Arciprete
Alessandro Capoccio
Il Vescovo
Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio
aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo
di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti
di formalissimi atti notarili. Presso la
Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la
possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di
don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto
plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI
FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600
)
Tre
anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del
Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di
Agrigento al Papa. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don
Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In
Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio
Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento)
- ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per
niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando
e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone
il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e
residente per il momento in questa
corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y
Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di
non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano
alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi
molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui
conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni,
poco più poco meno’.
Per quanto
tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che
subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600. Quel che appare sicuro è che
l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella
celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per
un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo
don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano
zelo ed assidua presenza.
Giurati a
Racalmuto a fine ’500
I giurati
di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono:
1.
Nicolò Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al
159° fuoco del quartiere di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è
coadiuvata nei servizi di casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che
coabitano con lui;
2.
Giuseppe Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il
titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si
chiama Giovannella: convivono con lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le
femminucce Caterina, Franceschella e Contessella;
3.
Giuseppe Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con
il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si
chiama Giovannella: convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le
femminucce Franceschella, Costanza,
Innocenza, Angela e Fania [Epifania];
4.
il notaio Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è
sposato con Antonella: non ha figli; professionalmente si affermerà molto;
frattanto abita al quartiere di S. Giuliano al 167° fuoco; si era sposato a Racalmuto il 20
settembre 1592 appunto con Antonella
Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro: compari,
il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco d’Amella.
Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il
matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei
del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.
Sono
chiamati a fungere da delegati per il Rivelo:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa
Margaritella:
•
Martino di Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere
Fontana al 29° fuoco; la moglie si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto
anni;
•
Vincenzo di Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al
quartiere Santa Margaritella al 369° fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha
tre figli maschi: Giuliano di anni 9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una
femminuccia, Jurla [Gerlanda];
per il quartiere di
San Giuliano:
•
Giovanni Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al
quartiere Monte di cui, come detto, non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
•
Giovan Cola Capoblanco;
•
Natale Castrogiovanni;
•
Pietro Bellomo.
Di questi
tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al
quartiere Monte.
Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593
I
ponderosi volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente
setacciati, se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici.
Dobbiamo quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.
A
quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi
cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al
Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade
tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di
sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale
Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza).
In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S.
Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di
nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di
nord-ovest.
All’interno
vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per
l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in
effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma
una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che
talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene
se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella
chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava
tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata.
Dettagli del Rivelo del 1593
Sembra
fuor di dubbio che il monaco benedettino Vito Maria Amico
ebbe tra le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del
1593. Nel suo Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è
riportata in appendice al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota:
«Contaronsi nel tempo di Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595»,
(secondo la traduzione del Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del
censimento sotto Carlo V (che crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce
il numero delle case (890) e non quello degli abitanti, per quello del 1595
(per noi 1593) fa l’inverso dandoci invece solo il numero degli abitanti. E
dire che se l’Amico ebbe i due volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.°
597 ed il n.° 598) sarebbe arrivato
presto a quel conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume
delle numerazioni dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o
quasi) ammontare dei fuochi di Racalmuto.
Il numero
degli abitanti che ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha
proceduto ad un analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se,
invece, come crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce
del quale è da presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del
benedettino fu di poco conto.
Presso il
Tribunale del Real Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito
fondo dei Riveli, possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che
riguardano appunto quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:
1.
alle pagine 807r - 807v del vol.
n.° 596 abbiamo lo spaccato della
finanza locale sopra riportato;
2.
allegati al volume stanno i quinterni delle rilevazioni
fatte dagli appositi deputati, disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro
quartieri (visto che è stato trafugato quello del Monte). A parte ci diamo carico di farne la
trascrizione;
3.
in due grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le
dichiarazioni che i racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”,
reiterando quanto già direttamente (o tramite un loro familiare) avevano
segnalato ai ‘deputati’ ed aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va
notato che ancora nel 1593 la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza
che avrà poi nel XVII secolo.
