In articulo mortis. Tra
lubriche immagini pensose almanaccando il tempo avvenire
Riteniamo che Leonardo
Sciascia abbia scritto questo non breve racconto “il Signor T protegge il paese”, tra il 1945 e l’estate del 1947. E’
già un uomo cupo se così scrive: ”gioco in
confidenza col tempo, mi rendo familiare la morte, prendo libertà di assurde immagini e di vani
pensieri”.
E’ certo che il
fratello non si era ancora suicidato e vediamo Sciascia far agape con la morte. E ciò in quanto almanacca
il tempo tra assurde immagini e vani pensieri. S^ da far baluginare erratiche
introspezioni a terapeutici psicanalisti. Non sappiamo se qui Nanà suoni la
corda pazza a riflesso del suo ancor intenso “rondismo” o per imperio di un DNA
che se non si fosse abbattuto sul fratello, salvandolo, mi pare che qui corri
verso propensioni esiziali.
Sposato già da un
triennio, anchilosato nel tedioso subire il caro odiato collega pr9nto a
buttargli uno schifo di mosca nel suo misero piatto, prigioniero di una eterna
sigaretto negli algidi dammusi della Consorzio Agrario racalmutese, quale legame
poteva avere verso Racalmuto.
Il paese che ne vien
fuori è al limite di uno smarrito rigetto esistenziale. Non è più tattile, è
solo un carcere dello spirito: da odiare.
Frequentazioni col
tempo, palpeggiamento di sorella morte, tanta assurda immersione in un
immaginifico, slabbrato all’orizzonte e pensare senza costrutto: mi è pane quotidiano
oggidì; ma sono 80 anni che il tempo mi stria; l’occaso è alla fine. Mi è oggi abituale pensare immaginando o immaginare
pensando: attitudini che non mi possono
più angustiare, per esausto sperimentare. Solo che all’epoca Sciascia era ventiseienne.
Io a 26 anni fui
costretto a lasciar Racalmuto, il calore di una sana famiglia, un nugolo di
buoni ed allegri amici con cui peregrinare da San Pasquale a San Griuoli e ritorno,
un vivere bramando magari donne impossibili ma senza eccessive angosce data la
comune condizione. Ma da un anno ero stato fuori a Roma. Non ricordo di avere avuto
frenesie dementi come quelle di Sciascia nel primo quarto di secolo della mia
vita. Lontano tra neve mai vista, in quel di Modena dalla vita cittadina ribaltata
rispetto a quella di Racalmuto, e ribaltata im peggio, per Racalmuto iniziai ad
avere una nostalgia, un anelito , dei palpiti, delle speranze di ritorno che
vieppiù sfumavano e si disperdevano nell’irrealizzabile.
Da allora il mio amore
per Racamuto è viscerale, di spiritualissima intensità, di onirica vibrazione.
Mia moglie mi irride. Ma io ne so la gaia persistenza.
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