GIROLAMO I DEL CARRETTO
Il Baronio
diviene ora piuttosto loquace. Ecco come descrive quello che fu l’ultimo barone
ed il primo conte di Racalmuto (cfr. § 78 op. cit.):
«A
Girolamo primo, il maggiore dei figli maschi di Giovanni, dunque ritorniamo. Su
di lui ebbe a scrivere distesamente in lettere inviate a Filippo II re di
Spagna, Rodolfo Imperatore nobile figlio di Massimiliano che la famiglia del
Carretto stimò moltissimo. Il re, dato che gli antenati di Girolamo vantavano
il titolo di marchesi di Savona, volle che il nostro Girolamo fosse chiamato
ed avesse in quel tempo il titolo di
conte di Racalmuto, lasciando intendere che in avvenire avrebbe amplificato la
gloria di tanta illustre famiglia con titoli di maggior risalto.
« Le
lettere del re, dove Girolamo è gratificato con il titolo di conte, sono da
riportare. Niente è più preclaro. Esse sono datate: 28 giugno 5 ind. 1577 e
recitano: “Filippo etc. A tutti quanti
etc. Avendo lo spettabile fedele ed a noi caro D. Girolamo Carretto dei
marchesi di Savona documentato l’insigne
virtù non disgiunta da grandi fortune della propria stirpe, abbiamo considerato
i tanti servizi che ai nostri predecessori, di felice memoria, sono stati dai
del Carretto prestati quando necessità l’ha richiesto; del pari abbiamo
considerato l’antica nobiltà e lo splendore della famiglia carrettesca, che non
soltanto in questo Regno ma in tante altre nostre province si è a diverso
titolo resa celebre e meritevole. E omettiamo di considerare gli altri celebri
uomini della medesima famiglia che meritevolmente sono assurti a preclare e
altissime dignità dello stato ecclesiastico. Volendo pertanto mostrarci grati
verso il lodato D. Girolamo Carretto etc.”
«Noto è per di più quanto l’imperatore Rodolfo
fu prodigo di lodi per iscritto quando riesumò la lettera del padre,
l’imperatore Massimiliano, per tornare sul fatto che si gratificasse Girolamo
con il promesso onore del marchesato. Ecco il testo della lettera:
«Rodolfo etc. Serenissimo etc. Premesso che
negli anni scorsi il fu imperatore Massimiliano, signore e genitore nostro
colendissimo di augusta memoria, ebbe ad inviare alla serenità vostra lettere
in favore del fedele al nostro Sacro Impero ed a noi caro Girolamo de Carretto
barone in Racalmuto dei marchesi di Savona, con le quali lettere benevolmente si
pregava la Serenità vostra affinché Girolamo del Carretto, i suoi figli ed i
suoi discendenti primogeniti successori nella baronia Rachalmutana, potessero
fregiarsi del titolo grado e dignità marchionale e volesse pertanto erigere la
detta baronia in marchesato; ne conseguì che la vostra Serenità decretò quella
baronia con il titolo di contea.
«Tuttavia il nostro divo genitore ingenerò in
D. Girolamo la speranza che in altro tempo gli potesse venire concesso il
titolo di marchese. Ed è per questo che il predetto Girolamo de Carretto conte
in Rachalmuto umilmente ci ha esposto che oggi ciò tanto desidera essendo noto
che egli discende dall’antica stirpe dei Marchesi di Savona, la quale ha
origini antichissime dal Duca di Sassonia.
«Ragion
per cui così alla fine egregiamente concluse l’Imperatore:
«Pertanto con fraterno amore preghiamo la
Serenità vostra affinché vengano restituite al predetto Girolamo le avite
prerogative, rinverdite dalle virtù dei suoi antenati; e così anche per la
nostra intercessione possa realizzarsi la sua antica speranza. Ciò, peraltro,
ci tornerebbe come cosa graditissima. Etc. Date in Praga il giorno 12 febbraio
1580.»
Siffatto
pasticcio epistolare non sortì effetto alcuno. La baronia “rachalmutana” di cui
si parlò nelle corti degli Asburgo ascese solo di un grado e divenne contea, ma
marchesato giammai. Diciotto anni dopo, nel 1598, i del Carretto tornarono alla
carica, ma invano. Il Baronio infatti prosegue:
«Esiste
un’altra missiva, molto ben fatta, del 1598. Fra l’altro vi si diceva: “Antica e regale è la famiglia dei del
Carretto che è stata fedele alla nostra Augusta Casa e che è stata bene accetta
ai nostri Antenati per molteplici meriti. Pertanto Girolamo del Carretto, conte
di Racalmuto, siciliano ed il suo figliolo Giovanni meritarono le grazie di
nostro padre Massimiliano Secondo. Anche noi li degniamo della nostra
benevolenza e volentieri ci adoperiamo perché sia loro concesso tutto ciò che
possa accrescere il loro prestigio; ne abbiamo ben ragione etc.”
«Da quanto
sopra è ben chiaro che Girolamo e la
famiglia del Carretto furono tenuti in gran conto dagli imperatori come le
citate missive, altri documenti che non ho citato ed autorevoli testimoni ampiamente comprovano.»
Le note
del Baronio rendono invece a noi chiaro che i del Carretto, giunti all’apice
della ricchezza con la baronia di Racalmuto, presero il largo e andarono a
dimorare a Palermo. Lì, la fatua e neghittosa nobiltà aveva solo l’angoscia
delle preminenze negli onori. Agli immigrati del Carretto, il titolo di barone
suonava stretto: si prodigarono in regalie, bussarono a varie corti regali,
impetrarono favori, ma non riuscirono a superare la soglia del titolo comitale.
