Giurati a Racalmuto a fine ’500
I giurati
di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono:
Nicolò
Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere di
S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di casa
da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;
Giuseppe
Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al
quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con
lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella
e Contessella;
Giuseppe
Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”;
abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella:
convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce Franceschella, Costanza, Innocenza,
Angela e
Fania [Epifania];
il notaio
Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha
figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S.
Giuliano al 167° fuoco; si era sposato a
Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con
Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro:
compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco
d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il
matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei
del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.
Sono
chiamati a fungere da delegati per il Rivelo:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa
Margaritella:
Martino di
Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie
si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;
Vincenzo di
Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369°
fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni
9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia, Jurla [Gerlanda];
per il
quartiere di San Giuliano:
Giovanni
Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto,
non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
Giovan Cola
Capoblanco;
Natale
Castrogiovanni;
Pietro
Bellomo.
Di questi
tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al
quartiere Monte.
Chiese, quartieri e facoltà nel
rivelo del 1593
I ponderosi
volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati,
se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo
quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.
A
quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi
cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al
Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade
tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di
sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale
Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza).
In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S.
Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di
nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di
nord-ovest.
All’interno
vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per
l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in
effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma
una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che
talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene
se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella
chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava
tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata.
Dettagli del Rivelo del 1593
Sembra fuor
di dubbio che il monaco benedettino Vito Maria
Amico [1] ebbe
tra le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del 1593. Nel
suo Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è riportata in
appendice al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota: «Contaronsi
nel tempo di Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595», (secondo la
traduzione del Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del censimento sotto
Carlo V (che crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce il numero delle
case (890) e non quello degli abitanti, per quello del 1595 (per noi 1593) fa
l’inverso dandoci invece solo il numero degli abitanti. E dire che se l’Amico
ebbe i due volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.° 597 ed il n.° 598) sarebbe arrivato presto a quel
conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume delle numerazioni
dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o quasi) ammontare dei
fuochi di Racalmuto.
Il numero
degli abitanti che ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha
proceduto ad un analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se,
invece, come crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce
del quale è da presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del
benedettino fu di poco conto.
Presso il
Tribunale del Real Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito
fondo dei Riveli, possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che
riguardano appunto quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:
alle pagine
807r - 807v del vol. n.°
596 abbiamo lo spaccato della finanza locale sopra riportato;
allegati al
volume stanno i quinterni delle rilevazioni fatte dagli appositi deputati,
disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro quartieri (visto che è stato
trafugato quello del Monte). A parte ci
diamo carico di farne la trascrizione;
in due
grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le dichiarazioni che i
racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”, reiterando quanto già
direttamente (o tramite un loro familiare) avevano segnalato ai ‘deputati’ ed
aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va notato che ancora nel 1593
la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza che avrà poi nel XVII
secolo.
Località e Rioni
La
suddivisione amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S.
Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati
(rivelanti) e negli atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione
topografica alquanto diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese
e qualche volta alle particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e
propri rioni, ma il concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:
il Carmine;
S.
Margaritella;
S.
Giuliano;
S.
Leonardo;
la Fontana;
il Castello
(o Castrum);
S.
Francesco;
S. Nicola;
la Cava;
Santa
Maria;
li Fossi;
San
Gregorio;
S.Antonio;
la
Nunciata;
il Monte
(lu Munti);
lu Spitali
o S. Sebastiano o S. Bastianu;
la Piazza
(o Platea);
Santa
Rosalia;
Sant’Agata;
li
Bottighelle;
Zagarano..
Molte di
queste località si estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia,
in tutti e quattro i quartieri.
Centro
topografico del paese era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema
decisione, ma certamente - come detto -
non lontano dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano
botteghe e le abitazioni di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio
Alaimo, il dott. Pietro; i Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli
Afflitto, i Monteleone; i Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione
più esclusivo sembra quello di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi):
vi abitavano i potenti Piamontesi ed i nobili Ugo.
