Il “paragio”.
Tra tutti
primeggiavano gli obblighi di “paragio”.
Il “paragio”
fu un pernicioso istituto feudale siciliano in base al quale il feudatario era
obbligato a dotare figlie, sorelle, zie, e nipoti femmine (ma per queste ultime
solo nel caso che il genitore non vi potesse provvedere per indisponibilità
economica) in misura adeguata al loro rango.
Simpatico o
meno che sia il sanguigno Giovanni del Carretto di fine ’500, è certo che sul
poveraccio cadde addosso una caterva di sorelle fameliche di ‘paragio’, due
fratelli che non scherzavano in fatto di pretese economiche, una figlia
‘spuria’ da dotare bene per farla sposare dal nobile Russo - forse un parente
della prima moglie -, un figlio infelice avuto tardivamente da una discendente
della arrogante e burbanzosa famiglia Tagliavia-Aragona della vicina Favara.
E per di più
le disgrazie giudiziarie: soldi per i crimini del fratello Giuseppe (‘multa di
mille fiorini’) e per quelli suoi propri
(condanna ad onze mille, da pagarsi alla
moglie del defunto, ed onze duecento al fisco).
Sbuca poi
un Vincenzo del Carretto che le carte della curia agrigentina danno come
arciprete di Racalmuto al tempo di Girolamo del Carretto nel primo trentennio
del ‘600.
Risulta da
vari documenti [1]
un fratello dell’infelice conte di
Racalmuto, quello ‘ucciso dal servo’ nel 1622.
Se è così,
fu un altro figlio di Giovanni del Carretto (e nel caso un figlio illegittimo)
da dotare se non altro per costituire il debito ‘patrimonio’ voluto dal
Concilio di Trento per gli ecclesiastici.
I ‘paragi’
delle sorelle e dei fratelli buttano il germe di un tracollo finanziario dei
del Carretto che avrà il suo patetico epilogo nel ‘700 (assisteremo persino ad
acrimonie giudiziarie tra padre e figlio e cioè tra l’ultimo Girolamo del
Carretto e suo figlio Giuseppe - chiamato così anche se il nonno si chiamava Giovanni,
e forse per la perdurante vergogna della esecuzione di quel Carretto per alto
tradimento nel 1650).
Racalmuto -
questo feudo dei del Carretto - ne subì i danni? Tutto lo fa pensare.
Donna
Aldonza del Carretto
Un saggio
della pretenziosità delle sorelle di Giovanni del Carretto ce lo fornisce la
terribile virago Donna Aldonza del Carretto - sì, proprio quella che dota il
convento di S. Chiara a Racalmuto - la quale pure sul letto di morte non
resiste nel suo testamento dal dare sfogo al suo astio verso il fratello
primogenito.
Lo esclude,
innanzi tutto, dal nutrito numero dei suoi eredi universali, [2]
che invece limita alle sorelle donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna,
donna Eumilia e donna Margherita del Carretto «...eius sorores pro equali
portione, salvis tamen legatis, fidei commissis, dispositionibus
praedictis et infrascriptis».
Dopo aver
fatto alcuni lasciti per la sua anima ed aver
dato le disposizioni per l’erezione del convento di Santa Chiara, si
ricorda del non amato fratello maggiore Giovanni in questi termini:
«..et
perché a detta D. Aldonza ci competiscono li doti di paraggio sopra lo stato di
Racalmuto et beni di detto quondam suo Padre una con li frutti di essi doti,
pertanto essa D. Aldonza testatrici declara volere detti doti di paraggio una
con li detti frutti di essi et volersi letari di quelli, in virtù di tutti e
qualsivoglia leggi et altri ragioni in
suo favore dittarsi et disponersi, non obstante si potesse pretendere in
contrario, in virtù di qualsivoglia testamento et dispositione, delle quali
leggi in suo favore disponenti, essa voli et intendi servirsi et usari in
juditiarij et extra, sempre in suo favore, conforme alle leggi et ragione di
essa testatrice tiene, le quali doti di paraggio, una con li frutti di quelle,
siano et s’intendano instituti heredi
universali per equale porzione atteso che di li frutti detti doti ni lassao et
lassa à D. Gio: lo Carretto conte di Racalmuto suo frate onze duecento una
volta tantum pro bono amore et pro omni et quocumque jure eidem Don Joanni
quemlibet competenti et competituro et non aliter.
