? Fu solo formalizzata l’assegnazione delle possidenze genovesi al
primogenito Gerardo e l’attribuzione dei beni feudali e burgensatici di Sicilia
- in particolare il castro di Racalmuto - al cadetto Matteo Del Carretto?
Interrogativi cui non siamo in grado di dare risposte certe.
Nel
1392 giunge, dunque, in Sicilia il duca di Montblanc. E’ un cinico, infido, ma
astuto e determinato personaggio, protagonista in Sicilia ed in Spagna di
grandi svolte storiche. Martino, secondogenito di Pietro IV e duca di Montblanc, viene dagli storici
siciliani indicato come Martino il vecchio; ebbe la ventura non comune - scrive
Santi Corrente - di succedere al proprio figlio sul trono di Sicilia. Resta
l’artefice della sconcertante condanna a morte del vicario ribelle Andrea
Chiaramonte, e non cessò di combattere
la nobiltà siciliana, salvo a remunerarla oltremisura appena ciò gli fosse
tornato utile.
Ne
approfitta Matteo del Carretto per farsi riconoscere il titolo di barone di
Racalmuto, naturalmente a pagamento.
L’intrigo della genesi della baronia di Racalmuto dei Del Carretto è tuttora scarsamente inverato dagli storici.
All’inizio
del secolo XIV un marchese di Finale e di Savona - a quanto pare titolare di
quel marchesato solo per un terzo (sempreché la favoletta abbia un fondamento
storico - scende in Sicilia e sposa la figlia di Federico Chiaramonte, Costanza. Ha appena il tempo di
averne un figlio cui si dà il suo stesso nome, Antonio, e muore. La vedeva
convola, quindi, a nozze con un altro ligure, il genovese Brancaleone Doria - un personaggio che Dante colloca
nell’Inferno - e ne ha diversi figli, tra cui Matteo Doria che morrà senza prole: costui pare che abbia
lasciato i suoi beni (in tutto o in parte, non si sa) agli eredi del suo
fratellastro Antonio del Carretto.
Antonio
frattanto si era trasferito a Genova. Aveva procreato vari figli, tra cui
Gerardo e Matteo. Matteo, in età alquanto matura, scende in Sicilia: rivendica
i beni dotali di Agrigento, Palermo, Siculiana e soprattutto Racalmuto. Parteggia ora per i
Chiaramonte ora per Martino, duca di Montblanc ed alla fine gli torna comodo passare
integralmente dalla parte dell’Aragonese.
In cambio ne ottiene il riconoscimento della baronia. Certo dovrà
vedersela con le remore del diritto feudale. Inventa un negozio giuridico
transattivo con il fratello primogenito Gerardo, che se ne sta a Genova, ove ha
cointeressenze in compagnie di navigazione, e finge di acquistare l’intera
proprietà della “terra et castrum Racalmuti”.
Martino il vecchio si rende subito conto del senso e
della portata dell’istituto tutto siculo della cosiddetta Legazia Apostolica. Deteneva il beneficio
racalmutese di Santa Margherita l’estraneo canonico “Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le nostre benignità”
- come scrive Martino da Siracusa, l’anno del Signore VII^ Ind. 1398. Quel
beneficio gli viene tolto per essere assegnato ad un altro estraneo “al reverendo padre Gerardo de Fino arciprete della
terra di Paternò, cappellano della
nostra regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto”. Altra
ignominia della storia ecclesiastica racalmutese.
PROFILI DEI DEL CARRETTO DI RACALMUTO
Non c’è
dubbio che una potente famiglia denominata “DEL CARRETTO” si sia affermata a
Finale Ligure sin dal dodicesimo secolo o giù di lì: essa estese i propri
domini anche a Savona e poté fregiarsi del magniloquente titolo di Marchesi di
Finale e Savona. A cavallo tra i secoli tredicesimo e quattordicesimo, i del
Carretto liguri erano al vertice del loro potere ma erano costretti a
suddividere il feudo in quote tra i numerosi figli. Le ricerche storiche
indigene, però, non dimostrano l’esistenza di un certo Antonino del Carretto
che in qualche modo avesse titolo di marchese nel primo decennio del ’300.