Molti
militari stavano invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle
dei benestanti - ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano
attorno le case terrane (di norma un
solo locale) ove dimoravano i poveri.
Le
maestranze riuscivano a farsi soggiogare dalle potenti confraternite di
appartenenza delle discrete abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe) erano in mano alle
stesse confraternite e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai
propri confratelli.
Il castello
- rimesso a nuovo a metà del XV secolo dai del Carretto, come abbiamo sopra
visto - era in piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano alcuni
loro stretti parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i Russo
il marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.
Il Carmine
era piuttosto deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto
l’egida dei del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche
un altro carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori
semplici frati rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e
dal cognome sembra che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra
Francesco Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe
Ragusa e fra Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il
quartiere di S. Margaritella e quello del Monte.
Rientravano
totalmente nel quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di
Dio), di S. Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa.
Vi confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San
Gregorio.
Erano
annessi amministrativamente al quartiere
della Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del
Castello, di San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche
frangia di Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla
Fontana.
Il nome
della Nunciata appare a cavallo tra Monte e
Fontana.
Se nel 1540
quella dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa
principale; dopo mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha
la grandezza dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del
Seicento) ma è già abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto
notarile del tempo.
Fino al
1608 S. Antonio era ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato.
Persisteva comunque il toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona
gravitante sul quartiere del Monte.
Lo Spitale
era operante nel 1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli.
Tale affidamento avvenne un secolo dopo nel 1693[2]
per opera dell’ultimo Girolamo del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale
Giovanna Vigni aveva soggiogato all’Ospedale due case per tarì sei annui con
atto del notaio Gio: Vito d’Amella del 10 settembre 1585[3].
Giuseppe
Gulpi gli aveva costituito un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di
terra con vigne, stanze ed alberi nel
fego della Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di
Racalmuto in data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò
Monteleone in data 29 dicembre 1582. [4]
Un altro
atto di dotazione dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti
del notaio Giacomo Damiano. Risultavano
incisi quasi due secoli dopo “Santo
Cristofalo, Vincenzo e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.
Nel 1693
ecco com’era descritto il vetusto ospedale:
«Nella
terra di Racalmuto vi è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che
dall’antichità di esso non si ha certezza della fondazione e perciò li Prelati
... [ed i del Carretto] have dato la cura ed amministrazione di detto Spedale,
e sue rendite alli Deputati di tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché
s’havessero impiegato à tutto potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per
le molte occupazioni, e per la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati
patiscono della loro salute in tanto detrimento del publico di essa terra.»[5]
L’ospedale
era peraltro munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.
Qualche immigrato di spicco
Capitava
che dalle vicinanze venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a
Racalmuto. Ebbero così inizio famiglie oggi fra le più significative del paese.
Dal libro dei matrimoni della Matrice estraiamo qualche esempio:
SAVATTERI
(provenienza: Mussomeli)
“7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio
di Vito et Angila Carlino cum
Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di
Mussumeli, servatis servandis et facti
li tri denunciatione inter missarum solenia
et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando
inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie et foro beneditti nella missa
celebrata per me presti Francesco Nicastro,
presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito
D'Amella et di multa quantità di personj”.
BUSCEMI
(provenienza: Agrigento)
“Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la
gitati di Jorgenti cum Margaritella
figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis
.... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don Paolino Paladino, presento presbiter
Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti”.
SCHILLACI
(provenienza: Cerami)
“Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di
la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis
...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti per don Paolino Paladino, presenti Paulino
Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti”.
SCHILLACI (provenienza: Sutera)
“Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di
li Grutti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e
fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si trovando inpedimento alcono, contra essiro
matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico
Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.
RIZZO
(provenienza: Scicli)
“Die 30
Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et
Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter
missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino,
non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie
ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e
Francesco Furesta”.