«Item dicta
testatrice vole et comanda che della liti la quale have fatto di conseguitare
la sua legittima che non ni possa consequire più di onze 600, oltra di quelli
li quali essa D. Aldonza testatrici si ritrova havere havuto; li quali onze 600
essa testatrice lassao et lassa à d. Gio: Battista et D. Eumilia del Carretto
soi soro oltre della loro portione [parte corrosa, n.d.r.] [di cui alla]
presente heredità modo quo supra fatta et hoc pro bono amore et non aliter..»
Ma non
tutte le sorelle erano eguali per la terribile donna Aldonza.
E solo dopo
un paio di nipoti che si ricorda di avere un’altra sorella. A questa solo un
legato di 200 once così condizionato:
«Item ipsa
tetatrix legavit et legat D. Mariae Valguarnera comitissae Asari, eius sorori,
uncias ducentas in pecunia semel tantum solvendas per supradictos heredes
universales infra terminum annorum quatuor numerandorum a die mensis [mortis]
ipsius testatricis et hoc pro bono amore».
Uguale
trattamento per il fratello Aleramo:
«Item essa
testatrice lassao e lassa à D. Aleramo del Carretto suo fratello, conte di
Gagliano, onzi ducento della somma di quelle denari che essa testatrici pagao à
Giuseppe Platamone per esso D. Aleramo delli quali detto D. Aleramo è debitori
di essa testatrici et hoc pro bono amore et pro omni et quocumque jure eiusdem
D. Aleramo competenti et competituro.
«Item essa
testatrice declarao et declara che della legittima quale detto Don Aleramo divi
pagando onsi secento tutto lo resto di detta legittima essa testatrice la
lassao e lassa a detto D. Aleramo pro bono amore».
Nel
testamento non troviamo alcunché che ricordi anche il fratello Giuseppe. Forse
perché già morto?
Ma non
basta. Se ci si addentra nei processi per investitura dei del Carretto, sbuca
fuori un’altra sorella: Beatrice del Carretto, [3] morta nel settembre del 1592.
Racalmuto secondo il rivelo
del 1593.
I beni ecclesiastici di Racalmuto.
Il
singolare vescovo di Agrigento Horozco, con cui già ci siamo imbattuti, ebbe
modo d’interessarsi delle finanze ecclesiastiche concernenti Racalmuto nella
seconda “Relatio ad limina” della diocesi di Agrigento, datata 1599 (la prima è
del 14 settembre, VIII^ ind. 1599[4]).
Il vescovo dichiarava di essere affetto dalla sciatica «per la quale gli fù
bisogno andare alli bagni » e pertanto non «hà possuto venire personalmente a
baciar i piedi di Nostro Signore e visitare li santi Apostoli». Non era più suo
fiduciario l’arciprete di Racalmuto don Alessandro Capoccio. Al suo posto aveva
prescelto come suo mandatario per la visita tridentina al Papa Giovanni Chimia.
Lo stato di infermità del vescovo veniva certificato da un appartenente
all’odiata famiglia dei del Carretto, appunto da quel don Cesare del Carretto,
preso di mira dall’Horozco nel libello prima cennato. Non si poteva evitare: il
17 di agosto 1598 il potente (e prepotente) don Cesare era “juratus civitatis
Agrigenti” [cfr. Relatio cit. f.15].
Dalla
documentazione vaticana risulta che la “Ecclesia Cathedralis Agrigentina” era
in grado di “ingabellare” 9.500 onze di
rendita diocesana. In via diretta o indiretta, Racalmuto è così chiamato in
causa:
al 15°
posto risulta censita la “prebenda di Racalmuto che vale di Mensa onze 130”;
tra i “Beneficij
semplici de Mensa”, al n.° 3 viene rubricata “la prebenda Teologale [che] si dà
al Teologo quale eligino il Vescovo ed il Capitulo: è titulo di Sta Agata
[che sappiamo di Racalmuto, come sappiamo
che talora il vescovo la utilizzava non per remunerare teologi ma il fratello
di un letterato, per come abbiamo sopra visto, n.d.r]: [vale] onze 100;
l’arcipretura
di Racalmuto è segnata al n° 12 e “vale de mensa onze 250”.