Il
Villabianca lesse il Baronio e vi si ispira quando redige questo profilo sul
nostro Girolamo I del Carretto:
«GIROLAMO nel retaggio di questo Stato dopo la morte
di Giovanni suo genitore, lo ridusse egli all'onor di Contea per privilegio del
serenissimo Rè Filippo Secondo, dato
nell'Escuriale di S. Lorenzo a dì 27.Giugno 1576, esecutoriato in Palermo a 28 Giugno
1577. Fu pretore di Palermo nell'anno
1559 , e Don Vincenzo Di Giovanni nel suo PALERMO RISTORATO lib. 2 f. 138.
giustamente l'annovera fra 'l chiaro stuolo de' Padri della Patria mercé il
lodevolissimo governo, ch'egli fece, procacciato avendone gloria, ed ornamento.
Presiedette altresì la Compagnia della Carità di essa Città di Palermo nel
1549., e adorno videsi di distintissimi elogi fattigli da Rodolfo Imperatore
con le sue Imperiali lettere al Rè Filippo II. negli anni 1580 e 1598.,
rapportate per extensum da BARONE loc.
cit. lib. 3. c. 11 De Majest. Panormit. - Da esso fu dato al mondo [p. 205] GIOVANNI del CARRETTO, quarto di questo
nome. il quale fu il secondo C. di RAGALMUTO, e Pretore di Palermo nel
1600. di non minor merito di quello del
genitore come vuole il citato DI GIOVANNI nell'istesso luogo notato di sopra,
avvegnachè fu egli dotato di tanta prudenza, valore, ed abilità, che nella
onorevol carriera di reggere gli affari pubblici avanzò tutti gli altri
cavalieri suoi pari, e magnati suoi contemporanei.»
Sciascia
dileggia questo nostro barone assurto al rango di conte. «Il primo Girolamo - riecheggia il grande racalmutese - fu invece, ad opinione del Di Giovanni,
uomo di grandi meriti. Per lui Filippo II datava dall’Escuriale di San Lorenzo,
il 27 giugno del 1576, un privilegio che elevava Regalpetra a contea. Ma sui
meriti di Girolamo primo non sappiamo molto: fu pretore a Palermo, e non credo
dovuta a “bizzarra opinione seu presunzione”, come invece afferma il Paruta, la
sollevazione dei palermitani contro la sua autorità. Né mi pare che sia da
ascrivere a sua gloria il fatto che per suo ordine, il giorno sedici del mese
di marzo dell’anno milleseicento, trentasette facchini abbiano subita la pena
della frusta: notizia che senza commento offre il già ricordato erudito
regalpetrese [alias il Tinebra, n.d.r.]».
Tutto bene, salvo il fatto che nel 1600 Girolamo primo del Carretto era già
morto da diciotto anni. L’abbaglio nasce da imprecise letture da parte del
Tinebra dell’opera del Villabianca.
Dai
processi ricaviamo questi dati biografici. Girolamo I del Carretto fu il
primogenito di Giovanni III, come si evince dal testamento redatto dal notaio
Jacopo Damiano il 2 gennaio del 1560. L’8 gennaio 1560 Girolamo s’insedia quale
barone di Racalmuto. Nel rito lo rappresenta il suo procuratore, il magnifico
Giovanni Antonio Piamontesi. La formula recita che il barone prese “l’attuale,
vera, naturale, corporale baronia del castello, dei feudi e del territorio di
Racalmuto con ogni diritto e pertinenza, con il mero e misto imperio, con le
giurisdizioni civile e criminale su tutto lo stato, risultato integro giusta la
forma dei privilegi baronali”. Il procuratore rispetta il meticoloso ed
emblematico rituale: “esibisce la chiave del portone del castello; di propria
mano apre e chiude quella porta; entra ed esce; si reca presso i feudi; ne
prende alcune pietre in segno di libera disponibilità di quelle terre; revoca e
rinomina tutti gli ufficiali locali: il castellano nella persona del nobile
Scipione de Selvagio; il capitano nella persona di Giovanni Piamontesi; il
giudice nella persona del nobile Marco Promontori; i giurati nelle persone di
Cesare di Niglia, Leonardo La Licata e Giacomo Caravello; il maestro notaio
nella persona del nobile Innocenzo de Puma”. Viene redatto pubblico atto. I
testi sono: il nobil homo Maragliano, il nob. Antonino de Averna, l’onorabile
Antonuccio Morriali e l’onorabile Gerlando de Pitrozella. Il notaio è ancora il
povero Jacopo Damiano che però si dichiara agrigentino.
Girolamo I
del Carretto muore nel gennaio del 1582. Sono ancora i processi d’investitura a
dirci che esternò le sue ultime volontà dinanzi il notaio Giacomo Devanti di
Palermo il 14 gennaio del 1582, ma il testamento fu aperto un anno dopo, il 9
agosto del 1583. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria di Gesù fuori le mura
in Palermo proprio sotto quella data. Ne fa fede l’atto parrocchiale della
chiesa di San Giacomo alla Marina del 14 luglio 1584.
Sposa di
Girolamo I del Carretto fu una Elisabetta di ignoto casato.
Ma come si
è visto, i del Carretto non stanno più a Racalmuto: quella lontana terra, quel
loro ‘stato’ serve solo per approvvigionare di fondi questi nobili accasatisi a
Palermo. Nel castello racalmutese siede e dispone un ‘governatore’. In Matrice
non abbiamo trovato neppure un atto che attesti la presenza del barone ora
conte di Racalmuto, magari come padrino in un qualche battesimo. Qualche membro
dei rami cadetti, sì, ma il conte giammai. Vi farà ritorno solo Girolamo II del
Carretto per venirvi trucidato (se ciò corrisponde al vero) nel 1622.
