GIUSEPPE I DEL CARRETTO
Continuiamo
Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato impiego di Capitano di Palermo
nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece estinguere nella sua persona
la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori di SAVONA, che prendendo
origine Reale, stimavasi una delle più cospicue Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca del SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu sua moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della
sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711.
pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716.
Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a
Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI se ne
investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B.
dello Stato di Calamigna, etc.»
Don
Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto il 21 marzo del 1687 « ob donationem inrevocabiliter inter vivos
sibi factam per illustrem d. Hieronymum del Carretto eius patrem vigore
donationis per acta notarii predicti de Cafora et Tagliaferro die 17 maij X
ind. 1687 sicuti depositione dicti ill.is d. Hieronymi constat per investituram
per eum captam olim die 16 septembris V ind. 1666.» [1]
E’
costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il 20 gennaio 1702. Altre
spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo. Nella documentazione
palermitana abbiamo:
«Si
può passare l'investitura per la presente possessione tantum ob mortem Caroli
Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro 1702 - Don Giuseppe Bruno.»
[2]
Giuseppe
del Carretto nel 1702 è plurititolato;
questa
la sfilza dei suoi feudi e titoli:
Die decimo nono Januarii X ind.
1702
illustris d. Joseph del Carretto
possessor ac dominus comitatus Racalmuti ducatus Bideni Marchionatus Sanctae
Eliae et baroniae terrae Ferulae.
Il
padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data del gennaio 1702. Se è
vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra questa data e qualche
tempo prima del 1711, quando ad avviso del Villabianca fu pronunciata la
sentenza di assegnazione della contea di Racalmuto alla vedova di Giuseppe I
del Carretto, BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di
S. ELIA.
Girolamo
III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710. In un documento del fondo
Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla infatti «de morte sequuta dicti ill.s D. Hieronymi per fidem mortis Parochialis
Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u. sub die nono martij 1710 sicuti de
possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi constat per investituram per eum
captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»
I nobili
del Carretto cessano quindi di essere i feudatari di Racalmuto il 9 marzo del
1710. Con tale data si chiude anche la nostra ricostruzione della vicenda
feudale carrettesca in quel di Racalmuto. Quel che avviene dopo - e dura un
secolo - è storia del baronaggio locale con gli Schettini, i Gaetano (la
parentesi Macaluso non rileva) ed i Requisenz protagonisti. I nobili del
Carretto racalmutesi - quanto al ramo
maschile - si sono piuttosto malinconicamente estinti, prima dei grandi
sconvolgimenti storici del 1713 allorché vi fu il breve avvento in Sicilia dei
Sabaudi.
FATTI E
MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI
Il 1622 fu
anno fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché
impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi
pensiamo, per mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di
credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si
diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri
incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella
ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo
dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.
Il popolo
soffre e tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia
Vescovile, a discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà
perché langue nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e
così Paolo La Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne
intenerisce (forse per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco
quel che oggi possiamo leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di
Agrigento:
REGISTRI 1622
et 1623
f. 181
Eodem ( die 21
9bris VI ind. 1622)
Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad presens
carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri terrae
praedictae ad presens carcerato in Castro ..
ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti Cataldus
Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non obstante
clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique commorandi per
dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat .. \
La giustizia
curiale agrigentina era, diciamolo pure,
compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora
vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino
Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette
averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della
propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura
e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere
dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni
finanziarie. Il Vescovo ha voglia di
crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo
il destro di credere a chi voglia.
Die 26 novembre 1622 (f. 188)
Nos Dilecte
nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti
agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos
provisum sub forma sequente Videlicet.
... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto
espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et
timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et
metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di
detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua
dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ...
di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In
virtù di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di
Racalmuto … et anco detto suo marito la
fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe
Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni
die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una
permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di
Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in
solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di
Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di
Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti
a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali Castro
Gio: dicti et anco in uno altro
contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li
quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a
maggior cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et
rescindere et obstandoli li giuramenti
prestati et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di
iniquita per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio et interesse di sua dote della quale non può
ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita
ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti in genere et in
specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo iuramento petendo absolutionem et ea obtenta non ... ad effectum agendi et concederli ditta absolutione . In forma
... Agrigenti die 8 novembre VI ind. 1622. Ex parte
fuit provisus et .. quoad absolvatur ab omnibus et singulis iuramentis
in genere et specie presbiteris ad effectum agendi tunc et dumtaxat ....
Non erano tempi quelli in cui i Curto
riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di Agrigento. Una
condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il vescovo dà
incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale afflizione.
(f. 191) die 29 novembris 1622
Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi terrae
Racalmuti et tali fermiter huius
episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae
Di casa sul colle vescovile era
ovviamente il chierico, già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di
andare in giro in abito clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben
felice di esaudire il mistico desiderio del pittore racalmutese.
Die 29 dicembre 1622 (f. 213)
Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro d'Asaro terrae
Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi observaternales (')
litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac gerendi expositis
concedere digneremeur ideo fuit
per nos ad relaciones .....
in dorso memorialis ebibis quod fiant ... in forma ut sequitur ..
Bonincontro ... filio Petro de asaro
d.ae terrae Racalmuti salutem ... ex
parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris
Il 5
febbraio 1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria
dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi
contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso principale che gli
ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile
Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava
anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi
seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non si può dire che
avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò, infondatamente,
Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva servito dai confrati
di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621, quel sodalizio
(confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal dottor don Gabriele
Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla episcopale che avrà reso
felice il Governatore (della religiosa confraternita, s’intende) Francesco lo
Brutto ed i notabili (i confrati “officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano,
Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo
solennemente, il Salerno – vobis
[concediamo] licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi
sub titulo S. Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in
processionibus et exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae
Annunciatae in cappella S. Joseph …»
Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri secenteschi
antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo spettacolo di
codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e con quelle azolate
mantelline, mistificante sagra di un contristato rito religioso con attori poco
sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate nelle tante “putie di vino”
nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia Betta.