Rimbalza dalla Sicilia l’esistenza di un tale titolato, evidentemente spurio, e
l’autorità storica di un Pirri o di un Inveges o di Barone è tale che gli
odierni araldisti di Finale inframmettono questo personaggio nella ricognizione
delle tavole cronologiche dei loro marchesi. Diciamolo subito: un marchese
Antonio I del Carretto che nei primi del Trecento lascia Finale Ligure per
approdare ad Agrigento e sposare l’avvenente Costanza figlia di Federico II Chiaramonte,
semplicemente non esiste, a nostro giudizio.
ANTONIO
I DEL CARRETTO
Questo non
significa che un avventuriero ligure non si sia potuto accasare con la giovane
figlia del cadetto della potente famiglia Chiaramonte. Ed è proprio così che è
andata: dopo il Vespro la Sicilia fu meta del commercio marittimo dei Liguri.
Uno di questi, ricco ma anche in là con gli anni, ebbe a sposare Costanza
Chiaramonte. E’ appena imparentato con la altezzosa famiglia dei del Carretto,
marchesi di Finale e di Savona. Il mercante forse porta quel cognome, forse no.
Fa comunque credere di essere Antonio del Carretto, marchese di quei due centri
lontani. Il matrimonio dura il tempo necessario per generare un figlio cui si
dà lo stesso nome del padre. Il vecchio Antonio decede e la vedova sposa un
altro avventuriero ligure che questa volta dice di essere Bancaleone Doria. Da
questo secondo matrimonio nascono vari eredi che si affermano, e talora
violentemente, nella storia siciliana. Ma mentre il ramo dei del Carretto sembra
subito acquisire un qualche diritto su Racalmuto - escludiamo però che si
trattasse di diritti genuinamente feudali: erano forse solo possessi appena
“burgensatici” - quello dei Doria non nutre interesse alcuno per quelle terre,
paludose ed impenetrabilmente boschive, che circondavano il nostro centro,
specie nella parte vicino Agrigento.
ANTONIO II DEL CARRETTO
Antonio II
del Carretto non lascia traccia di sé: di lui si parla solo negli atti notarili
di fine secolo, a proposito della sistemazione successoria tra due dei suoi
figli, il primogenito Gerardo e l’irrequieto Matteo.
In quel
documento - che trova ampio spazio in questo lavoro - emerge che Antonio II del
Carretto passò la fine dei suoi giorni nientemeno che a Genova. Ciò fa pensare
che l’orfano di Antonio I non era bene accolto in casa del patrigno Brancaleone
Doria, di tal che appena gli si presentò il destro ritornò in Liguria nella
terra dei propri padri, ma non a Finale o a Savona - terre delle quali secondo
gli agiografi sarebbe stato marchese - ma a Genova. Questo la dice lunga sul
fatto che il preteso titolo era precario, forse del tutto inconsistente.
A Genova
Antonio II fa fortuna: l’atto transattivo tra i due figli Gerardo e Matteo
rendiconta su partecipazioni in compagnie navali, oltre che su beni immobili e
mobiliari di grossa valenza economica, persino strabocchevole rispetto al
lontano, piccolo feudo che a quel tempo era Racalmuto.
Non
sappiamo dove sposa una tal Salvagia di cui ignoriamo ogni altra generalità. E’
certo che entrambi gli sposi erano defunti alla data di un importante documento
del 12 marzo 1399.
Antonio II
- pare certo - lascia in eredità ai figli:
«loca vigintiocto et dimidium que dicuntur loca de
comunii ex compagnia que dicitur di “Santu Paulu” civitatis Janue in compagnia
Susgile pro florenis auri duobus milibus qui faciunt summa unciarum quatringentarum».