Località e Rioni
La
suddivisione amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S.
Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati
(rivelanti) e negli atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione
topografica alquanto diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese
e qualche volta alle particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e
propri rioni, ma il concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:
•
•
il Carmine;
•
S. Margaritella;
•
S. Giuliano;
•
S. Leonardo;
•
la Fontana;
•
il Castello (o Castrum);
•
S. Francesco;
•
S. Nicola;
•
la Cava;
•
Santa Maria;
•
li Fossi;
•
San Gregorio;
•
S.Antonio;
•
la Nunciata;
•
il Monte (lu Munti);
•
lu Spitali o S. Sebastiano o S. Bastianu;
•
la Piazza (o Platea);
•
Santa Rosalia;
•
Sant’Agata;
•
li Bottighelle;
•
Zagarano..
•
Molte di
queste località si estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia,
in tutti e quattro i quartieri.
Centro
topografico del paese era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema
decisione, ma certamente - come detto -
non lontano dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano
botteghe e le abitazioni di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio
Alaimo, il dott. Pietro; i Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli
Afflitto, i Monteleone; i Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione
più esclusivo sembra quello di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi):
vi abitavano i potenti Piamontesi ed i nobili Ugo.
Molti
militari stavano invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle
dei benestanti - ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano
attorno le case terrane (di norma un
solo locale) ove dimoravano i poveri.
Le
maestranze riuscivano a farsi soggiogare dalle potenti confraternite di
appartenenza delle discrete abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe) erano in mano alle
stesse confraternite e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai
propri confratelli.
Il
castello - rimesso a nuovo a metà del XV secolo dai del Carretto, come abbiamo
sopra visto - era in piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano
alcuni loro stretti parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i
Russo il marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.
Il Carmine
era piuttosto deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto
l’egida dei del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche
un altro carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori
semplici frati rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e
dal cognome sembra che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra
Francesco Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe
Ragusa e fra Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il
quartiere di S. Margaritella e quello del Monte.
Rientravano
totalmente nel quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di
Dio), di S. Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa.
Vi confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San
Gregorio.
Erano
annessi amministrativamente al quartiere
della Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del
Castello, di San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche
frangia di Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla
Fontana.
Il nome
della Nunciata appare a cavallo tra Monte e
Fontana.
Se nel
1540 quella dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa
principale; dopo mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha
la grandezza dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del
Seicento) ma è già abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto
notarile del tempo.
Fino al
1608 S. Antonio era ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato.
Persisteva comunque il toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona
gravitante sul quartiere del Monte.
Lo Spitale
era operante nel 1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli.
Tale affidamento avvenne un secolo dopo nel 1693 per opera dell’ultimo Girolamo
del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale Giovanna Vigni aveva soggiogato
all’Ospedale due case per tarì sei annui con atto del notaio Gio: Vito d’Amella
del 10 settembre 1585.
Giuseppe
Gulpi gli aveva costituito un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di
terra con vigne, stanze ed alberi nel
fego della Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di
Racalmuto in data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò
Monteleone in data 29 dicembre 1582.
Un altro
atto di dotazione dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti
del notaio Giacomo Damiano. Risultavano
incisi quasi due secoli dopo “Santo
Cristofalo, Vincenzo e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.
Nel 1693
ecco com’era descritto il vetusto ospedale:
«Nella
terra di Racalmuto vi è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che
dall’antichità di esso non si ha certezza della fondazione e perciò li Prelati
... [ed i del Carretto] have dato la cura ed amministrazione di detto Spedale,
e sue rendite alli Deputati di tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché
s’havessero impiegato à tutto potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per
le molte occupazioni, e per la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati
patiscono della loro salute in tanto detrimento del publico di essa terra.»
L’ospedale
era peraltro munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.
Qualche
immigrato di spicco
Capitava
che dalle vicinanze venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a
Racalmuto. Ebbero così inizio famiglie oggi fra le più significative del paese.