Chi davvero
fosse Pietro d’Asaro, se un pittore, o un appaltante o un banchiere camuffato
da chierico, non si sa. Se in un primo tempo, Sciascia lo voleva famiglio del
Sant’Ufficio, dopo lo scrittore si ricredette e lasciò padre Alessi
nell’imbarazzo della scelta, scrivendogli che degli antichi ricordi gli era
rimasto un segno tanto sbiadito da non ricordare, tutto sommato, più nulla.
Certo, Pietro d’Asaro un gruzzoletto se l’era fatto, ed anche se proveniente da
famiglia non poverissima (è dubbio se fosse di antica origine racalmutese) un bel
salto nella scala dei valori sociali il pittore, cieco di un occhio, l’aveva
bellamente compiuto. Ecco un suo “rivelo”:
389 -
Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di
Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata
capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in
virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre
Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro
d'Asaro «il Monocolo di Racalmuto» - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 -
"Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del
Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]
Anime
m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette
o Vincenza moglie
m. Michel Angilo d'anni dodici
m. Gio:battista d'anni quattordici
o. Rosalea
o. Dorothea
o. Ninfa figli
o. Gioanna madre
m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo
m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici
o. Caterina e
o. Natala zitelle
Beni stabili
Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra,
quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via
publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare
onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e
quattro........................ 57. 4
Una casa terrana in un corpo di detta terra, quartieri predetto,confinante con la casa di
Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro franca di conti l'hà soluto e suole locare
tarì quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7 e tarì
quattro............................................. 7. 4
Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri confinante
con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha
soluto e suole locare onza una e tarì 12
che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12
..........................21.12
Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone
territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta
e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti
quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì
dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12.
per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze
quarantotto e tarì sei .....................................48.6
[390]
Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta
infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto
confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale
ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per
100 il capitale settantasei e tarì cinque..............................................76.5
e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli
territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la
Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì
venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due
........................38.2
Rendite
Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì
quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico
territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque
.........................................35.
Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì
quindici sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure
subiug.nis cioè onze 1.2 da Francesco la Matina sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da
Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro
Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10
per 100 il capitale onze venticinque................................................25.
--------------
onze [/'] 308.3
====================
Beni mobili
Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30
Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8
frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa
tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la
salma importa onze tre e tarì venti........................3.20
--------
41.20
=========
Gravezze stabili
Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e
tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il
capitale onze ottantasette e tarì due ...................87.2
e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18
alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e
tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100
[391]
il capitale importa onze trenta.........................30.
-------
onze
117.2
===============
Gravezze mobili
Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal
q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per
testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
===============
Ristretto
Maschi d'età 1
d'altri 4
femine 7
_____
anime 12
======
Giumente di S. .....1
Beni stabili .........308.03
Beni mobili........... 41.20
----------- 349.23
gravezze stabili......117.2.
gravezze mobili.......200
----------- 317.2.
----------
liq.
onze 32.21.
===========
(Trombino)
Terra Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636
Le chiese di Racalmuto nella ricognizione dei visitatori
regi.
Sulle visite del De Ciocchis attorno agli anni Trenta del 'Settecento v'è
ampia letteratura.
Mi diffondo sull’argomento perché indottovi da alcuni
documenti trovati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma sui poteri
inquisitori della Monarchia della Sicilia sullo stato delle chiese. Basilare,
in ordine al diritto ecclesiastico di Sicilia, appare la visita di Mons. De
Ciocchis che si svolse tra il 4 maggio
1741 (data iniziale dell’incarico ricevuto da Carlo III a Portici) e il 27
giugno 1743. Il De Ciocchis fu un visitatore molto diligente, sino forse alla
pignoleria. Le risultanze di quella visita devono trovarsi a Palermo, ma non
posso escludere che in gran parte siano finite a Napoli, presso la corte
borbonica. Molti suoi provvedimenti saranno stati raccolti in processi lasciati
presso le varie curie vescovile. Mi pare che il prof. Manduca abbia trovato
qualcosa ad Agrigento, tra i documenti dell’Archivio Vescovile. Ma è certo che,
data l’importanza delle varie disposizioni del De Ciocchis - considerate valide
sino all’unità d’Italia -, si è proceduto nel 1836 alla pubblicazione in due
volumi del materiale di quel visitatore regio. Nel primo volume dedicato alla
Valle di Mazara, alle pagine pp. 235-372, si parla della diocesi di
Agrigento. Là, di certo, v’è molto
materiale sulle chiese di Racalmuto. Per le tue ricerche vi possono essere
spunti preziosi. L’opera s’intitola: DE
CIOCCHIS, GIOVANNI ANGELO: SACRAE REGIAE VISITATIONIS PER SICILIAM ACTA DECRETAQUE OMNIA, Palermo 1836, Diari
Letterarii .
L’opera è praticamente introvabile fuori della Sicilia.
Riscontro in una pubblicazione specializzata “CLIO” che una copia trovasi
presso la Biblioteca Universitaria di Messina. Ma qualche copia deve pure
essere disponibile in Palermo. Guarda, dunque, un po' se puoi procurarti le
fotocopie almeno delle pagine che riguardano Racalmuto.
Per le vicende di Santa Rosalia, andrebbero consultate le
visite dei predecessori del De Ciocchis. Secondo quel che ne leggo in un
importante libro del 1846 (GALLO AVV. ANDREA
CODICE ECCLESIASTICO SICOLO - PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1846 VOL.
