venerdì 19 settembre 2014

A sentire Malgrado Tutto è in corso di stampa un concettoso volume che mi manda a gambe per aria come storico dei Del Carretto. Attendo: se hanno ragione loro mi vado a buttare a "lu Ponti Canali": ma se si vorrà sostenere che mi si contraddice in nome della tradizione giunta a noi tramite la vecchia zia Carolina, sai le risate!!!!!!


I Del Carretto a fine secolo XVI.

Tirando le somme, su Giovanni del Carretto il buon genitore Girolamo scaricava le doti di ‘paragio’ di otto sorelle e due fratelli.
 Poi, si aggiungeranno i carichi di un paio di figli ‘illegittimi’ e, naturalmente, l’eredità ab intestato per l’unico figlio legittimo, il conte di Racalmuto per antonomasia, Girolamo del Carretto.
Su quest’ultimo si abbatteranno i fendenti di una tale complessa situazione patrimoniale, carica di soggiogazioni anche per le tanti doti di ‘paragio’. Sarà stato per questo, ma si dà il caso che il giovane conte del Carretto, all’età di ventitré anni si spoglia di tutto, facendone donazione ai due figli Giovanni e Dorotea e nominando governatrice la moglie Beatrice e tutore il fratello (o fratellastro) don Vincenzo del Carretto, arciprete di Racalmuto.
Un anno dopo, il primo maggio 1622, Girolamo del Carretto dava l’anima a Dio.
Ma ritorniamo al 1593, l’anno del censimento. Il conte Giovanni del Carretto, non era di sicuro nel suo castello racalmutese.
Una nota di cronaca lo accosta alla morte del celebre poeta  Antonio Veneziano, nel crollo delle carceri del Santo Offizio.
«In questo stesso anno [1593]  - precisa un diarista   -  dì 19 di agosto. Fu posto fuoco alla monizione della polvere che era in Castell’a mare di Palermo: perilché quasi tutto il castello brugiò, e morirono più di 200 persone, la maggior parte carcerati; fra’ quali morì Antonio Veneziano poeta, Argistro Gioffredo, il baron di Sinagra, due maestri di sant’Agostino che andorno a mangiare con l’inquisitori, et altri cavalieri e plebei.
«Scamporno l’inquisitori, il conte di Racalmuto, il barone di Siculiana, il castellano ed altri. Ivi fu roina grande delle case del castello et delli palazzi d’inquisitori; et allora, uscendosi d’ivi, andorno a stare alla casa di Monetta.»
Che cosa vi stesse a fare Giovanni del Carretto, non è chiaro. Certo egli era «teniente de oficial» del Santo Ufficio, ma il presidente della Gran Corte Giovan Francesco Rao ed il viceré Albadalista erano riusciti ad ottenere da Filippo II che i nobili non potessero far parte dell’Inquisizione.
Non era quindi per ragioni di ufficio del suo ruolo nel tribunale inquisitoriale che potesse stare in quelle carceri. La vicenda che abbiamo prima sunteggiato può dunque spiegare il perché. Vi stava forse in quanto ‘carcerato’ seppure di riguardo . Se è così, non poteva influire sull’andamento del rivelo di Racalmuto.
Che i guai di Giovanni del Carretto, per quell’efferata esecuzione di La Cannita, siano stati seri si desume dal fatto che dovette cedere il passo al fratello rampante, Aleramo del Carretto, nella carica di Pretore di Palermo.
I Diari   parlano del «pretore l’ill.mo sig. D. Aleramo del Carretto conte di Gagliano» sotto la data del 26 ottobre 1595, e narrano che l’11 aprile del 1596 costui, come pretore, ebbe a carcerare «tutti li mastri di piazza». Gli ascrivono poi a merito che in quel tempo «fece fare la scala nova della Corte del pretore e l’arcivo del capitano».
Giovanni del Carretto dovrà aspettare per tornare nel pubblico agone. Negli stessi Diari (pag. 142) lo incontriamo il 16 dicembre 1601, quando morì il Maqueda. Il feretro «andò alla chiesa maggiore sopra la lettica. E lo portarono in spalla quattro titolati, che furono D. Francesco del Bosco duca di Misilmeri, D. Vincenzo di Bologna marchese di Marineo, il conte di Cammarata e quello di Racalmuto ..». Ultimo dei quattro, è vero, ma ci sta.
Giovanni del Carretto resta vedovo piuttosto presto di Beatrice Russo e Camulo di Cerami. Ha una relazione non ufficiale da cui - stando solo a ciò che è documentato - ha una figlia di nome Elisabetta.
Nella seconda metà dell’ultimo decennio del ‘500 la fa sposare con il nobile Girolamo Russo. A sua volta, il conte si risposa, piuttosto tardi, con Margherita Tagliavia di Favara, una potente famiglia che ci tiene a premettere al proprio cognome quello ancor più prestigioso di Aragona. Tutto fa pensare che il matrimonio sia stato celebrato nel 1596.
Il primogenito Girolamo del Carretto viene battezzato a Palermo il 28 ottobre 1597.