Tirando le
somme, i racalmutesi a fine secolo XV erano chiamati per decime religiose e
tasse episcopali a qualcosa come onze 480, senza naturalmente includervi tutti
gli oneri di battesimo, matrimonio morte e simili, da conteggiare a parte. Era
un gravame misurabile in tarì 3 e 5 grana annui pro-capite.
Ma, allora
- come del resto anche oggi - le pubbliche autorità, civili e religiose, non
amavano riscuotere direttamente le loro tasse: le davano in appalto (in
gabella, recita il documento) e gli aggi esattoriali Dio solo sa a quanto
ascendessero. Pensare ad un 25% d’aggravio è forse da ottimisti.
ARCIPRETI E SACERDOTI NELLA
SECONDA META’ DEL CINQUECENTO
Don Aloysio (Lisi) Provenzano
Questo
sacerdote traspare dai registri di battesimo e di matrimonio della Matrice. Il
suo ministero sembra discontinuo. Nel biennio 1575-1576 dovette avere funzioni
di cappellano ed il suo nome si alterna con quello di don Vincenzo d’Averna
negli atti di battesimo. Ancora nel 1581 è uno degli officianti della Matrice
ed il 19 settembre 1581 battezza Paolino d’Asaro, fratello del pittore e futuro
sacerdote racalmutese.
In
tale veste compare sino al 1584, dopo subentrano altri cappellani come don
Paolino Paladino e don Francesco Nicastro. Don Lisi Provenzano riappare
successivamente nei documenti della Matrice, ma come teste nella celebrazione
di matrimoni (ad es. il 28 settembre 1586) o come semplice padrino in battesimi
(come quello di Francesco Castellana del 3.10.1587 ).
La
sua presenza a Racalmuto è attestata sino al 1593 come dal seguente atto di
matrimonio, da cui però risulta che il Provenzano non è più cappellano della
Matrice.
La
figura di d. Lisi Provinzano emerge invero da un documento dell’Archivio
Vescovile di Agrigento che risale al 31 ottobre 1556. Se ne ricavano alcuni
tratti biografici. Ma soprattutto è la vita paesana a metà del XVI secolo che
traspare. Val quindi la pena di riportarne alcuni brani.
Siamo stati supplicati da parte del Rev. presti Aloysio
Crapanzano (ma trattasi di Provenzano) ... del tenor seguente: .. da parte del
rev. presti Aloisio Provenzano della terra di Racalmuto, subdito della
giusridizione di V.S. ... In tempi
passati venendo a morte lo condam ... di Salvo della ditta terra, fece il suo
testamento agli atti dell’egregio condam notaro Vito Jandardoni et per quello
inter alia capitula legao all’esponente pro Deo et eius anima et in
satisfatione de suoi peccati tarì dudici anno quolibet sopra tutti li soi beni
hereditari durante la vita di esso esponente per una missa da dovirisi diri in
die lunae cuiusvis hebdomadis .. in ecclesia Sancti Francisci dictae terrae per
ipse esponente. Et mancando, che tali
tarì dudici li havissero li frati di ditto convento durante la vita di
esso esponente, si como per ditto legato appare in ditto testamento fatto ni li
atti de ditto notaro Vito 21 novembre iiij ind. 1545. Et perché lo esponente si
trovao absenti da ditta terra alla morte del ditto testatore, che havea stato
in Palermo et ad altri parti per soi negotij et non habbi mai notitia di tale
legato et li frati di ditto convento quello si exigero con diri che ipsi
voleano dire tali missa.
