GIOVANNI
II DEL CARRETTO
La rivolta
a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere cosa seria se da
quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.
Dalla
ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo di dubitarne - che a
Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo quando e come. Il
Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa ben poco: «Ioannes
natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati commendasset.
Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque
semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare
evidenti carenze di notizie. Quali fossero quelle gesta che affidarono la
famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo
nessuna ... memoria.
Accontentiamoci
del fatto che fosse il figlio maggiore
[natus maior] e che avesse partorito il successore Ercole, il celebre
falso conte della venuta della Madonna del Monte, e Paolo di cui gli archivi
vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche dato sulla sua litigiosità
con i sindaci di Racalmuto ().
Apprendiamo
dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli () che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni di Regalmuto per anni ...
vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi trentacincho, uno
vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio.»
Quando sia
avvenuta quella vendita non ci è noto; il rendiconto è del 1486 e come si è
visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si riferisse la vicenda di
cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel Sorge (op. cit. pag. 209 e
segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11 ottobre 1467 (data in cui
“venne stipulato il contratto col quale il procuratore di Ventimiglia
rivendette a Pietro del Campo la baronia di Mussomeli, col suo castello ...”).
Le nostre successive indagini presso gli Archivi di Palermo (in particolare
“Archivio Campofranco, Fatto delle cose
notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia,
confiscationes bonorum et investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in
Sorge) non ci hanno sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del
Carretto e specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo
Rabiuni di Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra
dunque appurato che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto si sia bene
ripresa dalla crisi del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il
costoso feudo Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso.
Del resto, in quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti:
nello stesso “conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386)
si accenna al possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3
videlicet quinte Ind. 6 Ind. E 7 Ind. Et pri unzi quattordichi quolibet anno
uno crastatu, uno cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno
da pagarsi la mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano
intentendosi quindici anni primi poi di Pasqua.» ()
Il
Barberi, che l’inchiesta - piuttosto acidula contro i del Carretto - la fa a ridosso degli anni della baronia di
Giovanni II, ha questi appunti critici:
«E morto il cennato Federico, gli successe
Giovanni del Carretto, suo figlio, il quale, come appare dall’ufficio della
regia cancelleria, non prese giammai l’investitura della detta terra.»
ERCOLE DEL CARRETTO
E
subito dopo abbiamo Ercole del Carretto, quello che le saghe sulla venuta della
Madonna del Monte chiamano “conte”. Il Barberi annota su di lui:
«Morto il detto Giovanni, gli successe Ercole
del Carretto figlio legittimo e naturale e maggiore del detto Giovanni, del
quale del pari non risulta investitura alcuna ed al presente si possiede quella
terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once
700.»
Il
Baronio, come si è visto, quasi non lo cita: un accenno trasversale, come si
fosse trattato di un riflesso sbiadito del gran fulgore che era stato il padre.
Il Barberi
ebbe a conoscerlo giacché è proprio sotto Ercole del Carretto che visita
Racalmuto come lascia intravedere il passaggio : al presente si possiede quella terra per lo
stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700.
Settecento once di reddito - a meno che non
trattisi di esagerazioni fiscali alla stregua delle mirabolanti cifre dei
moderni accertamenti degli agenti tributari - sono un’enormità. Sia quel che
sia, Racalmuto dunque in esordio del ‘500 - e proprio sotto Ercole del Carretto
- ha un salto quantitativo, un sussulto verso il grande centro. Nostri
precedenti studi () hanno messo in evidenza questo significativo passaggio
demografico e sociale. Dal rivelo del 1505 (un paio d’anni dopo la venuta della
Madonna) emerge una popolazione aggirabile sui 1600 abitanti: un secolo prima
(nel 1404) erano poco più di 750. Certo, la baronia dei del Carretto non era
stata molto felice e varie strozzature demografiche e sociali si erano
verificate. Le abbiamo notate in quello studio, ma tutto sommato si poteva
essere abbastanza soddisfatti.
