Caldo giugno allora come adesso, venerdì
pomeriggio arriva un ordine da Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici
giovani ispettori della Vigilanza bancaria per un colloquio col signor
Governatore nella mitica grande sala del San Sebastianino. Vengono chiamati il
futuro direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero
Taverna, l’impeccabile dottor Piero Izzo.
E’ la fine di giugno del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe,
ormai archiviati. Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un
epilogo (in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un
viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e governo
dell’economia.
Quel giugno del ’74 si chiuse con un compiacente
decreto Sindona, assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe
capovolte: un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica riduzione
di pena da parte di togati inidonei a comprendere le superiori leggi che
governano i mercati, le borse, l’ordito bancario, la bilancia dei pagamenti, le
sorti dell’economia nazionale. De jure
condito e de jure condendo precipitiamo
tra vacui e perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico
soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale dell’intera
comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).
Nel pomeriggio del venerdì di quell’altro giugno
aspettammo a lungo prima di essere ricevuti dal Governatore: lo trovammo costernato
oltre misura. La mattina la borsa inglese aveva rubricato le tre banche
milanesi che facevano capo a Sindona come “inaffidabili”. A nulla era valso un
elogiativo fondo sul Corrierone, a firma Enzo Biagi. Banca Unione e Banca
Privata Finanziaria si erano ingolfate in un forsennato intreccio speculativo
in cambi ed avevano accumulato perdite stratosferiche. Come?
Banca Unione veniva affidata all’ispettore dott.
Enzo De Sario (che poi diverrà direttore generale B.I.). La “Privata” al
sottoscritto, esodato anzitempo per incompatibilità politica. Al sottoscritto
ebbe a presentarsi dopo pochi giorni dall’inizio della visita ispettiva un nobile banchiere
dell’epoca: Clerici di Cavenago. Esibì una carpetta di carte, in parte fogli di
un elaborato elettronico, in parte un rendiconto manuale a scalare di c.d.
operazioni in cambi.
Mi fu detto che trattavasi di outright a catena andati in male alle
varie scadenze, chiusi con swap i cui
spot chiudevano l’operazione a
termine mentre i forwod rinviavano a
data futura gli outright risultati
perdenti per irrazionalità dei cambi a termine. I nuovi cambi a termine
gonfiavano quelli di mercato per l’inglobamento degli interessi maturati.
Naturalmente il discorso mi risultò del tutto ostico. Per riprendermi andai a
comprare il don Chischotte e così
consolarmi col fatto che il povero Sancio
ebbe a rifiutare l’argomento del suo principale il quale lo voleva
convincere che non v’era sagrista di Spagna che osasse privare il suo pievano
del gusto di infliggergli un buon numero di nerbate.
Resta il fatto che le banche poi finirono, come
noto, in malora ma difficilmente riuscireste a trovare in una qualsiasi delle
sentenze di condanna un qualche accenno a tali operazioni veramente esiziali
per il patrimonio aziendale, causa precipua del dissesto fallimentare.
Eppure di trattava di una speculazione valutaria
dell’ordine di $ 3.659.511.933, nonché di DM 2.905.097.000, di Lgs. 10.000.000 e di Frb. 175.000.000 di
acquisti a termine contro $ 4.036.975.594, nonché di DM. 1.153.650.000 e di
Lgs. 25.000.000 per vendite a termine. E
ciò solo per la Banca Privata Finanziaria: vi erano poi le analoghe immani
perdite della Banca Unione. Ne parlavo alle pagg. 46-47 del mio rapporto; ne
discettava a lungo uno strano libro, SOLDI TRUCCATI, che la Feltrinelli
pubblicà il primo gennaio 1980 e, pur andato a ruba, spari incomprensibilmente
da tutte le librerie dopo solo pochi giorni. I magistrati di Milano lo ebbero
in mano ma non ne fecero niente. Perché non riuscivano a comprendere l’ordito
antidoveroso di forte rilevanza penale? Certo allora risultò patriottico non
capire, tanto vi era la travolgente vulgata di uno strabiliante concerto
mafioso. Sciascia, che un qualche pizzicotto lo ebbe a soffrire in questo
dannato caso Sindona, scrisse, sempre sul Corrierone, di professionisti
dell’Antimafia.
Senza mezzi termini ci va ora di affermare che
quella caterva di operazioni speculative in cambi finiva col determinare alle
scadenze un tale sconquasso valutario e borsistico che non poteva non venire
registrato dalla Banca d’Italia e dell’UIC. Infatti, le Autorità sapevano.
Tacevano? No. Non potevano che essere gli artefici occulti di ciò che ritengo
una contro speculazione del concerto delle Banche Centrali (Unione Sovietica in
testa). Ma ciò sarebbe acqua passata se la storia non si ripetesse. Ribadiamo
che allora le Autorità riuscirono a fare apparire il tutto come una insana
diavoleria mafiosa del Sindona. Non era un santo. Se fu suicidato, pace
all’anima sua.
Quel che mi interessa è l’attualità. Allora di
questa dissennata speculazione valutaria la magistratura non capì o non le fu
fatto capre alcunché. Non vi è un accenno nelle sentenze delle varie condanne.
Eppure avevano (tra l’altro) il mio rapporto ispettivo. Eppure potevano leggere
il libro Soldi truccati, ove l’aspetto valutario del crack Sindona è tutto
spiattellato.
Oggi una domanda si impone: perché allora tanta
sonnolenza mentale della magistratura milanese e perché invece oggi si
inventano colpe immaginarie di intelligenti, saggi, avveduti grand commis dello Stato. Il Governatore
della Banca d’Italia ha mansioni costituzionali di difesa della moneta, e di
avvedutezza nrl sovrintendere alla politica bancaria. Il Governatore è anche il
banchiere dei banchieri: deve agire in armonia con le peculiarità dei mercati e
delle borse, necessariamente aperti alle aggressioni speculative mondiali. Se è
impari, perché astretto dai lacci e laccioli di cui parlava Carli, beh! povera
economia finanziaria nazionale.
Ed un Governatore non può non servirsi di banchieri
ultra abili e competenti, anche arditi nel contrastare i callidi giochi degli
speculatori esteri e soprattutto “estero-vestiti”. La calata degli Unni non si
rintuzza con l’ottusità del perbenismo togato.
Non vi sarà più la Costituzione Materiale con cui inventare la
“rilevanza” della Banca d’Italia a livello della legge suprema, ma ogni suo
connesso fatto va visto alla luce del riflesso costituzionale visto che in
definitiva si tratta di apicali Autorità monetarie. Un gretta osservanza di
regolette di diritto privato possono significare inadempienza istituzionale ben
più colpevole.
Calogero Taverna
Nessun commento:
Posta un commento