Racalmuto secondo il rivelo del
1593.
I
beni ecclesiastici di Racalmuto.
Il
singolare vescovo di Agrigento Horozco, con cui già ci siamo imbattuti, ebbe
modo d’interessarsi delle finanze ecclesiastiche concernenti Racalmuto nella
seconda “Relatio ad limina” della diocesi di Agrigento, datata 1599 (la prima è
del 14 settembre, VIII^ ind. 1599). Il vescovo dichiarava di essere affetto
dalla sciatica «per la quale gli fù bisogno andare alli bagni » e pertanto non
«hà possuto venire personalmente a baciar i piedi di Nostro Signore e visitare
li santi Apostoli». Non era più suo fiduciario l’arciprete di Racalmuto don
Alessandro Capoccio. Al suo posto aveva prescelto come suo mandatario per la
visita tridentina al Papa Giovanni Chimia. Lo stato di infermità del vescovo
veniva certificato da un appartenente all’odiata famiglia dei del Carretto,
appunto da quel don Cesare del Carretto, preso di mira dall’Horozco nel libello
prima cennato. Non si poteva evitare: il 17 di agosto 1598 il potente (e
prepotente) don Cesare era “juratus civitatis Agrigenti” [cfr. Relatio cit.
f.15].
Dalla
documentazione vaticana risulta che la “Ecclesia Cathedralis Agrigentina” era
in grado di “ingabellare” 9.500 onze di
rendita diocesana. In via diretta o indiretta, Racalmuto è così chiamato in
causa:
•
al 15° posto risulta censita la “prebenda di Racalmuto che
vale di Mensa onze 130”;
•
tra i “Beneficij semplici de Mensa”, al n.° 3 viene
rubricata “la prebenda Teologale [che] si dà al Teologo quale eligino il
Vescovo ed il Capitulo: è titulo di Sta Agata [che sappiamo di Racalmuto, come sappiamo che talora il vescovo la
utilizzava non per remunerare teologi ma il fratello di un letterato, per come
abbiamo sopra visto, n.d.r]: [vale] onze 100;
•
l’arcipretura di Racalmuto è segnata al n° 12 e “vale de
mensa onze 250”.
Tirando le
somme, i racalmutesi a fine secolo XV erano chiamati per decime religiose e
tasse episcopali a qualcosa come onze 480, senza naturalmente includervi tutti
gli oneri di battesimo, matrimonio morte e simili, da conteggiare a parte. Era
un gravame misurabile in tarì 3 e 5 grana annui pro-capite.
Ma, allora
- come del resto anche oggi - le pubbliche autorità, civili e religiose, non
amavano riscuotere direttamente le loro tasse: le davano in appalto (in
gabella, recita il documento) e gli aggi esattoriali Dio solo sa a quanto
ascendessero. Pensare ad un 25% d’aggravio è forse da ottimisti.
ARCIPRETI
E SACERDOTI NELLA SECONDA META’ DEL CINQUECENTO
Don
Aloysio (Lisi) Provenzano
Questo
sacerdote traspare dai registri di battesimo e di matrimonio della Matrice. Il
suo ministero sembra discontinuo. Nel biennio 1575-1576 dovette avere funzioni
di cappellano ed il suo nome si alterna con quello di don Vincenzo d’Averna negli
atti di battesimo. Ancora nel 1581 è uno degli officianti della Matrice ed il
19 settembre 1581 battezza Paolino d’Asaro, fratello del pittore e futuro
sacerdote racalmutese.
In tale
veste compare sino al 1584, dopo subentrano altri cappellani come don Paolino
Paladino e don Francesco Nicastro. Don Lisi Provenzano riappare successivamente
nei documenti della Matrice, ma come teste nella celebrazione di matrimoni (ad
es. il 28 settembre 1586) o come semplice padrino in battesimi (come quello di
Francesco Castellana del 3.10.1587 ).
La sua
presenza a Racalmuto è attestata sino al 1593 come dal seguente atto di
matrimonio, da cui però risulta che il Provenzano non è più cappellano della
Matrice.
La figura
di d. Lisi Provinzano emerge invero da un documento dell’Archivio Vescovile di
Agrigento che risale al 31 ottobre 1556. Se ne ricavano alcuni tratti
biografici. Ma soprattutto è la vita paesana a metà del XVI secolo che
traspare. Val quindi la pena di riportarne alcuni brani.
Siamo stati supplicati
da parte del Rev. presti Aloysio Crapanzano (ma trattasi di Provenzano) ... del
tenor seguente: .. da parte del rev. presti Aloisio Provenzano della terra di
Racalmuto, subdito della giusridizione di V.S.