La venuta della Madonna del Monte
Era
persino sorto un clima messianico per cui era potuta allignare la saga della
Madonna del Monte. Sciascia è caustico:
«correva l’anno 1503, ed era signore
di Regalpetra Ercole del Carretto ... C’è poi da dire che la statua è della
scuola dei Gagini, e appare molto improbabile sia finita in Africa; ma di più
di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il
Gioeni e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi; inquietante come
l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al professor Pende, perché
proprio al professore, perché al del Carretto,
perché tra i regalpetresi la Madonna ha voluto fermarsi, la popolazione
di Castronovo essendo in egual misura fatta di uomini onesti e di delinquenti,
di intelligenti e di imbecilli.» () Ma è proprio lui che poi negli Amici della Noce se la prende con
l’incolpevole padre Morreale, reo a suoi occhi di avere cercato un po’ di luce
(storica) su questa saga cui tutti i racalmutesi siamo legati.
Ma
neppure, a ben vedere, riusciamo a concordare del tutto con il valente padre
gesuita sui motivi che avrebbero spinto gli odiati Requisenz ad inventarsi la
leggenda della Madonna del Monte «per fare apparire i Conti del passato, ma
intenzionalmente quelli del presente, quali grandi benefattori del paese: così
il barone Ercole del Carretto, e con lui tutta la sua famiglia, cominciò ad
essere presentato nella leggenda come insigne benefattore del culto della
Vergine del Monte, costruttore della sua prima chiesa nel 1503.» () Osta se non
altro il fatto che i Requisenz si appropriano di Racalmuto il 28 gennaio
1771 ed a quella data la saga era ben
salda nei cuori e nella fede dei racalmutesi, come dimostra l’ex voto che si
ammira al Monte. Precedente era anche lo scritto di Francesco Vinci (pubblicato
secondo lo stesso padre Morreale, pag. 35) nel 1760 e forse anche quello di
Nicolò Salvo. Ma soprattutto appare dirimente il fatto che già nel 1686 la
curia vescovile di Agrigento considerava “miracolosissima imago” (immagine
molto miracolosa) quella che si venerava nella chiesa di S. Maria del Monte di
Racalmuto. () Il nostro spirito laico ci
è d’intralcio nel chiarire questioni come questa, che coinvolgono aspetti di sì
rilevante delicatezza religiosa. Ci limitiamo a pensare che Ercole del Carretto
ebbe davvero a costruire la prima chiesa del Monte (di una precedente chiesetta
intestata a S. Lucia, non abbiamo alcun documento probante) ed ebbe a
corredarla facendo venire da Palermo una statua di marmo. Fu evento memorabile:
quella Vergine marmorea, così somigliante alle giovani madri di Racalmuto,
brevilinee e rotondette, dovette impressionare e sbalordire gli ingenui occhi
dei contadini locali. Legarvi il senso del portento, del miracolo, fu semplice
e coinvolgente. Già nel 1608, in una visita pastorale, quel simulacro era
maestosamente eretto sull’altare maggiore della Chiesa del Monte: il vescovo -
recita il testo episcopale - “Visitavit altare maius super quo est imago
marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata”.
Tratti anagrafici di Ercole del Carretto
Scarne
sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non sappiamo quando nasce:
la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tal Marchisa di cui ignoriamo
il casato.
Dal
processo d’investitura del figlio Giovanni III possiamo abbozzare questi altri
dati: fu “signore e barone della terra di Racalmuto e tenne e possedette quella
terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con tutti i suoi
diritti e pertinenze”. “Vi cambiò tutti gli ufficiali tutte le volte che gli
piacque”. “Ebbe a percepire o far percepire frutti, redditi e proventi della
baronia di Racalmuto quale vero signore e padrone”. “Tenne il figlio Giovanni
come figlio primogenito, legittimo e naturale e per tale lo trattava e come
tale lo reputava così come veniva ritenuto, trattato e reputato dagli altri.”.