1 E 2 - ) essi sarebbero:
- Pietro Pujades
«Si elegge un visitatore di tutte le Chiese di Sicilia, al
quale si conferisce la potestà di far decreti relativi al culto divino.
L'imperatore Carlo V re di Sicilia - A Pietro Pujades Ab. del
Monistero di Noara dell'Ordine di S. Bernardo. Bruxelles 22 dicembre V Ind. 1516 apud Di Chiara de regio Sacram.
Visit. per Sicil. jure; Mantis. monument. num. III, pag. 5».
- D. Nicolò Daneo
«Si elegge altro Visitatore di tutte le chiese regie di Val
di Mazara e di Valdemone, con gli incarichi come sopra. M. Antonio Colonna
Vicerè di Sicilia.
Nel nome del re al
rev. D. Nicolò Daneo ab. di s. Maria di Terrana, Palermo 19 maggio VII ind.
1579 apud cit. Di Chiara n. VI pag. 10 (pag. 135)
DIPLOMA CCXXI
... vi eligemo, deputamo, e nominamo visitatore, e commissario
generale delle Prelazie, Abbatie, Commende, Priorati, ed altri beneficii del
jus patronato regio, i quali siano fondati nelle Valli di Mazzara, e Demini, et
anche etc. .. e delli loro membri, pertinentie, grancie, acciocché abbiate a
provvedere ...
Datum Panormi die 19 Maii 7 ind.
1579»
- D. Lupo del Campo
«Si nomina un visitatore delle chiese di regio patronato, per
la reintegrazione dei beni usurpati ed alienati in danno di dette chiese, al
quale si conferiscono pieni poteri.
Filippo II re di Sicilia.
A Lupo del Campo. Madrid 24
febbraio 1588. apud. Cit. Di Chiara n. VII pag. 12.
DIPLOMA CCXXII
... tibi dicto Doctori D. Lupo del Campo commictimus,
praecipimus, et mandamus etc. ....
Datum Matriti die 24 mensis februarii anno a nativitate
Domini 1588 - YO EL REY».
Ma stando agli studi di Virgilio Titone (Origini della
Questione Meridionale - Riveli e Platee del Regno di Sicilia - Milano 1961,
pag. 56) abbiamo un elenco completo di codesti Visitatori Regii (ad eccezione
invero di d. Lupo del Campo di cui sopra, anno 1588).
Il Titone a pag. 56 dice sul Puyades: «Le sacre visitazioni
di cui abbiamo memoria, hanno inizio quasi nello stesso tempo dei riveli. La
prima sembra essere stata quella di Pietro Puyades, abate di Nohara, negli anni
1511, 1514, 1516, e parecchie se ne ebbero nel corso di quel secolo.. Ma dal
1580 al 1743 se ne ricordano solo due, l’una fatta nel 1603, l’altra iniziata,
ma non compiuta, nel 1683.»
Il Titone ci indica anche dove si trovano gli atti a
Palermo. Aggiungo, da parte mia, solo che ho riscontrato nella “GUIDA GENERALE
DEGLI ARCHIVI DI STATO ITALIANO” 1986 - N - R nella parte riguardante Palermo a
pag. 303 la seguente voce che ci conduce agli atti di quelle visite:
CONSERVATORIA di REGISTRO. Al suo interno, trovo: <VISITE
ECCLESIASTICHE>. Queste ultime contengono sicuramente i documenti del Vento
(1542, n. 1305-07); dell’Arnedo, anno 1552, nn.° 1308-10; del Manriquez, anno 1576, n.° 1314-17;
dell’Afflitto, anno 1579, nn.° 1310 e 1319; del Daneo, anno 1579, nn.° 2015-16;
del Pozzo, anno 1580, nn.° 1326-29; dello Iordio, anno 1603, nn.° 1330-34; di
Fortezza e Manriquez, anno 1683, nn.° 1337-39.
Il Titone non dà estremi d’archivio per il Puyades perché la
sua visita è antecedente alla raccolta di Palermo che come si è visto parte dal
1542.
Per il De Ciocchis, il Titone - non so perché - si limita a citare soltanto
il libro del 1836 (quello per me introvabile qui a Roma).
b) la possibilità di reperire alcuni documenti su Diego La
Matina
La vicenda di fra Diego La Matina sta diventando una mia
ossessione; reputo la questione molto falsata da Leonardo Sciascia nel suo
libro “Morte dell’Inquisitore” per preconcetto anticlericalismo.
Sciascia scrive: «Volentieri ci daremmo al diavolo con una
polisa, se in cambio potessimo avere quel libro che fra Diego scrisse ”di sua
mano con molti spropositi ereticali, ma senza discorso e pieno di mille
ignoranze...”». (pag. 219 dell’edizione Laterza 1982)
Quel libro - semmai fu scritto - difficilmente si troverà.
Bruciato da Caracciolo, forse, nel rogo del 27 giugno 1782 ([3])
Forse qualche accenno alle eresie - se mai queste vi siano
state - poteva trovarsi in un manoscritto del Consultore del Santo Officio, il
Matranga, tanto citato e tanto bistrattato da Leonardo Sciascia. Consultando il
Mongitore della “Biblioteca Sicola”, la mia attenzione si è soffermata su
questo passo: «Pre parata reliquit haec opera, quae in Bibliotheca S. Joseph
Panormi servantur, nempè: «Fidei Acropagum, in quo propositiones
innumerae quas ferrea nostra aetas, aut temerè vomit, aut callidè evulgandas
protulit, subtilissime examinantur, et
nota theologica incrementur; plurimaeque reorum causae ad Tribunal S. Inquisitionis spectantes referentur;
Criminum qualitas, et circumstantiae expendentur, deque iis judicium fertur».
