Cap. XLIV
la grande guerra
Occupiamoci ora della guerra in relazione al nostro paese della
Grande guerra, la guerra Europea che cominciò il 1914 e finì il
1918, trascinando il mondo nel la rovina.
Scoppiata nel 1914 tra gli Imperi Centrali e la Francia a cagione
del delitto di Serajevo, l’Italia stiede un’anno neutrale, lasciando
in lizza la Germania e l’Austria-Ungheria contro la Francia.
Il fatto da noi fu giustificato per rivendicare i confini naturali
di Trento e Trieste, di cui l’imperatore Francesco-Giuseppe non ci
voleva dare “nemmeno una pietra” . Coloro che ci leggeranno appresso
nei secoli futuri sapranno più dettagliatamente come in un primo
tempo la Germania, violata la neutralità del Belgio, l’Inghilterra
scese in campo in difesa del piccolo regno devastato ed ancora la
Russia, mentre la Turchia si schierò a favore degli Imperi; poi
scese l’Italia ed infine l’America. Le generazioni che sorgono e
sorgeranno appresso devono sapere che la detta Grande guerra durò
cinque lunghi anni senza cessare facendosi per terra, per mare,
nell’aria. La vita umana non ebbe più valore; nei paesi, nelle città
la sera si stava allo scuro per paura delle bombe gettate da
aeroplani, uccidendo vecchi, donne, fanciulli: gli uomini in vigore
delle loro forze erano alla guerra. Da ciò ne venne la penuria dei
viveri e di tutte le cose necessarie alla vita.
Riesi diede il suo contingente con morti, feriti e mutilati.
Riguardo al caro viveri, si fece di necessità virtù. Istituitosi un
Comitato di soccorso, si fece a gara per le famiglie dei soldati in
guerra; la casa della signora Donna Francesca D’Antona, che ci aveva
un figlio soldato, era frequentata dalle madri e signore per
allestire gli “scalda panni”.
Sui campi di battaglia, nelle trincee, accorrevano giornalmente i
nostri soldati a difendere la patria. In giorni tristi, si
piangeva, si soffriva anche la fame, ma ci si rassegnava. Che si
voleva fare? Di chi la colpa ?
Finalmente la guerra cessò il 4 Novembre 1918. Cessato il fuoco,
fatto l’armistizio, ritornarono fra le famiglie i prigionieri, i
reduci, i mutilati ; solo i morii che non ritornano mai, non si
videro, ma le famiglie si rassegnavano, sapendoli morti da eroi.
E’ scritto alle Termopoli,
In sugli achei stendardi,
Meglio morir da liberi
Che vivere da codardi.
Fra 500 mila morti italiani, si distinsero da valorosi, seguenti
nostri Compaesani che noi vogliamo qui ricordare, venerare,
rimandando i loro nomi ai posteri.
Il Capitano Salvatore Faraci, già Tenente di Complemento del 22
Regg. di Fanteria. Ebbe i natali il 24 Aprile 1882 da Vincenzo e
Gaetano Imbergamo. Operai agiati lo mandarono a Caltanissetta a
proseguire gli studi all’istituto Tecnico, compiuto il quale,
Salvatore passò a Catania a frequentare l’istituto nautico, dal
quale ne usci col grado di macchinista navale in prima; ma il
giovane Faraci non pago di ciò, volle elevarsi ancora, recandosi a
Torino per frequentare studi Superiori industriali, mentre era
impiegato in Officine meccaniche.
Nel 1909, chiamato alle armi, si affezionò subito alla vita
militare. Congedatosi col grado di Sottotenente di Complemento, ebbe
l’idea di salpare per l’America. Nella guerra fu richiamato e venne
in Italia. Da Messina fu mandato in Carnia e nel Novembre del 1915
vi tornò di nuovo per istruire le reclute del suo reggimento; ma
dietro sua domanda fu rimandato alla Frontiera, passando col grado
di Tenente sul Trentino e in Valsugana. Il 19 Maggio 1916, durante
un assalto eroico, cadde sul campo della lotta. Medaglia di argento
con motivazione:
* Mentre con animo saldo e fermo braccio, alla testa dei suoi
* prodi soldati, faceva argine all’orda nemica, irrompente, fu
* colpito a morte da pallottola nemica.
”Mirabile esempio di amore per la patria fino al sacrificio della
sua giovane vita”. (Da: La Rivista eroica).
Capitano Giuseppe Ferro di Giuseppe e di Rosina Cultrera, maestra
elementare nato il 7 Ottobre 1904. il padre, R. Ispettore scolastico
a Catania, vide il figlio iscritto al secondo anno d’Università in
legge; appena scoppiata la guerra, lo studente universitario, si
arruolò nei plotone Allievi Ufficiali del 68 Fanteria di stanza a
Milano. Nel Maggio 1915 era già Sergente. Nominato Sottotenente,
prese parte con la Brigata Sassari ai fatti d’armi; sul Carso, nel
18, versò il suo primo sangue: una palla lo colpì alla mano destra
che gli rimase anchilosata.
Il Tenente Ferro, guaritosi, fu i mandato in Eritrea. Cola, appreso
il rovescio di Caporetto volle essere rimandato in Patria. Mandato
in Francia, fu a Digione; il valoroso Tenente che da un anno era
stato nominato Capitano, cadde da eroe il 29 Settembre 1918.
Ecco la motivazione che accompagnabva la Medaglia d’Argento:
* Mirabile e costante esempio di fermezza e di coraggio,
* nel passaggio di un ponte fortemente battuto dal’Artiglieria
* nemica, non d’altro si preoccupò che del proprio reparto.
* Colpito egli stesso da una scheggia di granata ad un braccio,
* rimase fermo al proprio posto per regolare il m movimento dei
* suoi uomini, finchè colpito una seconda volta a morte,
* lasciò la vita sul campo. (da una monografia del padre)
Rocco Jannì di Pasquale e di Antonina Giardina, Tenente, nacque nel
1895. Maestro elementare, compiuti gli anni di servizio, al momento
della guerra fu aggregato alla Sezione Mitraglieri Fiat, Brigata
Sassari..
Ito al fronte da graduato, si trovò dinanzi al nemico; giovane
ardimentoso, pieno di entusiasmo, volle slanciarsi all’assalto,
malgrado i reiterati richiami del suo Capitano. Ferito mortalmente
all’addome, fu trasportato all’ambulanza militare, dove dopo poche
ore moriva.
Il Governò gli decretò la Croce di bronzo al merito di guerra.
(Manca la motivazione).
Tenente Enrico D’Antona del fu cav. Pietro e Donna Francesca, nato
nel 1884. Studiando a Napoli e a Torino da avvocato, parti per la
guerra; fu prigioniero a Val Sugana.
Cessata la guerra, durante il viaggio di ritorno lo cole una
polmonite e mori a Trieste il 6 Dicembre 1918.