“In qualità di signore e padrone della predetta terra e padre del signor
Giovanni, piacendo a Dio morì e fu seppellito nel castello della terra di
Racalmuto nel mese di Gennaio VI indizione del 1517, dopo avere redatto solenne
testamento per mano del notaio Giovanni Antonio Quaglia della città di
Agrigento il 16 del predetto mese di gennaio, ove ebbe ad istituire suo erede
universale il detto magnifico signore Giovanni”.
Nel suo
processo d’investitura si legge che: a
«Johanni de Carrectis» successe «quondam magnificus Hercules, unicus filius
legitimus et naturalis.» ()
Crediamo
che il noto giurista operante a Racalmuto, Artale de Tudisco, fosse già al
servizio di Ercole del Carretto. Altro notabile del suo entourage
fu il nobile Alonso de Calderone che così testimonia: «stando ipsu testimonio como uno degli domestichi di lo quondam
magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayalmuto, vidia dicto magnifico regiri
et governari la dicta terra et in quella permutari li officiali et rescotirisi
et fachendosi rescotirj li renditi et proventi di dicta terra comu veru signuri
et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo primogenito et unico di dicto quondam signuri
Erculi lu Garrecto a lu quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et
reputava per figlio unico et primo genito et da tucti accussi era tenuto,
trattato et reputato; lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu
in lo castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo
intisi dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento.»
Testimoniò
anche certo Francesco Maganero come intimo del defunto barone, così come il
“nobile” Andrea de Milazzo. Personaggi egualmente di risalto furono i “nobili”
Antonino Palumbo, Alfonso de Silvestro e Gaspare Sabia.
Il cennato
processo include anche uno stralcio del testamento di Ercole del Carretto che qui
riportiamo in una nostra traduzione dal latino:
«E’ da
sapere come fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole
del Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.
«Nel nome
del Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel
mese di gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del
magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime
volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.
«E poiché
capo e principio di ogni testamento fu ed è l’istituzione dell’erede
universale, così il detto magnifico e spettabile signor Ercole, testatore,
istituì, fece ed ordinò suo erede universale il magnifico e spettabile signor
D. Giovanni del Carretto, suo figlio legittimo e naturale, nato e procreato da
lui e dalla quondam magnifica e spettabile donna Marchisa del Carretto, un
tempo prima moglie dell’illustre e spettabile testatore sopraddetto.
«E tale
eredità si estende sopra tutti i beni suoi, mobili e stabili, presenti e
futuri, amovibili ed inamovibili, nonché in ordine a tutti i debitori ovunque
esistenti e meglio individuabili e designati, e principalmente nella baronia,
nei feudi e nei territori di Racalmuto, con tutti i suoi diritti, redditi,
emolumenti, proventi, onori ed oneri della detta baronia a giusto titolo
spettanti e pertinenti, secondo la serie
ed il tenore dei suoi privilegi e dei suoi indulti e concessioni, in una con l’amministrazione
della giustizia giusta la forma dei suoi privilegi.
«Dagli
atti miei, notaio Antonino Quaglia agrigentino.
«26 marzo
- VI^ Ind. - 1518.»
Il
testamento ci svela come Ercole del Carretto abbia sposato in prime nozze la
citata Marchisa madre del primogenito Giovanni III. Ercole poté avere contratto
altre nozze ma non ne sappiamo nulla.
Paolo del
Carretto
Di quale
madre fosse, ad esempio il terribile Paolo del Carretto, non è dato sapere.
