domenica 22 febbraio 2015

W i nostri fratelli arabi!

Quando vi sta uno stronzo di marrano che osa ostentare che lui " non ha paura dell'accusa di islamofobia, razzismo e idiozie varie, [e ciò]vuol dire che il fuoco non è spento e che in qualsiasi
momento ritornerà a illuminare il buio", allora io dico che purtroppo il fuoco è irrimediabilmente spento se imbecillità e malvagità e rinnegamenti del genere riescono ad avere eco in questo che tutti conclamiamiamo "PAESE della RAGIONE". Un paese di intelligentoni, sia chiaro, di intelleti acuti, forse tendenti al cinismo e alla sardonica blasfemia. Ma la pecora nera c'è in ogni famiglio, in ogni borgo natio. La pecora dai tanti spregevoli malaffari che si mette a belare, con qualche seguito, contraddittorie scemenze. Come ad esempio queste qui:


Se avete l’occasione, leggete Tristi Tropici, libro in cui Claude Lèvi Strauss, fondatore della moderna antropologia, dell'antirazzismo, della rottura della visione europeocentrista, fa un discorso tremendo, negli anni Sessanta, dicendo che una volta letto il Corano non dobbiamo farci illusioni. Il suo discorso è infinitamente più terrificante di quello di Oriana Fallaci e Teo Van Gogh sommati insieme e questo anche perché loro parlano dopo l’11 Settembre, mentre lui parla negli anni Sessanta quando si stavano formando nell’islam un gran numero di linee riformiste e addirittura laiche.


Nessuno si faccia illusioni, dice Claude Lèvi Strass, la laicità, la tolleranza, nell'islam sono equilibrio instabile, perchè sono vietate dal Corano. Claude Lèvi Strass è l’autore della teoria che tutte le religioni devono essere rispettate e che quando non si rispetta una religione, in un certo senso, è una forma di razzismo rispetto agli uomini e alle donne che quella religione l’hanno formata spontaneamente perché, nelle condizioni in cui erano, era il meglio che si poteva fare. Claude Lèvi Strass nega che l’Islam sia una religione perché non è mai stata formata da un gruppo in maniera spontanea, essendo sempre stata imposta militarmente a qualsiasi nazione. Per la religione islamica è importante che non si crei una complicità tra marito e moglie, i due coniugi non si devono innamorare veramente se vogliono essere mandati in due paradisi diversi. L’islam è l’unica religione che nega i valori dell’amore coniugale. In più, quando è stata rilanciata l’infibulazione e le mutilazioni dei genitali femminili che si stavano estinguendo? Negli anni Ottanta, quando è stato rilanciato il velo. Il velo islamico è stato cultura, fino agli anni Sessanta. Chiunque conosca i paesi dell'islam in quegli anni se lo ricorda. Il velo era scomparso dalle città, ma resisteva nelle campagne ed era qualcosa di talmente leggero da essere appunto chiamato velo. Si portava sulle spalle, come uno scialle, e solo se la donna passava vicino alla moschea, o al gruppo degli uomini, se lo posava sulla testa. Si creava un gioco di seduzione, (mi nascondo perché tu mi guardi), che non era solo con lo sguardo degli uomini, ma anche con quello del mondo. Il velo era bello. Sempre. Era la bandiera di una donna: lei lo aveva scelto con i colori che amava, quelli che le stavano meglio. Il velo era estetica, e decoro: sul vestito lacerato e macchiato dai lavori, si metteva il velo, bello e colorato e si usciva in ordine. Il velo aveva anche, sempre, la funzione con cui era nato: nelle zone dell'islam del deserto era l'indispensabile protezione che salvava il viso, il respiro e ancora di più i capelli nelle tempeste di sabbia. Quel velo non faceva ammalare nessuno. Non impediva nulla. Non impediva al sole di entrare a contatto con la pelle. La razza umana si è evoluta al sole. La luce solare è il più importante integratore, la più straordinaria medicina che la natura abbia messo a disposizione dell'uomo. Dalla luce del sole e solo dalla luce del sole dipendono il metabolismo della Vitamina D e quello della serotonina. Senza sole si ha un peggioramento dello stato emotivo (depressione), della memoria e dell'apprendimento. Aumenta i comportamenti aggressivi. Comporta la perdita di forza del sistema immunitario e della forza fisica. Aumenta il livello di colestesolo nel sangue. Senza sole non si ha una corretta produzione di vitamina D, senza la quale si hanno rachitismo, osteoporosi e carie. Ha un effetto germicida, particolarmente brillante contro la tubercolosi. È efficace contro affezioni cutanee. Diminuisce il rischio di sviluppare tumori, soprattutto del polmone e della mammella. Il velo un tempo era lieve e bello come un sogno. Un sogno cancellato dalla crudeltà di Khomeini, degli integralisti, un sogno scomparso, sotto questi orrendi teli spessi e neri.