BONGIORNO
(provenienza: Gangi)
“Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di
Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di Agro', a litre (lettera) di monsignore
illustrissimo e reverendissimo di
Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la
2a a li 16 e la tercza a li 20 di Jnaro
inter missarum solemnia, non si trovando
inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e
foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu
magnifico Jacubo Piyamontisi, lu
magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa
quantitati di agenti”
PIAZZA
(provenienza: Mussomeli)
“Die 8 Januarii 1594 - Minico di CHIACZA di la terra di
Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro
matrimonio pp.ce et foro benediti per me don
Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo
d'Aveda e multa quantità di agenti”.
LO JACONO
(provenienza: Aidone)
“Die XVo
Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum
Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis ....
contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter
Leonardo Spalletta, p.nti Ioanni di
Vigna et Hieronimo Piruchio et multa
quantità di genti”.
Uomini e cose da segnalare
A Racalmuto
sono stanziati come soldati di professione:
Salvo
(de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che abita al Monte;
Morriali
Antonino di Federico, soldato di cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;
Buxemi
Currau anni 35, soldato, abitante anche lui al Monte;
Barberi
Petro anni 50; soldato cavallo, sempre del quartiere Monte;
Matina
(la) Gio, soldato di anni 70, residente nello stesso quartiere;
Morriali
Federico anni 40; soldato, vicino di casa;
Sferrazza
Mariano soldato di anni 22, che abita nel quartiere di S. Antonio.
In paese, a
fine del secolo XVI, non è del tutto ignota la schiavitù. Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e
sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.
La loro
vicina Antonella, vedova del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi
tempi, emula il singolare rapporto e tiene “Cristina sua serva seu scava” a
farle compagnia.
Del resto a
quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto manteneva una schiava
addirittura dentro il convento che l’ospitava.
Sono invece
ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:
AFFLITTO (D') CARLO MAGNIFICO
AGRO'(DI) PETRO
ALAIMO (DI) LU M.co
PETRO
BALDUNI M.co FRANCESCO
CATHALANO MICHELI
CHICCARANO ANTONINO
GUELI (DI) JOSEPPI
GUELI (DE) GIUSEPPE DI
JORLANDO DI ANNI 29
LA LOMIA JOSEPPI
MACALUSO NICOLAO
MACALUSO PETRO
MONTILIUNI Not. Mco
COLA
PAXUTA (LA) MATTHEO
PROMONTORO BALDASSARE
LO S.r
SALERNO JO:
TODISCO Sp. ARTALI
TODISCO Sra SALVAGIA
Sul finire
del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato 52 mastri (il 4,11% dei fuochi). Non sono
tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li
jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la
massa della popolazione, a sfondo quindi proletario e spesso miserabile. I
cinquantadue “mastri” sono:
ALAIMO
(DI) M.° ANTONINO
ALLIGRIZZA
M° CARLO
AMICO
(D') MASTRO PAOLO
ARRIGO
M° HYERONIMO
BARBERI
M° JOSEPPI
BARUNI
M° FRANCESCO
BLUNDO
MASTRO GRIGOLI
BOCCULERI
M° FILIPPO
BONOANNO
HYRONIMO M°
BUFALINO
M.° BENEDITTO
CACHIATURI
M.° FRANC.