Abbiamo un inghippo che non è facile districare. Alcuni testi dichiarano
Giovanni III del Carretto figlio unico di Ercole (vedi testimonianza del
Tudisco così come del Calderone), ma nel testamento del Quaglia questo aspetto
viene glissato. Supposizioni se ne possono fare tante, ma il dubbio resta. Ed
allora va creduta la rutilante storia che il Di Giovanni ci fornisce, oltre un
secolo dopo, nella rinomata Palermo
restaurata? Siamo propensi ad avvalorare l’ipotesi affermativa. Va qui
allora ricordato che nel 1630 circa quello strano personaggio che fu il
cavaliere Di Giovanni scrisse per sé
secentesche memorie che oggi sono una miniera di notizie. Discendente per via
laterale dai del Carretto e addirittura dal padre di Ercole del Carretto -
almeno a suo dire - confezionò un racconto truculento in cui non è facile
distinguere il loglio dal grano. Investe la Racalmuto dei primi del
‘Cinquecento e noi non possiamo esimerci dal reiterare quel racconto, quanto bizzarro
ed inventato Dio solo sa.
«Nel tempo che fu Lotrecco [Lautrec] a Napoli
successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si nota dopo quel di Sciacca. E
fu il predetto caso, che essendo nella città di Castronovo D. Paolo Carretto,
mio avo paterno, uomo di gran valore, e avendo differenza con uno di casa
Barresi, gli diede il Carretto uno schiaffo; onde ne successe fra loro
gravissima inimicizia, in modo che la città si ridusse a parte.
Un giorno volle il Carretto andar a visitare suo
fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi andò con 25 cavalli. Ma saputo
ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla piana di santo Pietro. Vide egli
da lungi venire i nemici; e potendosi salvare nella chiesa di santo Pietro, gli
parve viltà, e si risolse piuttosto morire, che far gesto di sé indegno. Si
venne tra loro alle mani; ché animosamente il Carretto investì, e ne morsero
dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto, investendo il suo nemico, era
con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso per il petto, quando uno de’
compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo mandò morto a terra.
Satisfatti perciò i nemici, attesero a salvarsi,
e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec] a servire Sua Maestà, perché
erano due fratelli; e gli successe in una giornata di adoperarsi valorosamente
sotto la condotta del conte Borrello, figlio del viceré, perché mantennero un
ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il soccorso; dal che si evitò
gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.
Del che fattosene relazione a Sua Maestà,
spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli indultati in vita, e fûro fatti
capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente il successo D. Giovanni
Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per vedersi i nemici, in quel momento
favoriti, stargli innante gli occhi, e perché era di gran valore e chimera,
procurò quello, che non avea procurato il padre D. Ercole.
In quel tempo era nella città di Naro Enrico
Giacchetto, uomo valorosissimo e potente, consobrino di mia ava paterna, il
quale, per avere inimicizia con il barone di Camastra, anco della città di
Naro, manteneva a sue spese cento cavalli, ordinariamente di gente scelta e
valorosa, con li quali faceva allo
spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne temeva tutto il regno.
D. Giovanni del Carretto, figlio del predetto D.
Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che gli era amicissimo, a cui
conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse adoperare per lui in
satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise buona opera Enrico; e perché si
sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le case da Castronovo, e
portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con quaranta cavalli, e,
venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate, per quel cammino assaltò
i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non prima si videro Enrico
addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono finalmente giunti, presi
ed uccisi.
E se ne presero le teste, che furono portate al
predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse gran travagli di giustizia,
ne fu pure assai satisfatto e contento; tanto si estimava l’onore in quei
tempi.
N’ebbe al fine gran travagli: ma col tempo ne
riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.»
“Più
solidità e più stabilità” Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag. 95) pensa
che possa avere il suo congetturare sulla genesi della saga della Madonna del
Monte, quale trasfigurazione dei fatti sopra narrati. Francamente non ce la
sentiamo di seguirlo. Non siamo neppure certi, come si è visto, che Paolo del
Carretto fosse racalmutese e fosse davvero fratello del barone Ercole.
Probabile invece che una volta conosciuta la
tresca di Paolo, Ercole e Giovanni del Carretto, nelle prime decadi del
Seicento, abbia preso corpo a Racalmuto la sublimazione della vetusta e pia
memoria della “venuta” di quella
adoratissima immagine marmorea della Madonna del Monte.