[vedi Biblioteca op. cit. pag. 281 - ove Girolamo Matranga viene
segnato come palermitano chierico regolare, nato nel 1605, che prese l’abito il
25.3.1620. Fu per 40 anni consultore del S. Ufficio, censore oculatissimo.
Esaminatore sinodale dell’arcivescovado di Palermo. Conosceva latino, greco ed
ebraico. Morì in Palermo il 28 agosto 1679 all’età di 73 anni.]
Mi ero chiesto se in quel FIDEI ACROPAGUM fossero riportate
anche le tesi che avrebbe sostenuto fra Diego La Matina e quali contradeduzioni avesse addotto
l’erudito Matranga. Sciascia, che ha fatto (e per quel che mi risulta, ha fatto
fare) indagini sul nostro frate di Racalmuto,
non accenna a questa opera del Matranga. Resta da vedere che cosa
intendeva il Mongitore riferendosi alla “Biblioteca di San Giuseppe di Palermo”
ed eventualmente dove sono andati a finire i manoscritti che quest’ultima
conteneva. In ogni caso bisognerebbe vedere che fine ha fatto il manoscritto
del Matranga citato dal Mongitore.
In un primo momento, ho ritenuto che il tutto fosse
reperibile nella Biblioteca di Palermo o nell’Archivio di Stato di Palermo. Per
quest’ultimo, la consultazione della relativa Guida mi porta ad escludere
manoscritti provenienti da quella Biblioteca di S. Giuseppe. Resta la
Biblioteca del Comune. Investigazioni fatte qui a Roma in proposito, purtroppo
mi sono tornate infruttuose.
Quanto a fra Diego La Matina, non è da escludere che nella
sezione del “Tribunale del S. Ufficio” dell’Archivio di Palermo (vedi
Ricevitoria ed anche Carceri 1604-1765, vol. 8 <pag. 315 della Guida
generale citata>) possa ritrovarsi qualche cosa. (La pubblicistica su questa
sezione dell’Archivio è, nelle mie conoscenze, limitata a Notizie Archivi di
Stato NAS 1954 pp. 79-81 e Rassegna Archivi di Stato RAS 1971 pp. 677/689).
Le date su cui concentrare l’attenzione potrebbero essere
queste:
- 1644 fra Diego la Matina commette un reato che ricade sotto
la giustizia ordinaria, ma viene rimesso al Sant’Uffizio (Sciascia op. cit.
pag. 195, ma dai Diari del D’Auria );
- 1645 “fra Diego è di nuovo davanti al sacro
tribunale” (sempre Sciascia, pag. 199);
- 1646 - ritorna per la terza volta sotto il giudizio del
Santo Officio che ne “volle punire l’ostinazione se non l’eresia” (Sciascia,
pag. 200);
- 12 gennaio 1648 fra Diego «usci allo spettacolo la seconda
volta assoluto, e tornò in galera» (Auria, citato da Sciascia ibidem);
- 7 agosto 1649 «sedusse alcuni forzati di galera» (ibidem.
pag. 201);
- 1650 «uscì per la terza volta allo spettacolo ...
condannato e recluso murato in perpetuo
in una stanza» (ibidem);
- 1656 «Dallo Steri fra Diego evase nel 1656: aprì con
meraviglia di chi vide il loco, ed il fatto udì, delle segrete Carceri
fortissimo muro (Matranga) e fuggì con il laccio della tortura, quale trovò in
certo luogo (Auria)» Sciascia, pag. 202);
4 aprile 1657 - «Si seppellì - annota Auria (Sciascia, pag.
176) - ...D. Giovanni Lopez Cisneros, inquisitore [morto per le molte percosse
dategli da] fra Diego La Matina della terra di Ragalmuto, dell’ordine della Riforma
di s. Agostino, detti li padri della Madonna della Rocca..»;
- 2 marzo 1658 Matteo Perino annuncia per il 17 marzo 1658 lo
Spettacolo Generale di Fede, nel piano della Madre Chiesa (Sciascia, pag. 208);
- 17 marzo 1658 - Si abbandona «fra Diego al suo destino
infernale ... (bruciato vivo sopra un)
mucchio di legna, nel piano di S. Erasmo» (Sciascia, pag. 212).
c) la questione dei “maragmeri”.
Il Titone scrive (op. cit. pag. 58 nota 8): «Maramma val
quanto fabbrica: masse e maramme si chiamano quindi le amministrazioni delle
rendite destinate al mantenimento e restauri dei sacri edifizi». Il termine
“maramma” è dialettale, ma risale a data antica (lo ritrovo in un diploma del
15 luglio 1489). E’ termine giuridico, tant’è che trovo un intero titolo del
Codice Ecclesiastico Sicolo di Andrea Gallo (libro III, pag. 121 e segg.)
dedicato appunto alle maramme. Stando ad alcune disposizioni del De Ciocchis,
emergono la seguente terminologia e le seguenti locuzioni:
« XIV.
Della riparazione delle chiese, delle Maramme e degli spogli dei prelati.»; «
introitus Maragmatis»; «reditus Maragmatis
administrantur antiquitus per duos Maragmerios qui a rege tamquam
Ecclesiae Patrono eligebantur»; «.. hi duo Maragmerii non ecclesiastici a solo
Senatu [eletti]»; «Caeterum quod
expensiones, quietantiae, mandata syngraphe de recepto, ac omnes quicumque
actus, ab utroque simul Maragmerio fiant sub poena nullitatis»; «capsa depositi Maragmatis, servetur in
thesauro Ecclesiae»
Ferdinando
II di Castiglia Re di Sicilia e per lui Ferdinando di Acugna Vicerè di Sicilia
sancisce che «niuno officiale marammiere che ha incarico della costruzione di
una Chiesa, vi possa apporre, dipingere o scolpire le sue armi gentilizie.» [
Palermo 15 luglio 1489. Prag, Regni Siciliae Tom. II. tit. 42. pragm. Unica
pag. 404].