... In tempi passati venendo a morte lo condam ... di Salvo della ditta
terra, fece il suo testamento agli atti dell’egregio condam notaro Vito
Jandardoni et per quello inter alia capitula legao all’esponente pro Deo et
eius anima et in satisfatione de suoi peccati tarì dudici anno quolibet sopra
tutti li soi beni hereditari durante la vita di esso esponente per una missa da
dovirisi diri in die lunae cuiusvis hebdomadis .. in ecclesia Sancti Francisci
dictae terrae per ipse esponente. Et mancando, che tali tarì dudici li havissero li frati di ditto
convento durante la vita di esso esponente, si como per ditto legato appare in
ditto testamento fatto ni li atti de ditto notaro Vito 21 novembre iiij ind.
1545. Et perché lo esponente si trovao absenti da ditta terra alla morte del
ditto testatore, che havea stato in Palermo et ad altri parti per soi negotij
et non habbi mai notitia di tale legato et li frati di ditto convento quello si
exigero con diri che ipsi voleano dire tali missa.
Appena
saputa la faccenda del legato, il sacerdote si dichiara disponibile alla celebrazione
della messa per l’anima del di Salvo. Ma i frati sono riluttanti e non
consentono al Provenzano di celebrare quella messa nella chiesa del loro
convento. Quindi il sacerdote si trova nell’impossibilità di adempiere
all’obbligo nelle modalità volute dal testatore. Egli non può celebrare
ditta missa per la repugnantia di ditti frati in la loro
ecclesia; pertanto supplica V.S. sia servita provvedere et comandare che ipso
exponente possa satisfare la volontà di ditto defunto in diri la missa ogni lune
cuiusvis hebdomadis in alcuna altra ecclesia in ditta terra di Racalmuto ben
vista a V.S. Rev.da et comandare alli heredi di ditto defunto che di ditti tarì
dudici anno quolibet staiono de
rispondere et quelli dari allo esponente con la conditione ordinata e fatta per
lo defunto che quando mancasse per sua colpa e defetto recada al ditto convento
di santo Francesco. Et ita petit et supplicat. ..
Il vicario
generale dell’epoca don Rainaldo dei Rainallis dà quindi disposizioni al
vicario del luogo perché faccia un’inchiesta e ragguagli il vescovado.
Quel che
emerge con chiarezza è dunque la vita piuttosto girovaga di questo nostro prete
del Cinquecento che per affari si reca a Palermo ed in altre località ed è
tanto affaccendato da non sapere neppure di un legato in suo favore. Non
meraviglia certo che il di Salvo s’induca a lasciare a favore di questo
sacerdote, durante vita, un legato di dodici tarì per una messa la settimana,
il giorno di Lunedì, da celebrarsi nella chiesa di S. Francesco. Le disposizioni
testamentarie pro Deo et anima in remissione dei propri peccati investivano i
vari strati della popolazione. Non sorprende che i frati siano riluttanti a
concedere il permesso di celebrare nella loro chiesa a sacerdoti secolari. Se
messe di suffragio sono da dire, possono benissimo essere loro ad adempiere
ogni volontà testamentaria al riguardo. Ovviamente percependone le elemosine. A
chi abbia dato ragione il Vicario Generale, se ai frati o a d. Lisi Provenzano
non sappiamo, ma propendiamo a credere che sia stato quest’ultimo a venire
favorito. Non per nulla, qualche anno dopo il sacerdote si stabilisce a
Racalmuto e qui svolge funzioni da cappellano.
Il
documento è comunque importante perché ci fornisce qualche dato sul convento e
sulla chiesa di S. Francesco. L’uno e l’altra erano dunque operanti da prima
del 1545. Stanziano a Racalmuto padri francescani che dispongono della chiesa
ed erano sottratti alla giurisdizione del vescovo agrigentino. Nella visita
pastorale del 1540-43, il vescovo Tagliavia omette ogni riferimento ai
francescani. Eppure abbiamo motivo di ritenere
che essi fossero già insediati. Nel 1548 il convento possedeva una
bottega in piazza e ciò risulta dalla bolla di riconoscimento della confraternita
di S. Maria di Juso datata 21 maggio
1548 ( A.C.V.A. - Registro Vescovi 1547-48, p. 142).
Con i padri dell’Ordine dei Minori Conventuali di S.