Il Sergente Ciulla Gieseppe di Gaetano e di Santina D’Antona
proprietario borgese, nato nel 1890, aveva prestato regolare
servizio. Richiamato al fronte col grado di Sergente fu nelle
trincee. Indi ottenne la licenza per i lavori campestri ma poi,
ritornato al suo posto di combattimento, fu nel rovescio di
Caporetto. Nella confusione si seppe che era morto di polmonite
all’ospedale di Verona.
I suoi fratelli che si trovavano al fronte, ne appresero la notizia
senza poter conoscere il Luogo dove fu seppellito. Mancano perciò i
particolari.
Tra i soldati figli del popolo, morti sui campi di battaglia. e
decorati al valore, vi furono, fra i 96:
Marino Rosario di Francesco e Giuseppa Bellomo, bersagliere, nato
nel 1895. Fu uno dei primi; durante il combattimento, ferito
gravemente, cessò di vivere a Pacchiasella il 2 Novembre 1816. il
Governo gli decretò. la medaglia di bronzo. La stessa sorte del
Marino subirono:
Albo Antonio, Angilella Salvatore, Amarù Antonio, Catarinolo
Francesco, Di Martino Antonio, Di Letizia Calogero, Di Ventra
Salvatore, La marca Gaetano, Lauria Gaetano, Lo Giudice Angelo,
Licata Vincenzo, Marotta Cristoforo, Maurici Giuseppe, Marazzotta
Salvatore, Sciamone Liborio, Sciacchitano Giuseppe, Rizzo Angelo,
Toscano Giuseppe, Vella Salvatore e Vella Michele.
Questi nomi formano un quadro, sebbene incompleto, in una sala del
Municipio, con le loro fotografie, in mezzo alle quali spiccano i
ritratti dei Capitani Ferro e Faraci.
Le altre famiglie non diedero le fotografie dei loro cari.
Per tutti, fu eretto il Parco della Rimembranza, in ricordo dei
gloriosi caduti, secondo le disposizioni del Ministero
dell’Educazione Nazionale. Così, il detto Parco sorse alla Spatazza,
nello stradale Mariano e propriamente di fronte alla Centrale
Elettrica.
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Cap. XLV
la “spagnuola”
Non era ancora cessata la guerra, quando un’altro flagello venne a
funestare l’umanità: la “spagnuola”.
Come nella favola classica di Giovanni La Fontaine, degli animali
colpiti dalla peste che “fuggivano spaventati cercando un riparo”,
così gli uomini e la scienza non sapevano cosa fare per trovare un
rimedio al male.
La “spagnuola” : questa febbre mediterranea venuta dalla Spagna, fu
un’epidemia molto fulminante che mieteva tante vite umane in un
momento, senza pietà. Se tutti non morivano, “tutti erano
spaventati”, al dir dello scrittore francese citato.
La morte non guardava in faccia a nessuno: grandi e piccoli; uomini
e donne; ricchi e poveri. Chi era preso da quella malattia
difficilmente se la scansava e, quando non moriva, restava con
qualche difetto.
Le famiglie povere, orbate dai loro cari e immerse nella miseria,
non sapevano darsi pace, pensando alla morte spaventevole; vi furono
parecchie famiglie i quali ne mori vano due e tre, il lutto era
quindi generale, Infuriando il morbo crudele, il seppellimento dei
cadaveri veniva operato alla confusa, trasportandoli al cimitero
senza nessun conforto. Anche per quelli che morivano in campagna non
venivano fatte onorevoli sepolture e si partivano senza nessun
accompagnamento. Coloro che erano poverissimi bastavano le poche
masserizie ad addobbare una bara; talune famiglie facevano uso delle
tavole del letto per la cassa mortuaria.
Ingordi falegnami,speculatori, approfittando del momento,
sfruttavano chiunque a loro si presentava.
Col Municipio del Sindaco, nella requisizione che si faceva, si
commettevano abusi e soprusi inauditi. Tutto era requisito per dare
aiuto agli ammalati, ma il popolo soffriva, mancando del necessario.
Beato chi poteva avere un pò di zucchero, d carne o di pane e pasta.
Al solito, gli arruffoni ne profittavano. Un quidam, comprata una
gallina L.20 per conto del Comune, le tirò il collo e la diede al
figlio per portarla a casa.
La “spagnuola” durò quattro mesi, dal Settembre al Dicembre 1918.
Parrà cosa incredibile, eppure è vero. La malattia della
“spagnuola”, a Riesi, fece più strage della guerra. Mentre la
guerra fece un centinaio di vittime; essa “spagnuola” ne fece morire
seicento.
Passata questa marea, che ci lasciò il triste ricordo d’una morte
che non venne dagli uomini ; rimasto il caro viveri della guerra che
si rimediava con il lavoro ben pagato, si predette di potere andare
avanti, superando gli ostacoli della vita. Ma non fu cosi!
Il paese contava circa i6 mila abitanti.
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Cap. XLVI
il bolscevismo
Quel tale Giuseppe Butera, che aveva infiammato la mente degli
operai, specialmente dei contadini, si mise a predicare il
bolscevismo venuto dalla Russia. Egli, staccatosi dal partito
popolare trascinandosi dietro la massa, offendeva tutto e tutti; da
socialista spinto. di facile parola, nelle vie, nelle case,
dappertutto, predicava coraggiosamente la Rivoluzione.
Il Governo dell’On. Nitti lasciava il campo libero ai socialisti, di
modo che nei paesi d’Italia i bambini e le bambine cantavano:
Avanti popolo
Alla riscossa
Bandiera rossa
Trionferà!...
Era l’andazzo delle follie rosse. E il Butera si prefisse di volere
per forza la divisione delle terre a Riesi, dicendo di espropriare i
feudi ai principi. Naturalmente il popolino, imbevuto di tali
principi, gli teneva bordone, battendogli le mani, accarezzandolo.
Cosicché lui, forte del suo partito, teneva in soggezione gli altri.
Era diventato l’idolo della massa incosciente! Ebbe la tracotanza di
presentarsi da candidato come deputato socialista al Collegio.
Perciò, nei paesi vicini andava propagando le sue idee, appoggiato
dal partito centrale del giornale “l’Avanti”.
Insomma, diede molto fìl da torcere alla P. Sicurezza.
Coi partiti sovversivi, il dopo guerra fu peggio di prima. Qui.da
noi, teneva il paese in continuo movimento, in continua animazione
di giorno e di sera. I contadini volevano la divisione delle terre,
erano diventati bolscevichi; il loro capo assecondando le loro
aspirazioni, tempo permettendo, si armavano e andavano nei feudi a
prendere possesso.
I padroni delle terre avevano dato ordine ai Campieri di lasciarli
fare onde evitare eccidi. Si partiva la mattina per molto tempo con
gridi e chiasso e bandiere, arrivando alla meta designata della
campagna. Seguiti da una Compagnia di soldati e CarabinIeri tra il
chiasso e l’allegria, si facevano la divisione del feudo, cui
limiti, piantando le bandiere, cantando: “Bandiera rossa trionferà”.
