LIUNI DI
RACARMUTO GIUSTIZIA L’EBREO SADIA DI PALERMO
Attorno
alla metà del secolo, un grave episodio di intolleranza religiosa contro gli
ebrei - in cui però preminente è l’aspetto di comune criminalità - si verifica
nelle immediate adiacenze di Racalmuto. Era l’anno 1474: si perpetra una
efferata esecuzione dell’ebreo locale Sadia di Palermo. In un documento del 7
luglio 1474 VII Ind., vengono narrate le circostanze raccapriccianti del
crimine. Leggiamo: Il Vicere' Lop Ximen
Durrea da' commissione
ad Oliverio RAFFA di
recarsi a Racalmuto per punire coloro che uccisero
il giudeo Sadia di Palermo, e di pubblicare un bando a Girgenti per la protezione di quei giudei.
Continuiamo
la nostra narrazione riportando testualmente il linguaggio dei funzionari di
polizia dell’epoca, che ci torna particolarmente gradito svolgendosi il
racconto in vernacolo siciliano:
diviti sapiri comu quisti iorni prossimi passati Sadia di Palermo iudeu lu quali
habitava in lu casali di Raxalmuto
actendendo ad alcuni soy fachendi li quali fachia in lu dictu casali fu primo locu mortalmenti feruto
da uno Liuni figlastro di
mastro Raneri; et dapoy alcuni altri di lu dictu casali quasi
a tumultu et furia di populu dediru infiniti colpi a lu dictu iudeu
non havendu timuri alcuno di iusticia. Immo, diabolico
spiritu ducti, tagliaro la lingua et altri menbri et ruppiro
li denti usando in la persuna di
lu dictu iudeu multi crudelitati et demum lu
gettaru in una fossa et copersilu
di pagla et gictaru foco petri
et terra. La qual cosa essendo di malo
exemplo merita grande punicioni et nui tali commoturi di popolo et delinquenti volimo siano ben puniti et
castigati a talchi ad ipsi sia pena et supplicio et a li altri terruri et
exemplo. E pertanto confidando di la
vostra prudencia ydonitay et sufficiencia havimo provisto per
sapiri la veritati e quilli foru a tali malici participi et culpabili. et per la presenti vi dichimo
commictimo et comandamo che vi digiati personaliter conferiri in lu dictu
casali et cum quilla discrepcioni
lu casu riquedi digiati inquisiri et investigari cui dedi a lu dictu et
li persuni li quali si trovaro a lu dictu tumultu et actu. Et eciam si lu
populu fra loru accordaru amazari lu dictu iudeu et cui si trovau presenti et partechipi a la dicta morti et delicto. Et
de tucti li sopradicti cosi fariti
prindiri in scriptis informacioni et in reddito vestru li portariti a nui.
Comandanduvi chi cum diligencia et cum quilla discrecioni da vui confidamo
digiati prindiri de personis tucti quilli foru culpabili et si
trovaro alo dicto acto et quilli digiati
minari in la chitati di Girgenti et
carcerarili in lu castellu di la dicta chitati in modo chi
non si pocza di loro fuga dubitari. E perche siamo
informati che a lu dictu iudeu fu prisa certa roba et intra
li altri uno gippuni in lu quali si
dichi erano cosuti chentochinquanta pezi d’oro, farriti di lo
dicto gippuni e di tucta laltra roba libri et
scripturi diligenti
investigacioni et perquisicioni
cui li prisi et in
putiri di chi persuna sono.
Quel tesoro non fu più ritrovato. Non valsero neppure gli
anatemi del sacerdote ad indurre alla restituzione dei 150 pezzi d’oro trafugati dallo “jppuni”
del povero ebreo Sadia di Palermo, racalmutese di vecchia data.