Il canto
popolare che la prof.ssa Isabella Martorana ha saputo recuperare dalla viva
voce delle locali vecchiette non è coevo certo alla venuta della Madonna del
Monte, ma ha insiti spunti storici che sia pure postumi meglio rispecchiano la
genesi della saga. Venuta da Trapani - più verosimile che si fosse parlato di
Punta Piccola - , “intranno a Racarmuto pi la via/ vonzi ristari cca la gran
Signura”, sono scisti con qualche valenza storica. Ma visto che “a lu conti cci
arrivà mmasciata”, il riferimento è decisamente postumo, databile dopo il
declinare del XVI secolo. Il carme dialettale, bello esteticamente, lascia nelle
brume anch’esso l’origine della pia tradizione del miracoloso evento della
Madonna del Monte che sceglie la sua dimora nel nostro paese, in cima alla
panoramica altura della omonima chiesa.
GIOVANNI
III DEL CARRETTO
Figura
centrale nello snodo dei feudatari di Racalmuto, fu anche colui che seppe
portare all’apice la signoria carrettesca della nostra terra. Alla morte del
padre s’insedia nel castello baronale con puntiglioso rispetto della liturgia
feudale. Invia a Palermo come suo procuratore il magnifico Artale Tudisco - di
cui sopra - ed il 28 gennaio 1519 ottiene la rituale investitura.
Giovanni
III del Carretto, appena barone, si sarebbe macchiato della committenza di un
delitto contro i Barresi di Castronuovo. Così racconta il suo lontano pronipote
Vincenzo di Giovanni. Ma sarà stato poi vero? Si dà il caso che gli atti
disponibili ce lo raffigurano - per quel che vedremo - un uomo religiosissimo,
al limite del bigottismo, prodigo con preti, monaci e chiese. Anche con il suo
notaio, quel Jacopo Damiano che finì sotto tortura nelle segrete del Santo
Uffizio. Per eresia, si scrisse. Per eccessiva indulgenza verso gli eccessivi
empiti di sperperatrice religiosità del suo assistito in punto di morte,
abbiamo voglia di pensare noi.
Il
Baronio ce lo descrive ovviamente in termini esageratamente elogiativi.
Traducendo dal latino, per quello storico di casa del Carretto: «da Ercole si
ebbe Giovanni III, singolare figura per prudenza e per intemerata virtù. Carlo
V quando fu a Palermo lo coprì di mirabili onori. Di tal che, sia per la
propria che per l’avita nobiltà, fu degno di stare con grande onore tra i
Dinasti. Giovanni ebbe due figli: il primogenito Girolamo ed il glorioso
Federico che divenne barone di Sciabica.» (vedi op. cit. §§ 75 e 76)
Processo
d’investitura di Giovanni del Carretto, ultimo barone di Racalmuto
Sul
citato Giovanni fornisce lumi il processo n.
1175: () abbiamo avuto già modo di citarlo. Siccome lo riteniamo
basilare per la storia racalmutese del secolo XVI, lo trascriviamo, traducendo,
quando occorre, dal latino.
«N.°
1175
- In Palermo nell’ufficio del
Protonotaro del Regno di Sicilia, sotto la data del 28 gennaio, VII^ Ind., 1519.
«Memoriale esibito e presentato nell’Ufficio
del Protonotaro del Regno di Sicilia, dall’ill. Artale de Tudisco, procuratore
del magnifico signore don Giovanni del Carretto, figlio primogenito, legittimo
e naturale, unico ed universale erede del quondam magnifico Ercole del
Carretto, un tempo signore e barone della terra di Racalmuto (Rayalmuti), che teneva
e possedeva la detta terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio,
nonché con i suoi diritti e pertinenze a seguito della morte del prefato
quondam magnifico Ercole, suo padre.