La giornata trascorreva gozzovigliando, schiamazzando, facendo come
le galline che schiamazzano prima di far l’uovo.
Al ritorno rientravano la sera nel paese in fila, soddisfatti delle
loro operazioni; rincasati, appena preso un boccone, tutti alla Sede
socialista per la conferenza del Butera. L’indomani punto e da capo,
le solite agitazioni; il conferenziere (sic) faceva sentire le sue
minacce, tuonando contro il Governo di allora. E i Carabinieri lì
presenti non dicevano nulla.
Impavido, imperterrito, Giuseppe Butera sì credeva padrone. Oltre il
battimani e gli applausi che riscuoteva dalla folla, egli era
portato a spalla, alimentando la sua bocca di ciambelle e dolci.
Chiusi i proprietari nelle loro case ben serrate, non uscivano, non
potevano dir nulla; scorgendone uno nelle vie, gli davano la baia ed
era costretto a ritirarsi per tema di qualche brutto tiro.
Minacce su minacce, chiassi su chiassi, i giorni volavano, sperando
che migliorassero con quello stato di caos davvero increscioso.
Tutto era lecito dal Governo deplorevole del l’On. Nitti che aveva
dato la mano larga ai socialisti, i quali se erano forti, non erano
neppure d’accordo fra loro.
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Cap. XLVII
la mitragliatrice (famosa repubblica riesina)
Come conseguenza di tutto questo mal Governo, di tutto questo
malessere di questo disordine, abbiamo avuto a Riesi la
Mitragliatrice. Anche questa brutta pagina di storia dobbiamo
registrare in pieno secolo XIX. Scriviamo sotto l’impressione del
triste epilogo della nefasta giornata della Mitragliatrice. Ecco il
fatto, come avvenne:La Domenica dell’8 Novembre 1919, i soliti
bolscevichi, decisero di andare a prendere possesso del feudo
Palladio, di proprietà dei principi Fuentes, dato in gabella. Da qui
partirono non solo essi, ma chiesero l’aiuto dei loro compagni
mazzerinesi, i quali, armati ed a cavallo, vennero a Riesi. Essendo
il feudo vicino per lo stradale di Calamita, uomini, donne e
ragazzi si misero in moto. Il Butera era in prigione. Chi organizzò
la gita fu un certo Angilella, uno spietato socialista, Piovutoci
non si sa da dove. Costui, predicando a squarciagola, diceva di
farla finita coi signori proprietari incitando i cittadini ad
armarsi, gli operai di tenersi pronti per la rivoluzione. Lungo la
via, soldati, o Carabinieri non poterono arginare, calmare il
Popolo. Giunti, al feudo, fecero le dovute operazioni, senza essere
molestati. Intanto la P. S. si provvide duna Mitragliatrice che fu
piazzata accanto alla chiesa della Madrice tra la piazza Garibaldi e
il, Corso Vittorio Emanuele. Gli scalmanati ritornando
sull’imbrunire entrarono in paese cantando battendo le mani.
Trovandosi nella piazza, l’Angilella ordinò al popolo dì andarsi ad
armare e ritornare. E difatti così fecero. La piazza ed il Corso
formicolavano di gente. Ad un certo punto il Tenente e il Delegato
di P. S. premerono la mano del soldato, facendo funzionare lo
strumento micidiale. Al crepitio fulminea della Mitragliatrice
seguirono altri colpi di fucile e revolvers. Il terrore invase tutti
gli animi. Un momento dopo si vide un campo di morti sia in piazza
che nel Corso: anche i feriti fecero spavento. Nella confusione gli
sparatori fuggirono; inseguiti, fu raggiunto il Tenente al piano
del Pozzillo per la via di Ravanusa e fu freddato. In quella
occasione l’ing. Accardi, che si trovava lungo il Corso, trascinato
nel Cortile Golisano, venne pugnalato da mano ignota e ferito. Il
pallore, lo sgomento si leggeva in faccia di tutti, vedendo la
carneficina il sangue che scorreva, raccolti i cadaveri, le famiglie
ne piansero amaramente i figli, i mariti, i parenti, I morti furono
8 e dei feriti non si seppe il numero. La prima versione data dei
giornali fu che:la Rivoluzione era scoppiata a Riesi: laonde un
Reggimento di fanteria col generale, la notte seguente entrò a Riesi
in assetto di guerra, con baionetta in canna e i lanternini accesi.
Entrati allo scuro, nel silenzio, in punta di piedi, mentre gli
abitanti dormivano, non sapendo dove andare, ne cosa fare; non
conoscendo nessuno, ne presentandosi anima viva, il generale adagio
adagio fece aprire le chiese per far riposare i soldati che avevano
fatto 48 ore di marcia forzata. Giunti alla Sanguisuga temevano ad
entrare, credendo il finimondo, che la rivoluzione continuasse.
informatosi i soldati che il paese era sotto l’incubo del terrore;
che i cittadini spaventati, piangenti. temevano di riaprire le porte
sapendo che c’erano i soldati, più tardi, generale e soldati
rimasero sorpresi. Fattosi giorno, apertesi le prime botteghe, i
soldati, usciti fuori per le vie per comprare da mangiare, nel volto
dei cittadini leggevano i segni dello spavento, per timore di essere
di nuovo massacrati; ma i soldati li rassicuravano, li confortavano
allora furono fatti segno a delle gentilezze offrendo loro il caffè.
Rifocillati che furono, la stessa mattina il Reggimento ripartì per
la Sede di Palermo. Da quel giorno fatale della Mitragliatrice
ovvero da quell’epoca, il popolo riesino rimase scosso: sembra un
brutto sogno, eppure è stata una triste realtà che ci fa ripetere
col proverbio Chi è stato scottato dall’acqua calda, teme dell’acqua
fredda.
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Cap. XLVIII
il fascismo
Gli anni 1919, 20, 21, e quasi tutto il 1922 fino al 28 Ottobre del
dopo-guerra, furono anni di disordini sociali, di terrore, di timori
a causa del bolscevismo imperante. Si temeva da un momento all’altro
la Rivoluzione; il bolscevismo diceva un dotto, si sentiva
nell’aria; gli animi di tutti, in conseguenza di ciò, erano sospesi.
Le campagne furono abbandonate a sè stesse; i proprietari non
potevano dare un passo; furti ed omicidi, ruberie d’ogni genere
erano all’ordine del giorno; ladri e ladruncoli nelle campagne
razziavano dappertutto.
(qui manca un piccola parte, del testo originale)
aveva preso il suo corso; ne paesi, approfittando dello scuro, si
commettevano brutti atti: basta dire che ad un barbiere gli levarono
25 soldi e lo scialle, alla discesa del Carcere vecchio; ad una
coppia di giovani sposi, dopo l’Avemaria, mentre tenevano il marito,
alla sposa rubarono lo scialle e l’oro; in pieno giorno, per la via
detta miniera Tallarita, furono assaltati gli zolfatai che avevano
ricevuto la paga.