In altri
termini si sarebbe trattato di quote nella compagnia di navigazione genovese di
San Paolo per un valore di duemila fiorini pari a quattrocento onze siciliane
(una somma enorme per l’epoca). Antonio II aveva raggranellato anche molti beni
in Sicilia ed in particolar modo a Racalmuto sia per diritto successorio dalla
madre Costanza Chiaramonte sia per lascito del fratellastro Matteo Doria, morto
piuttosto giovane. L’inventario completo può essere quello che traspare dalla
transazione tra i due figli Gerardo e Matteo e cioè:
«casale et feuda Rachalmuti ac omnia et singula iura
et bona feudalia et burgensatica predicta» posti, cioè in
«territorio Garamuli et Ruviceto, in
Siguliana, ....»
Antonio II
del Carretto ebbe per lo meno tre figli: Gerardo primogenito, Matteo arrampante
cadetto che inventa la baronia di Racalmuto e Giacomino (Jacobinus) morto
piuttosto giovane.
GERARDO DEL CARRETTO
Gerardo del
Carretto è il primogenito di Antonio II del Carretto: non sembra che questi
abbia mai messo piede a Racalmuto. Il suo centro d’interessi è Genova e là ha
famiglia e ricchezze. Finge di avere interesse alla successione nel titolo
feudale della baronia di Racalmuto solo per consentire al fratello minore
Matteo del Carretto di sistemare la pendenza con la causidica e venale curia
dei Martino a Palermo. Se leggiamo attentamente i termini di quell’atto
transattivo ci accorgiamo che trattasi di espedienti e cavilli giuridici che
nulla hanno a che fare con la vera possidenza dei due fratelli.
Avrà
ragioni da vendere Giovan Luca Barberi, un secolo dopo, a mettere in
discussione la legittimità del titolo baronale di Racalmuto che sarebbe passato
da Gerardo al fratello Matteo, non solo a pagamento - cosa non ammessa secondo
il diritto feudale allora vigente - ma addirittura con un concambio tra beni
allogati nella lontana Genova e prerogative giuspubblicistiche sui nostri
antenati racalmutesi. Un volpino imbroglio che ancor oggi è ben lungi
dall’avere una persuasiva esplicazione da parte degli storici locali. Quello
che scrive Pirri, Inveges, Barone e poi Girolamo III del Carretto e poi il
Villabianca e poi San Martino de Spucches (ed altri moderni araldisti) e prima
il Tinebra Martorana (tralasciando gli inverosimili Acquista, padre Caruselli,
Messana, lo stesso Sciascia, i tanti preti da Morreale a Salvo) è semplicemente
cervellotica congettura. Invero anche il Surita incorre in un errore: per lo
meno fa uno scambio di persona tra i due fratelli Gerardo e Matteo del
Carretto.
Gerardo del
Carretto sposa una tal Bianca da cui ebbe una caterva di figli: si sa di
Salvagia primogenita (e portante il nome della nonna paterna), Antonio, Nicolò,
Luigi Caterina e Stefano. Nell’atto del
1399 che qui si va citando, il titolo riservato a Gerardo è solo “egregius vir
dominus”. Per converso il titolo di marchese viene appioppato a Matteo del
Carretto designato come “magnificus et
egregius d.nus Matheus miles marchio Saone”.
In un atto
dell’anno prima ([2]) era tutto l’opposto: Gerardo viene
contraddistinto con il titolo di “nobilis marchio Sahone familiaris et amicus
noster carissimus”; Matteo viene relegato in secondo ordine e segnato solo come
“nobilis miles, consiliarius noster dilectus”.
[1]
) ÇURITA GERONYMO, CHRONISTA DE ISTO
REYNO: ANALES DE LA CORONA DE ARAGON -
ÇARAGOÇA 1610 - Libro X de los Anales - Rey don Martin - 1398 Pag. 429.
[2] )
Datis Cathanie anno dominice incarnationis Millessimo trecentesimo XCVIIII die
primo Januari VIII Ind. Rex Martinus . - Dominus Rex mandat m. Jacobo de Aretio
Prothonotaro [ARCHIVIO DI STATO - PALERMO - RICHIEDENTE NALBONE GIUSEPPE - REAL CANCELLERIA - BUSTA N. 38 - Anni 1399-1401]
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