Apprezziamo molto questa iniziativa di SEMPLICEMENTE
RACALMUTO didi proiettarci vecchie foto che vanno scandendo squarci di una
Racalmuto qual era e quale oggi sempre più va scadendo nell’oblio delle sue memorie.
Ma in questa foto viene annotata una sintesi di quanto pubblicato
nel catalogo della celebre e celebrata mostra patrocinata da Leonardo Sciascia per
onorare una gloria di Racalmuto che corrisponde al Monocolo, il pittore
Secentesco Pietro d’Asaro.
Pietro d’Asaro ultimamente è stato accreditato dai massimi cultori
del Caravaggio: al nostro paesano tra l’altro gli si riconosce il merito i
dedicarsi anche lui ad una vivificante rappresentazione di nature morte che
appunto da Caravaggio cominciarono a divenire soggetto pittorici fantasmatici
segnando l’abbandono dell’umanesimo, l’uomo al centro dell’universo e di riflesso
di un quadro, per cedere il posto alla natura e ai prodotti dell’uomo. Una
corrente pittorica che ebbe poi la svolta e la grande consacrazione in Cezane e
da questi, per quanto riguarda noi siciliani, a Francesco Trombadori.
Sciascia non fu mai grande
estimatore del conterraneo pittore. Diciamo che non stravide per Pietro d’Asaro. Credo
che malvolentieri dovette celiare condivisione sentita per l’iniziativa della
mostra. Nel presentarla, si rifugia nell’erudizione, richiama Guicciardini e si
inventa per Racalmuto un momento felice “grazie alla simultanea presenza di un
prete che vuole una chiesa ‘bella’ e vi profonde il suo denaro, di un pittore,
di un medico illustre, di un teologo e di un eretico”. Certo in quel tempo
Sciascia era tutt’altro he un “rondista” ma nella sua pur asciutta prosa molto
scarno appare nell’omaggiare il celebrando pittore. E non lo gratifica neppure
di u n pur semplice aggettivo di circostanza.
Meraviglia invece quell’indugiare sul generoso prete che è
poi Santo d’Agrò accreditando di un encomio desunto da una topica storica del
citato Tinebra. No, Santo d’Agrò non volle nessuna chiesa “bella” e i soldi del
suo testamento dovevano servire solo per una “bella” tumulazione alla Matrice,-
E sopra tale toma dopo fu apposta dagli eredi questa pala che si attrbuisce (ma
non è certo) a D’Asaro.
Leonardo Sciascia a 25 anni aveva scritt0: “ Pietro Asaro, pittore
locale non ignobile e di vita inquieta che ha qui [a Racalmuto] lasciato, quasi
in ogni chiesa, familiari santi e monumenti della passione.” Addirittura di
squincio ebbe a tacciare l’Asaro come familiare del Santo Ufficio. Ma poi
dovette desistere pe inesistente documentazione.
Leonardo Sciascia ha invece qualche occhio di riguardo per
il prete Santo d’Agrò. Accredita, come detto, fandonie del Tinebra. Noi abbiamo cercato di
ridimensionare quelle fantasiose elucubrazioni sui meriti dell’Agrò. Ma niente.
Qui continuiamo ed essere negletti. Avevamo sintetizzato nostre ricerche con
queste considerazioni. Le riportiamo in contradditorio delle affermazioni
storiche che come cartiglio si portano sotto il quadro della Maddalena.
“A Racalmuto, nella cura delle anime, allo Sconduto era
succeduto il sac. dott. Giuseppe Cicio che dopo un quinquennio cessò i suoi
giorni terreni (+ 6 novembre 1636). Il successore nell’arcipretura, D. Antonino
Molinaro (28 febbraio 1637) dura ancor
meno. Subito dopo muore don Santo d’Agrò (+ 22 luglio 1637) cui infondatamente
Tinebra Martorana, Sciascia e qualche altro ricercatore ancor oggi vogliono assegnare
il merito della moderna Matrice sub titulo S. Mariae Annunciationis.”
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“Il giovane arciprete Tommaso Traina s’impania nella transazione
con gli eredi di don Santo d’Agrò: sobillatore ci appare l’esecutore
testamentario, don Dn. Franciscus Sferrazza, dichiaratosi Legatarius dicti quondam Dn. Sancti de Agrò. Che cosa abbia disposto in favore della
Matrice don Santo d’Agrò, non mi è ancora dato di sapere, non essendo stato
rinvenuto il suo testamento, nonostante le tante ricerche. Disposizioni in
favore della sua tumulazione nella chiesa madre - che in quel tempo risulta
allargata dagli altari centrali a quelli laterali, entrambi i primi a sinistra
ed a destra dell’attuale edificio - non dovevano mancare, ma dovevano essere
ambigue ed indecifrabili. Familiari diretti del defunto, sacerdote, l’esecutore
del testamento ed il giovane arciprete addivengono ad una transazione, come da
rogito notarile. Il rogito cadde sotto l’attenzione di Tinebra Martorana,
procuratogli pare - guarda caso - da tal signor Salvatore Sferlazza. Come da
quel magari incerto latino notarile, il Tinebra abbia potuto raffazzonare quel
po’ po’ di fandonie che leggiamo a pag. 143 delle sue Memorie è arcano che non
manca di sorprenderci. A dire il vero l’alumbriamento
più che nel casto sacerdote Santo d’Agrò sembra doversi cogliere nei nostrani
scrittori, passati e presenti.”
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