In altra
parte del presente lavoro pubblichiamo il privilegio di Filippo II che erige a
contea Racalmuto: è una sfilza di vacue formule da cui non riusciamo a cavare
alcun briciolo di microstoria locale.
Non abbiamo qui note in proposito da proporre.
Da questo
momento la vicenda familiare dei del Carretto è cosa che solo di striscio
colpisce Racalmuto. Vale di più per la storia della città di Palermo.
Ciò non
vuol dire che non vi furono riflessi tributari su Racalmuto a seguito della
concessione dell’onore di farne una contea da parte di Filippo II a tutto
vantaggio di Girolamo I del Carretto. Anzi. I riflessi ci furono e gravi. Una
ricerca del prof. Giuseppe Nalbone fra le carte del fondo Palagonia
dell’archivio di Stato di Palermo ha consentito di rinvenire documenti di quel
tempo, estremamente significativi per la riesumazione delle vicende vessatorie
cui sottostettero i nostri antenati racalmutesi del Cinquecento.
Peste e tasse a Racalmuto
Il
carteggio illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai danni dell’università
feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità viceregia.
Nel 1576
si era abbattuto su Racalmuto una immane pestilenza che ebbe pure a colpire
l’Italia intera.
Del pari
sconvolgente dovette essere lo scenario racalmutese: leggiamo nel carteggio che
«per lo contaggio del morbo che in quella
s’ha ritrovato che sono stati morti da tre mila persone [a Racalmuto] restano solamente ... due mila e quattrocento
delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel
precedente Rivelo del 1570 Racalmuto in effetti contava 5279
abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che
sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui del Carretto
e sulle sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte
dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso
che anch’io ero scettico su questo crollo demografico di Racalmuto prima della
consultazione dei documenti del Fondo Palagonia. Ancor oggi non è che creda in
pieno in questo tracollo: ci fu un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di
scontare la tragedia della peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio
tributario.
Tuttavia,
la flessione vi fu e forte. I nostri antichi progenitori parlano di un
dimezzamento della popolazione nel vano intento di intenerire gli agenti delle
tasse palermitani; ma per bocca del viceré don Carlo d’Aragona e della sua
corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non se ne diedero per intesi. Le
“tande” - o più graziosamente “donativi” - andavano pagate sino all’ultimo
grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna. Ed andavano pagate anche le tasse
arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli
atti una secca e perentoria negativa alla seguente perorazione dei Giurati
racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo Signore, li Giurati della
terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza, dovendosi per l’Università di
quella Terra molta quantità e somma di denari alla Regia Corte cossì per
donativi ordinarij, et extraordinarij et altri orationi [per oblationi ?] fatti
per il Regno à Sua Maestà, come per le
tande della Macina, non havendo quelli possuto satisfare per lo contaggio del
morbo che in quella s’hanno ritrovato
... , à vostra Eccellenza
l’esponenti hanno supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta
università deve alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università
fossero devenute [condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva
pagare ..»
La
burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione (provista) di Sua Eccellenza si compendia in un “non convenit” “non
conviene”. La tragedia racalmutese agli occhi palermitani si traduce in una
gretta questione di convenienza. L’abbuono di tasse non è ammesso, non conviene
alle esigenze del bilancio dello stato. Una storia dunque che si ripete; un
localismo, il nostro, quello di Racalmuto,
che ha valenza oltre il tempo, oltre la landa municipale. Altro che
isola nell’isola ..
Remissivamente
i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il loro fato e fatalisticamente
annotano:
[Ma tale
petizione non ha avuto esito] “per lo chi
attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato per vostra
Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li
Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per
l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo
alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et
interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di
poter fare eligere persona facultosa,
poiché pochi vi sono in detta Terra di poter vedere augumentare, e
raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per
consiglio si concluderà, acciò potersi
sodisfare nullo preiudicio generato
ad essa università circa detta diminuttione, e difalcatione che hanno
supplicato doversi fare à detta Terra per detta mortalità, e mancamento di
persone, e resti servita Vostra Eccellenza
sia quello mezzo che si concluderà
quello che di sopra si è detto per detto consiglio concederli dilattione almeno di mesi due, altrimente stando assentati
non potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia Corte non verria ad esser
sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di sodisfare, ne tener altro
patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa
in mora della locale amministrazione per
ritardo nel versamento delle tande sulla macina scatena dunque la cupidigia di
commissari palermitani sguinzagliati nel malcapitato paese moroso ad esigere,
oltre alle imposte, pingui “giornate” (le attuali diarie per missioni) e ad
aggravare le esauste finanze locali «con eccessivi danni ed interessi».
Si
accordino - si chiede da Racalmuto - due
mesi di dilazione per trovare un
sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa
seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente autorità viceregia detta una
serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo delle procedure per un nuovo
sovraccarico fiscale sulla cittadinanza racalmutese.
Il
carteggio qui va attentamente studiato raffigurando istituti, costumi,
organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo dell’epoca moderna.
Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente messa in luce dalla
cultura storica degli accademici.
Viene
fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che non può ridursi al mero
dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri fiscali) ma che fa
trasparire una vocazione democratica impensata. Per sopperire alle necessità
tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune libero, democraticamente
organato, con una sua assise plebiscitaria, avente poteri decisionali.