E tanto per prendere l’investitura della detta baronia con i
suoi diritti e pertinenze sia per la morte del signor nostro Re Ferdinando, di
gloriosa memoria, sia per la successione delle maestà cattoliche, la Regina
Giovanna ed il Re Carlo, signori nostri invittissimi, quant’anche per la morte
del prefato quondam magnifico Ercole del Carretto, suo padre.
«Innanzitutto, si afferma che il detto quondam magnifico
Ercole del Carretto, padre del detto magnifico don Giovanni, al tempo della sua
vita, e fino alla sua morte, tenne e possedette la terra di Racalmuto, con il suo castello e
fortilizio, nonché con i suoi diritti e pertinenze, cambiando tutti gli
ufficiali tutte le volte che piacque al medesimo quondam magnifico barone
Ercole e percependo e facendo percepire i relativi frutti, redditi e proventi
da vero signore e padrone.
«Del pari, si testimonia che il prefato magnifico signore
Giovanni del Carretto fu ed è figlio primogenito, legittimo e naturale del
detto quondam magnifico Ercole e come tale e per tale lo teneva, trattava e
reputava, così come era dagli altri tenuto, trattato e reputato.
«Del pari, si afferma che il detto quondam
magnifico Ercole del Carretto, un tempo signore e barone della detta terra e
padre del detto magnifico signor Giovanni del Carretto, quando piacque al
Signore, morì e defunse nel castello della predetta terra di Racalmuto, sotto
la data del mese di gennaio, VI^ Ind., 1517, lasciando superstite e successore
in detta baronia il detto magnifico quondam Giovanni del Carretto, dello stesso
quondam magnifico Ercole figlio unico, legittimo e naturale, ed avendo prima
redatto testamento solenne in mano del notaio Antonio Quaglia del città di
Agrigento, sotto il giorno 27 del predetto mese di gennaio, testamento nel
quale venne istituito suo universale erede il detto magnifico signor Giovanni.
«Del pari, si afferma che, morto e defunto il detto
magnifico Ercole, il detto magnifico don Giovanni del Carretto, quale figlio
legittimo e naturale del detto quondam magnifico Ercole, e come successore
legittimo in detta baronia, ebbe per il tramite del suo procuratore, prese e conseguì l’attuale, reale e corporale possesso della
detta terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con i suoi
diritti e pertinenze, secondo quanto risulta dal rogito celebrato nella terra e
nel castello predetti dal notaio Antonio Quaglia della città di Agrigento in
data 16 di gennaio VI^ Ind. 1517.
«Del pari, si afferma che in questo regno di Sicilia fu ed è
fama pubblica e voce notoria che il prefato cattolico Re Ferdinando, di
gloriosa memoria, morì e che il suo ultimo giorno di vita cadde nel mese di
gennaio della IV^ indizione [1516] passata prossima ed a lui successe in tutti
i suoi dominî e regni la serenissima
Regina donna Giovanna, sua figlia legittima e naturale, nonché il cattolico ed
invittissimo Re Carlo, della stessa regina Giovanna figlio primogenito e
naturale. Così fu ed è la verità.
«Del pari, si afferma che al fine di prestare il debito
giuramento e l’omaggio della dovuta
fedeltà e del vassallaggio, nonché di ottenere l’investitura della
predetta terra e castello, con tutti i suoi diritti e pertinenze - tanto per la
morte di Re Ferdinando, di gloriosa memoria, quanto per la morte del proprio
padre - seriamente creò ed istituì suo procuratore il magnifico illustre Artale
de Tudisco, come risulta dalla procura agli atti dell’egregio notaio Giovanni
de Malta, in data 26 del presente mese di gennaio VII^ Ind. 1519.
«Testi
ricevuti ed esaminati nell’ufficio del Protonotaro del Regno a richiesta ed
istanza del magnifico don Giovanni del Carretto, figlio legittimo e naturale
del quondam magnifico don Giovanni del Carretto, al fine di prendere
l’investitura della baronia di Racalmuto, tanto per la morte del Re Ferdinando,
di gloriosa memoria, quanto per la morte del magnifico Ercole del Carretto, suo
padre e signore di detta terra.
