Capoccio arciprete di Racalmuto
Il Vescovo Horozco, usa ed abusa dei benefici
ecclesiastici di Racalmuto, anche per le sue velleità
letterarie. Del resto, aveva nominato arciprete di Racalmuto il suo segretario particolare Alessandro
Capoccio che non aveva
neppure il tempo di prendere possesso di persona dell’arcipretura ed ebbe
perciò a mandarvi due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi atti notarili. [1]
Tre
anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del
Covarruvias, per prosternare la prima
relazione ‘ad limina’ dei Vescovi di Agrigento al Papa[2].
Mons.
Domenico de Gregorio parla del Capoccio nel lavoro prima citato (pag. 69) come uno dei
due testimoni nel processo canonico del febbraio 1594 per la nomina
dell’Horozco[3] a Vescovo di Agrigento presso il nunzio pontificio in Spagna, Camillo
Gaetano. In particolare, la testimonianza del Capoccio fu preziosa quando si
trattò della situazione della Chiesa Agrigentina, dato che costui aveva «dimorato circa due anni nella ..
città» di Agrigento. Peraltro, il
Capoccio a quel tempo solo «da due mesi conosceva l’Horozco».
Si dà il caso che con tali testimonianze passò inosservata la
mancanza della “limpieza de sangre”,
avendo il designato sangue ebreo nelle vene, che era all’epoca
d’ostacolo alle cariche ecclesiastiche. Il Capoccio venne poi compensato con la lauta arcipretura
di Racalmuto.
Il
De Gregorio è comprensibilmente circospetto e si limita ad annotare: «Il
Covarruvias portò con sé alcuni ecclesiastici spagnoli che
poi fornì di benefici come Ferdinando Rodriguez, nominato nel 1596 arciprete di Cammarata, il suo familiare Giovanni Aleyva
cui nel 1602 diede il beneficio della Madonna dei Miracoli di Cammarata, il dr.
Antonio Perez de Bobadilla nominato canonico, Alessandro Capoccio che fu arciprete di Racalmuto (1597) e Vicario generale».
Per
quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che
subentrò l’Argumento, nominato arciprete di Racalmuto nel marzo del 1600.[4]
Di
lui v’è cenno nel Sinodo del Vescovo Covarruvias del 1600-3. Tra gli altri viene nominato
esaminatore sinodale. [5] Resta
oscuro se la successione nell’arcipretura sia avvenuta per morte o per caduta
in disgrazia del Capoccio[6].
ANTICHE CHIESE
CULTO DI S. ROSALIA
Nella
visita pastorale fatta a Racalmuto vi è un accenno ad una chiesa dedicata a S.
Rosalia, ubicata nella bisettrice
Carmine-Fontana. A leggere la storia di Sicilia di Denis Mack Smith - lo storico amico di
Leonardo Sciascia - , si sarebbe portati a credere che Santa
Rosalia sia stata un’invenzione del Cardinale Giannettino Doria. Fu questi in
effetti che trasformò il rinvenimento di
ossa nel Monte Pellegrino, il 15 luglio 1624,
in un miracoloso rinvenimento della salma di Santa Rosalia.
Resta,
invece, assodato che a Racalmuto il culto di Santa Rosalia è ben più antico. Non sembra che vi sia
qualcosa su S. Rosalia nelle primissime visite pastorali agrigentine del
1540-3, dato che in quella del 1543 si accenna alle seguenti chiese
racalmutesi:
1) Chiesa
Maggiore, sotto il titolo di S.
Antonio;
2) “Ecclesiola” sub titulo Annuntiationis
Gloriose Virginis Marie, da tempo sede di una Confraternita e dove era stato
trasferito il Santissimo, chiesa adibita ormai al posto di quella Maggiore, a
quanto pare fatiscente;
3) Chiesa di
Santa Maria del Monte;
4) Chiesa di
santa Maria di Gesù;
5) Chiesa di
Santa Margherita;
6) Chiesa di
San Giuliano;
Nella precedente visita del 1540 abbiamo:
1) Chiesa
della “nuntiata”
2) Chiesa di
Santa Maria di Gesù (Jhù)
3) Chiesa di
Santa Margherita
4) Chiesa di
“Santa Maria di lo Munti”
Il silenzio delle fonti - si sa -
storicamente non comprova molto; ma è
certo che a quel tempo quella chiesa, se vi era, non rivestiva agli occhi della
curia vescovile grande importanza. Passando alla visita pastorale del 1608, la
Chiesa di Santa Rosalia è posta
nell’interno dell’abitato di Racalmuto. Il 22 giugno VI Ind. 1608, il vescovo Bonincontro la indicava in
modo piuttosto esplicativo come meglio vedremo dopo.
Ribadiamo
l’antichità del culto di S. Rosalia, di certo provabile sin dal primo decennio del
1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle
spoglie mortali in Monte Pellegrino se non da parte almeno sotto il cardinale
Doria. [8]
* * *
Senza
dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI.