Venti anni fa inorridivamo quando vedevamo i veli, adesso li abbiamo interiorizzati. Stiamo interiorizzando la poligamia (Norvegia) e chi siamo noi per giudicare l'infibulazione? (Svezia).

Claude Levy Stauss, icona della sinistra terzomondista (in realtà non se lo sono mai letto) ha passato gli ultimi 20 anni della sua vita ad avvertire sull'irreversibile pericolosità della presenza islamica.

Levi Strauss è stato il primo di una sempre più forte serie di intellettuali che si è reso conto dell'invasione dell'Europa e di come le tre armi, vittimismo palestinese, intimidazione fisica e occupazione demografica stiano portando l'Europa a perdere la libertà. Molti di questi intellettuali temono che ormai sia troppo tardi per invertire la rotta.

Se non lasceremo in eredità ai nostri figli la stessa libertà che abbiamo ricevuto dai nostri padri, saremo degli indegni.

Ce la faremo! Ma abbiamo bisogno di tutta la nostra forza e di tutta la forza della nostra storia, che è la storia del cristianesimo europeo e non altro.

Se la forza di una catena è data dall'anello più debole, la forza di una civiltà è data dal suo anello più forte. Fino a quando c'è qualcuno che resiste, allora questa civiltà non è vinta, fino a quando abbiamo qualcuno che non ha paura dell'accusa di islamofobia, razzismo e idiozie varie, vuol dire che il fuoco non è spento e che in qualsiasi momento ritornerà a illuminare il buio.
 
 
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Ma questo magghid' come ce l'ha la minchia? se ce l'ha circoncisa vada a rompere in arabo il,cazzo ai suoi simili nella sua terra di origine.Qui è solo un marrano, un rinnegato; solo dei dissennati possono dargli ascolto.

A Racalmato poi - come scrissi - per quasi tre secoli dal NONO all'UNDICESIMO noi eravamo felicemente "incivili" e così trattavamo i RUM:




Siamo, in ogni caso, affascinati dai versi di Ibn HAMDIS e tifiamo per un grande rigoglio della civiltà araba qui da noi.

 Pianse, invero, Ibn con accenti che toccano ancora il cuore dei racalmutesi di sangue arabo:.

 

«Ho riacquietato il mio animo quando ho visto la mia patria assuefarsi alla malattia mortale, fastidiosa.

«Che? Non l'hanno macchiata d'ignominia? Non hanno, mani cristiane, mutate le sue moschee in chiese,

«dove i frati picchiano a loro voglia, e fanno chiacchierare le campane mattina e sera?

«O Sicilia, o nobili città, vi ha tradite la sorte, voi che foste propugnacolo contro popoli possenti.

 «Quanti occhi tra voi vegliano paventando, i quali un dì, sicuri dai Cristiani, traevano dolci sonni?

«Vedo la mia patria vilipesa dai Rùm [cristiani]; essa che in mano dei miei fu sì gloriosa e fiera.

«Aprirono con le loro spade i serrami di quel paese: splendeva esso di luce, e vi lasciarono le tenebre.

«Passeggiano nei paesi i cui cittadini giacciono sotterra: oh no, non hanno più paura di incontrarvi quei pugnaci leoni.»

Consolidatasi la conquista araba, a Racalmuto si stabiliscono i berberi, che per la maggior parte erano contadini venuti in cerca di terra, mentre gli invasori arabi erano soprattutto soldati che preferivano lasciar lavorare i cristiani per loro. Si era, dunque, superato il periodo eroico del gihàd ed il rappresentante dell’emiro in Sicilia assunse anche le funzioni amministrative. La sua autorità si estese su tutti gli abitanti dell’isola e cioè su un vero e proprio mosaico di razze e di religioni. Anche i musulmani erano di origine etnica la più disparata: arabi, berberi, spagnoli, locali convertiti. La restante popolazione, costituita da dhimmi, ossia locali non convertitisi all’Islam i quali, in cambio del pagamento di un tributo annuo fisso, avevano salva la vita  e le proprietà, conservando libertà di religione e di culto.