Lo spaccato della società locale non appare molto edificante. Non possono
comunque da un singolo episodio trarsi valenze generali che sarebbero solo
generiche e fuorvianti. Ma l’indignazione rimane e la tentazione alla condanna
di tutta la comunità ecclesiale dell’epoca è piuttosto irrefrenabile. Alcuni
tratti, un marchio, un DNA, riconducibili alle famiglie citate nel
quattrocentesco dispaccio, qualcuno potrebbe ravvisarli ancora in taluni
personaggi locali.
Dopo abbiamo la cacciata degli ebrei e, al di là di un
toponimo (lu iudì) e di un equivoco
nome dato ad una specie di lumache (lu
iudiscu) di giudeo a Racalmuto nulla resta, fatta eccezione di un tal
Sacerdote che alla fine dell’Ottocento finisce nelle carceri di S. Francesco,
mentre la moglie partorice un figlio in un malsano casalorare, assistita solo
da una svogliata mammana.
La famiglia giudea quattrocentesca, resa saggia forse da
quel nefando delitto, si premurò a prendere il battesimo; poté quindi
mimetizzarsi e passare indenne al tempo del francescano furore antisemita di
fine XV secolo.
Vagamente riferibile a Racalmuto è quanto il settecentesco
canonico Giovanni di Giovanni narra sulla cacciata degli ebrei da Agrigento. [1]
Ne riportiamo uno stralcio che ben ci illumina dell’ingordigia della curia
vescovile che si appropria dei beni di una scuola ebrea, dissolvendo ogni
centro culturale alternativo con riflessi oscurantistici sul circondario,
Racalmuto compreso. stralcio per il facile rinvio alle cose di Racalmuto.
«Resta che diciamo una qualche cosa del
benefizio Ecclesiastico della Scuola de’ Giudei di Girgenti: fu prima questo
benefizio uno de’ Canonicati della Cattedrale della medesima città, e l’ebbe in
primo luogo Guglielmo Raimondo Moncada. Tale benefizio si chiamò così perché fu
fondato appunto in quel luogo medesimo ove gli Ebrei di questa comunità prima
della loro espulsione avevano la loro scuola.» (v. pp.296-297)
E
proseguiamo con la sintesi degli eventi che ci fornisce il nostro avv. Giuseppe
Picone: [2]
«Alle istigazioni dei preti e degli ufficiali
di governo, il popolo si era sguinzagliato contro i miseri ebrei, sì che nel
1487 avvennero tumulti in varie città, e moltissimi ne furono uccisi. Lo
ammutinamento e le congiure non cessarono, e nel 1491 spinsero il governo ad
accelerare la espulsione. […] Invano
dagli Ebrei tutti di Sicilia furono offerte al re trentamila monete d’oro. Il
re tentennò sulle prime, ma vigliacco e superstizioso cedette alle minacciose
insinuazioni del domenicano Torrecremata, fu inesorabile, e a trentuno gennaio
1492 soscriveva lo editto.
«Il viceré … a dodici agosto del 1492
scriveva a Giovanni Delpalazzo, segreto di Girgenti, che non se ne permettesse
la partenza[degli Ebrei], se pria non avessero soddisfatto a tutte le gravezze
perpetue in capitale!!! .. a ragione del quattro per cento!!
«Prolungavasi il termine della partenza fino
a dodici gennaio 1493, ma stanchi gli ebrei del modo onde i regi ufficiali
incrudelivano sovr’essi, partirono a trentuno dicembre del 1492, lasciando ai
nostri avi il rimorso della violata ospitalità, lo scadimento sensibile della
popolazione, lo invilimento del commercio, a far rifiorire il quale furono vani
i proclami di Carlo II e Carlo V, onde gli Ebrei venivano richiamati in
Sicilia.