Ma ciò che maggiormente faceva impressione erano gli omicidi, i
delitti terrificanti che succedevano nelle campagne e nei paesi; la
vita umana non era appunto calcolata.
La cronaca di Riesi di quei tempi registra Purtroppo fra i tanti
delitti di sangue i seguenti:
1) Una notte all’Ammiata, feudo nel territorio di Butera, all’epoca
della raccolta del grano, mentre i mezzadri, trovandosi nell’aia
dormendo, intesero che i ladri rubavano il frumento, portandolo
nelle bisaccie sulle bestie come se fosse di loro proprietà.
Svegliatisi i coloni, poiché gridavano, ne furono freddati due. I
Carabinieri di pattuglia, messesi in colluttazione coi briganti, ne
ferirono uno mortalmente;
2) Ad un Campiere gli levarono tutto quello che aveva e l’uccisero
per la via di Gallitano ;
3) Un povero contadino che si recava al vicino Canale ad abbeverare
il suo unico somaro, con il quale si guadagnava il pane per la
famiglia, suonata l’Avemaria, gli levarono l’animale e lui fu
disteso a terra;
4) Alla Scalazza, in pieno giorno, un piccolo proprietario, mentre
spietrava il suo campicello, lo legarono, gli spararono,
trasportandosi la mula.
Tutta l’Italia era così!...
A porre fine ai tanti malanni, a tanto sfacelo, venne un uomo fatto
apposta per salvare la nostra bella Italia. La marcia su Roma del 8
Ottobre 1922, fatta da Benito Mussolini, fece terminare tutto ad un
colpo il malessere, rimettendo l’ordine dappertutto. Duce del
Fascismo, l’ex caporale dei Bersaglieri, con un pugno di giovani
ardimentosi, vestendo la camicia nera, si:oppose al parlamento
italiano che era in vera anarchia coi numerosi partiti sovversivi.
Afferrato il potere in nome di S. M. il Re Vittorio Emanuele III.
col quale avevano fatto la guerra, l’On. Mussolini, mise prima di
tutto i punti sugli i ai Deputati che trattò da “pecore rognose” ; e
poi parlando da Roma a tutta l’Italia, disse: “Ora basta coi cattivi
italiani”. Questo genio ignorato, figlio d’un fabbro ferraio e di
una Maestra elementare, amico del popolo, nato a Predappio,
nell’Emilia, col suo colpo di Stato, col suo pugno di ferro,
istituì, fece sorgere il Fascismo in tutti i paesi del Regno, coi
Fasci di Combattimento formati dai reduci della guerra, dai buoni
italiani.
Dapprima sì impose con la forza, costringendo i riottosi a stare al
loro posto; cosi a mano, a mano l’ordine cominciò .a ristabilirsi a
misura che si affermava il Fascismo.
Un’era nuova si apri nei paesi, cessando lo scompiglio e la
delinquenza. La Giustizia punendo i ladri rigorosamente, i furti
cessarono; la P. S., dando la caccia spietatamente agli omicidi, ai
malfattori, liberò le campagne e i paesi.
La mafia ebbe un serio colpo alla testa. Venuto in Sicilia .S. E.
Mussolini, disse queste precise parole a Messina: “Voi, le vostre
popolazioni, avete bisogno di essere purgate dalla mala vita” . Egli
giungendo fino a noi alle miniere Trabia Tallarita, come dovunque fu
acclamato.
Esponente del Fascio di Riesi da noi fu il Dott. cav. Gabriele
Lamonica, reduce da Capitano Medico dalla guerra. Con zelo, coraggio
e fede fascista fondò il Fascio di Combattimento; coadiuvato dalla
Forza Pubblica; ogni giorno per le vie si andava gridando: “abbasso
la delinquenza!, Viva il Fascismo!”. In principio i fascisti furono
pochi, ma dipoi visto i risultati benefici che diede la tranquillità
al popolo, molti si unirono al Fascio, Creato dal Dott. Laconica che
fu il Segretario Politico
Anche i proprietari vestirono la camicia nera, di guisa che la massa
passò al Fascismo. Le dimostrazioni erano ostili ai potere. Ogni
giorno la stampa annunziava tutto quello che faceva il nuovo Governo
dell’Ori. Mussolini, il quale sciolta la Camera dei Deputati volle
rivestirla di nuovi elementi del suo colore, cioè fascisti.
Dato l’assesto al la Camera e ai paesi, S. E. il Capo del nuovo
Governo pensò di sciogliere i Consigli Comunali d’Italia per fare
entrate i Consiglieri fascisti poco alla volta. Riflettendosi, qui a
Rìesi, incominciò la lotta politica contro la democrazia al potere.
I democratici d’altra parte si credevano forti e cercavano di
resistere all’urto, ma il Dott. Lamonica s’imponeva col suo partito
del Fascismo che guadagnava terreno giorno per giorno, i delinquenti
arrestati spazzarono il terreno per le nuove idee le quali seppero
di ostrica a coloro che non le compresero.
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Cap. XLIX
sindaco il com. G. c. golisano – il ritiro – giuseppe martorana – la
luce elettrica – vittoria del fascismo – il com. d’antona sindaco
Era Sindaco dell’epoca il comm. Giuseppe Carlo Molisano. Cincinnato
di Riesi, l’Avv. Golisano fu chiamato a quel posto di nuovo, per
salvare la posizione d Consiglio Comunale in sfacelo nel 1920 e per
far argine al bolscevismo. Poiché anche nel detto Consiglio era
penetrato il disordine e si era in piena anarchia fra gli operai, ci
voleva un uomo ben visto alla Prefettura e al paese, i reggere la
barca fessa del Municipio. E difatti il Pasqualino si era dimesso
lasciando il campo libero all’ ing. Accardi col quale non andava
d’accordo. Questi, non potendo essere d’accordo con gli operai, sì
dimise pure ed afferrò brevemente la Sindacatura, l’avvocato Don
Gaetano Debilio, un pasqualiniano. Il Consiglio in balia di se
stesso, per forza doveva essere sciolto, ma ad evitare maggiori
spese, si lasciò stare così com’era.
La nomina a Sindaco del comm. Golisano fu accolta una unanime
benevolmente, con simpatia. L’egregio uomo accettò la carica
volentieri, sperando di fare del bene al paese. Egli si mise
all’opera, con la Giunta degli operai, scegliendosi a vice Sindaco
l’operaio Giuseppe Martorana e con lui il Segretario del Comune,
Francesco Mule Vella, che da maestro della musica, maestro
elementare, in resosi pratico dell’Ufficio, sbrigava le pratiche
passabilmente.