[...]
«E’ da
sapere come fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole
del Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.
«Nel nome
del Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel
mese di gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del
magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime
volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.
[ ...]
«A tutti e
singoli i chiamati ad ispezionare seriamente, vedere e leggere il presente atto
pubblico, sia evidente e noto che esso fu redatto da me notaio, con i testimoni infrascritti, presso il castello della terra e baronia di
Racalmuto nel Regno di Sicilia.
« Si è
costituito il magnifico signor Cesare del Carretto quale procuratore del magnifico e spettabile signor don
Giovanni del Carretto, signore e barone della predetta terra e baronia di
Racalmuto, figlio primogenito, legittimo e naturale del magnifico e spettabile quondam signor Ercole del
Carretto, morto di recente nella detta terra e dipartitosi da questa vita
adempiendo tutte le formalità necessarie per conferire alle sue ultime volontà
la totale validità.
«Peraltro,
con pubblico strumento redatto in carta membrana, sono state espletate le
conseguenti formalità in modo solenne
presso la città di Napoli il primo marzo VI^ indizione 1518 per mano del nobile
ed egregio Bartolo Carloni della stessa città di Napoli, abilitato notaio per tutto
il regno di Napoli .
«Di tal
che è stato preso, recepito e tenuto -
così come si prende, si recepisce e si tiene - il naturale, reale e corporale
possesso della predetta terra e baronia di Racalmuto per tatto e tocco delle
chiavi del castello della stessa terra e baronia, nonché della porta e del
cantone dello stesso castello, aprendo e
chiudendo, entrando ed uscendo dal castello ad
libitum senza l’opposizione di alcuno.
«Se ne
attesta quindi il possesso con tutti i singoli relativi diritti e pertinenze. E
se ne redige atto in segno di vera presa del possesso naturale, reale e
corporale della predetta terra e baronia, con tutti i singoli suoi diritti e
pertinenze, acquisendone l’integrità dello stato della stessa terra e baronia
sotto il profilo del dominio, quale configuratosi con le sue spettanze e
pertinenze giusta la forma, la serie ed il contenuto dei privilegi della
ripetuta baronia.
«E
continuando nella presa di possesso, fattane l’acquisizione, il procuratore
mutò e depose nella detta terra gli ufficiali; in essa quindi nominò altri
ufficiali e cioè: innanzitutto istituì e nominò capitano della medesima terra
Nardu lu Nobili; giudice il nobile Scipione lu Carretto; giudice ordinario e militare, il magnifico
signore don Paolo de Mistrectis.
«Del pari,
nominò Giurati: Enrico lu Nobili; Pietro d’Acquisto, Vito Taibi e Andrea Gulpi.
Come Castellano del predetto castello fu chiamato il magnifico signore don
Giovanni Benigno de Tudisco; come Segreto,
il magnifico Silvestro de Urso; come Maestro Notaro il magnifico
Gilberto de Tudisco.
«E per
segno di quanto precede, il predetto procuratore - a tal ultimo titolo - fece
redigere il presente atto pubblico da valere per ogni luogo e tempo.
«Testi: il
magnifico Matteo del Carretto, il magnifico Jo: Artale Tudisco, il magnifico
Teseo de Torres ed il nobile Giacomo de Alletto.
«Dai miei
atti, notaro Antonino Quaglia agrigentino»
«26
gennaio VII^ Ind. 1519
«Il
magnifico don Giovanni del Carretto, barone e signore della terra di Racalmuto,
presente innanzi a noi, spontaneamente - con
ogni miglior modo e forma con cui più preclarmente può essere detto e
fatto - costituì, scelse, creò e solennemente nominò come suo vero ed
indubitato procuratore, attore, nunzio speciale il magnifico Giovanni Artale
Todisco.