Dal libro dei matrimoni della Matrice estraiamo qualche esempio:
SAVATTERI (provenienza: Mussomeli)
“7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio
di Vito et Angila Carlino cum
Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di
Mussumeli, servatis servandis et facti
li tri denunciatione inter missarum solenia
et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando
inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie et foro beneditti nella missa
celebrata per me presti Francesco
Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro
Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj”.
BUSCEMI (provenienza: Agrigento)
“Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la
gitati di Jorgenti cum Margaritella
figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis
.... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don Paolino Paladino, presento presbiter
Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti”.
SCHILLACI (provenienza: Cerami)
“Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di
la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis
...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti per don Paolino Paladino, presenti Paulino
Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti”.
SCHILLACI (provenienza: Sutera)
“Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di
li Grutti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e
fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si trovando inpedimento alcono, contra essiro
matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico
Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.
RIZZO (provenienza: Scicli)
“Die 30
Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et
Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter
missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino,
non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie
ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e
Francesco Furesta”.
BONGIORNO (provenienza: Gangi)
“Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di
Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di Agro', a litre (lettera) di monsignore
illustrissimo e reverendissimo di
Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la
2a a li 16 e la tercza a li 20 di Jnaro
inter missarum solemnia, non si trovando
inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e
foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu
magnifico Jacubo Piyamontisi, lu
magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa
quantitati di agenti”
PIAZZA (provenienza: Mussomeli)
“Die 8 Januarii 1594 - Minico di CHIACZA di la terra di
Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro
matrimonio pp.ce et foro benediti per me don
Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo
d'Aveda e multa quantità di agenti”.
LO JACONO (provenienza: Aidone)
“Die XVo
Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum
Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis ....
contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter
Leonardo Spalletta, p.nti Ioanni di
Vigna et Hieronimo Piruchio et multa
quantità di genti”.
Uomini e
cose da segnalare
A
Racalmuto sono stanziati come soldati di professione:
1.
Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che
abita al Monte;
2.
Morriali Antonino di Federico, soldato di
cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;
3.
Buxemi Currau anni 35, soldato, abitante anche
lui al Monte;
4.
Barberi Petro anni 50; soldato cavallo, sempre
del quartiere Monte;
5.
Matina (la) Gio, soldato di anni 70, residente
nello stesso quartiere;
6.
Morriali Federico anni 40; soldato, vicino di
casa;
7.
Sferrazza Mariano soldato di anni 22, che abita
nel quartiere di S. Antonio.
In paese,
a fine del secolo XVI, non è del tutto ignota la schiavitù. Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e
sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.
La loro
vicina Antonella, vedova del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi
tempi, emula il singolare rapporto e tiene “Cristina sua serva seu scava” a
farle compagnia.
Del resto
a quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto manteneva una schiava
addirittura dentro il convento che l’ospitava.
Sono
invece ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:
1.
AFFLITTO (D')
CARLO MAGNIFICO
2.
AGRO'(DI) PETRO
3.
ALAIMO (DI) LU M.co PETRO
4.
BALDUNI M.co FRANCESCO
5.
CATHALANO MICHELI
6.
CHICCARANO ANTONINO
7.
GUELI (DI) JOSEPPI
8.
GUELI (DE) GIUSEPPE DI JORLANDO DI ANNI 29
9.
LA LOMIA JOSEPPI
10.
MACALUSO NICOLAO
11.
MACALUSO PETRO
12.
MONTILIUNI Not. Mco COLA
13.
PAXUTA (LA) MATTHEO
14.
PROMONTORO BALDASSARE LO S.r
15.
SALERNO JO:
16.
TODISCO Sp. ARTALI
17.
TODISCO Sra SALVAGIA
Sul finire
del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato 52 mastri (il % dei fuochi). Non sono
tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li
jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la
massa della popolazione, a sfondo quindi proletario e spesso miserabile. I
cinquantadue “mastri” sono:
1.