Il Sindaco si pose innanzi i gravi problemi del paese. Cominciò egli
a lavorare alacremente prima di tutto per la luce elettrica, onde
levare io scuro, mettendo Riesi alla pari degli altri paesi vicini;
in secondo luogo si diede attorno all’impellente problema dell’acqua
potabile e le fognature per dissetare gli abitanti, levando le
porcherie, le immondizie delle vie ed avere un paese pulito.
Tali problemi affrontò il comm. Golisano; per quanto difficili a
risolversi, pure il Sindaco vi lavorò assieme al suo Segretario,
pensandovi seriamente giorno e notte. Il nostro concittadino, che
conoscemmo, di già voleva rendersi benemerito alla cittadinanza
riesina: egli trascurava gli affari suoi, dandosi anima e corpo al
Municipio.
Ma dopo il 1922, con l’avvento al potere del Fascismo, ne
insidiarono il Consiglio. Sebbene egli comprese i tempi nuovi fin da
principio, tanto vero che pubblicò una scritta a favore del Duce,
chiamandolo un grande uomo di stato “simile a Cromwell” ed altri
pure i fascisti, con a capo il Dott. Lamonica, gridavano: “Abbasso
il Consiglio”. E il Sindaco Golisano, non potendo sopportare i
tumulti e le grida, si dimise, ritornando ai suoi campi, agli affari
suoi, ai suoi studi, lasciandoci come ricordo, oltre il bastione e
la piazza Garibaldi ammattonata, la luce elettrica che illumina
sfarzosamente il paese. Col censimento, sotto di lui, il paese
contava 17.248 abitanti.
Lasciato in carica l’operaio Martorana, questi da Sindaco titolare
fece di meglio per non cadere.
Fu Sotto di lui che si portò a compimento la luce elettrica. Il
paese cominciò a respirare, a gioire; appoggiato questo Sindaco
dall’ex partito democratico, si credeva forte, ma il Consiglio di
Riesi doveva essere sciolto. Il Segretario politico col Fascio,
secondo l’idea dei Duce, erano sicuri del fatto loro.
E difatti il Consiglio venne sciolto nel 1925. Un R. Commissario ne
venne a reggere le sorti protempore.
Essendo un fascista, era ben naturale che doveva mettersi in
relazione col Segretario del Fascio, dott. Lamonica e la P. S.
Giusto vi erano qui due bravi funzionari, il Maresciallo Giuseppe
Scurria e il Commissario di P. S. Belofiori, i quali erano lo
spauracchio degli uomini di malavita e dovevano fare il loro dovere
a favore del Governo,
Fattesi le elezioni a tamburo battente, dopo i tre mesi,
fascisticamente, la maggioranza fu del Fascio capitanato dal dott.
Lamonica e i civili di Riesi. Snidata la vecchia democrazia,
salirono al potere i fascisti. A Sindaco fu eletto il comm. Don
Luigi D’Antona. Lo stimato banchiere, vestendo la camicia nera, si
trovò di fronte alle nuove esigenze del Fascismo e del paese.
Egli però non ebbe il tempo di potere esplicare nemmeno una parte
del programma fascista, perché vi fu un’altra, riforma mussoliniana.
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Cap. XLIXbis
dai sindaci al podesta’
La riforma fatta dall’On. Mussolini fu di togliere dai Municipi i
Sindaci e mettervi dei Podestà nominati dal Governo del Re. E questa
riforma la fece attuar prima nelle città e poscia nei paesi. L’anno
dopo la rese comune a tutti i paesi.
Scopo delle legge è di concentrare tutta l’Amministrazione Comunale
nelle mani di un uomo, levando le camarille locali.
Il Podestà deve durare in carica cinque anni e può essere
riconfermato.
Secondo questa legge il comm. D’Antona decadde da Sindaco. Bisognava
fare il primo Podestà di Riesi. Chi più indicato del cav. dott.
Lamonica? Chi più fascista di lui? Chi meglio di lui poteva assumere
tale carica? L’uomo indicato, designato, fu appunto il cav. dott.
Gabriele Lamonica. Egli si dimise quindi da Segretario politico del
Fascio di Riesi, accettando la carica di Podestà del nostro Comune.
Ito a prestare giuramento nelle mani del Prefetto a Caltanissetta,
venuto il decreto reale, al ritorno gli sì fece una calda ovazione,
una calorosa dimostrazione di simpatia e di affetto. Al posto di
Segretario politico, i gerarca di Caltanissetta nominarono il cav.
Notar Giuseppe Sanfilippo, già vice Pretore negli anni 1915-1926, il
di cui figlio Avv. Matteo, reduce della guerra, in città era un
pezzo grosso.
Le gerarchie fasciste sono formate dalle Federazioni provinciali e
dai Sindacati a cui fanno capo il Prefetto; nei paesi il Segretario
politico è il capo del Fascismo e di tutte le organizzazioni che
sono: Associazione dei Combattenti; Federazione dei Commercianti;
Società delle madri dei caduti in guerra; del Dopolavoro; dell’O. N.
B., della Milizia fascista e della Federazione degli Agricoltori.
Tra Podestà e Segretario politico, deve esservi un reciproco
accordo.
Il dott. Lamonica Podestà e il Segretario Notar Sanfilippo per un pò
di tempo si diedero la mano, ma poi non si sa perché, non furono più
d’accordo. Il Podestà i credeva insormontabile dietro quello che
aveva fatto e detto, ma egli aveva dei nemici sott’acqua. Sotto di
lui si acconciarono le vie del Canale è quella che va al Calvario
col nome di Marconi; la prima impraticabile, fu fatta a ciottoloni e
prese la via de Littorio; la seconda fu fatta sbassare nella parte
rocciosa rendendola più. praticabile. Per le dette vie spese una
bella sommetta.
Di più, il nostro Podestà si occupava dell’acqua potabile,
conoscendo i bisogni del paese in quegli anni di. siccità..
Se dobbiamo essere spassionati il dott. Lamonica, se aveva degli
ammiratori, aveva anche dei satelliti, e lo rendevano inviso ai suoi
nemici, come anco a certi suoi amici. Fra gli impiegati municipali
vi erano quelli che lo subivano.
Per una cosa da. nulla, per aver detto che un tale era analfabeta,
per potere ottenere il permesso d’armi, mentre quello non sapeva
firmare, il primo Podestà cadde nella trappola. Il fatto sta che in
Questura gli si fece un processo; processo che dinanzi il Tribunale
sfumò.
Ed è perciò. che il dott. Lamonica non fu più Podestà. Bravo,
intelligente professionista, ricco di casa sua, si occupa degli
ammalati, passando la sua vita anche in campagna con la sua
famiglia, nella bella casina del Crocifisso.
Ebbe la jattura di perdere un figlio promettente in una disgrazia, i
cui funerali riuscirono solenni.
Se sono cose queste che abbiamo visto e ai nostri giorni, crediamo
che nessuno potrà accusarci di partigianeria;. la nostra storia
contemporanea l’abbiamo fatta e la facciamo imparzialmente, narrando
ciò che abbiamo visto e veduto coi nostri occhi.
