Lettera aperta al professor Antonio Di Grado
Diciotto anni
e mezzo fa così rintuzzavo una invero non gentile missiva della Signora
Sciascia-Andronico. Il mio amico Piero Tulumello mi aveva fornito una ghiotta
fotocopia di uno schizzo autografo di Leonardo Sciascia ove si lineava e magari
si celiava sul suo albero genealogico, niente affatto nobile s’intende. Chiesi
più per deferenza che per dovere di stampa l’autorizzazione a pubblicare quello
schizzo. Apriti cielo! Non potevo, non si poteva perché la buon’anima l’avrebbe
messo persino nel testamento che nessuna carta di cui lui non aveva dato il
personale gradimento per la stampa doveva finire sotto qualsiasi torchio
pubblico.
Oltre al sottoscritto, ne fecero le spese
l’editore Baldi e l’editore di FUOCO ALL’ANIMA, il più schietto, il più bello,
il più toccante testo delle acutezze scabre ed efficaci del morente Sciascia.
Baldi nel 1950
pubblicò in acconcia ed irripetibile veste tipografica le acerbe favole della
dittatura. Sciascia in un certo senso rinnegò quell’operetta immatura. Era nel
bel mezzo del suo sforzo di “imparare a scrivere dai ‘rondisti’ (pag. 6 delle ‘Parrocchie’)”.-
Ne ebbe 226 copie: i suoi amici di allora (tanti) gliele comprarono tutte. Io
sono in possesso delle fotocopie di due esemplari, quello dato al fedele
Jachino Farrauto e l’altro allo stizzoso Peppi Delfino, buon’anima. Al di là
del valore letterario – non me ne intendo – mi colpì la traslazione fiabesca di
una Racalmuto post-guerra, contadina e “animalesca”, alla Fedro insomma. Volevo
bandire un concorso tra pittori per una moderna rilettura di quei bozzetti
allusivi. Apriti cielo, non ebbi manco ascolto bene educato. Ma un mio amico,
preside e pittore, AGATO BRUNO, frequentatore estivo di questa nostra
splendida, solare ed onirica terra se ne entusiasmò e ci si cimentò con
dedizione persino autolesionista. Sto per pubblicare il tutto: un uzzolo
ironico mi colse: finsi di chiedere l’autorizzazione alla famiglia. Nessuno può
autorizzare che qualche altro si ispiri, rivisiti e ricrei un’opera d’ingegno.
Faccio ricerche e vengo a sapere che ad onta del divieto del caro ESTINTO
quelle favole furono proibite al Baldi e somministrate ad Adelhi unitamente ad
un saggio pasoliniano più lungo delle favole, che la famiglia desunse da un
giornaletto del 1951 di proprietà addirittura del democristianissimo Gronchi.
Per Pasolini Adelhi pensò che non avessero senso le ostatività che la famiglia
pretendeva per Sciascia. Ma dovettero ripensarci e quel libro ove le favole
venivano volgarmente raggrumate non riesci a trovarlo manco a mobilitare le
librerie dei libri rari più agguerrite. Il tutto passò – ma senza Pasolini – in
quell’immane fatica di accumulare materiale per il terzo volume dell’Opera
Omnia di Sciascia per i tipi della Bompiani. In sei paginette le favole vengono
affastellate, Pasolini bandito.
Certo c’è anche
IL FUOCO NEL MARE di Adelhi ove proprio queste carte che a dire della Vedova
non dovevano essere date in pasto al pubblico della carta stampata sommano a
ben 210 pagine in corpo non so quale. Per noi quelle carte – gratuitamente –
andavano custodite in questo sacrario che Racalmuto dispendiosamente – e non
potrebbe permetterselo – ha dedicato al suo grande figlio: la FONDAZIONE
SCIACIA di viale della Vittoria.
Da microcefali
moralisti abbiamo voglia di subodorare atti simoniaci di letteraria portata (e
siffatti peccati per noi sono più imperdonabili di quelli commessi dai Papi
delle indulgenze vendute).
Crediamo pure
che questa costosissima Fondazione abbia il dovere di curare il buon nome del
defunto Sciascia oltre tutti, nonostante tutto.
Ci rivolgiamo
quindi qui al Professore Antonio di Grado che sappiamo uomo colto e probo,
sicuramente non di “tenace concetto” nel senso del Matranga e non in quello
alato cui volle abbeverarsi Sciascia, una volta tanto abusivamente.
Oltretutto vorremmo
sapere dalle persone ammodo della Fondazione che valore può avere questa inibizione
dell’Adelphi:
Ufficio Diritti (rights.dept@adelphi.it)
29/11/2012
A: Calogero taverna
Gentile Sig. Taverna, la
ringraziamo per averci scritto ma siamo spiacenti di comunicarle che Adelphi
non è interessata al progetto e non concede pertanto la sua autorizzazione. Un
cordiale saluto, --
--
Marco Saggioro
Ufficio Diritti
Adelphi Edizioni S.p.A.
Via San Giovanni sul Muro, 14
20121 Milano - Italia
www.adelphi.it
Ecco qui la mia lettera alla signora Sciascia-Andronico
Roma, 19
maggio 1994
Gentilissima
Signora,
mi affretto a
riscontrare la Sua lettera per rassicurarLa che giammai utilizzerò la nota
fotocopia, né pubblicamente né privatamente e neppure parzialmente. Ovviamente
ignoravo le disposizioni testamentarie, diversamente avrei evitato
accuratamente di avanzare richieste di autorizzazione per la pubblicazione del
documento.
Quanto ai
dettagli, mi preme francamente far presente che non ho capito in che cosa e
come dovrei 'correggere' i risultati delle mie ricerche d'archivio. Il
contrasto con la metafora del libro 'Occhio di capra' non inficia di certo quel
che dopo laboriosi scandagli ho rinvenuto nei registri parrocchiali (ed anche
comunali). Non pretendo certo d'immergermi nel mondo dei sentimenti verso
Racalmuto del grande Scomparso: viceversa, ho voglia di risalire la corrente
pluricentenaria di quella 'blasfema ironia' che Sciascia ritaglia per Racalmuto
(Kermesse, pag. 54 ), convinto che da quelle antiche propaggini si diparte
l'insondabile gene atto a far sbocciare il genio inquieto ed irridente dello
Scrittore racalmutese.
Appartengo a
una di quelle due chiese che tanto irritavano Suo Marito, quella marxista e ciò
mi obbliga all'assunto che vuole la verità sempre rivoluzionaria. Piccola o
grande che sia credo di averla sempre perseguita, piaccia o dispiaccia ad
amici, parenti, piccoli o grandi.
Voglia gradire
i sensi del mio ossequio.
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