Appena
saputa la faccenda del legato, il sacerdote si dichiara disponibile alla
celebrazione della messa per l’anima del di Salvo. Ma i frati sono riluttanti e
non consentono al Provenzano di celebrare quella messa nella chiesa del loro
convento. Quindi il sacerdote si trova nell’impossibilità di adempiere
all’obbligo nelle modalità volute dal testatore. Egli non può celebrare
ditta missa per la repugnantia di
ditti frati in la loro ecclesia; pertanto supplica V.S. sia servita provvedere
et comandare che ipso exponente possa satisfare la volontà di ditto defunto in
diri la missa ogni lune cuiusvis hebdomadis in alcuna altra ecclesia in ditta
terra di Racalmuto ben vista a V.S. Rev.da et comandare alli heredi di ditto
defunto che di ditti tarì dudici anno quolibet
staiono de rispondere et quelli dari allo esponente con la conditione
ordinata e fatta per lo defunto che quando mancasse per sua colpa e defetto
recada al ditto convento di santo Francesco. Et ita petit et supplicat. ..
Il
vicario generale dell’epoca don Rainaldo dei Rainallis dà quindi disposizioni
al vicario del luogo perché faccia un’inchiesta e ragguagli il vescovado.
Quel
che emerge con chiarezza è dunque la vita piuttosto girovaga di questo nostro
prete del Cinquecento che per affari si reca a Palermo ed in altre località ed
è tanto affaccendato da non sapere neppure di un legato in suo favore. Non
meraviglia certo che il di Salvo s’induca a lasciare a favore di questo
sacerdote, durante vita, un legato di dodici tarì per una messa la settimana,
il giorno di Lunedì, da celebrarsi nella chiesa di S. Francesco. Le
disposizioni testamentarie pro Deo et anima in remissione dei propri peccati
investivano i vari strati della popolazione. Non sorprende che i frati siano
riluttanti a concedere il permesso di celebrare nella loro chiesa a sacerdoti
secolari. Se messe di suffragio sono da dire, possono benissimo essere loro ad
adempiere ogni volontà testamentaria al riguardo. Ovviamente percependone le
elemosine. A chi abbia dato ragione il Vicario Generale, se ai frati o a d.
Lisi Provenzano non sappiamo, ma propendiamo a credere che sia stato
quest’ultimo a venire favorito. Non per nulla, qualche anno dopo il sacerdote
si stabilisce a Racalmuto e qui svolge funzioni da cappellano.
Il
documento è comunque importante perché ci fornisce qualche dato sul convento e
sulla chiesa di S. Francesco. L’uno e l’altra erano dunque operanti da prima
del 1545. Stanziano a Racalmuto padri francescani che dispongono della chiesa
ed erano sottratti alla giurisdizione del vescovo agrigentino. Nella visita
pastorale del 1540-43, il vescovo Tagliavia omette ogni riferimento ai
francescani. Eppure abbiamo motivo di ritenere
che essi fossero già insediati. Nel 1548 il convento possedeva una
bottega in piazza e ciò risulta dalla bolla di riconoscimento della
confraternita di S. Maria di Juso datata
21 maggio 1548 ( A.C.V.A. - Registro Vescovi 1547-48, p. 142).
Con i padri dell’Ordine dei Minori Conventuali di S.
Francesco, ebbe dunque a confliggere don Lisi Provenzano attorno al 1556 per un
legato del 1545. Il convento francescano precede quindi di almeno 15 anni il
1560, data ritenuta di fondazione dal Tossiniano. Al 1560 risale, invero, il
testamento di Giovanni del Carretto che accenna alla chiesa di S. Francesco ed al
convento ma in questi termini:
Del pari lo
stesso spettabile Testatore volle e diede mandato al predetto d. Girolamo del
Carretto, suo figlio primogenito ed erede particolare, di far celebrare delle
messe nel convento di S. Francesco di detta terra. Inoltre dispone che sia
costruita una cappella in un luogo da scegliersi in detta chiesa dal suddetto
erede particolare ed a tal fine saranno da spendere 100 onze entro due anni
dalla morte del testatore. La Cappella è da fabbricarsi per l’anima del predetto
testatore e dei suoi predecessori.