** Torna su **
Cap. L
un commissario prefettizio modello
Il Governo Centrale dell’On. Benito Mussolini, allargando i poteri
discrezionali dei Prefetti, dando loro il titolo di Eccellenza,
diede la facoltà di nominare i Commissari nei Comuni, ed è perciò
che si chiamano Commissari Prefettizi; come pure furono abolite le
Sottoprefetture, avendo i Comuni relazione diretta con le Prefetture
nel Capoluogo della Provincia.
S. E. il Prefetto di Caltanissetta, tolto il Podestà processato, vi
mandò a sostituirlo, nel 1928, nella qualità di Commissario
Prefettizio, il cav. Ugo Rossi consigliere presso la stessa
Prefettura.
Il cav. Ugo. Rossi, calabrese, era stato 13 anni Sottoprefetto a
Noto ed era molto esperto e pratico di amministrazioni comunali.
Buono, intelligente e giusto, appena giunto fra noi disse: “Questo
paese non ha avuto buoni amministratori”; e indi rivoltosi agli
astanti: “Se voi mi aiuterete; vi lascerò Riesi una cittadina”.
Immedesimandosi della nostra sorte, girando di qua e di la, vide che
la via del Parroco, ove comincia la via Marconi; era orribile; con
poca spesa la fece bene accomodare.
Trasformò la Casa Municipale internamente ed esternamente,
rendendola un vero Palazzo di Città; la sua bella prospettiva,
rivestita a nuovo, ne fa un magnifico aspetto. Nell’interno
trasformò la sala del consiglio in un salone di ricevimento stile
Luigi XIV; sistemò gli uffici municipali razionalmente. Tutto faceva
eseguire sotto la di lui direzione. Gli impiegati, ben trattati, gli
volevano un gran bene; il popolo, specialmente i poveri, trattati
come si deve, lo amavano.
Ma queste, non sono le sole opere ed azioni che parlano del cav. Ugo
Rossi: egli fece ancora di più.
Con un manifesto al pubblico annunziò che aumentava di cent. 10 al
Kg. la carne e cent. 10 a litro il vino, per abbellire il Parco
della Rimembranza, perché “non faceva onore nè ai morti nè ai vivi”,
e ciò per non aggravare il Bilancio.
Difatti, raccolta la prima somma, la impiegò subito a fare
acconciare i due tratti delle vie Cavour e Mazzini che portano a
Parco. Con ammirevole cura fece recintare la Rimembranza di mura,
con un’entrata a grata di ferro, vi collocò vasi e vasetti attorno
agli alberi, un monumento ai caduti al centro, una colonna d granito
con una piccola aquila in cima, una croce fuori il Parco danno un
aspetto bellissimo al sacro recinto. Così ne rese una bella,
attraente passeggiata.
Il cav. Rossi, visto che a Riesi mancava una pescheria e che il
pesce si vendeva all’aperto nella piazza del Crocifisso fra le
mosche e il fango, volle levare quella sconcezza facendo sorgere la
pescheria nel cortile Riccobene, più in là della piazza. E’ poca
cosa, ma è meglio di niente.
Dando un’occhiata al cimitero, vi fece fabbricare una piccola
cappella di cui era sfornito, fece sistemare i viali e mettere la
breccia alla stradetta.
Attorno alla piazza Garibaldi, fece piantare degli alberi come
all’altra piazza del Crocifisso e allo stradale della Rimembranza.
Mise un’ordinanza, con la quale imponeva i proprietari nei Corsi
principali a fare il prospetto delle loro case. Alcuni furono
solleciti a farle, altri, a causa della Assicurazione agli operai,
furono riottosi.
Tutto l’egregio Commissario aveva in animo di fare e rifare.
Ma dove maggiormente il cav. Rossi lavorò fu per la soluzione del
grave problema dell’acqua potabile e le fognature. Questo era il suo
sogno e ci era quasi riuscito. Aveva contratto con una Società
romana, ma sul più bello, venne trasferito a Catania e ci lasciò.
il popolo commosso all’atto della partenza, nel salutarlo, gli fece
una dimostrazione di affetto. Anche lui, il cav. Ugo Rossi, fu
commosso, spiacente di averci lasciato senza aver terminato ciò che
aveva nell’animo di fare. Fra tutti i Commissari forestieri che sono
passati nel Comune di Riesi, nessuno ha lasciato un ricordo conte
lui.
Dacché esiste questa legge, in quest’epoca di Fascismo, vi sono
stati finora tre Podestà e quattro Segretari politici.
** Torna su **
Cap. LI
la ferrovia - mentre scriviamo, terminando
Mentre scriviamo terminando la nostra storia, frutto della nostra
immane fatica, lavoro della nostra povera intelligenza, noi che,
oltrepassato mezzo secolo di esistenza, abbiamo visto passare uomini
e cose, ci fermiamo qui.
Mentre scriviamo i lavori della ferrovia sono a buon punto; già la
bella Stazione è terminata e la linea è quasi ultimata.
Questa sospirata linea ferroviaria interna della Sicilia, partendo
dalla Stazione Centrale di Canicattì, dovrà passare per le stazioni
e paesi di Delia, Sommatino, Trabia-miniere, Riesi, Mazzarino, San
Michele di Ganzeria, San Cono e Caltagirone, proseguendo poi per
Catania,
Il tronco che dalla Stazione Trabia-miniere viene a Riesi è
meraviglioso. Scendendo il treno dalla montagna della miniera Grande
di Sommatino, che costeggia fra le gallerie, arriva al vallone detto
della Cottonara; passato il ponte fa una curva e dopo 550 metri
giunge all’altro colossale ponte Imera sul Salso , accanto a quello
interprovinciale. E’ un’opera d’arte moderna. Esso ponte ha 10 luci
di 15 metri ciascuna, è lungo m. 190,80, largo m. 5,10, alto m. 25,
tutto in pietra da taglio. Passato il quale la macchina si ferma
alla stazione delle due importanti miniere che sembrano, con le
magnifiche casine che vi sono, un ameno villaggio.
La locomotiva, messasi in moto nella valle del “Salso” va verso due
viadotti: il primo, lungo m. 184,50, è ha 10 luci di cui 8 centrali
di m.15 e le due estreme di m. 10; il secondo lungo m. 86,50, è ha 4
luci di m. 15 ciascuna. Ed eccoci ora. alla grande, maestosa
galleria o traforo della Cammarera lunga m. 1091, con l’altezza di
m. 29,50 dal fondo del vallone. Uscendo la macchina col suo fischio,
nel guardare il monte Stornello, il treno traversa la contrada detta
Ficuzza finche, tra ponti e ponticelli, arriva all’ultimo viadotto
del Bannuto, lungo m. 87, ha 5 luci di m. 10 ognuna. Con una breve
discesa nella contrada Giarratana, la strada ferrata ci porta al
simpatico ponte del cavalcavia di San Giuseppuzzo e, passato, il bel
Casello, entra nella stazione del Lago, vedendo il grazioso villino
Antonietta del comm. Golisano e la casina del signor R. Jannì.