L’ordine,
certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale, ma è ordine volto ad attivare
le istituzioni democratiche comunali. Con aperture sociali che gli attuali
consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è il popolo che viene chiamato a
raccolta, è il popolo che decide sui propri ineludibili gravami tributari,
ovviamente sotto la guida e la direzione di quella che oggi chiameremmo la
giunta comunale: la giurazia.
Affascinano
questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che debbiate in giorno di festa e
sono di campana come è di costume congregare il vostro solito consiglio sopra
le cose contenute nel preinserto memoriale, e quello che per detto conseglio
seù maggior parte di quello sarà concluso, et accordato, e sigillato lo
trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò di quello fattone
relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi 11. Martij 5^ ind.
1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus Sucadellus ... conservatore [f. 229] Marianus Magister
Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de Aurello Magister
Notarius, ..»
Il
Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata - che anche allora,
molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene operante a Racalmuto - ed abbiamo anche il verbale consiliare che mi
pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind. 1577.
Die festivo supradicti Martij in Ecclesia Sanctae Mariae
Annuntiatae dictae Civitatis existens in platea publica.=
Perche ritrovandosi l’università di questa Terra di
Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
è stato supplicato da parte di detta Università per li
Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti debiti se li concedesse
dilatione competente per potersi ritrovare il modo di quelle sodisfare, et in
quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto offerta à Sua Maestà, et
ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone di tutte città, e terre
del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino [f. 230] che per il
ripartimento e numero di persone che allora vi erano in detta terra tocca à
detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
e vedendosi che tuttavia detta Università non si vederà
libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra volta à Sua Eccellenza
che resti servita concederli potestà di poter eligere persone facultose, ò
vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle di detta Università,
e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere acciò si potesse
detta Università liberare di tal debito et interesse nullo prejudicio generato
à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che se li deve fare per
detta Regia Corte stante le raggioni predette come si contiene per memoriale
alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et essendo stato provisto per la
prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real Patrimonio che si congregasse sopra
le cose contente in detto memoriale consiglio, e quello si trasmettesse per
poter provvedere come convenisse, per ciò s’ha devenuto alla congregatione del
presente consiglio come intesa la presente proposta habbiano sopra le cose
prenominate ogn’uno possi liberamente dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo uno delli Magnifici Giurati
di detta Terra, e locotenente del Magnifico Capitano di quella, è di voto, e
parere che s’aggiongano onze quaranta di rendita da pagarsi quolibet anno come
meglio e per manco interesse di detta Università si potrà accordare con quelle
persone che vorranno attendere à tal compra di rendita.
* * *
Per
inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato racalmutese del 1577
Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della giurazia. Viene indicato
con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola
borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La
Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di
Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.
Ritornando
al nostro tema del carteggio del 1577, resta evidente che vi si trova uno
spaccato della vita pubblica comunale, dal taglio democratico, con istituzioni
pubbliche che esulano dal diritto romano e da quello del sorgere dello stato
moderno; affiora qualche dato che fa pensare alla tipica organizzazione greca
della Polis, con la sua Ecclesìa, e
con il ricorso al voto cittadino espresso in una solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.
Al
suono della campana della Ecclesia dell’Annunziata, sita nel centro della
grande piazza di Racalmuto che dal vecchio Santissimo si allargava nello
spiazzo ove ora sorgono le torri campanarie della Matrice e si riversava
nell’attuale Piazza Castello per risalire nel largo ove ora sonnecchiano i
palazzotti degli invadenti Matrona [la vaniddruzza
di Matrona].
Nel
confrontare l’attuale assetto urbanistico con
quello che l’ex voto del Monte ci fa intravedere, c’è da esecrare la
mania piccolo borghese degli arricchiti di Racalmuto dello scorso secolo di
piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati sulle case terrane (o al massimo
solerate) nel bel mezzo della storica piazza dell’Università di Racalmuto. E
dire che riuscirono a farsi credere anche dalle menti più elette del nostro
paese come dei benemeriti filantropi!
Certo
marginale appare il ruolo dei del Carretto in questa vicenda fiscale. Quel che
rileva è il ricorso pubblico al prestito, quello cioè che oggi avviene tra i
Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo che allora per Racalmuto siffatta
Cassa DD.PP. era nient’altro che uno strozzino di Agrigento, tal Caputo,
superriverito ed adulato dal pubblico notaio.
Popolazione racalmutese nel 1577
Sembra
opportuno tracciare il grafico della popolazione di Racalmuto che tenga conto
dei dati del carteggio del 1577.
La
curva dell’andamento demografico della Racalmuto del ’500 si avvalla
vistosamente, come è ovvio, nell’anno della peste del 1576, e così si dispiega:
Il crollo demografico
del 1576, come si vede, sembra irreversibile (anche se fu dovuto più alla fuga che alla morte dei racalmutesi:
i superstiti quindi ebbero poi modo di ritornare nelle loro case di paese,
lasciando - riteniamo - quelle di campagna). Occorrerà aspettare il 1658 (un
secolo) per risalire a quota 5.165 e solo nel 1660 la popolazione supererà
quella del 1570 assestandosi sui 5488 abitanti.