ALAIMO (DI) M.° ANTONINO
2.
ALLIGRIZZA M° CARLO
3.
AMICO (D') MASTRO PAOLO
4.
ARRIGO M° HYERONIMO
5.
BARBERI M° JOSEPPI
6.
BARUNI M° FRANCESCO
7.
BLUNDO MASTRO GRIGOLI
8.
BOCCULERI M° FILIPPO
9.
BONOANNO HYRONIMO M°
10.
BUFALINO M.° BENEDITTO
11.
CACHIATURI M.° FRANC.
12.
CACHIATURI M° PAULO
13.
CANSUNERI M° GERLANDO
14.
CAPOBLANCO NICOLO M°
15.
CATHALANO M° FRANCESCO
16.
DAIDUNI M° PETRO
17.
DI NOLFO M° HYERONIMO
18.
DILIBRICI MASTRO GIUSEPPE
19.
FACHIPONTI M° PAOLO
20.
GENTILE M.° LUCIANO
21.
GIGLIA (DI) M.° PIETRO
22.
GIGLIA (DI) MASTRO ANTONINO
23.
GIGLIA M.° ANTONINO
24.
GIGLIA (DE) M.° MARCO
25.
GISULFO M° SILVESTRO
26.
GUELI (di) M° ANT.no
27.
GULPI ANTONINO MASTRO
28.
JACONA (LA) M° MASI
29.
LA SCALIA M° ROGERI
30.
LO PILATO M° BARTHULO
31.
MANGIA M° JOANNI
32.
MANGIAMELI
Mastro HETTARO
33.
MEDIORA ? M° ANGILO
34.
MILACZO (DI) M° MATTEO
35.
MONASTERI M° BASTIANO
36.
MONTANA (DI) M° XANDRO
37.
MORREALI
M° MARIANO
38.
NOBILI (LO) M° FRANC.°
39.
NOBILI (LO) M° GIULIO
40.
NOBILI (LO) M° HORATIO
41.
NOBILI (LO) M° MASI
42.
NOBILI (LU) M.° PETRO
43.
PUMA (DI) M° FILIPPO
44.
PUMA (DI) M° LISI
45.
RAGUSA (DI) M° JULIO
46.
RIZZO M°
FRANCESCO
47.
SALVO (DI)
M° PETRO
48.
SANGUINEO M° MASI
49.
SPATAFORA M° PETRO
50.
TAIBI M°
FRANCESCO
51.
VILARDO ANTONI M.°
52.
XANDRA M° HYERONIMO
* *
*
Fine di Giovanni IV del Carretto
Giovanni
IV del Carretto fu trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono
quel fosco delitto.
La
cronaca, fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati
nel 1869 da Gioacchino di Marzo. Eccola:
«A 5 di
maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di
Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli
Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di
Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo
nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come
fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscro, allo
palafango [parafango]di detto; e ci tirarono dui scopettonate nel petto a detto
conti, chi a mala pena potti invocare il nome di Jesù, con gran spavento di
quello che era con detto conti, e con gran maraviglia di tutti li agenti; e
finìo.
« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando
arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o
rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento,
dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è
agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi
in premio a chi rivelasse.
«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano vale
esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà al
denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non sia
lu principali ci avissi fatto detto
delitto, et anco la grazia di S. M.».
Ci
dispiace per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento
la notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al
suo castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada
Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»
Nello
stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31), leggesi che successivamente:
«A 20
ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno
happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari
[Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per
uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte
a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.
«E fu perché il giorno che sindi andli galeri di Franza,
andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti galeri, trovao uno calabrisi
quali era di Paula, e travovauci certi faldetti che avia arrubati allo Casali.
«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti, ché
isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.
«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che isso
con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di
Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia
alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il
detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea
promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».
In
una pubblicazione dell’Archivio di Stato di Palermo vengono fornite notizie sulla dovizia di
documenti relativi al processo del presunto mandante dell’omicidio del conte
Giovanni del Carretto.