Riesi!!... Finalmente!
Sono lavori esatti, opere d’arte, che hanno onore alla Ditta dei
signori Ing. e Colonnello De Vecchi di Favara, alla squisita
cortesia dei quali dobbiamo le informazioni di cui sopra, assunte
nei loro uffici. In atto, il Colonnello cav. Giuseppe, è Commissario
Prefettizio.
La Stazione di Riesi, che sarà di grande utilità per il commercio
delle merci, è al centro della costruente linea ferroviaria.
Quando si sentirà il fischio della locomotiva, annunziando
“Riesi!!...” il paese godrà dei benefici della civiltà.
Colui che per la prima volta verrà in treno a Riesi, se di
primavera, affacciandosi allo sportello tra l’olezzo dei fiori e le
bellezze naturali, resterà meravigliato, incantato a tanto sorriso
di Dio e della natura. Il viaggiatore, dopo avere ammirato la
lavorazione della zolfo nelle miniere presso il fiume Imera, ne
sentirà il puzzo, e spingendo lo sguardo fino al ponte
interprovinciale ne riporterà una bella impressione e siamo certi
che racconterà di’ avere visto cose meravigliose.
Chi l’avrebbe detto che un giorno queste terre sarebbero state
allietate dalla ferrovia? Ah se i governi passati fossero stati più
benefici verso di noi, quanti guai ci avrebbero risparmiato! Ma,
grazie a Dio, le future generazioni saranno fortunate, sentendo il
fischio e vedendo arrivare la locomotiva.
Il traffico della ferrovia farà allargare di molto il paese verso
quella parte, facendo sperare che sorgeranno bei palazzi, belle
case, botteghe e alberghi. La. via, che del resto e larga e lunga,
si presta ad un nuovo quartiere di stile moderno.
Riesi, messo alla pari degli altri paesi civili del mondo, sarà una
cittadina. Manca, ancor oggi, l’acqua potabile abbondante e le
fognature. Chi saprà risolvere questo importante, vitale problema,
avrà legato il suo nome alla storia e sarà immortalato. I popoli,
oltre il pane, le vesti e la casa, hanno bisogno d’igiene per vivere
bene: la pulizia dei paesi è indice di vera civiltà.
Non è per dare. una lezione a chi ne sa più di noi, ma è per
spronare gli altri a far meglio. Lo abbiamo detto sin dal principio
e lo ripetiamo ora terminando: il nostro paese ha sempre progredito.
Se venissero i nostri primi padri - non diciamo quelli dell’epoca
primitiva, nè quelli del secolo XVII, nemmeno i vissuti fino al
1850, ma quei dal Risorgimento in poi - crederebbero di sognare
vedendo il piano della Madrice, la Piazza Garibaldi mattonata, il
palazzo della baronia comprato dall’ing. F. Turco, ricostruito di
nuovo, con la bella, imponente e maestosa prospettiva; la sagrestia
e la casa d’abitazione del sagrestano Mulè, trasformata in casa
canonica; l’asciugatoio eretto nel palazzo del duca; più in là, la
casa della Principessa, e sul carcere vecchio sorta la bella casa
dell’ing. F. Drogo.
E i bei prospetti attorno la Piazza Garibaldi circondata di alberi?
I corsi e le vie principali lastricati?
Che direbbero al sentire che in due ore si giunge a Caltanissetta, e
che in una giornata si può andare e.tornare? Che non ci sono più
quelle carrozze, ma bensì automobili? E che il fiume non è più di
spavento?
La vita quindi, da un secolo a questa parte, ha di molto migliorato.
Lo zolfataio, gli operai, non frequentano tanto le bettole, ma i tre
caffè-bars, fra i quali primeggia il gran caffè Giannone, e tutti
vanno vestiti bene.
Anche le donne vestono all’ultima moda di Parigi, e vanno in giro,
per le vie, sole.
Le scuole, sia comunali che evangeliche, sono frequentati da scolari
d’ambo i sessi, vispi, intelligenti, studiosi, buoni.
L’istruzione e il lavoro, hanno fatto crescere la gioventù della
nostra generazione di un’altro tipo.
Col fascismo poi, in quest’ultima epoca, i delitti sono ,diminuiti:
i furti del 41 per cento e i delitti di sangue del 67 per cento.
L’Opera Nazionale Balilla, istituzione scolastica del piccoli educa
questi agli esercizi ginnici, al canto e al lavoro.
L’Associazione delle madri e vedove di guerra; l’Opera Nazionale
Maternità ed Infanzia per i bimbi poveri; l’Istituto Nazionale di
Previdenza per la pensione in vecchiaia; la Milizia Volontaria
fascista, ed infine il campo sportivo per il giuoco del calcio che
attira i tifosi a veder giocare; tutte queste belle istituzioni sono
sorte ai nostri giorni.
Per i nostri avi tutto ciò sarebbe come un sogno, ma per noi è una
realtà vissuta e provata.
Concludendo ci auguriamo che in avvenire sarà ancora meglio. Coloro
che verranno appresso di noi, godranno maggiori benefici di questi,
perché si dice: “L’uno semina e l’altro raccoglie”.
Riesi, risorta a vita novella, come la favola della Fenice la quale,
bruciandosi dalle sue ceneri, ottiene vita più rigogliosa, piena di
vitalità, è un paese di 22 mila abitanti che accenna a diventare
città.
Come per il passato. in tre secoli di vita attiva, il lavoro e
l’ingegno ci hanno portato a questo punto, così nell’avvenire il
lavoro, sorgente di pace, di prosperità e di felicità, farà il
resto. Il progresso in tutte le cose non si arresta mai; ma bisogna
ammettere che si deve progredire anche nella morale, base della
vita.
In questi ultimi anni di nostra esistenza, abbiamo avuto due
fattacci specifici che ci hanno degradato molto di fronte agli altri
paesi della Sicilia; ma essi fatti singolari, che sano passati alla
storia, speriamo che non si ripeteranno mai più, per la giusta
Nemesi, cioè il castigo che hanno avuto, per servire di lezione agli
altri. Del resto ogni regola ha la suaa eccezione: non si può
condannare un popolo per pochi degenerati.
Il fatto del brigante Francesco Carlino che da giovane, gettatosi
alla macchia, dal 1920 al 1922 diede filo da torcere alla Pubblica
Sicurezza dell’Isola, da additarsi come autore di tanti delitti;
egli perseguitato ricercato dalla giustizia umana, venne arrestato
in una casa sul poggio della Croce.