Quanto
alle finanze locali, la crisi del 1577 fu in qualche modo tamponata; il
bilancio comunale toccherà nel 1593 un disavanzo di appena 28 onze, un tarì e
quattro grani (460 onze d’introito ed
onze 488, tarì 1 e grana quattro d’esito). La forte pressione fiscale - tutta
basata sulle imposte indirette - finì di certo in una asfissiante strozzatura
dei consumi da parte dei poveri. I proventi dalle rinomate salsicce racalmutesi
furono pressoché nulli: pane, foglie, pilo, vino, formaggio, legname, pesci e
qualche altra voce diedero un gettito tributario che si volatilizzò
essenzialmente per le spese militari e per oltre la metà per ciò che era dovuto
alla regia Corte a titolo imprecisato. Inoltre si pagavano sei onze annue per
“tande”.
* * *
Terraggio e terraggiolo sotto il primo conte di Racalmuto
In
prossimità della morte, Girolamo primo del Carretto riusciva a raggiungere un
accordo con i suoi vassalli di Racalmuto. Era l’anno 1580. Il 15 gennaio, a
rogito del notaio Nicolò Monteleone di Racalmuto veniva stilata una transazione
(transactio et accordium) tra il conte e
l’università variamente articolata; tra l’altro i cittadini e gli abitanti di
Racalmuto s’impegnavano per loro e per i propri successori di corrispondere al
conte e suoi successori il terraggiolo (tirragiolum)
in ragione di due salme di frumento per ogni salma di terra seminata dai
racalmutesi fuori del territorio dello stato comitale.
Il
carteggio relativo a tale transazione del 1580 è disponibile presso il Fondo
Palagonia dell’archivio di Stato di Palermo. Per i riverberi sulla storia
locale, ci si deve qui dilungare nello stralciare ampi passi.
Iniziamo
dal testo della lettera inviata dai deputati racalmutesi eletti in un apposito
consiglio del 1580:
«Illustrissimo et eccellentissimo Signore,
Bartolo Curto, Pietro Barberi, Giacomo Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio
Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonio Lo Brutto, Vito Bucculeri,
Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella, Antonio Gulpi e Giacomo Morreale, li quali
furo deputati eletti per consiglio congregato circa la questione e lite
vertenti tra l’altri, e l’illustris.mo Conte di Racalmuto in la R.G.C. esponino
a Vostra Eccellenza che sono più anni che in detta R.G.C. ha vertuto lite fra
detto conte e suoi antecessori in detto contato ex una, e li Sindaci di detta
terra ex altera sopra diversi pretenzioni, particularmente addutti nel libello,
e processo fra loro compilato per li quali intendiano detti Sindaci essere
esenti, e liberi di certi raggioni e pagamenti, come in detto processo si
contiene, e poichè s’have trattato certo accordio fra esso conte ed essi
esponenti come deputati eletti per detta università circa le pretentioni
predetti, e circa il detto accordio s’hanno da publicare per mano di publico
notaro per comuni cautela dell’uno, e l’altro, e stante che è notorio che detti
capitoli s’habbiano da publicare con vocarsi per consiglio onde habbiano da
intervenire li genti di detta università, e la maggior parte di quella per ciò
supplicano a V. E. si degni restar servita provedere che s’abbia a destinare
uno delegato dottore degente in la città di Girgenti per manco dispendio (o di
spesa) dell’esponenti, e benvista a V.E. il quale s’abbia da conferire in detta
università di Racalmuto,, ed in quella abbia da congregare consiglio si la
detta università è contenta si o no di pubblicare il detto atto d’accordio, li
quali si abbiano di fari leggiri per il detto delegato a tutte le persone che
interverrano in detto consiglio per potersi stipulare il detto atto con lo
consenso di tutta l’università, o maggior parte di quella - e restando
l’esponenti d’accordio V.E. sia servita al detto delegato concederli autorità,
e potestà di tutto quello e quanto sarrà concluso per detto accordio che possa
interponere l’authorità, potestà, e decreto di V.E. e sopra questo possa
interponere perpetuo silenzio, e decreto con tutte le clausole, e condizioni
solite, e necessarie farsi in detti atti ut Altissimus. »
La curia
viceregia acconsente ed impartisce le opportune istruzioni con lettera Data Panormi die vigesimo nono Februarij
nonae Ind. 1580.
Il 3
gennaio 1581 si presenta a Racalmuto il magnifico ed esimio Ascanio de Barone
della città di Agrigento con le sue credenziali. Il successivo giorno 5 si
aprono i lavori del «Consilium congregatum » sotto la presidenza dell’esimio
signor Ascanio de Barone “ad sonum campanae in maiori Ecclesia terrae Racalmuti
die dominicae” chiamati e convocati i due terzi del popolo. I giurati Lorenzo
Giustiniano, Giacomo Monteleone e Antonio Alaimo assicurano la regolarità della
convocazione e certificano la presenza del numero legale. L’ordine del giorno
consiste nell’approvazione dell’accordo fatto con l’illustre don Girolamo del
Carretto.
Viene subito introdotto l’argomento:
Magnifici Nobili, et persone decorate [a.v.: honorati] et
altri populani, siti congregati in questo loco; sapiti ch’avendosi tanto tempo
ed anni litigato infra l’università di questa terra con li spettabili
illustri ed illustrissimi signori Baroni e Conti di questa terra sopra alcuni
pretenzioni ed esenzioni di tirraggi di fora [a.v.: supra alcuni pretenzioni et
exemptioni di alcuni soluptioni di dupli terragi di fora] et altri esenzioni
come più largamente si contiene per lo libello e processo contenti nella R.G.C.
con detti spettabili ed illustri signori Baroni e Conti di questa sudetta
terra, ed avendosi tant’anni litigato non s’have mai finito per tanto si
congregao consiglio, e si elessero deputati lo magnifico Gio: Vito d’Amella,
Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio
Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino lo Brutto, Pietro d’Alaymo,
Antonino Gulpi e Giacomo Morreale, li quali deputati esposiro a S.E. e R.G.C.
