venerdì 16 gennaio 2015


Se da Caserta, se  dal languido Veneto vicentino

AGATO BRUNO,  artista  dall’acceso cromatismo,

approda ad una tarda lettura delle favole che

il giovanile ed ancor aspro Sciascia smunge

dal suo tragico esistere in terre senza gioie,

ecco che un musicista di tutt’altra cifra artistica,

GIUSEPPE BRUNO – incuriosito da codesto impossibile

coniugio favolistico – vi si ispira ironico,

disincantato,  con afflati flautati, con arpeggi

pianistici; vi immerge  dizioni  rondiste di LEONARDO

SCIASCIA e vi ricrea sonorità pittoriche per un suo

fluido (ri)vivervi monodicamente la semplicitas

che è nel suo sentire favole magari sotto veste di antica

compendiosità  quasi barocca come fa chi pittoricamente

le sussurra con esplosioni cromatiche.

L’ironia del beffardo giovane Sciascia, l’architettura coloristica di 

Agato, entrambe vengono quindi rilette da  Peppe Bruno

e hanno ora sonorità rapprese quasi dolci, rievocative, sognanti,

con tocchi religiosamente compunti, e quindi con motivi consoni

al mondo favolistico di gioiosa visione dell’antico vivere ellenico.

Battute pianistiche per eco all’ingenuo  topo, al gatto violento,

al porco incautamente accidioso, al cavallo succube del mulo ingenuo

e il flauto stempera la sua melliflua voce per un placido sorriso

alle intellettualistiche transustanziazioni in disumani animali,

di uomini cose e miserie e rabbie e sogghigni di una piccola

fantasmatica RACALMUTO uscita dal palingenetico trambusto

della grandissima guerra del ’40.

SCRITTURA-PITTURA-MUSICA (Sciascia/Agato/Beppe) in un trio

di grande concertazione estetica per un impareggiabile

godimento dello spirito.

                                          Calogero Taverna

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