Inoltre decide di venire sepolto nella chiesa di S. Francesco
con l’abito francescano:
Item elegit
eius corpus sepelliri in Ecclesia Sancti Francisci dictae Terrae indutus
ordinis ditti Sancti Francisci et ita voluit, et mandavit.
Anche da qui emerge che S. Francesco esisteva da tempo.
Il Sac. Lisi Provenzano visse, dunque, gli anni del suo
sacerdozio tra Palermo, altri luoghi e Racalmuto. Ordinato già nel 1545,
all’epoca cioè del testamento del di Salvo, nacque a Racalmuto qualche tempo
prima del 1520. Morì attorno al 1597.
Nel 1584 fa una donazione alla chiesa di S. Maria Inferiore
(di Gesù) di tt. 6 annui, cedendo un censo annuo su una casa una volta
appartenuta a Violante Petruzzella:
Actus
donationis o. - 6.
Pro
ven: Eccl. Sanctae
Marie inferioris - cum p.ro Aloisio Provenzano.
Die
xxiiij° septembris xiij^ ind. 1584
Reverendus presbiter Aloisius
Provenzano de Racalmuto coram nobis mihi notario cognitus pro anima sua titulo
donationis et omni alio meliori modo sponte cessit et cedit ven: Eccl.
Sanctae Mariae Inferioris dictae terrae
per eum Mattheo La Paxuta rettore mihi cognito omnia jura quae et quas habuit
et habet in et super tt. 6 census quolibet anno solvendi contra magistrum
Joseph Cachiatore super domo olim Violantis Petrocella virtute contractus facti in actis meis die etc.
Testes m.j Joseph Lomia et Jacobus de Poma.
Arciprete Gerlando D’Averna
Con bolla pontificia del 13 novembre 1561 ( Archivio Segreto
Vaticano - Registri Vaticano - Bolla n.° 1911 -
f. 211 e ss.), Pio IV nomina arciprete di Racalmuto don Gerlando
D’Averna (chiamato nel documento Giurlando de Averna). La bolla viene
indirizzata al diletto figlio, arciprete e rettore della chiesa di S. Antonio
di Racalmuto, diocesi di Agrigento.
Pius
episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Giurlando de Averna rectori archipresbitero nuncupato parrochialis
ecclesiae archipresbiteratus nuncupatae Sancti
Antonij terrae Rachalmuti
Agrigentinae diocesis, salutem et apostolicam benedictionem.
E’ del tutto rituale l’apprezzamento che giustifica la
concessione papale del lontano beneficio dell’arcipretura racalmutese, ma è pur
sempre un riconoscimento di meriti:
Vitae ac morum honestas aliaque
laudabilia probitatis et virtutum merita, super quibus apud nos fide digno
commendaris testimonio, nos inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberalem.
Ci
appare oggi strano come una prebenda così striminzita fosse di concessione
pontificia. All’epoca era invece una consuetudine ed il papa mostra di esserne
un custode geloso et attento. Ne fa accenno nel corpo della stessa bolla,
dichiarando illegittima ogni usurpazione da parte di qualsiasi autorità:
Dudum siquidem omnia beneficia
ecclesiastica cum cura et sine cura apud Sedem apostolicam tunc vacantia et in
antea vacatura collationi et dispositioni nostrae reservavimus, decernentes ex
tunc irritum et inane si secus super hijs a quacumque quavis auctoritate
scienter vel ingnoranter contingeret attemptari.
In
un siffatto quadro giuridico si colloca, dunque, il beneficio di Racalmuto, un
beneficio che, comunque, tal Sallustio - già rettore ed arciprete di Racalmuto
- non ha reputato utile mantenere e l’ha restituito nelle mani del Papa.
Et de
inde parrochiali ecclesia archipresbiteratus nuncupata Sancti Antonij terrae
Rachalmuti Agrigentinae diocesis per liberam resignationem dilecti filij
Salustij humilissimi nuper ipsius ecclesiae rectoris archipresbiteri nuncupati,
de illa quam tunc obtinebat in manibus nostris sponte factam et per nos admissam apud Sedem predictam
vacantem.