Sono
documenti che si trovano nell’ «Archivo
General» di Simancas e precisamente:
- nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE LA MUERTE DEL CONTE DE
RECALMUTO" CC. 123 - ANNO 1608 -
VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.
Riportiamo
integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:
«Si
tratta degli accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO
ISFAR e CRUILLAS, barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di
SOMMATINO, suo nipote, nel processo subito da quest'ultimo, come presunto mandante
dell'assassinio di Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due baroni
sostengono che il processo fu messo su in base a false testimonianze dal
procuratore fiscale della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con
la complicità del Presidente della Gran Corte RAO.
Il
successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di Giacomo Scaglione e
vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse mossegli a proposito
del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del conte Giovanni del
Carretto.»
In quei
“legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un delitto
in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I del
Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a
distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del
Carretto, evidentemente per interessi.
Ma è
storia di famiglia che a noi non importa gran che. E’ in definitiva storia
della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo altrettanta indifferenza.
La comunità
ecclesiale di Racalmuto nei primi anni del Seicento.
Il nuovo
secolo, il XVII, si apre a Racalmuto con un vuoto: non c’è ancora il nuovo
arciprete. Questi viene solo dopo alcuni mesi e si tratta di
Andrea
d’Argomento.
Questo
nuovo arciprete di Racalmuto è comunque esaminatore sinodale ad Agrigento, ed è
dottore in utroque iure; giunge nel
marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa,
prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche
lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo
di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia.
Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle
costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si
trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo
ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del
1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete;
all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che
trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri
termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di
chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le
“glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture
avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo
Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un
pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata
da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da
Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di
questo arciprete dottore in utroque.
Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore
arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale.
Dopo il
1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con
Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile -
vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è
costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri
giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico
percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra
Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici
cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don
Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione
peccaminosa con la vecchia madre del primo.
La diocesi
sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un
indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607
e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per
riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.
Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si
porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione
minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e
misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di
Racalmuto, e non solo quella religiosa.
L’anno successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e
completa la vista..
Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva
essere anomala sotto il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio
legittimato - era stato concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto
Giovanni IV del Carretto - don Vincenzo del Carretto si era insediato nella
chiesa di S. Giuliano, elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse
stato consacrato sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene
dall’indagare. Il potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non
consente insolenze del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione
di San Giuliano hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola:
ratifica il fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti
approssimativamente uguali: la bisettrice parte dal Carmino ed arriva a la
Funtana lungo un percosso che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo
riusciti a tratteggiare con sicurezza. Non passava di certo per la discesa
Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni
pressoché impraticabile, ma lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la
chiesa di Santa Rosalia, posta al centro del paese, ma dalla parte di S.
Giuliano, per irrompere nella parte terminale della vecchia via Fontana.
La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete;
quella a nord-ovest, in mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene
assegnata al giovane - è appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro
d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è
già affermato ed una sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta -
viene apprezzata, come abbiamo visto, in occasione della visita a Santa
Margherita, la chiesa congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum
quadrum dictae S. Margaritae depictum in
tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del
vescovo).
Giovanni IV del Carretto, familiare del Santo Ufficio, ma
per interessi e per sottrarsi a tribunali laici molto meno accomodanti, non
dovette essere molto religioso. Quel figlio legittimato che faceva il prete nel
suo lontano feudo di Racalmuto doveva apparirgli come un povero diavolo che si
arrabattava per superare le umiliazioni del suo essere stato concepito in toro
non benedetto. Gli echi della vita religiosa della sede della sua contea gli
saranno pervenuti, ma molto affievoliti, lasciandolo nella totale indifferenza.
Non vi è documento che comprovi la sua presenza, anche saltuaria, a Racalmuto.
Ma appena seppellito quel truculento conte, il figlioletto deve raggiungere la
lontana dimora di Racalmuto, così diversa dai fasti di Palermo.
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