Dopo tante traversie giudiziarie e finanziarie, il conte è chiamato a reiterare l’investitura per la morte di Filippo II di Spagna (+ il 13/9/1598) Adempie il costoso rinnovo piuttosto tardi (difettava di liquidità?)  e presta giuramento il 18 settembre 1600.
I del Carretto, dopo il trasferimento a Palermo, non amavano frequentare Racalmuto, almeno sino all’infelice Girolamo del Carretto, che, dopo l’uccisione del padre, nel 1606, venne  ricondotto, insieme alla sorella, dalla madre nell’avito castello (e secondo le carte del Carmelo vi trovò anche la morte nel 1622).
Il figlio, Giovanni, si ritrasferisce a Palermo per farvisi giustiziare - come detto - nel 1650. Dopo di che, la famiglia del Carretto prende stabile dimora nel nostro paese, praticamente sino alla sua estinzione (1710).
Finché i del Carretto si accontentarono del titolo di barone di Racalmuto, vi stettero proficuamente abbarbicati. L’ultimo barone, Giovanni, muore nel 1560 nel “castro” racalmutese e viene seppellito a S. Francesco.
Ecco la testimonianza resa da un maggiorente locale:
«Nob. Innocentius de Puma de terra Racalmuti, repertus hic presens testes,  juratus et interrogatus supra capitulo probatorio dicti memorialis, dixit tamen scire qualiter:
«in lo misi di gennaro prossimo passato in la ditta terra di Racalmuto vitti moriri a lo speciale don Jo: de Carretto, olim baruni di ditta terra, lo quali si andao et seppellio in la ecclesia di Santo Francisco di ista terra, a lo quali successi et restao in ditta baronia ipso spett. don Hieronimo ... come suo figlio primogenito legitimo et naturali,  et accussì tempore eius vitae lo vidio teneri,  trattari et reputari  per patri et figlio,  et cussì da tutti quelli ca lu havino canuxuto et canuxino  ... quia instituit vidit et audivit ut supra de loco et tempore ut supra».
Dal 1564 comincia la documentazione della Matrice di Racalmuto: battesimi e qualche atto di matrimonio.  Piuttosto rada all’inizio, verso la fine del secolo s’intensifica. Le presenze importanti in paese, o per un battesimo o per far da teste o da padrino o madrina, possono dirsi tutte documentate.
Quanto ai Del Carretto, figura per un paio di volte il fratello del Conte, don Giuseppe del Carretto, quello dei truci delitti che finì con il coinvolgere anche Giovanni del Carretto.
Viene a Racalmuto, con la moglie, per fare da compare e comare al figlio di un altro grosso personaggio: i Vuo. La solennità dell’evento viene così segnata:
«Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593  - Diego figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Commare l'Ill. S.ora Donna Maria del Carretto.»
Quattordici anni prima, il 4 novembre 1579 si era fatto vivo per un’altra analoga circostanza: il battesimo della figlia Porzia del magnifico “Arthali magn. Thodisco”. “I padrini: 'ill.mo don Joseppi de lo Carretto et donna Anna de Carretto”, recita l’atto della Matrice.
Attestata è pure la presenza in alcune cerimonie di don Baldassare del Carretto, personaggio a noi non altrimenti noto: l’8 marzo 1589 era stato padrino nel battesimo del figlio Giacomo del magnifico Dario Piamontisi. “Spettabili signore”, lo vuole il documento della Matrice.
Troppo poco, come si vede.
Ebbe ad attestarsi a Racalmuto, invece, il genero del conte Giovanni, il marito della figlia illegittima Elisabetta.
Recenti ricerche d’archivio in Vaticano ci hanno permesso di appurare il ruolo di questo personaggio.

I Del Carretto ed il vorace vescovo spagnolo di Agrigento Giovanni Horozco Covarruvias y Leyva.

Nel 1599 il vescovo spagnolo di Agrigento Giovanni Horozco Covarruvias y Leyva si vedeva costretto a difendersi presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari,  avendo avuto sentore di un libello accusatorio contro di lui che non si è lungi dal vero ritenerlo ispirato, se non addirittura scritto, dalla potente famiglia locale dei Montaperto.
Il Presule agrigentino passa al contrattacco e descrive con toni acri le sopraffazioni dell’intera nobiltà dell’agrigentino, i del Carretto compresi.
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Se confrontate questo mio vecchio scritto (1999) con gli svolazzi araldici dell'aulico catalogo avallato da Sciascia su Pietro D'Asaro  gli stridori sono assordanti- Chi ha ragione? A sentire Malgrado Tutto è  in corso di stampa un concettoso volume che mi manda a gambe per aria  come storico dei Del Carretto. Attendo: se hanno ragione loro mi vado a buttare a "lu Ponti Canali": ma se si vorrà sostenere che mi si contraddice in nome della tradizione giunta a noi tramite la vecchia zia Carolina, sai  le risate!!!!!!
 
 
 
 

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