L’arcipretura
di Racalmuto, cui rinuncia anche il chierico Cesare, viene alla fine assegnata
al D’Averna per i suoi meriti:.
Noi, quindi vogliamo concederti una
speciale grazia per i tuoi premessi meriti, e assolvendoti da ogni eventuale
censura, disponiamo che tu ottenga tutti i singoli benefici ecclesiastici con cura e senza cura
(d’anime) e tutto quanto ti compete in qualsiasi modo, comunque e per qualsiasi
quantità; ed in particolare gli annessi frutti, redditi e proventi che
costituiscono una pensione annua di 24 scudi d’oro italiani secondo la
ricognizione fatta dalla Santa Sede quando ebbe ad accordarla al predetto
Sallustio, pensione che in ogni caso non supera i sessanta ducati d’oro come tu stesso affermi.
E vogliamo ciò
anche se sussiste una qualche riforma insita nel corpo delle leggi visto
che la predetta chiesa è riservata alla disponibilità apostolica in forma
speciale e generale.
Pertanto ti conferiamo il beneficio
con l’autorità apostolica che ci compete, giudicando irrituale ed inefficace
ogni altra contraria decisione di qualsiasi autorità che abbia ritenuto di
poterne disporre, scientemente o per ignoranza. E ciò vale anche verso chi
tenterà in futuro di arrogarsi poteri dispositivi.
Intorno a quanto precede, diamo
mandato per iscritto ai venerabili fratelli nostri, i vescovi Amerin/ e Muran/
nonché al diletto Vicario del venerabile fratello nostro, il vescovo di
Agrigento, affinché loro due o uno di loro, direttamente o per il tramite di
qualcuno introducano Te o un tuo procuratore nel materiale possesso della
chiesa parrocchiale e degli annessi diritti e pertinenze e lo facciano per la
nostra autorità. Non manchino, altresì, di difenderti, dopo avere rimosso
qualsiasi altro detentore, facendoti dare integro il resoconto della chiesa parrocchiale
e degli annessi frutti, redditi, proventi e doti. A ciò non osti qualsiasi
contraria costituzione di papa Bonifacio Ottavo, di pia memoria, nostro
predecessore, né ogni altra decisione apostolica. Del pari, nessuno può
richiedere per sé o per il proprio legato un qualche diritto di omaggio o un
qualunque beneficio ecclesiastico in base a lettere o in forma speciale o
generale, anche nel caso in cui vi sia stato un processo e sia stato emesso
decreto riformatore.
Vogliamo che tu comunque entri in
possesso di detta chiesa parrocchiale, senza pregiudizio alcuno degli annessi
benefici. Se qualcuno dovesse tentare presso il venerabile fratello nostro, il
vescovo di Agrigento o presso chiunque altro che sia stato dalla Sede
apostolica dotato in comunione o frazionatamente nei beni della chiesa, non gli
si accordi costrizione o interdetto o sospensione o scomunica. Resta ribadito
che quanto ad omaggi, benefici ecclesiastici, relativa collazione, provvisione,
presentazione e qualsivoglia altra disposizione, sia congiuntamente che
separatamente, non può provvedersi per lettera apostolica che non faccia piena
ed espressa menzione, parola per parola, alla presente, la quale ha forza di
annullare qualsiasi altra indulgenza, generale e speciale, di qualsiasi tenore
della Sede apostolica.
La
complessità della bolla invero illumina poco sulle peculiarità parrocchiali
della Matrice del tempo. V’è un rigonfiamento di formule curiali, del tutto
sproporzionato alla esiguità dell’affare.
L’arc.
D’Averna non pare essere racalmutese. Sembra venire da Agrigento. E’ un po'
nepotista. Con lui si sistema a Racalmuto il sac. d. Vincenzo d’Averna che è
anche cappellano. Appare un vicario a nome don Giuseppe d’Averna. Fa capolino
un chierico: Orlando d’Averna.