Inserragliatosi dietro una bestia, fece fronti ad una compagnia di
soldati e carabinieri, guidati dal Questore Mori da Trapani, il
quale, prima di ordinare il fuoco contro la casa mandò a chiamare la
madre dinanzi la quale il brigante generosamente si arrese. Fu
condannato ad anni 30 di prigione, ma evadendo, si recò in Francia,
per potere salpare per l’America. In Francia commise un’altro
delitto Per il quale fu condannato a 15 anni. Mentre scriviamo, lui
sconta la pena alla Gajenna. “Godo buona salute, apprendendo il
mestiere di calzolaio” scrive in francese alla madre.
L’altro fattaccio orribile, che fa orrore al solo pensando, è il
delitto avvenuto nella miniera Tallarita il 21 Giugno 1931. E’questo
delitto passibile della pena di morte, di cui Riesi ebbe il primato
con la nuova legge, fa spavento.
Ricostruendo l’orrendo delitto dei nostri giorni ci trema i penna a
narrarlo succintamente: il ragazzo tredicenne Zuffanti Salvatore,
lavorava da manovale col muratore Gaspare Calafato, giovane promesso
sposo 24 anni da qui. Fatta la mezza giornata antipomeridiana
nell’andare a prendere un boccone con un certo Giuseppe Mignemi da
Canicatti, vecchio arnese da galera, si trascinarono l’innocente
fanciullo in fondo ad un corridoio esterno della miniera. Dopo aver
mangiato lo legarono con una corda e lo violentarono; non contenti
di ciò, temendo che il ragazzo parlasse, gli stroncarono la nuca e
lo lasciarono cadavere.
Terminato il lavoro nel pomeriggio, il Calafato ritornò in paese,
facendosi vedere. La famiglia del ragazzo si mise a cercare il
figlio senza poterlo ritrovare. La notte i due delinquenti, al lume
di una candela, andarono a gettare il cadavere nel fiume, credendo
che la corrente se lo dovesse trascinare. Ma l’indomani mattina si
vide il morto galleggiare nel gorgo. Denunziato il caso alla
giudiziaria, vi accorse la P. S. e il dott. Giuseppe Celestri.
Tolto il cadavere, dall’autopsia risultò tutto lo sfregio fatto al
povero corpo. Subito furono arrestate le due belve umane, che sulle
prime negarono, ma poi il Mignemi confessò, mentre il Calafato si
mantenne sulle negative.
La popolazione messa in movimento, imprecava contro i malfattori; la
stampa italiana giustamente ne fece chiasso portando ai quattro
venti il delitto di Riesi.
La famiglia, i parenti erano inconsolabili. Chi non ha cuore non si
commuove a tanto sfregio; ma il cuore la abbiamo tutti; crediamo che
anche gli animali e le pietre si commuovono.
Alle Assisi di Caltanisetta, i giudici furono inesorabili,
condannandoli alla pena di morte. Però nel l’eseguirla solo il
Mignemi all’alba del Gennaio 1932 fu giustiziato; mediante
fucilazione alla schiena, da un plotone di Metropolitani romani
appositamente inviato, mentre il Calafato, all’ultimo momento la
pena di morte gli fu commutata in ergastolo, essendosi egli
mantenuto sempre sulla negativa, e perché era il primo caso.
Al Cimitero del nostro paese l’effigie del giovanotto Zuffanti
Salvatore mostra ai posteri il misfatto orribile di Mignemi e
Calafato.
Abbiamo detto e insistiamo che c’è bisogno della morale nella vita
degli individui per agire bene, onestamente, coscienziosamente ma
questa morale dev’essere religiosa. Il sentimento religioso tiene
alto il morale e la dignità della vita; mancando questo, manca la
base di un popolo. Giuseppe Mazzini, l’apostolo della libertà
italiana, scrisse, ed à con queste parole che vogliamo provare il
nostro assetto:
“Il pensiero religioso dorme nel nostro popolo: chi saprà
suscitarlo, avrà fatto più che non con tante scelte politiche”.
Infine. dandovi o lettori la nostra storia di Riesi nelle vostre
mani, immedesimatevi con noi, leggetela, commentatela divulgatela.
Chi fummo, chi siamo la storia ce lo insegna: le generazioni
avvenire sapranno almeno un riassunto del passato del nostro paese.
FINE
** Torna su **
Chi indugerà sul capitolo della MITRAGLIA avrà un sussulto: ecco la dimostrazione che Messana c'era - avrà voglia di gridare. Calma! Questa microstoria è del 1934. 15 anni dopo gli eventi. L'autore è un pastore valdese alquanto condizionato dalla sua fede e dalla necessità di non contrapporsi troppo all'ormai consolidato regime fascista. Non credo che atti processuali relativi a faccende tanto scabrose potessero venire consultati agevolmente. Già il fatto che si sbaglia la data dei fatti narrati la dice lunga. Quel parlare di un Delegato di Polizia e non farne il nome mette in sospetto. Era proprio un delegato. E chi era codesto delegato? Come si fa a dire che era Ettore Messana; nelle cronache coeve del Giornale di Sicilia e dell' Ora si pala di delegati di polizia, ma vengono tutti citati e Messana non figura. Aggiungasi che la versione di ben tre persone che in contemporanea mettono il dito sul grilletto della mitraglia non è per nulla credibile. Guarda caso di tutti e tre codesti operatori non si fa il nome. Ma almeno il graduato dell'esercito che peraltro dopo ci ha rimesso la vita, era ben noto. Leggendo quindi controluce noi perveniamo alla convinzione che lì a Riesi in quel frangente Messana non c'era. Dopo cercarono di scaricare su di lui responsabilità non sue. Tentativo subito fallito. Messana Non ne ebbe nessuno strascico men che meno giudiziario, nonostante un generale dei carabinieri per sollevare da responsabilità la sua benemerita arma avrebbe fatto le carte false pur di sviare i sospetti dai carabinieri implicati. CERTO I FATTI DI RIESI FURONO GRAVI GRAVISSIMI. VI FU PURE IL TENTATIVO RIUSCITO PER ALCUNI GIORNI DI ISTITUIRE UNA SORTA DI REPUBBLICA COMUNALE INDI PENDENTE. Eppure anche in un testo ponderoso e ponderato quale - LE REGIONI-LA SICILIA di Einaudi, uno storico del valore di Salvatore Lupo non vi si sofferma. Vago, elusivo. se un accenno fa ai fatti di Riesi, non va oltre questo asettico passo: "simile fisionomia aveva pure lo schieramento che nel Nisseno sosteneva Ernesto Vassallo nel riuscito tentativo di contrastare il 'prominente' giolittino della zona, Rosario Pasqualino Vassallo" personaggio questo che invero troviamo nelle cronache di quei terribili giorni successivi al famigerato 10 ottobre 1919. Certo invece di volere criminalizzare a tutti i osti un giovane vice commissario ci si fosse in questi anni 'avalutativamente' industriati a svelare i segreti storici di quei tempi ne avremmo guadagnoto tutti, soprattutto quelli come me che amiamo la schietta verità storica.
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