CACHIATURI
M° PAULO
CANSUNERI
M° GERLANDO
CAPOBLANCO
NICOLO M°
CATHALANO
M° FRANCESCO
DAIDUNI
M° PETRO
DI
NOLFO M° HYERONIMO
DILIBRICI
MASTRO GIUSEPPE
FACHIPONTI
M° PAOLO
GENTILE
M.° LUCIANO
GIGLIA
(DI) M.° PIETRO
GIGLIA
(DI) MASTRO ANTONINO
GIGLIA
M.° ANTONINO
GIGLIA
(DE) M.° MARCO
GISULFO
M° SILVESTRO
GUELI
(di) M° ANT.no
GULPI
ANTONINO MASTRO
JACONA
(LA) M° MASI
LA
SCALIA M° ROGERI
LO
PILATO M° BARTHULO
MANGIA
M° JOANNI
MANGIAMELI Mastro HETTARO
MEDIORA
? M° ANGILO
MILACZO
(DI) M° MATTEO
MONASTERI
M° BASTIANO
MONTANA
(DI) M° XANDRO
MORREALI M° MARIANO
NOBILI
(LO) M° FRANC.°
NOBILI
(LO) M° GIULIO
NOBILI
(LO) M° HORATIO
NOBILI
(LO) M° MASI
NOBILI
(LU) M.° PETRO
PUMA
(DI) M° FILIPPO
PUMA
(DI) M° LISI
RAGUSA
(DI) M° JULIO
RIZZO
M° FRANCESCO
SALVO
(DI) M° PETRO
SANGUINEO
M° MASI
SPATAFORA
M° PETRO
TAIBI
M° FRANCESCO
VILARDO
ANTONI M.°
XANDRA
M° HYERONIMO
Fine di Giovanni IV del Carretto
Giovanni IV
del Carretto fu trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono quel
fosco delitto.
La cronaca,
fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati nel 1869
da Gioacchino di Marzo. [6]
Eccola:
«A 5 di
maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di
Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli
Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di
Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo
nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come
fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscêro, allo palafango [parafango]di detto; e ci tirarono
dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il
nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran
maraviglia di tutti li agenti; e finìo.
« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando
arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o
rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento,
dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è
agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi
in premio a chi rivelasse.
«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano
vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà
al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non
sia lu principali ci avissi fatto detto
delitto, et anco la grazia di S. M.».
Ci dispiace
per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento la
notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al suo
castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada
Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»
Nello
stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31), leggesi che successivamente:
«A 20
ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno
happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari
[Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per
uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte
a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.
«E fu perché il giorno che sindi andâli galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui
era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travovauci
certi faldetti che avia arrubati allo Casali.
«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti,
ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.
«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che
isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di
Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia
alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il
detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea
promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».
In
una pubblicazione dell’Archivio di Stato di Palermo [7] vengono fornite notizie
sulla dovizia di documenti relativi al processo del presunto mandante dell’omicidio
del conte Giovanni del Carretto.
Sono
documenti che si trovano nell’ «Archivo
General» di Simancas e precisamente:
- nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE
LA MUERTE DEL CONTE DE RECALMUTO" CC. 123
- ANNO 1608 - VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.
Riportiamo
integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:
«Si tratta degli
accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO ISFAR e CRUILLAS,
barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di SOMMATINO, suo nipote,
nel processo subito da quest'ultimo, come presunto mandante dell'assassinio di
Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due baroni sostengono che il
processo fu messo su in base a false testimonianze dal procuratore fiscale
della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con la complicità del
Presidente della Gran Corte RAO.
Il
successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di Giacomo Scaglione e
vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse mossegli a proposito
del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del conte Giovanni del
Carretto.»
In quei
“legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un delitto
in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I del
Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a
distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del
Carretto, evidentemente per interessi.
Ma è storia di famiglia che a noi non importa gran
che. E’ in definitiva storia della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo
altrettanta indifferenza
[1]) AMICO Vito Maria -
storico e geografo (Catania 1697 - ivi 1762), monaco benedettino, priore di
vari conventi del suo ordine, professore di storia civile
nell’università di Catania (1743), dal 1751 storiografo regio sotto Carlo III
di Spagna; è autore del “Lexicon topographicum Siculum” 1757-60) (tradotto da
G. Di Marzo nel 1855 in “Dizionario topografico della Sicilia” - 2 voll.).
[2]) Archivio di Stato di
Agrigento - Fondo 46 - vol. 532.
[6] ) Vol. II - Aggiunte al Diario di
Filippo Paruta e di Niccolò Palmarino, da un manoscritto miscellaneo seg. Qq C
48 - pag. 24-25 dell’edizione del 1869.
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