Come
arciprete, lo riscontriamo con una certa assiduità negli atti di battesimo dal
12.11.1570 sino al 5.7.1571; poi appare sporadicamente. Non abbiamo, però,
serie complete di atti di battesimo: il primo quinterno è incerto se si
riferisce al 1554 o al 1564. Si salta, poi al 1570-71-72 e quindi al 1575-1576.
Quindi il vuoto sino al 1584.
L’arc.
Gerlando d’Averna figura ancora il 24 di maggio 1576 in questo atto di
battesimo - ed è l’ultima testimonianza di cui disponiamo:
24 5 1576 Joannella figlia di Barbarino
Vella (di)e diPalma;
madrina: Juannella
di Rotulu;officiante: Don Gerlando di Averna.
Va,
quindi, fugato il sospetto che, ricevuto
il beneficio dal papa, egli abbia soltanto percepito i proventi della sua
arcipretura e per il resto se ne sia stato lontano. La sua arcipretura sembra
durare oltre 18 anni: è, infatti, nel 1579 che subentra l’arc. Michele Romano.
Don Vincenzo D’Averna
Ci
sembra un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova
alcuna ove si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era
racalmutese. E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti
della documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò
assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel
successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote
officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra
più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel
periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel
“liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di
quel cappellano.
Don Giuseppe D’Averna
Appare per la prima volta in un atto notarile
della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti
vj ind. 1578. - Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna
cappellanus, Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores
venerabilis ecclesiae Sanctae Mariae
Inferioris ...
Nel
1580 fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don
Joseph di Averna la q. Betta la
Carretta'.
E’
poi assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna
sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1.
n.° 13). Una malcerta annotazione sembra
indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che
abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei
figli degli ottimati locali come quello di
3 7
1598 Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta del Carretto,
per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese
Elisabetta
del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna
Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587.
Giovanni
del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo
Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo
scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo
di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello
stralcio di un documento vaticano sopra richiamato.
Clerico Blasi Averna
Tra
il 1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna.
Di lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel
1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni
che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque
nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del
1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e
di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca;
testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:
Don Monserrato d’Agrò.
Compare
come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura
Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al
1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa
di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di
assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo
d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa,
don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di
cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter
Monserrato de Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia
uti eius cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo
contractis et declaratis et non aliter.
Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno
successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento
alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua
tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto
della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di
concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei
racalmutesi dell’epoca.
Sappiamo
dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato
dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava,
apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del
rivelo del 1593:
3
149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45
La
cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a
quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata
l’immagine di S. Francesco di Paola (intus
dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope
Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti
Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele
Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam
presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel
che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato
aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa
mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et
Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris ....
Il
nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la
transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei
presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15
gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste.
I primi cappellani:
don Vincenzo Colichia;
don Antonino La Matina;
don Dionisi Lombardo;
don Antonio Castagna.
Il
più antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26
colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto
1554 o die Xbris 1554) in altre 1563
(adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non
è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife,
aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato
1563-64, settima indizione anticipata.
Vi
vengono segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i
cappellani della Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non
riscontriamo mai la presenza dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né
quello che si considera il suo predecessore,
don Tommaso Sciarrabba (“Arciprete e canonico della cattedrale di
Girgenti anno 1553”, annota il Liber citato, c. 1 n.° 2).
I
cappellani officianti risultano:
don Vincenzo Colichia;
don Antonino La Matina;
don Dionisi Lombardo;
don Antonio Castagna.
La
maggior frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi
Lombardo. Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete). Di nessuno di loro si fa il più vago cenno
nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il
cappellano don Antonino La Matina.
I cappellani del periodo
successivo (1570/1571):
Don Vincenzo d’Averna;
Don Jo Cacciatore;
Don Antonino D’Auria;
Don Giuseppe Garambula;
Don Antonino La Matina;
Don Filippo Macina.
E’
il periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso
presiede alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già
abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina,
presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria,
Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi
cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8). Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e
Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il
Garambula appaiono oriundi.
I cappellani del periodo 1575/76
Don Vincenzo d’Averna;
don Lisi Provenzano.
