Se da Caserta, se dal
languido Veneto vicentino
AGATO BRUNO,
artista dall’acceso cromatismo,
approda ad una tarda lettura delle favole che
il giovanile ed ancor aspro Sciascia smunge
dal suo tragico esistere in terre senza gioie,
ecco che un musicista di tutt’altra cifra artistica,
GIUSEPPE BRUNO – incuriosito da codesto impossibile
coniugio favolistico – vi si ispira ironico,
disincantato, con
afflati flautati, con arpeggi
pianistici; vi immerge
dizioni rondiste di LEONARDO
SCIASCIA e vi ricrea sonorità pittoriche per un suo
fluido (ri)vivervi monodicamente la semplicitas
che è nel suo sentire favole magari sotto veste di antica
compendiosità quasi
barocca come fa chi pittoricamente
le sussurra con esplosioni cromatiche.
L’ironia del beffardo giovane Sciascia, l’architettura
coloristica di
Agato, entrambe vengono quindi rilette da Peppe Bruno
e hanno ora sonorità rapprese quasi dolci, rievocative,
sognanti,
con tocchi religiosamente compunti, e quindi con motivi
consoni
al mondo favolistico di gioiosa visione dell’antico vivere
ellenico.
Battute pianistiche per eco all’ingenuo topo, al gatto violento,
al porco incautamente accidioso, al cavallo succube del mulo
ingenuo
e il flauto stempera la sua melliflua voce per un placido
sorriso
alle intellettualistiche transustanziazioni in disumani
animali,
di uomini cose e miserie e rabbie e sogghigni di una piccola
fantasmatica RACALMUTO uscita dal palingenetico trambusto
della grandissima guerra del ’40.
SCRITTURA-PITTURA-MUSICA (Sciascia/Agato/Beppe) in un trio
di grande concertazione estetica per un impareggiabile
godimento dello spirito.
Calogero Taverna
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