«Questi,
presente ed accettando l’onere della infrascritta procura del tutto
volontariamente, compare a nome e per conto
e parte del predetto magnifico costituente dinanzi l’ill. signor Viceré per prendere l’investitura della terra e
baronia con relativo castello di Racalmuto, nell’integrità del suo stato e
nella pienezza dei suoi diritti e pertinenze, sia per la morte di Re
Ferdinando, di gloriosa memoria, sia per la successione delle invittissime
cattoliche maestà, la regina Giovanna ed il Re Carlo, signori nostri
invittissimi, e sia per la morte del quondam magnifico Ercole del Carretto, il
di lui padre.
«Al
contempo, il procuratore, in nome e per parte del predetto magnifico mandante,
si presenta per prestare il giuramento e rendere l’omaggio di debita fedeltà e
vassallaggio nelle mani dell’illustre e potente signore viceré, nonché per
svolgere quant’altro occorra per prendere la predetta investitura, non mancando
il detto magnifico mandante di obbligarsi
sotto vincolo di ipoteca etc.
Così giurò etc.
« Testi:
nobile Pietro Pasta e magnifico Vito Paladello.»
Da questo
processo, che - pur nella sua contorsione - è il meno complesso dei processi
d’investitura dei del Carretto, emergono due o tre istituti molto peculiari del
diritto feudale della nostra terra di Racalmuto:
1.
Diritto dei baroni all’amministrazione della giustizia. Un
secolo dopo, il pingue vescovo di Agrigento Horozco cerca pretestuosamente di
contrastarlo, fingendosi paladino di un omicida, il chierico Jacobo Vella.
2.
Diritto alla destituzione e nomina di tutte le cariche,
civili e militari, di Racalmuto. I Tudisco, i Promontorio, i Piamontesi, i
Neglia, i Puma, i Nobili, gli Acquisto, i Taibi, i Fanara, i La Licata, i Gulpi, i Rizzo, i Morreali, i
Vaccari, i Capobianco etc. hanno, tra il XIV ed il XVI secolo possibilità di
farsi apprezzare dagli stravaganti baroni di Racalmuto: ne diventano fiduciari;
spesso si arricchiscono alle loro spalle; in ogni caso attecchiscono nella
fertile terra del grano. Poi tanti svaniscono nel nulla. Qualcuno resta
tuttora, ma senza più il ruolo di profittatori del regime.
3.
Non emerge ancora un chiaro affermarsi del diritto al terraggio ed al terraggiolo [prestazioni in natura da parte dei coltivatori delle
terre del barone, nel primo caso, e fuori la baronia, nel secondo - stando
almeno alla volgarizzazione della fine del Settecento].
4.
Il mero e misto
imperio dei baroni fa capolino nel
Cinquecento, ma piuttosto tardivamente.
Giovanni
III del Carretto eredita la boronia di Racalmuto qualche tempo prima
dell’iniziale investitura; alla morte del padre Ercole e cioè il 27 gennaio (o
un paio di giorni dopo) del 1517. Il 16 marzo di quell’anno il neo barone manda
come suo procuratore Cesare del Carretto per la formale acquisizione della
baronia. Il relativo atto viene stilato
con rogito del notaio Bartolo Carloni di Napoli in data 1° marzo 1518. Il
successivo 26 gennaio 1518 nomina procuratore il già detto Giovanni Artale
Tudisco per gli adempimenti presso la curia vicereale di Palermo. L’investitura
risulta definita il 31 gennaio del 1519. “Fiat investitura” la nota finale del
processo. In una ricostruzione del 1558 si dice che Giovanni fu costretto
all’investitura “per la morte del cattolico ed invittissimo re Ferdinando di
gloriosa memoria e per la successione delle cattoliche maestà la regina
Giovanna ed il re Carlo”. Adempimenti che comportavano aggravi fiscali in prima
battuta per il barone, ma per ricaduta sui malcapitati nostri compaesani del
‘500. E poi si vuol far credere che i grandi eventi della storia non avessero
incidenza sulla villica popolazione racalmutese!
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