che avendo più anni litigato in detta R.G.C. con li predecessori dell’illustre signor
Conte di questa terra di Racalmuto ed anche con detto signor conte sopra
diversi pretenzioni d’essere esenti e liberi di diversi raggioni e pagamenti in
detto processo e libello addutti, e contenti, e che s’ave trattato accordio fra
l’università e detto signor conte, e sopra ciò fatti certi capitoli li quali
s’hanno da publicare per notaro publico per commune cautela ed era di
publicarsi con la volontà della maggior parte del Popolo congregato per
consiglio supplicando S.E. resti servita provedere e comandare che si
destinasse un delegato in questa terra per congregare detto consiglio, ed
essendo la maggior parte contenta dell’ accordio, farrà leggere li capitoli ed
essendo contenti quelli detto delegato farrà publicare, e stipulare ed
interponere l’authorità di S.E. e R.G.C. per ciò S.E. mi ha destinato delegato
in questa terra, undechè personalmente mi conferisca a congregare detto
consiglio, ed intendere la vostra volontà se volete accordio per questo siti
convocati in questa maggior chiesa acciò ognuno di voi dasse il suo parere [a.
v.: siti convocati in questa maggior Ecclesia a tal che ogn’uno di voi dugna lo
suo pariri e vuci si vuliti accordio], se volete accordio con detto signor
conte, perché volendo accordio si leggiranno li capitoli che mi sono stati
presentati per detti deputati e notar publico, ed essendo contenti di detti
capitoli per voi s’eligeranno dui Sindaci e procuratori per potere quelli
publicare e fare instrumento pubblico con li soliti obligazioni, renunciationi, stipulazioni giuramento
firmato in forma, alli quali Io come delegato di S.E. e R.G.C. interponissi
l’autorità e decreto acciò omni futuro tempore s’habbiano inviolabilmente
osservare siché ogn’uno venga, e dona la sua vuci, e pariri, lo magnifico Gio:
Vito d’Amella capo di detta terra di Racalmuto dice che è di voto, e parere, e
si contenta che si faccia accordio stante li lite e questioni che sono stati et
su infiniti e sono immortali e non hanno mai diffinizioni e sono dubbij ed
incerti e per evitarsi tante spese che s’hanno fatto e si potranno fare tanto
più che s’ha visto la buona volontà dell’illustrissimo signor conte lo quale
per li capituli ni ha fatto molte grazie ed esenzioni in favore di
quest’Università di Racalmuto e non facendosi accordio interim esigirà come per
il passato s’have fatto e perché in l’accordio e in mancari quelle raggioni che
siamo obligati paghari per questo è contente come è detto di sopra che si
faccia detto accordio e si leggano li capitoli e doppo si contratta in forma;
lo magnifico Lorenzo Justiniano giurato contiene [a.v.: concurri] con il detto
magnifico Gio: Vito d’Amella,
Già tutti voi esistenti in lo consiglio aviti inteso leggiri
detti capitoli per notar Cola Monteleone si restati contenti di detti capituli
ognuno dugna la sua vuci, e pariri, ed eliggia dui sindaci e procuraturi ad
effetto di putiri publicare detti capituli e farsi istrumento publico con suoi
patti renunciazioni cum juramento firmati in forma, lo magnifico Joan Vito
d’Amella capitano di detta terra dici ed è di pariri che si contenta di detti
capitoli letti nelli quali ci sù multi relasciti e gratij fatti per lo signuri
Conti, e che si pubblicano ed eliggiasi per sindaci e procuratori ad Antonino
Lo Brutto ed Antonuzzo Morreale, ad effetto di putiri fari publicari detti
capitoli dictae universitatis con li soliti obligazioni stipulazioni juramento
fitmati in forma; lo magnifico Lorenzo Justiniano concurri con detto d’Amella;
lo magnifico Giacomo Monteleone ut proximus, lo nobile Antonino d’Alaymo ut
proximus et sic omnes et singulae prenominatae personae concurrerunt cum dicto
de Amella et de Monteleone de Justiniano et de Alaymo, capitaneus et jurati,
Capitoli dell’accordio si fà infra l’illustrissimo signor D.
Hieronimo Carretto conte della terra di Racalmuto e per esso suoi figli
utriusque sexus et suoi eredi e successori in dicto statu
Capitoli dell’accordio si fà infra l’illustrissimo signor D.
Hieronimo Carretto conte della terra di Racalmuto e per esso suoi figli
utriusque sexus et suoi eredi e successori in dicto statu
per lo quali si havi di promittiri di rato iuxta formam
ritus di ratificari lu presenti contrattu à prima linea usque ad ultimam, ita
che li masculi d’età si habbiano da fari ratificari infra mesi due da contarsi
d’oggi innanzi, e li minuri quam primum erunt maioris aetatis cum pacto et
condictione che la persona che rathifichirà s’habbia d’obligare di rato per li
suoi figli utriusque sexus, e cossì li figli di figli in infinitum intendo per
quelli che haviranno di succediri in detto stato e terra di Racalmuto, e non
altrimente ne per altro modo s’intenda detta promissione di rato ut supra di
l’una parti, e Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo,
Antonuzzo Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino Lo Brutto, Vito
Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella ed Antonio Gulpi eletto di nuovo
per la morte dello quondam Jacobo Morreale, deputati eletti per consiglio circa
la questione e liti vertenti tra lo detto illustre signor conti e l’università
di detta terra in la R.G.C. ed altri differentij che tra loro sono stati, in lo
quali accordio s’intenda e sia imposto perpetuo silentio:
Testes magnificus Marianus Catalano, magnificus dominus
Antonutius Cirami Ar: et Med: doctor,
magnificus Gaspar Lo Giudice, Mazziotta di Neri, Franciscus la Vecchia de
civitate Agrigenti, reverendus d. Joseph de Averna, clericus Orlandus de
Averna, reverendus pater Monserratus de Agrò et magnificus Hieronimus Riggio.
