Si dà il caso che scartabellando tra i mucchi di fotocopie di
casa mia a Roma trovo questa impresentabile riproduzione dell’ormai lady
Chatterley di Montedoro: il mondo di
Louise . L’originale resta a Racalmuto e quindi le foto che qui riproduco
non fanno giustizia alla indubbia abilità fotografica di questa fragile creatura
d’Inghilterra.
E’ inutile negarlo: scrive soavemente; ha periodo lucido, ha
aggettivazione accattivante, la sua paratassi non è di fattura scolastica.
Certo, l’animo è femmineo, esile, e l’immagine è talora sdolcinata. Ma i luoghi
sono resi per la loro avvenenza. E quel che mi appassiona e una Racalmuto solare, mediterranea, persino possente con i
suoi due torrioni di piazza Castello.
La Louise incontra
un prete: padre Giuseppe. Saprà dopo (o crederà di sapere) che da giovane fu
brigante e chiamava “crocifisso il suo
coltello”. Ma sono due villici
montedoresi a cimentarsi a chi la
sparava più grossa contro l’invidiato e più evoluto paese contiguo, il mio
Racalmuto. Uno si chiamava Alessandro che a Montedoro credo si dica Lisciannaru e l’altro Turiddu
(l’inglesina non lo italianizza). Come vede Louise
quei due rozzi montedoresi, con tocco di romantico travisamento: in un misto tra l’armonia dell’aprico monte
Castelluccio ed il pittoresco dell’afrore contadino di questi due selvaggi
compagni di viaggio.
A guardarli questi due villici accompagnatori della diafana Louise non saprei a chi dare lo scettro
dello stalliere di lady Chatterley, ma nessuno dei due mi appare con le phisique du role di David Herbert Lawrence (1885-1930) e l’arditezza del peccaminoso “strusciamento” a chi
toccasse credo che manco l’onnisciente Messana di Montedoro saprebbe dirlo.
Va anche aggiunto che Sciascia non è perspicuo nel sintetizzare queste
pagine di Louise, l’inglesina sposatasi a Montedoro: la sua consecutio temporum (storica e logica)
mi pare inquinata da un lapsus memoriae come
anche la vedova non ebbe ritegno ad ammettere con una mia cosa. Anche Sciascia,
quando andava a memoria, cadeva nei “lapsi
mamoriae” come ogni comune mortale. E siccome questo è un mio difetto che
con il passare degli anni si aggrava , non sarò io a contestarlo. Certo,
dimentico quanto volete ma non credo che dopo attente consultazioni possa
davvero cascare in scivoloni grotteschi
come il motedorese Messana impudentemente mi rinfaccia.
Sciascia invero s’indusse in errore perché indusse in errore l’arciprete Casusscio
con quel magro e fuorviante padre Giuseppe della Caico. Forse l’attenzione
andava spostata dall’ex francescano all’altro tonacato a cognome Romano, che mi
risulta piuttosto discolo. Ma comunque
non tale da potere dire di lui (e men che meno di padre Giuseppe
Bufalino Maranella): un prete molto “originale
… perché nonostante la sua tonaca, viveva da feroce bandito. Chiamava
crocifisso il suo coltello, ed era fedele amico e compagno di autentici
briganti; arrestato più di una volta come ladro e assassino, è stato condannato
a molti anni di esilio, e persino ora da vecchio, non se ne sta tranquillo come
dovrebbe, dato che il vescovo gli ha ridato il permesso di dire messa”.
Ciarla di Alessandro da Montedoro, che il Messana mi pare cognomina come
Augello. Lasciamolo stare come “grottesco microstorico ecclesiastico di
Racalmuto”; ma neppure come loico mi pare che brilli. Se il vescovo a questo
innominato padre Giuseppe “ridà il permesso di dire messa” (meglio leva la suspensio a divinis) vuol dire che il
vecchio brigante si era ravveduto e che quindi da “vecchio se ne sta tranquillo come dovrebbe”. Il
Messana lo “scivolone grottesco” dovrebbe appiopparlo al suo prediletto
compaesano.
Ma dove casca ancor più l’asino è in questo passo della deliziosa Louise:
“L’ho mandato a chiamare rispose
Alessandro (alias Lisciannaru), perché sapevo che ci voleva una persona intelligente
per parlare con Voscenza, e padre
Giuseppe è l’unica persona intelligente a Racalmuto!”.
Non è del tutto fedele Sciascia quando fa dire alla “guida: E’ il solo uomo intelligente che c’è a Racalmuto;
purtuttavia cade in uno intenzionale scivolone grottesco il Messana di
Montedoro quando vuol tutto attenuare trasformando l’apodittico anatema di
Liscianaru Augello in un passabile “ padre Giuseppe è tra le persone PIU’ INTELLIGENTI di Racalmuto”. Et de hoc satis.