I
salti della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione
anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed
il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di
Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna
I
cappellani del periodo 1579/1582:
Don Michele Abate;
Don Monserrato d’Agrò;
Don Lisi Provenzano;
Don Giuseppe d’Averna.
Nei
fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele
Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate
(n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente
l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa
se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20
luglio 1600.
I cappellani del periodo 1583/84:
Don Monserrato d’Agrò;
Don Francesco Nicastro;
Don Paolino Paladino;
Don Lisi Provenzano.
Arciprete
del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al
precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don
Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato
all’infuori del nome e cognome.
Don
Giuseppe Romano
Annotato
nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del
libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa
ind.s 1597, mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia
don Joseppi Romano come procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio
1597). Che vi sia un qualche vincolo di parentela, è congetturabile.
Arciprete
Michele Romano
Ha
tutta l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi
attorno al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il 28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di
arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il
vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni
successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua
difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto
Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia[5] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far
certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta
spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte
debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli
di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non
pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal
termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato
seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente
della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con
intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo
regitor di detto Regno. »
A distanza
di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante
la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è
persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij,
falsi e litigiosi».
L’arciprete
Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto -
divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore,
l’avventuroso Giovanni del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio
1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo.
L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali
Cesare del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E
l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel
1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando
scende a Racalmuto un parente dei del Carretto per battezzare il figlio di un
personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è
ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or
Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il
Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora
Donna Maria del Carretto''
In ogni
caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari,
l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non
appare neppure come teste.
Arciprete
Alessandro Capoccio
Il Vescovo
Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio
aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo
di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti
di formalissimi atti notarili. Presso la
Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la
possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di
don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto
plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI
FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600
)
Tre
anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del
Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di
Agrigento al Papa[6].
Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene
indicato come "Sacrae theologie
professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In
Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio
Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento)
- ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per
niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando
e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone
il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e
residente per il momento in questa
corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y
Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di
non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano
alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi
molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui
conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni,
poco più poco meno’.
Per
quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo
che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[7]
Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto
di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia
racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze
pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti
parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.
«ex actis meis
notarii Angeli Castro Joanne Racalmuti -
«Est sciendum
qualiter inter alia capitula testamenti solemnis et in scriptis quondam don
Vincentij del Carretto sacerdotis, ultimi sub quo decessit, facti in actis meis
notarii infrascripti die XV° augusti VII ind. proximae praeteritae 1624, aperti
et publicati in eisdem actis meis sub
die XVIII presentis mensis
septembris VIII^ inditionis instantis,
extat capitulus ut infra:
«“Item
dictus testator legavit et legat de summa illarum unciarum quadraginta novem
redditus supra statu et baronia Ciramis vigore contractuum superius
expressatorum uncias duodecim redditus
Ven: Conventui Sanctae Mariae de Monte Carmelo terrae Racalmuti pro
celebratione unius missae de requie pro anima Ill.i Don Hieronimi del Carretto
comitis Racalmuti eius fratris.”»
Se ne ha la riprova nell’atto di donazione del 10
luglio, IIIJ^ Ind. 1621 (ASP -
Protonotaro Regno - Investiture - Busta n.° 1569 - Processo n. 4074 - 1621 - f. 10) che recita:
«.. Don Vincentius
del Carretto frater ipsius Don Hironimi comitis et avunculus dictorum Don
Joannis et Donnae Dorotheae...»
[2]) vedi testamento
reperibile in Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 501.
[3]) Archivio di Stato di
Palermo - Fondo: Conservatoria Registro - Serie Investiture - Busta n.°
141- Anni 1636-48 - f. 118.
[4]) Archivio Segreto Vaticano
- Relationes ad limina - 18A - f. 5. La relazione economica è al f. 16 e ss.
[5]) Ciò che alla morte del
prelato ricade nel dominio del Governo durante la sede vacante: spoglio.
In spagnolo, il Covarruvias
così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione competente:
«Quando no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro
Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a
V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro
...el obispo de Girgento».
[7]) Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori
ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento a li 7 di
marzo XIII ind.1600».
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