Da quanto sopra mi pare che emerga che il “marammeri” o
“marammiere” (alla latina “maragmeri”) più che un tecnico simile al nostro
“geometra” era un amministratore (religioso, ma qualche volta laico) di
istituzioni per la costruzione o la conservazione di edifici sacri (Fabbrica,
massa , maramma, dice il Titone).
Quanto a Racalmuto, trovo tra i miei appunti questo passo del
registro della “Fabrica” della Matrice:
31.8.1677
A m.° Vincenzo Picone mandato di maramma onze setti, e tarì dudici per haver
fatto altri ripari alla matrice chiesa, cioe per fare lo Campanaro per gisso,
mastri, petri et acqua, et altri -/ 4 - per molti adobbi al solo della chiesa
-/ 1. per mettere tre legnami ... per
gisso et altre -/ 2.12. come per mandato spedito, et apoca in d. notaro a 15.
8bre p.ma Ind. 1677 dico -/………………………………………………………………………………………..12
Alla luce delle precedenti puntualizzazioni, debbo quindi
ritenere che il Picone non era ‘marammieri’ ma soltanto destinatario di
incarichi da parte della “maramma” della Matrice.
Spostiamoci
di qualche decennio. A Racalmuto si ruba, si fa dell’abigeato. Del resto,
accanto ai poveri in canna, v’è gente che possiede varie terre, ha frumento, ha
casa in paese, possiede capre, si permette persino “una mutanda”. Tale Lorenzo
Pitruzzella è uno di questi. E’ preso di mira dai paesani poveri – e ladri – e
se ne dispera. Ricorre al vescovo: spera che una delle tante “monitoriali”, con
la comminazione di gravi pene religiose, di plateale scomunica, possa commuovere
il protervo ladro, sicuramente un vicino senza beni di fortuna. La Monitoriale
arriva: i beni rubati - siamo sicuri – no.
Die 11 agusti 1643
Factae
Monitoriales directae rev. Archipresbytero
terrae Racalmuti ... Semo stati significati
da parte di Lorenzo Pitruzzella di ditta terra qualmenti ci sono stati
sgarrati novi bestioli, rubati salmi
mutanda nella sua casasei di furmento nel suo magazeno, rubati dui
crapi, una naca afforata alla Menta …»
Correva
l’anno del Signore 1686: il francescano Francesco Maria Rini dominava la
diocesi di Agrigento. Racalmuto sembra preso da un empito religioso, e, quel
più conta, ha voglia di subordinarsi fino all’inverosimile alle autorità
ecclesiastiche del capoluogo. Nella chiesa di San Michele – poi divenuta il
Collegio per sopraffazione degli arrampanti Tulumello, più o meno in veste di
neo-baroni – si vuole una sorta di perenni Quarantore: vi suol conservare il
Santissimo in perpetuo. L’uomo “pio” è il racalmutese arciprete Vincenzo Lo
Brutto, la cui ladipe funerea giace nell’abside dell’estreneo S. Giovanni Bosco
in Matrice, almeno finché il calpestìo delle locali beghine – ed il loro furore
postmestruale – lo consentiranno. Vi era in S. Michele la confraternita del
Purgatorio: ve l’aveva dirottata l’autoritaria pietà di Donna Beatrice Del
Carretto, nata Ventimiglia, sfrattandola dalla chiesuola di Santa Rosalia. Il
vescovo francescano ha stima di quei “frati” laici e gratificandoli della
“salute sempiterna nel nome del Signore” (Dilectis nobis in Xhristo filiis
devotis Gubernatori e confratribus Venerabilis Societatis animarum S.ti
Purgatorii fundatae intus venerabilem Ecclesiam S.cti Michaelis Arcangeli
Terrae Racalmuti … salutem in Domino sempternam) gli affida nientemeno che l’
«augustissimum Eucaristiae Sacramentum.» La chiesa era, del resto, decenti muro
et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives, iocalium omnium
bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens.» Era il 17 giugno del 1686.
Firmava il provvedimento il vescovo fr. Franciscus Maria Episcopus
Agrigentinus. Controfirmava il canonico Lumia. Rogava il notaio Vincenzo
Calafato.
Qualcosa di
analogo avveniva nella Chiesa del Monte ove era insediata la più coriacea
confraternita di Santa Maria del Monte. Intermediario il solito arciprete Lo
Brutto. Quando assistimiamo impotenti all’agiografico osannare il padre
Signorino, pur meritevole prete racalmutese ma del settecento, ci viene in
mente questa lapidaria descrizione della Chiesa del Monte risalente alla metà
del Giugno del 1686: «ecclesia – vi si dice -
decenti muro et in loco satis ad hoc comodo constructa, reddittum dives,
iocalium omnium bene ornata, lampadam diu noctuque accensam habens», che sarà
stata stantia formula rituale ma qualcosa di vero doveva pure contenere.
Forse è
annotare che in tempi tanto calamitosi, con miseria e pessima nutrizione, con
tanti braccianti alloggiati ancora in grotte o in case “copertae palearum” come
ai tempi del’esattore papale, l’arcidiacono Du Mazel, tanta voglia di esporre
il Santissimo in troppe chiese – sontuose al confronto del circostante ludibrio
abitativo – appare irridente, forse addirittura sacrilega.
* *
*
Francesco Lo Brutto aromatario
Scrivevo qualche mese fa:
Non sono
disponibili dati anagrafici su Francesco Lo Brutto. Riteniamo che fosse molto
più anziano del sac. Santo Agrò e gli sia premorto, ragion per cui non può
avere sostenuto le spese di miglioria della nuova matrice, specie quella a tre
navate che sappiamo operante solo dopo il 1662. Nella numerazione delle anime del
1660, il nominativo non figura per nulla e quindi era deceduto da tempo.