L’abbiamo scritto quando eravamo innamorati di Montedoro (e su via! Lo
siamo ancora ed anzi ancor di più; se una persona degna, intelligente e
positiva incappa in una cazzata, poco male: succede a tutti .. il grave sarebbe
per qualche carnalivari ca ‘cci va
appriessu) dichiaravamo di grande
importanza archeologica lo scritto di Louise e soprattutto le foto di Louise.
Ci ha tramandato squarci di Racalmuto unici e preziosissimi. Innanzi tutto, il
Castello: hanno avuto di che fracassare padre Cipolla e certi santoni della
Soprintendenza (e persino il genio militare nella guerra del 40-43 – per noi di
Racalmuto). Louise ci ha tramandato una serie di foto di lu Cannuni (Cannuni, perché i militari del
’40 avevano piazzato in cannone sopra la torre di Nord-est; così almeno noi la
sappiamo e potremmo venire documentalmente smentiti ma non per sentito dire),
che mi consentiranno quando sarò sindaco di fare sagace e sapiente restitutio in integrum, depurando ogni
tintura al ducotone, e recuperando i reperti archeologi del sotto-castello che
so esservi a completamento del sarcofago romano di patri Cipudda e delle
ceramiche che una ragazzuola protetta ha dichiato del quattrocento saccense.
Louise incontra padre Giuseppe che ci appare molto agguerrito in
microstoria Racalmutese (altro che incallito brigante in senescente ladroneria);
dice all’inglesina cose di recente
apprese e piuttosto corrette (qualche sbavatura è perdonabile). Si vede che
codesto padre Giuseppe ha letto le memorie del Tinebra; e le ha lette per il
verso giusto, senza bizzarrie fantasmatiche.
Padre Giuseppe affascina l’inglesina; Lisciannaru ne è geloso: non può
competere sul piano dell’erudizione da ostentare a Voscenza. Si sbizzarrisce in “grottechi scivolini” microstorici
tanto da fare “inorridire” la lady e le donne son volubili ma non come le
vorrebbe Verdi; sempre pronte a mutare “d’accenti e di pensiero”.
Lisciannaru credo che tutto sommato confondesse e l’ex padre francescano
o il non santo padre Giuseppe Romano con qualcuno che non la condanna al
carcere ebbe ma processi civili sì e sospensioni a divinis tante: il padre
Burruano. Questi però a tempo della gita a Racalmuto della lady Chatterley di
Montendoro era morto da una quindicina di anni. Ne ho scritto, su codesto davvero singolare prete capostipite della gloriosa (almeno per tanti) famiglia Burruano
(quella del feci quo potui, faciant
melora potentes): mi si è rotto il computer ed ho perso le ricerche. Ne ha
una copia quasi integrale l’avvocato Burruano: spero che ne faccia tesoro.
Interessante è soprattutto la descrizione del Castelluccio. Molto più
veritiere delle notizie del Tinebra, quelle di carattere storico anche se non
del tutto centrate, sono però le foto, davvero di somma importanza. Quella
chiesa là è cimelio storico da recuperare. Vi era un vero e proprio villaggio
attorno a quel Castrum, fortezza
militare comunque imprescrittibile, inalienabile, inusucapibile. Non semplice
“piccola cappella ora abbandonata” un tempo rifugio, non di “pacifici abitanti”
assaltati da” pirati , sbarcati nelle
baie ridenti” (farneticazioni di inglesine in fregola romatica) ma da veri e propri
coloni dell’altro feudo “quello di
Gibillini” in mano a varie nobili famiglie sino alla decadenza dei Tulumello
che in quella chiesa, che piccola non era, andavano ogni domenica a sentir
messa. Erano i castidddruzzara – ed
un sopravvissuto diede uva e ristoro alla triade della lady – che in una
numerazione delle anime del 1828 sono in Matrice segnati per come , cognome,
età e consistenza familiare.
Seguiamo con voluttà la ormai diruta conformazione archeologica: “ la vista di una misteriosa scala ricavata
nello spessore ricavata nello spessore delle mura, che conduceva chissà dove,
evocava alla mia mente ogni sorta di romantiche avventure medioevali, e intanto
gli uomini, che avevano condotto i cavalli nelle stesse stalle del castello,
così ampie da poter accogliere ottanta cavalli, tornavano a disperdere
crudelmente il mio fantasticare su quelle misteriose rampe di scale,
domandandomi se non avessi fame, etc. etc.”
Preziosità da potere persino sfruttare per un turismo d’élite,
scomunicando i nostri contigui nemici architetti di Grotte che penserebbero
invece a fare di quel romantico castello una bolgia peccaminosa per ruffianerie
e gozzoviglie di depravato turismo.
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