Quanti erano i berberi e quanti i dhimmi a Racalmuto? E’ quesito per lo stato delle conoscenze senza risposta. Gli infedeli (i dhimmi) che per avventura avessero deciso di restarsene nei territori conquistati dovevano corrispondere la gizya ed il kharàj - imposta personale (o di capitazione) questa, fondiaria quella - inizialmente non distinte; ne erano esclusi gli indigenti, gli schiavi le donne, i vecchi ed i bambini.

Dopo neppure un quarantennio dalla conquista, scoppiò una contestazione che sicuramente coinvolse l’altipiano di Racalmuto. Lasciamo la parola ad un arabista del calibro di Rizzitano per tratteggiare questa congiuntura storica di grande risalto per le vicende arabe racalmutesi.

«In entrambe .. le classi sociali - in cui era divisa orizzontalmente la comunità dei sudditi dell’emiro - erano ben presto insorti malcontenti, rivalità e ribellioni anche violente. Le forti personalità e le doti eccezionali di Ibrahìm ibn Allàh e di Al-Abbàs ibn al-Fadl - ma soprattutto i ricchi bottini che questi due energici condottieri erano riusciti a conquistare - avevano temporaneamente appagato e tenute quiete le truppe. Tuttavia, non si era ancora concluso il quarto decennio della conquista, consolidatasi soprattutto nel settore centro-orientale, che già i musulmani davano qualche segno di cedimento e mostravano di sentirsi meno impegnati nell’ulteriore rafforzamento delle posizioni conquistate e nella partecipazione all’opera di sistemazione amministrativa del paese, più sensibili alle sollevazioni e ai disordini che elementi sobillatori cercavano di fomentare soprattutto nell’agrigentino. Qui prevaleva l’elemento berbero; ed è da ritenere che esso agisse in collusione con i bizantini ai danni degli arabi, per cui si riproponeva anche in Sicilia, e forse si esasperava quell’incompatibilità fra le due razze diverse che, in Ifìqiya, aveva già provocato - e continuava a provocare - non pochi e cruenti scontri. A tale proposito è da osservare che - fra i diversi gruppi etnici venuti in Sicilia con l’esercito di occupazione - i due gruppi più consistenti erano proprio quello arabo e quello berbero. Accomunati dalla fede, ma solo apparentemente fruenti di uguali condizioni sociali, gli arabi si erano sempre sentiti, in ogni circostanza, i padroni dei berberi, e sempre cedettero all’orgoglio di averli dominati fin dall’ormai remoto secolo VII, quando l’Islàm iniziò la conquista del Maghrib. Al tempo stesso i berberi, genti di antichissime tradizioni e ben noti per la loro fierezza, non tolleravano condizioni di subordinazione agli arabi, a cui fra l’altro si sentivano superiori per numero, industriosità e capacità soprattutto nel settore agricolo.

«Per quanto concerneva invece i dhimmi, questi erano soprattutto notabili locali, funzionari, proprietari terrieri, contadini commercianti. Anche fra loro il malcontento era assai vivo. Il carico fiscale che dovevano sostenere in cambio del loro statuto era sempre più pesante; oggetto di continue discriminazioni e vessazioni da parte dei musulmani, essi erano esposti più che mai agli umori del momento, all’opportunismo del principe, alle rappresaglie - spesso sanguinarie - da parte degli elementi musulmani più violenti e turbolenti - venuti in Sicilia immaginando di conquistarvi facili ricchezze. Ora che le campagne militari - rivelatesi più dure di quanto forse inizialmente supposto - fruttavano bottini minori, è chiaro che erano i dhimmi a dovere «pagare» l’irrequietezza di questi elementi musulmani. Tale era il contesto sociale siciliano alla morte di a-Abbàs.

«Pertanto a nuovo governatore - Khafagia ibn Sufyàn (862-869) - che era stato preceduto da altri due reggenti, rimasti in carica complessivamente un anno, s’impose il compito di eliminare, per quanto possibile, ogni motivo di dissidio, onde evitare che si trovasse pregiudicata la ripresa delle operazioni militari, avviate presumibilmente ad un anno di distanza dall’arrivo a Palermo di quel nuovo rappresentante dell’autorità aghlabita d’Ifrìqiya».


 

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