Una recentissima consultazione del Rollo Primo del Suffragio
apre qualche spiraglio sulla identità di questo speziale del seicento
tramandatoci dal Pirri. Ai fogli 72 e seguenti abbiamo la cronistoria di un
legato di don Gaspare Lo Brutto alla Confraternita del Santissimo Suffragio
delle Anime dei defunti fondata nella Matrice. La lettura degli atti ci
consente di stabilire che il sacerdote è figlio di Antonino Lo Brutto e che
l’aromatario Francesco Lo Brutto era un suo fratello. Gli atti risalgono al 20
ottobre 1616 ed al 3 ottobre 1617.
Da qui è piuttosto agevole risalire al nucleo familiare
secondo quel che emerge dal Rivelo del 1593. Non vi dovrebbero essere dubbi che
il “fuoco” in questione sia il seguente:
LO BRUTTO ANTONINO
|
CAPO DI CASA DI ANNI 48 - CONSTANZA SUA MUGLERI - VINCENZO SUO
FIGLIO DI ANNI 18 - GIAIMO SUO FIGLIO DI ANNI 17 - FRANCESCO SUO FIGLIO DI 15
- JOSEPPI SUO FIGLIO DI ANNI 10 - GASPARO SUO FIGLIO DI ANNI 5 - ANTONELLA
SUA FIGLIA - NORELLA SUA FIGLIA
|
L’aromatario del Pirri dunque nacque a Racalmuto attorno
al 1578 da Antonino e Costanza Lo Brutto. I suoi fratelli, oltre al sacerdote
che morì molto giovane (il 4 ottobre 1617 secondo il Liber c. 2 n.° 31), furono
Vincenzo (nato attorno al 1575), Giaimo (nato attorno al 1576) e Giuseppe (nato
il 19.1.1585); le sue sorelle: Antonella (nata il 26.9. 1581) e Norella.
Quest’ulima si sposò
con un fratello di Pietro d’Asaro:
23
10 1622 D'ASARO BARTOLO di GIOVANNI q.am e di GIOVANNA con LO BRUTTO Leonora di Antonino q.am e di
Constanza. Testi: Curto cl. Panphilo e Sferrazza Mariano. Sacerdote: Sanfilippo
don Gioseppe Trattasi del fratello del
Pittore . Bartolo era nato il 10.12.1597.
Don Gaspare Lo Brutto morì dunque
all’età di 29 anni come dal seguente atto e fu sepolto a S. Giuliano:
4
|
10
|
1617
|
Lo Brutto
|
don Gasparo
|
S. Giuliano
|
Per lo clero
|
gratis
|
Ecco come è ricordato nella visita del 1608:
cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord. die 19
maij 1606 Panormi
Un giorno prima di morire fa testamento e dispone il seguente
legato in favore della Cappella del Suffragio delle Anime del Santissimo
Purgatorio fondata nella Matrice chiesa:
Est
sciendum qualiter iner alia capitula donationis mortis causa condite per condam
don Gasparem Lo Brutto in actis meis infrascripti sub die iij octobris prime
ind. 1617 extat capitulum pro ut infra:
Item dictus
donans donavit et donat legavit et legat Confraternitati SS.mi Suffragij
Animarum SS.mi Purgatorij fundate in Hac Terra Raclmuti tt.os viginti quatuor
redditus de summa supradictarum unciarum trium anno quolibet debitarum per
dittum Don Antoninum Capoblanco ad effetum celebrandi missas viginti quatuor de
requie pro animas defunctorum anno quolibet in perpetuum scilicet: missas
duodecim in quolibet nono die mensis novembris cuiuslibet anni et missas
duodecim hoc est in die lune cuiuslibet mensis unam missam in perpetuum quoniam
sic voluit et non aliter.
Ex actis meis not. Natalis Castrojoanne Racalmuti.
Il 20 ottobre del 1616 don Antonino Capobianco era ancora
chierico. Egli è costretto a sistemare una intricata vicenda giudiziaria
proprio con don Gaspare Lo Brutto. Questi è però già infermo e manda al suo
posto proprio l’aromatario ricordato dal Pirri, Francesco Lo Brutto appunto. Il
resoconto trovasi nell’atto del Rollo del Suffragio (f. 72)
Die xx octobris XV ind. 1616
Notum facimus et testamur quod
Franciscus Lo Brutto Aromatarius huius terre Racalmuti tamquam commissariatus
D. Gasparis Lo Brutto eius fratris a quo dixit habere tale specialem mandatum
... sponte quo supra nomine pro heredibus et successoribus dicti D. Gasparis in
perpetuum vendidit et alienavit ..
clerico Antonino Capoblanco eiusdem terre Racalmuti ... unam vineam de aratro
arboratam cum eius clausura in duabus partibus cum suis puntalibus domo
torculari limitibus maragmatis gessi et alijs in ea existentibus sitam et
positam in feudo predicto Racalmuti et in contrata Garamolis secus vineam
Hyeronimi Capoblanco ex una et secus aliam vineam dicti clerici Antonini
emptoris et secus vineam heredum quondam Nicolai Capoblanco minoris et secus
vineam Antonini Curto Bartholi et alios confines; et eademmet bona quae
possidebat Nicolaus Capoblanco maiori, dictoque don Gaspari uti ultimo emptori
et plus offerenti predicta bona liberata per primum et secundum decretum et
actum possessionis inclusive redactum penes acta curie dicte Terre Racalmuti
diebus etc. banniata et subastata ad instantiam quondam Antonini Lo Brutto et
pro ut melius est expressatum et declaratum in dictis decretis superius
calendatis ad quae in omnibus et per omnia plena habeatur relatio et me refero
et non aliter nec alio modo.