Ex actis quondam notarij Nicolai Monteleone extracta est
presens copia per me notarium Michaelem Castrojoanne Racalmuti; dictorum
actorum conservatorem collectione salva.
*
* *
Nei 27
articoli dell’accordo tra l’università di Racalmuto e il conte del Carretto
abbiamo uno spaccato della vita sociale e civile del nostro paese, nell’ultimo
ventennio del Cinquecento.
All’art. 1
abbiamo la singolare angheria di una gallina o di un galletto che ogni
allevatore di polli doveva al governatore del castello, anche se a prezzo
prestabilito.
All’art. 2
scatta il divieto di andare a lavare i panni alla fontana. La fontana dei nove
cannoli c’era dunque anche allora e doveva avere l’aspetto che si arguisce
dall’ex voto del Monte.
All’art. 3
viene imposta la macina nei mulini del conte, anche se ne viene attenuato il
rigore con una disciplina abbastanza elastica. Interessante il richiamo ai
mulini del Raffo, di cui ancor oggi è possibile ammirare la perizia della
realizzazione, una pregevole opera di ingegneria idraulica del ’500.
L’art. 4
disciplina l’istituto della “baglia”, una magistratura feudale che giudicava
dei piccoli forti e riscuoteva le multe per contravvenzioni ai locali
regolamenti di polizia.
L’art. 5
compendia norme sulla gabella della carne bovina, vaccina, ovina.
L’art. 6
getta spiragli di luce sulle intollerabili angherie personali che massari,
donne di servizio, lavoratori subivano da parte della corte feudale.
L’art. 7 è
quello nodale: reimposta i diritti di terraggio e di terraggiolo al centro
dell’annosa controversia con il conte. Emergono arretrati d’imposta che i
racalmutesi non hanno alcuna voglia di estinguere.
L’art. 8
esonera dal terraggio sul lino, che non crediamo dovesse essere intensamente
coltivato.
L’art. 11
impartisce disposizioni sulle modalità delle estirpazioni delle vigne e sulle
licenze comitali occorrenti.
L’art. 10
concerne la nomina del “rabbicoto” il commissario per il grano.
L’art. 11
contiene giusti divieti ad esigere le contravvenzioni della baglia
in natura come frumento, bestiame, etc.
L’art. 12
concerne le tasse feudali sui mosti.
Con l’art.
13 viene stilato un nuovo accordo sul terraggiolo.
L’art. 14
reimposta invece il diritto del terraggio.
L’art. 15
scende in dettaglio e disciplina i diritti dovuti quando gli abitanti di
Racalmuto detengono campi di stoppie fuori dello stato o mantengono vacue le
terre al di fuori del territorio feudale.
L’art. 16
ribadisce e approva la consuetudine circa il modo di tenere le bestie al tempo
della mietitura nel territorio e nel feudo di Racalmuto e di Garamoli.
Con l’art.
17 viene disciplinato il diritto di portar seco animali quando si va a
coltivare vigne o ‘chiuse’.
Con l’art.
18 si concede una sorta di sanatoria per le
vendite abusive di abitazioni all’interno dell’abitato di Racalmuto.
L’art. 19
detta norme sui tempi e modi di addurre prove nei processi.
L’art. 20
stabilisce una transazione sulle spese processuali fin allora sostenute, una
sorta di reciproca rinuncia alle rispettive pretese.
Con l’art.
21 si stabilisce un rinvio ricettizio delle norme e consuetudini per quanto non
espressamente previsto e stabilito.
L’art. 22
contiene l’assicurazione da parte del conte che per l’avvenire non potranno
essere imposti nuovi tributi, servitù, angherie e consuetudini se non nelle
forme pattizie concertate con il consiglio dell’Università.
L’art. 23
attiene alle forme pubbliche da conferire all’accordo che si è raggiunto.
L’art 24
stabilisce il terraggio per le terre “strasattate”.
L’art. 25
prevede la perpetuità degli obblighi contratti sia da parte del conte che da
parte dell’Università.
L’art. 26
disciplina il terraggio in misura ridotta per le terre ingabellate inferiori a
salme 50.
L’art. 27
stabilisce il numero massimo di bestie che possono tenersi nel territorio di
Racalmuto, Garamoli e Culmitella, presumibilmente in esenzioni d’imposta.
L’organizzazione feudale del centro agrario di Racalmuto.
Sorprendentemente,
i religiosi del Carmelo di fine ’500 detenevano tutta una documentazione sugli
strani debiti di uno di tali rami cadetti.
Se ne ricava uno spaccato dell’organizzazione feudale di un centro
agrario qual era Racalmuto. Con una “polisa” il 15 febbraio del 1569 il barone
di Sciabica, don Federico del Carretto s’indebita con Antonio Pistone. «Io don
Fidirico del Carretto per la presente polisa mi fazzo debitori ad Antoni Pistuni
in salmi quaranta e tummina setti di frumento forti et sunno li detti ad
complimento di salmi 70, tt.a 7 si comi chi mi prestao hora dui anni in lo fego
di la Menta quali frumenti prometto darli per tutto lo misi di augusto proximo
da veniri et ad sua cautela hajio fatto la presenti polisa scripta di mia
propria mano in Girgenti a di 15 di frebaro XIJ^ Ind. 1579, dico salme 40 e
tt.a 7 - ditto don Fiderico del Carretto.»