«La nostra terra inospitale fu esacrata non
solo dagli Ebrei, … ma bensì da
qualunque nazione commerciante.. Essi partivano, e il nostro popolo ne fece
baldoria, e vittima dei falsati principi, propagati da un governo ignorante ed
ingordo, e da preti non meno ingordi e fanatici, ne tripudiò! … ma ne pianse in
seguito del pianto della miseria che gli sopravvenne!…»
Non siamo propensi a credere, sulla scia del Tinebra
Martorana, che a Racalmuto vi fosse una fiorente comunità ebrea, diversamente
da quello che scrive il Valenti. [3]
Quanto sappiamo di storicamente certo è quel truce delitto che abbiamo sopra
narrato, avvalendoci dei documenti pubblicati dai fratelli Lagumina. Solo
qualche isolato ebreo, emigrato da Agrigento, poté approdare a Racalmuto e
forse ebbe ad abitare nella contrada dello Judì.
Il Sadia, ebreo di Racalmuto, ebbe presumibilmente famiglia, che con tutta
probabilità sfuggì alla persecuzione del 1492. Sotto un diverso cognome, quel
ceppo può continuare a sopravvivere nella patria di Sciascia. Il vivere
decentrati poté alla fine risultare un vantaggio.
Lo
sviluppo demografico racalmutese nel XV secolo.
Il secolo
si chiude con un rivelo che viene datato 1505. Di questa specie di censimento
abbiamo due fonti: una madrilena ed una palermitana (ms. della Biblioteca
Comunale di Palermo: 3Qq B69); i dati non sono però coincidenti, come ha
dimostrato la Cancila[4]. Per quel
che a noi più preme, ci basta questo abbozzo esplicativo dei dati relativi al
nostro paese:
RACALMUTO, terra baronale della Val di Mazara, prov. di
Agrigento [estensione kmq 432,7], importo della tanda del donativo regio
(censimento del 1505), prima del rivelo onze 10; dopo il rivelo onze 16; n.°
fuochi 473 (che, moltiplicati per il coefficiente per fuoco del 3,53 fanno
n.° 1670 persone).
Proseguiamo
con alcune considerazioni d’indole fiscale: secondo la Cancila, [5] non è del
tutto fuori luogo affermare che «sulla
base del censimento della popolazione del 1505 [ma era un censimento veridico e
completo? n.d.r.] … nelle città demaniali ogni fuoco pagasse in
media 2,45 tarì per ogni tanda e in quelle baronali 1,88 tarì, mentre la media
siciliana equivaleva a 2,13 tarì per fuoco.»
Racalmuto
stava di gran lunga al di sotto: con il suo un tarì per ognuno dei 473 fuochi
aveva una pressione fiscale pari al 40,82% di quella delle
città demaniali; al 53,19% della pressione delle città baronali e al 46,95%
della incidenza media dell’intera Sicilia.
Può forse sostenersi che il dominio dei Del Carretto riuscisse a
temperare di molto l’aggressione tributaria spagnola.
Secondo l’A.,[6]
«il Val di Mazara contribuiva per il 31,9% con 2.559 onze e una media di 2,12
tarì a fuoco». Racalmuto, che rappresentava lo 0,04% dell’apporto di tutto il
vallo, si ovattava ad appena il 47,17% della media dello stesso vallo di
appartenenza.
Passando alle terre feudali di Val di Mazara (1,58% tarì a fuoco),
Racalmuto non va al di là del 63,29% dell’onere per singolo fuoco dei centri
similari del proprio circondario.
Dobbiamo dunque desumere, sulla scia della Cancila, che il paese
fosse la terra più povera dell’intera Sicilia, più povera persino del Val
Demone che pagava, fanalino di coda, 1,46 tarì a fuoco? oppure che era il luogo
meno tartassato dell’Isola?
Scrive
la Cancila che «i dati analitici [del censimento del 1505] andarono dispersi,
mentre rimasero noti quelli complessivi grazie ai manoscritti seicenteschi
della Biblioteca Comunale di Palermo, che ci forniscono il numero dei fuochi,
delle anime e delle facoltà dei tre
Valli e riportano, separatamente i valori di Palermo, Messina con casali
e Catania.
Solamente
su questi elementi, dunque, hanno potuto lavorare gli storici che hanno
studiato la popolazione siciliana degli inizi del XVI secolo»[7].