Totam dictam vineam cum omnibus
supradictis etc. subiectam dictam vineam cum arboribus ... cum eius solito
onere census proprietatis et directi dominii debiti et anno quolibet solvendi
ill.i Comiti dicte Terre Racalmuti a quo ill.e proprietario prefati
contrahentes ad invicem proprio eorum nomine licentiam auctoritatem et
consensum reservaverunt et reservant cum debita et solita protestatione
mediante
Et hoc pro pretio unc. triginta
quatuor p.g. de pacto et accordio inter eos absque estimatione ... de
quibusquidem unc. 34 quoad uncijs quatuor dictus clericus Antonius dare
realiter et cum effectu solvere promisit et promittit dicto d. Gaspari absenti
..
Et pro alijs uncis triginta ad
complementum dictarum unc. 34 dictus clericus Antonius vendidit et subiugavit dicto d. Gaspari Lo Brutto uncias tres
redditus censuales et rendales .. super dicta vinea
Item in et super quamdam aliam
vineam sitam et positam in dicta contratasecus supradictam vineam et secus
dictam vineam Antonini Curto de bartolo et secus vineam dictorum heredum
quondam Nicolai Capoblanco
Item in et super duabus domibus
terraneis existentibus in dicta terra et in quarterio Fontis secus domos
heredum quondam Vincentij Mannisi ex una et secus domos dicti Hieronimi
Capoblanco ex altera
Testes Franciscus Manueli D.
Michael Barberi et Joannes Franciscus Pistone
Ex actis meis not. Simonis de
Arnone.
In actis curie juratorum
..Grillus mag. not. Franciscus
Anche don Antonino Capobianco ebbe breve vita. Crediamo che
sia una delle innumerevoli vittime della peste del 1624. Già il 22 novembre
1626 risulta deceduto. Naturalmente la cappella del suffragio si fa parte diligente
nella riscossione del legato. Tocca al solerte don Santo d’Agrò, nella sua
veste di deputato della Cappella del Suffragio delle anime del santissimo
Purgatorio, fondata nella chiesa Maggiore, di sollecitare gli eredi, come dalla
seguente carta notarile (Rollo Suffragio
f. 75):
Die XXII novembris X ind. 1626
Fuit per me notarum infrascriptum ad instantiam don Sancti de
Agrò deputati Capelle Suffragij animarum S.mi Purgatorij fundate in maiori
ecclesia huius terre Racalmuti ... intimatum et notificatum Vincentio et Vito
Capoblanco fratribus heredibus universalibus quondam don Antonini Capoblanco
Sacerdotis olim eorum fratris presentibus et audientibus contractum de summa
illarum unc. trium redditus annualium per ipsos de Capoblanco dicto nomine debitarum
anno quolibet heredibus quondam don Gasparis Lo Brutto subiugantium per dittum
quondam don Antoninum dicto quondam don Gaspari vigore huiusmodi contractus
subjugationis facti in actis not. Simonis de Arnone die XX octobris XV ind.
1616, habeant et debeant anno quolibet solvere dicte Capelle Suffragij eiusque
deputatis tt. 24 redditus e sunt pro
alijs dette Cappelle legatis per dittum quondam don Gasparem in eius donatione
causa mortis fatte in attis meis not. infr. die iij octobris p. ind. 1617 et
nemini alteri solvere sub pena anno quolibet .... unde
Testes Antonius Curto martini et
Franciscus Curto Joseph
Ex actis meis not. Natalis
Castrojoanne.
* * *
Giaimo Lo Brutto morì pure giovanissimo, appena
ventiquattrenne, ed era ancora scapolo: non può quindi essere quello del noto
processo dei Savatteri che rivendivano il beneficio del Crocifisso in quanto
eredi del nobile Giaimo Lo Brutto:
1
|
9
|
1600
|
Lo Brutto
|
Giaimo
|
Antonino
|
Carmino
|
per lo clero
|
La madre fu al contrario piuttosto longeva: morì nel 1636 e
venen sepolta nella chiesa che il figlio aromatario avrebbe abbellita:
27
|
6
|
1636
|
Lo Brutto
|
Costanza
|
m. del q.m Antonino
|
Matrice
|
sepulta in questa magior eclesia.
|
Su Leonora (Norella) Lo Brutto, sposatasi con Bartolo
d’Asaro, possiamo piluccare qualche dato: Nel 1636 era già vedova. Le
amministra i beni il pittore Piero d’Asaro che li include nel suo rivelo come
sue “gravezze”. Dichiara il 25 novembre 1636 nel documento intestato:
Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa
terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo
Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e
facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25
novembre Va ind. 1636
tra le altre, la seguente “gravezza”:
Gravezze mobili
Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra relicta
dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per
testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
Ella morì a 74 anni nel 1663 come dal seguente atto:
8
|
2
|
1663
|
D'Asaro
|
Leonora
|
74
|
Uxor q. Bartholomei
|
Matrice
|
presente clero
|
Agro' Libertino
|
MANSIONARI
1690
[DALL’ARCHIVIO
VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRI VESCOVI 1689-1690 - F. 898 E SS.]
“Racalmuto
- Concessione di insegne corali pei 12 mansionarii”
Nos frater don Xaverius Maria Rhini ex ord. min. reg.
observantiae Sancti Principis nostri Francisci Dei et Sanctae Apostolicae sedis
gratia Agrigentinus Regiusque Comitus etc:
Dilecto in Cristo filio Ill.ri Domino nostro D.
Hieronimo del Carretto principi comiti terrae Racalmuti huius nostrae
agrigentinae dioecesis et salutem in Domino et nostram episcopalem
benedictionem.