Francesco, ebbe dunque a confliggere don Lisi Provenzano attorno al 1556 per un
legato del 1545. Il convento francescano precede quindi di almeno 15 anni il
1560, data ritenuta di fondazione dal Tossiniano. Al 1560 risale, invero, il
testamento di Giovanni del Carretto che accenna alla chiesa di S. Francesco ed
al convento ma in questi termini:
Del pari
lo stesso spettabile Testatore volle e diede mandato al predetto d. Girolamo
del Carretto, suo figlio primogenito ed erede particolare, di far celebrare
delle messe nel convento di S. Francesco di detta terra. Inoltre dispone che
sia costruita una cappella in un luogo da scegliersi in detta chiesa dal
suddetto erede particolare ed a tal fine saranno da spendere 100 onze entro due
anni dalla morte del testatore. La Cappella è da fabbricarsi per l’anima del
predetto testatore e dei suoi predecessori.
Inoltre decide di venire sepolto nella chiesa di S. Francesco
con l’abito francescano:
Item
elegit eius corpus sepelliri in Ecclesia Sancti Francisci dictae Terrae indutus
ordinis ditti Sancti Francisci et ita voluit, et mandavit.
Anche da qui emerge che S. Francesco esisteva da tempo.
Il Sac. Lisi Provenzano visse, dunque, gli anni del suo
sacerdozio tra Palermo, altri luoghi e Racalmuto. Ordinato già nel 1545,
all’epoca cioè del testamento del di Salvo, nacque a Racalmuto qualche tempo
prima del 1520. Morì attorno al 1597.
Nel 1584 fa una donazione alla chiesa di S. Maria Inferiore
(di Gesù) di tt. 6 annui, cedendo un censo annuo su una casa una volta
appartenuta a Violante Petruzzella:
Actus
donationis o. - 6.
Pro ven:
Eccl. Sanctae Marie inferioris - cum p.ro
Aloisio Provenzano.
Die xxiiij°
septembris xiij^ ind. 1584
Reverendus presbiter Aloisius Provenzano de Racalmuto coram
nobis mihi notario cognitus pro anima sua titulo donationis et omni alio
meliori modo sponte cessit et cedit ven: Eccl. Sanctae Mariae Inferioris dictae terrae per eum
Mattheo La Paxuta rettore mihi cognito omnia jura quae et quas habuit et habet
in et super tt. 6 census quolibet anno solvendi contra magistrum Joseph
Cachiatore super domo olim Violantis Petrocella virtute contractus facti in actis meis die etc.
Testes m.j
Joseph Lomia et Jacobus de Poma.
Arciprete
Gerlando D’Averna
Con bolla pontificia del 13 novembre 1561 ( Archivio Segreto
Vaticano - Registri Vaticano - Bolla n.° 1911 -
f. 211 e ss.), Pio IV nomina arciprete di Racalmuto don Gerlando
D’Averna (chiamato nel documento Giurlando de Averna). La bolla viene
indirizzata al diletto figlio, arciprete e rettore della chiesa di S. Antonio
di Racalmuto, diocesi di Agrigento.
Pius
episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Giurlando de Averna rectori archipresbitero nuncupato parrochialis
ecclesiae archipresbiteratus nuncupatae Sancti
Antonij terrae Rachalmuti
Agrigentinae diocesis, salutem et apostolicam benedictionem.
E’ del tutto rituale l’apprezzamento che giustifica la
concessione papale del lontano beneficio dell’arcipretura racalmutese, ma è pur
sempre un riconoscimento di meriti:
Vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitatis et
virtutum merita, super quibus apud nos fide digno commendaris testimonio, nos
inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberalem.
Ci appare
oggi strano come una prebenda così striminzita fosse di concessione pontificia.
All’epoca era invece una consuetudine ed il papa mostra di esserne un custode
geloso et attento. Ne fa accenno nel corpo della stessa bolla, dichiarando
illegittima ogni usurpazione da parte di qualsiasi autorità:
Dudum siquidem omnia beneficia ecclesiastica cum cura et
sine cura apud Sedem apostolicam tunc vacantia et in antea vacatura collationi
et dispositioni nostrae reservavimus, decernentes ex tunc irritum et inane si
secus super hijs a quacumque quavis auctoritate scienter vel ingnoranter
contingeret attemptari.
In un
siffatto quadro giuridico si colloca, dunque, il beneficio di Racalmuto, un
beneficio che, comunque, tal Sallustio - già rettore ed arciprete di Racalmuto
- non ha reputato utile mantenere e l’ha restituito nelle mani del Papa.
Et de
inde parrochiali ecclesia archipresbiteratus nuncupata Sancti Antonij terrae
Rachalmuti Agrigentinae diocesis per liberam resignationem dilecti filij
Salustij humilissimi nuper ipsius ecclesiae rectoris archipresbiteri nuncupati,
de illa quam tunc obtinebat in manibus nostris sponte factam et per nos admissam apud Sedem predictam
vacantem.