Col
rinvenimento del manoscritto di Madrid, le possibilità di studio si sono
allargate. Ma trattasi sempre del rivelo dei fuochi paganti: restano esclusi
quelli dei «miserabili».
I
fuochi dei «miserabili» di Racalmuto quanti erano? E’ domanda sinora senza
risposta.
Sia
pure in base ad una nostra mera congettura, non dovremmo essere lontani dal
vero ritenendo che si sia trattato di un quarto dei fuochi. Nella tassazione
dell’arcidiacono Du Mazel (di cui sopra), il riparto era avvenuto chiedendo tre
tarì agli abbienti, due tarì ai ceti medi ed un tarì ai ‘poveri’[8].
I
fuochi paganti (n.° 136), divisi in tre parti diseguali, avevano fruttato alle
casse del Papa di Avignone 7 onze 28 tarì (ma la cifra è controversa).[9] Anche
allora, è da supporre che i “miserabili” fossero stati esentati. I loro fuochi
quanti erano? Per la quadripartizione della popolazione (agiati, medi, poveri e
miserabili), dovevano essere per lo meno la quarta parte.
E
così la storia, pensiamo, si è ripetuta nel 1505.
Nel
1376[10], in quel censimento dell’arcidiacono,
vi saranno stati degli evasori. Un dieci per cento? e altrettanto si sarà avuto
nel 1505.
|
1282 Taxe
|
feux déduits
|
archers
|
1376 feux recensés
|
1404 taxe
|
Racalmuto
|
15
|
75
|
4
|
136
|
5
|
Allo
scoppio dei Vespri Siciliani, Racalmuto è un borgo di buone dimensioni, per i
tempi. Finito nelle grinfie dei Musca e subito sottrattogli da Carlo d’Angiò
per essere affidato al fedele Pietro de Nigrel du Beaumont, subisce il morso
della prima sistematica tassazione nelle vicende del 1282. Bresc - come visto
sopra - deduce da quella tassazione 75 fuochi che equivalgono a non più di 264,75 abitanti.
Il
secolo XIII si chiude dunque con appena 300 racalmutesi: altro che le 2095
anime che Tinebra Martorana pensava che vivessero a Racalmuto alla fine del IX
secolo.
Nel
XIV secolo la popolazione ebbe sicuramente a raddoppiarsi e sulla base dei
documenti vaticani pensiamo a cifre dell’ordine di 600-700 abitanti.
Il secolo successivo è quello del consolidamento della
baronia dei Del Carretto: nel 1505 il rivelo segna 473 fuochi che già di per sé
e senza calcolare gli errori e le omissioni ci danno la ragguardevole
consistenza di 1.670. Vi fu dunque per lo meno una triplicazione della
popolazione.
[3] )
Calogero Valenti, Grotte – Origine e vicende storiche, Grotte 1996, p. 59.
[4]) Rosaria Cancila: Il censimento della popolazione siciliana del 1505 e la nuova
ripartizione del carico fiscale, in Archivio
Storico per la Sicilia Orientale - anno 1989 - p. 75
[5])
Cancila, op. cit. p. 84.
[6])
Cancila, op. cit. p. 85.
[7]) Cancila,
op. cit. p. 73.
[8])
Illuminato Peri, La Sicilia dopo il
Vespro - uomini, città e campagne - 1282-1376 - Bari 1982, p. 235.
Cfr.
Jean GLÉNISSON: DOCUMENTI DELL'ARCHIVIO
VATICANO RELATIVI ALLA COLLETTORIA DI SICILIA
(1372-1375) in Rivista di
storia della Chiesa in Italia II 1949 pagg. 225-262.
[10])
Seguiamo la datazione del Bresc (vedi
nota successiva). I documenti che esamineremo dopo ndicano, invero, l’anno
1375.
[11])
Henri Bresc, Un monde
méditerraneéen. Économie
et société en Sicile - 1300 - 1450 - Regione Siciliana Assessorato ai Beni
Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione - Accademia di Scienze,
Lettere e Arti di Palermo - 1986, Tomo
I, pag. 64.
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