Perillustres hae imperialis familiae, et antiquissimae
nobilitatis genus, multiplica servitia, quae ad suorum perillustrium
Antenatorum imitationem, invictissimo nostro Catholico Hispaniarum Regi in
muneribus militaris campi ad bellum in revolutionibus Civitatis Messanae, et in
bello regio Galliae evidenti cum tuae vitae periculo in fonte inimicorum tuis
maximis dispensiis manutendo societates militum siculorum, alemannorum et
calabriensium, et vicarij generalis prius in civitate neti, et postea in hac
Civitate Agrigenti, eamque repartimentis toto d. belli et revolutionum tempore
contra Gallos ad singularem benefitium, et huius regni hi tamen prestiti, et in
diem prestare non curans (?), quorum intuitu à predicto invictissimo Rege pias
(?) ceteras mercedes habuisti munus Pretoris predictae Siciliae regni et clavem
auream uti illius eques; aliaque innumera laudabilia merita nobis satis superque cognita nos
inducunt, ut te specialibus favoribus, et gratiis prosequamur. Praemissa igitur
prae oculis habentes in exequtione provisionis de ordine nostro factae in domo
tuae suppicationis, tenore pretium Bullarum perpetuo valiturum concedimus
facultatem, Reverendissimum Archipresbyterum et duodecim Mansionarios, et
Chorales distributionarios à nobis eligendos, et qui pro tempore erunt in Sacra
distributione de numero duodecim iam ex nostra facultate erecta et fundata pro
divini cultus incremento, et Sanctissimi Purgatorii anumarum suffragio, per
alias nostras Bullas expeditas sub die 12 Januarii currentis posse deferre
capuccium sive Almutium sericum, quò ad rev.m Archipresyiterum et Vicarium
nigri, et subtus rubri colorum, et quò ad alios nigri, et subtus violacii
colorum..
Mandantes etc.
....
die 13
januarii 1690
Officiati
Santo
d’Acquista terrae Racalmuti (ex 12 coristi);
don Antonio
de Amico;
don David
Corso;
don
Vincentio Casuccio Racalmuti;
don
Francesco Pistone;
don Nicolao
Carnazza;
don Filippo
Cino;
don
Giovanni Sferrazza;
don
Francesco Savatteri;
don Pietro
Casuccio;
don
Vincenzo Castrogiovanni;
don Santo
la Matina.
don Caetanus
Cirami (in casu vacationis
mansionarium);
don
Fabritio Signorino (de suprannumerariis);
don
Sthefanus Faija (soprannumerario
della sacra distribuzione);
don
Calogero Cavallaro ( ‘’ ‘’ ‘’
‘’ );
don Pietro
d’Agrò ( ‘’ ‘’ ‘’
‘’ ).
[1])
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità
archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702 - n.°
4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is D. JOSEPH DEL CARRETTO
[2])
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità
archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702 - n.°
4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is D. JOSEPH DEL CARRETTO
[3]) Trascrivo un’efficace
pagina del Gallo che mi pare illuminante su quegli eventi della soppressione
del Tribunale del Santo Officio:
« E la Sicilia tributa lodi di riconoscenza ad un
Marchese Caracciolo, per la cui opera il nostro sovrano Ferdinando III, con suo
Real Dispaccio, dato in Napoli il dì 16 marzo 1782, abolì ed estinse siffatto
Tribunale. Era allora inquisitor supremo e generale Mr. Ventimiglia già vescovo
di Catania e poi arcivescovo in partibus di
Nicomedia; quando a 12 marzo 1782, giorno del pontefice s. Gregorio, il
Consultor del Governo Saverio Simonetti si portò al Palazzo del S. Officio, una
volta chiamato Palazzo Steri che significa domum
cospicuam (Amico Lex. Topograph. t.I p. II, pag. 372) oggi de' Tribunali, e
sigillò l'Archivio. Nel dì 27 dello stesso Marzo, mattina del Mercoledì Santo,
il Vicerè Marchese Caracciolo si recò a quel Palazzo; entrò nella sala del
Segreto, in cui trovavansi riuniti lo Arcivescovo di Palermo, il giudice della
Monarchia, il Consultore ed il Segretario del Governo, tutto il Sacro
Consiglio, il Pretore ed il Capitano della Città. Preso ciascuno il suo posto,
dal segretario del Governo fu letto il Diploma dell'abolizione. Dopo tale
lettura il Vicerè entrò nell'Archivio Segreto stato sigillato nel giorno 12 dal
Consultor Simonetti, ed indi nelle carceri segrete, dando libertà a que'
meschini che vi si ritrovavano rinchiusi.
Nell'anno appresso, a 27 giugno, nel giardino
dell'alcaide barone Zappino, per ordine sovrano fu in presenza dello stesso
Vicerè dato principio all'abbruciamento di tutto l'archivio segreto, che durò
per due giorni sino a mezzodì, vigilia dei SS. apostoli Pietro e Paolo,
fintantochè col fuoco fu consumata ogni minima memoria del S. Officio, comprese
le mitre, abiti gialli, ritratti d'inquisiti, e qualunque altra minuzia
appartenente all'inquisizione: che anzi, per togliere qualsivoglia vestigio e
rimembranza del già abolito Tribunale, quel vicerè, la cui memoria ci sarà
sempre grata, con suo biglietto dei 3 luglio 1782 ordinò, come fu infatti
eseguito, che il Crocifisso, il quale trovavasi nella cappella della sala del segreto, si fosse trasportato nella
chiesa sotterranea della real cappella di S. Pietro nel regio Palazzo: Ved. il Parroco Alessi Miscell. Sicilient.
n. 485. MSS. che si conserva nella Bibl.
del Comune di Palermo .
98 ) Conc. Trid. sess. XXIII,....»
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