venerdì 16 gennaio 2015

Reitero


Lettera aperta al professor Antonio Di Grado

 

 

Diciotto anni e mezzo fa così rintuzzavo una invero non gentile missiva della Signora Sciascia-Andronico. Il mio amico Piero Tulumello mi aveva fornito una ghiotta fotocopia di uno schizzo autografo di Leonardo Sciascia ove si lineava e magari si celiava sul suo albero genealogico, niente affatto nobile s’intende. Chiesi più per deferenza che per dovere di stampa l’autorizzazione a pubblicare quello schizzo. Apriti cielo! Non potevo, non si poteva perché la buon’anima l’avrebbe messo persino nel testamento che nessuna carta di cui lui non aveva dato il personale gradimento per la stampa doveva finire sotto qualsiasi torchio pubblico.

 Oltre al sottoscritto, ne fecero le spese l’editore Baldi e l’editore di FUOCO ALL’ANIMA, il più schietto, il più bello, il più toccante testo delle acutezze scabre ed efficaci del morente Sciascia.

Baldi nel 1950 pubblicò in acconcia ed irripetibile veste tipografica le acerbe favole della dittatura. Sciascia in un certo senso rinnegò quell’operetta immatura. Era nel bel mezzo del suo sforzo di “imparare a scrivere dai ‘rondisti’ (pag. 6 delle ‘Parrocchie’)”.- Ne ebbe 226 copie: i suoi amici di allora (tanti) gliele comprarono tutte. Io sono in possesso delle fotocopie di due esemplari, quello dato al fedele Jachino Farrauto e l’altro allo stizzoso Peppi Delfino, buon’anima. Al di là del valore letterario – non me ne intendo – mi colpì la traslazione fiabesca di una Racalmuto post-guerra, contadina e “animalesca”, alla Fedro insomma. Volevo bandire un concorso tra pittori per una moderna rilettura di quei bozzetti allusivi. Apriti cielo, non ebbi manco ascolto bene educato. Ma un mio amico, preside e pittore, AGATO BRUNO, frequentatore estivo di questa nostra splendida, solare ed onirica terra se ne entusiasmò e ci si cimentò con dedizione persino autolesionista. Sto per pubblicare il tutto: un uzzolo ironico mi colse: finsi di chiedere l’autorizzazione alla famiglia. Nessuno può autorizzare che qualche altro si ispiri, rivisiti e ricrei un’opera d’ingegno. Faccio ricerche e vengo a sapere che ad onta del divieto del caro ESTINTO quelle favole furono proibite al Baldi e somministrate ad Adelhi unitamente ad un saggio pasoliniano più lungo delle favole, che la famiglia desunse da un giornaletto del 1951 di proprietà addirittura del democristianissimo Gronchi. Per Pasolini Adelhi pensò che non avessero senso le ostatività che la famiglia pretendeva per Sciascia. Ma dovettero ripensarci e quel libro ove le favole venivano volgarmente raggrumate non riesci a trovarlo manco a mobilitare le librerie dei libri rari più agguerrite. Il tutto passò – ma senza Pasolini – in quell’immane fatica di accumulare materiale per il terzo volume dell’Opera Omnia di Sciascia per i tipi della Bompiani. In sei paginette le favole vengono affastellate, Pasolini bandito.

Certo c’è anche IL FUOCO NEL MARE di Adelhi ove proprio queste carte che a dire della Vedova non dovevano essere date in pasto al pubblico della carta stampata sommano a ben 210 pagine in corpo non so quale. Per noi quelle carte – gratuitamente – andavano custodite in questo sacrario che Racalmuto dispendiosamente – e non potrebbe permetterselo – ha dedicato al suo grande figlio: la FONDAZIONE SCIACIA di viale della Vittoria.

Da microcefali moralisti abbiamo voglia di subodorare atti simoniaci di letteraria portata (e siffatti peccati per noi sono più imperdonabili di quelli commessi dai Papi delle indulgenze vendute).

Crediamo pure che questa costosissima Fondazione abbia il dovere di curare il buon nome del defunto Sciascia oltre tutti, nonostante tutto.

Ci rivolgiamo quindi qui al Professore Antonio di Grado che sappiamo uomo colto e probo, sicuramente non di “tenace concetto” nel senso del Matranga e non in quello alato cui volle abbeverarsi Sciascia, una volta tanto abusivamente.

Oltretutto vorremmo sapere dalle persone ammodo della Fondazione che valore può avere questa inibizione dell’Adelphi:

 

Ufficio Diritti (rights.dept@adelphi.it)

29/11/2012

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A: Calogero taverna

Gentile Sig. Taverna, la ringraziamo per averci scritto ma siamo spiacenti di comunicarle che Adelphi non è interessata al progetto e non concede pertanto la sua autorizzazione. Un cordiale saluto, --



Immagine di Ufficio Diritti

 

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Marco Saggioro
Ufficio Diritti

Adelphi Edizioni S.p.A.
Via San Giovanni sul Muro, 14
20121 Milano - Italia
www.adelphi.it

 

 

 

Ecco qui la mia lettera alla signora Sciascia-Andronico

 

Roma, 19 maggio 1994

 

Gentilissima Signora,

mi affretto a riscontrare la Sua lettera per rassicurarLa che giammai utilizzerò la nota fotocopia, né pubblicamente né privatamente e neppure parzialmente. Ovviamente ignoravo le disposizioni testamentarie, diversamente avrei evitato accuratamente di avanzare richieste di autorizzazione per la pubblicazione del documento.

 

Quanto ai dettagli, mi preme francamente far presente che non ho capito in che cosa e come dovrei 'correggere' i risultati delle mie ricerche d'archivio. Il contrasto con la metafora del libro 'Occhio di capra' non inficia di certo quel che dopo laboriosi scandagli ho rinvenuto nei registri parrocchiali (ed anche comunali). Non pretendo certo d'immergermi nel mondo dei sentimenti verso Racalmuto del grande Scomparso: viceversa, ho voglia di risalire la corrente pluricentenaria di quella 'blasfema ironia' che Sciascia ritaglia per Racalmuto (Kermesse, pag. 54 ), convinto che da quelle antiche propaggini si diparte l'insondabile gene atto a far sbocciare il genio inquieto ed irridente dello Scrittore racalmutese.

 

Appartengo a una di quelle due chiese che tanto irritavano Suo Marito, quella marxista e ciò mi obbliga all'assunto che vuole la verità sempre rivoluzionaria. Piccola o grande che sia credo di averla sempre perseguita, piaccia o dispiaccia ad amici, parenti, piccoli o grandi.

 

Voglia gradire i sensi del mio ossequio.

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