L’arcipretura
di Racalmuto, cui rinuncia anche il chierico Cesare, viene alla fine assegnata
al D’Averna per i suoi meriti:.
Noi, quindi vogliamo concederti una speciale grazia per i
tuoi premessi meriti, e assolvendoti da ogni eventuale censura, disponiamo che
tu ottenga tutti i singoli benefici
ecclesiastici con cura e senza cura (d’anime) e tutto quanto ti compete in
qualsiasi modo, comunque e per qualsiasi quantità; ed in particolare gli
annessi frutti, redditi e proventi che costituiscono una pensione annua di 24
scudi d’oro italiani secondo la ricognizione fatta dalla Santa Sede quando ebbe
ad accordarla al predetto Sallustio, pensione che in ogni caso non supera i
sessanta ducati d’oro come tu stesso
affermi.
E vogliamo ciò anche se sussiste una qualche riforma insita
nel corpo delle leggi visto che la predetta chiesa è riservata alla
disponibilità apostolica in forma speciale e generale.
Pertanto ti conferiamo il beneficio con l’autorità
apostolica che ci compete, giudicando irrituale ed inefficace ogni altra
contraria decisione di qualsiasi autorità che abbia ritenuto di poterne
disporre, scientemente o per ignoranza. E ciò vale anche verso chi tenterà in
futuro di arrogarsi poteri dispositivi.
Intorno a quanto precede, diamo mandato per iscritto ai
venerabili fratelli nostri, i vescovi Amerin/ e Muran/ nonché al diletto Vicario
del venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento, affinché loro due o
uno di loro, direttamente o per il tramite di qualcuno introducano Te o un tuo
procuratore nel materiale possesso della chiesa parrocchiale e degli annessi
diritti e pertinenze e lo facciano per la nostra autorità. Non manchino,
altresì, di difenderti, dopo avere rimosso qualsiasi altro detentore, facendoti
dare integro il resoconto della chiesa parrocchiale e degli annessi frutti,
redditi, proventi e doti. A ciò non osti qualsiasi contraria costituzione di
papa Bonifacio Ottavo, di pia memoria, nostro predecessore, né ogni altra
decisione apostolica. Del pari, nessuno può richiedere per sé o per il proprio
legato un qualche diritto di omaggio o un qualunque beneficio ecclesiastico in
base a lettere o in forma speciale o generale, anche nel caso in cui vi sia
stato un processo e sia stato emesso decreto riformatore.
Vogliamo che tu comunque entri in possesso di detta chiesa
parrocchiale, senza pregiudizio alcuno degli annessi benefici. Se qualcuno
dovesse tentare presso il venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento o
presso chiunque altro che sia stato dalla Sede apostolica dotato in comunione o
frazionatamente nei beni della chiesa, non gli si accordi costrizione o interdetto
o sospensione o scomunica. Resta ribadito che quanto ad omaggi, benefici
ecclesiastici, relativa collazione, provvisione, presentazione e qualsivoglia
altra disposizione, sia congiuntamente che separatamente, non può provvedersi
per lettera apostolica che non faccia piena ed espressa menzione, parola per
parola, alla presente, la quale ha forza di annullare qualsiasi altra
indulgenza, generale e speciale, di qualsiasi tenore della Sede apostolica.
La
complessità della bolla invero illumina poco sulle peculiarità parrocchiali
della Matrice del tempo. V’è un rigonfiamento di formule curiali, del tutto
sproporzionato alla esiguità dell’affare.
L’arc.
D’Averna non pare essere racalmutese. Sembra venire da Agrigento. E’ un po'
nepotista. Con lui si sistema a Racalmuto il sac. d. Vincenzo d’Averna che è
anche cappellano. Appare un vicario a nome don Giuseppe d’Averna. Fa capolino
un chierico: Orlando d’Averna.
Come
arciprete, lo riscontriamo con una certa assiduità negli atti di battesimo dal
12.11.1570 sino al 5.7.1571; poi appare sporadicamente. Non abbiamo, però,
serie complete di atti di battesimo: il primo quinterno è incerto se si
riferisce al 1554 o al 1564. Si salta, poi al 1570-71-72 e quindi al 1575-1576.
Quindi il vuoto sino al 1584.
L’arc.
Gerlando d’Averna figura ancora il 24 di maggio 1576 in questo atto di
battesimo - ed è l’ultima testimonianza di cui disponiamo:
24 5 1576 Joannella figlia di Barbarino Vella
(di)e diPalma;
madrina: Juannella
di Rotulu;officiante: Don Gerlando di Averna.