Quale il
rapporto sottostante di questa transizione di frumento della Menta, non è dato
di sapere. E’ da pensare ad una speculazione granaria. Il nobile agrigentino,
un cadetto della celebre famiglia, ha entrature a Racalmuto. Qui pare che non
manchino gli abbienti come questo Antonio Pistuni che può tranquillamente
prestare ingenti quantità di frumento. Federico del Carretto cessò di vivere
qualche anno dopo.
Si ricorda
dei suoi debiti nel testamento: «E’ da sapere - si può volgere dal latino -
come fra gli altri capitoli del testamento fatto a mio rogito il 9 novembre p.^ Ind. 1572 dal
quondam spettabile signor don Federico del Carretto un tempo barone di
Sciabica, sussista l’infrascritto capitolo del seguente tenore:
«Del pari lo stesso spettabile testatore
volle e conferì mandato che qualsiasi persona dovesse ricevere od avere dal detto
spettabile testatore qualsiasi somma di denaro o quantità di frumento, di orzo
o di altro sia saldata dalla propria moglie secondo diritto a valere sui
redditi del detto spettabile testatore, sempreché quei debiti appaiano in atti
pubblici o con testi degni di fede o in scritture ricevute da qualsiasi curia.
E ciò volle e non altrimenti né in altro
modo.»
«Faccio
fede, io notaio Giovan Battista Monteleone».
Vi è un
atto esecutivo della Gran Corte del XV luglio 1573 dai toni pomposamente
ultimativi ma che in definitiva non fanno altro che confermare i fatti
suesposti.
La
curialità cinquecentesca non scherzava davvero: «secondo la forma della nuova Prammatica, si dovrà procedere con
l’accesso ed il recesso e per la soddisfazione di cui sopra pignorando qualsiasi
bene e vendendo quelli privilegiati ... carcerando e scarcerando ed operando
l’estradizione da un luogo ad un altro o da un castello all’altro ...» Ma
ci limitiamo agli atti formali della locale curia racalmutese, emergendone
procedure, figure locali, personaggi
pubblici.
«Racalmuto
28 gennaio 1572 - atti contro donna Eleonora del Carretto per Gaspare La
Matina, baiulo.
«Testi
ricevuti - alcuni passi sono in latino, ma qui ne diamo la traduzione - ed
esaminati a cura dello spettabile baiulo della terra di Racalmuto ad istanza e
richiesta di Antonuzzo Pistuni avverso e contro la spettabile donna Eleonora
del Carretto tutrice testamentaria dei propri figli e figlie, eredi del quondam
spettabile don Federico del Carretto suo marito, in ordine alla verifica dei
documenti.»
Identica
relazione fanno i sotto indicati personaggi:
•
nob. Giovanni Antonio Piamontisi, Secreto della terra di
Racalmuto, con don Federico ha avuto “pratica et canuxi la sua manu”;
•
magnifico Jo: Saguales di Racalmuto, «che canuxi essiri la manu propria del ditto quondam et che ni havj
multi polisi de causa sua et interrogatus dixit scire premissa per modum ut
supra ditta sunt..»;
•
hon. Vincenzo Lo Perno di Racalmuto, «como pratico che era con lo ditto quondam don Fiderico ...»;
•
Diacono Martino Rizzo di Racalmuto, il quale «vitti quando ditto quondam don Fiderico
scrivia la ditta polisa et la vitti scriviri et la ditta polisa scripta che fui
l’appi in potiri lo ditto di Pistuni ....»;
•
Reverendo don Alerico Tudisco di Racalmuto, che sa «come quillo che a pueritia usque in diem
obitus canuxi a ditto quondam del Carretto et canuxi essiri ditta polisa la sua
propria manu modo quo supra...».
Risulta il
tutto dagli atti della curia del baiulo della terra di Racalmuto, essendone
stata fatta copia dal maestro notaro Giuseppe de Ugone (gli Ugo del Rivelo).
Sotto
Girolamo I Racalmuto dunque consolida il suo vivere contadino: il conte è
lontano, ma i suoi esattori onnipresenti. L’accordo è tutto a favore del
feudatario. I racalmutesi non lo gradirono; cercarono di aggirarlo; lo
contestarono. Le contese continuarono sotto tutti gli altri conti di Racalmuto.
Fino al tempo dei Requisenz, quando il prete Figliola e l’arciprete Campanella
riuscirono a far caducare dalla corte borbonica il terraggio ed il terraggiolo.
Era il 28 settembre 1787 quando il Tribunale borbonico sentenziò: “ius terragii
et terragiolii tam intra, quam extra territorrium declaratur non deberi”.
Ecco
perché ci appaiono settari gli aculei che Sciascia (sull’onda degli anatemi del
Tinebra) scagliò contro il solo - ed appena ventiquattrenne - Girolamo II del
Carretto: ben altre erano le responsabilità dei predecessori; ancor più inique
le pretese dei suoi successori e persino dei feudatari settecenteschi che non
portavano più l’esecrato nome dei del Carretto.
Oltre ad
una caterva di figlie femmine, Girolamo I del Carretto lasciò tre figli maschi:
Giovanni IV, suo successore nella contea di Racalmuto, Aleramo, che diverrà
conte di Gagliano e resterà famoso per gli abusi amministrativi, ed un tal
Giuseppe, di cui si occuparono le cronache nere del tempo.
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