Va,
quindi, fugato il sospetto che, ricevuto
il beneficio dal papa, egli abbia soltanto percepito i proventi della sua
arcipretura e per il resto se ne sia stato lontano. La sua arcipretura sembra
durare oltre 18 anni: è, infatti, nel 1579 che subentra l’arc. Michele Romano.
Don
Vincenzo D’Averna
Ci sembra
un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove
si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese.
E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della
documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò
assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel
successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote
officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra
più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel
periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel
“liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel
cappellano.
Don
Giuseppe D’Averna
Appare per la prima volta in un atto notarile
della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. - Notum
facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus,
Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores
venerabilis ecclesiae Sanctae Mariae
Inferioris ...
Nel 1580
fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don
Joseph di Averna la q. Betta la
Carretta'.
E’ poi
assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna
sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1.
n.° 13). Una malcerta annotazione sembra
indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che
abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei
figli degli ottimati locali come quello di
3 7 1598
Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta del Carretto, per
don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese
Elisabetta
del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna
Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587.
Giovanni
del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo
Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo
scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo
di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello
stralcio di un documento vaticano sopra richiamato.
Clerico
Blasi Averna
Tra il
1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di
lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel
1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni
che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque
nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del
1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e di
Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca; testi:
Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:
Don
Monserrato d’Agrò.
Compare
come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura
Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al
1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa
di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di
assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo
d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa,
don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di
cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de
Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius
cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo contractis et
declaratis et non aliter.
Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno
successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento
alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua
tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto
della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di
concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei
racalmutesi dell’epoca.
Sappiamo
dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato
dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava,
apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del
rivelo del 1593:
3
149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45
La
cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a
quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata
l’immagine di S. Francesco di Paola (intus
dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope
Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis
Sancti Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele
Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam
presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel
che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato
aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa
mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et
Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris ....
Il nipote
Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la transazione
feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei presenti
nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15 gennaio
1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste.
I primi cappellani:
don
Vincenzo Colichia;
don
Antonino La Matina;
don
Dionisi Lombardo;
don
Antonio Castagna.
Il più
antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26
colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto
1554 o die Xbris 1554) in altre 1563
(adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non
è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife,
aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato
1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono
segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della
Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza
dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo
predecessore, don Tommaso Sciarrabba
(“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber
citato, c. 1 n.° 2).
I
cappellani officianti risultano:
•
don Vincenzo
Colichia;
•
don Antonino La
Matina;
•
don Dionisi Lombardo;
•
don Antonio Castagna.
La maggior
frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo.
Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete). Di nessuno di loro si fa il più vago cenno
nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il
cappellano don Antonino La Matina.
I
cappellani del periodo successivo (1570/1571):
Don
Vincenzo d’Averna;
Don
Jo Cacciatore;
Don
Antonino D’Auria;
Don
Giuseppe Garambula;
Don
Antonino La Matina;
Don
Filippo Macina.
E’ il
periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede
alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già
abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina,
presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria,
Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi
cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8). Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e
Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il
Garambula appaiono oriundi.
I cappellani del periodo 1575/76
Don
Vincenzo d’Averna;
don
Lisi Provenzano.
I salti
della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione
anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed
il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di
Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna
I
cappellani del periodo 1579/1582:
Don
Michele Abate;
Don
Monserrato d’Agrò;
Don
Lisi Provenzano;
Don
Giuseppe d’Averna.
Nei
fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele
Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate
(n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente
l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa
se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20
luglio 1600.
I cappellani del periodo 1583/84:
Don
Monserrato d’Agrò;
Don
Francesco Nicastro;
Don
Paolino Paladino;
Don
Lisi Provenzano.
Arciprete
del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al
precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don
Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato
all’infuori del nome e cognome.
Don
Giuseppe Romano
Annotato
nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del
libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto
don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come
procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc.
don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un
qualche vincolo di parentela, è congetturabile.
Arciprete
Michele Romano
Ha tutta l’aria
di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al
1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il
28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad
acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una
lite al conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto
arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano,
ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto
Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia del
arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti
fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta
Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam
Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per
occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar
quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran
Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone
sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta
spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in
condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A distanza
di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante
la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è
persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij,
falsi e litigiosi».
L’arciprete
Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto -
divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore,
l’avventuroso Giovanni del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio
1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo.
L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali
Cesare del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E
l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel
1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando
scende a Racalmuto un parente dei del Carretto per battezzare il figlio di un
personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è
ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or Gioseppi
e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare
fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora Donna Maria
del Carretto''
In ogni
caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari,
l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non
appare neppure come teste.
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