« Rahyalmutum - scrive a pag. 758 - [...]
Pervetusta erat aedes ab anno 1400 circiter ubi ad annum 1628 dipincta
videbatur S. Rosalia Virginis in habitu heremitico, sed incuria
aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias,
cum societate animarum Purgatorii, habennte uncias 70, deleta est.»
Può così
tradursi il passo latino del Pirri: «A Racalmuto v’era una chiesetta [aedes] - antichissima -
che risaliva all’anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta
un’immagine di santa Rosalia in abito d’eremita e portante una croce ed un
libro tra le mani.. Purtroppo, è andata distrutta per incuria di alcuni, ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata
alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie con una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio dotata
di rendite per 70 once.»
Non si sa
se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella
vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice
Carmine-Fontana. In dettaglio sappiamo che
travavasi dalla parte della parrocchia di S. Giuliano: per giungere alla vecchia
chiesa di Santa Rosalia, posta dalla parte di S. Giuliano, si partiva dal:
·
Carmino et
tira a drittura strata strata
alli casi di Antonino Curto La Mantia;
·
e tira
strata strata per la cantonera delli casi et potya d. m.o Gregorio
Blundo;
·
et tira all’altra cantonera della Casa di
Vincenzo Brucculeri affacci frunti la potya di M.o Gregorio Blundo;
·
e dilla
scindi a drittura alla Chiesa di Santa Rosalia
La linea
divisoria prosegue, quindi, per le seguenti
strade per giungere fino alla Fontana.
·
dilla scindi alla Cantonera delli casi del
quondam Carlo d’Afflitto parimente puntone della propria strada - et dilla tira per la medesima strada alla
Cantonera delli casi del quondam Francesco di Liu
·
et dilla tira dritto per l’orto di Cavallaro fino allo loco dov’era la chiesa di San
Leonardo lo vecchio.
La chiesa
dunque è proprio al centro, con tre strade sopra e tre sotto in quel
congiungimento del Carmine colla Fontana.
Ripercorrendo
il tratto dal versante della Matrice, ne abbiamo ovviamente la
riconferma. Ecco i dati:
Si
parte dal Carmine e di là
·
si tira a drittura alla grutta di Pannella
restando d.a grutta nella d.a parocchia della nunziata
·
et scende allo capo della strada, per la
cantonera della casa di Pietro Rizzo e per la cantonera della Casa di Antonino Curto La Mantia
·
e tira strata strata per la cantonera della casa
di Augustino la Lumia circa
·
circa all’altra cantonera della casa di Giacomo
di Puma affacci frunti della Chiesa di
Santa Rosalia
Del pari, si scende:
·
sino alla cantonera delli casi di Antonino Lo
Brutto in un puntone della strada
·
e per la ditta strada tira alla cantonera della
potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali
Piamontisi,
·
e per la ditta strada tira alla cantonera della
potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali
Piamontisi,
·
et dilla tira alla cantonera di Paulo Macaluso confinante con li casi di Geronimo di Nolfo et
li casi di m.o Oratio lo Nobili fino alla fontana.
P. Morreale fornisce varie notizie sulla chiesa, ma non
tutte, a mio avviso, sono accettabili. Nel volume maria ss. del monte di racalmuto - Racalmuto 1986 - per il gesuita - «E’ posteriore la
notizia di una chiesa dedicata a S. Rosalia in Racalmuto negli anni 1320-1330» (pag. 23);
·
«I Racalmutesi non pensarono solo alle
case; [..] anche alle chiese. Rocco
Pirri chiama «antichissima, circa dell’anno 1400,
che durò fino al 1628» la chiesa di S. Rosalia, dove la santa era
dipinta «in abito eremitico, tenendo in
mano la croce ed il libro». La notizia del dipinto la troviamo anche nel p.
Cascini S.J. Nella sua opera «Santa Rosalia, vergine palermitana»;
riferendosi alla chiesetta di Racalmuto dedicata alla Santa dice, ‘V’era l’effige
della santa dipinta nel muro ... di questa prima immagine restandosi ben fissa
nella mente ... Pietro d’Asaro, n’ha dato fuori un bell’esemplare’» (pag. 24)
[Il testo del Cascini è del 1651, n.d.r.].
·
«Il Cascini fa scendere la data di costruzione della
chiesa, dal 1400 come vuole Rocco Pirri, alla fine del 1300.
«Per quanto
riguarda l’ubicazione pare che sorgesse in fondo alle attuali vie Cavour e
Baronessa Tulumello e che fosse di piccole dimensioni come
affermano le carte del ‘600 e ‘700.» (pag. 24)
·
«Santa Rosalia [...] fin dal 1320-1330 era onorata in una
chiesetta a lei dedicata» (pag. 97);
·
«Santa Rosalia riscuoteva venerazione e culto non solo
nell’antica chiesa di Casalvecchio, ma anche in quella a lei dedicata nella
nuova Racalmuto, sita tra l’Itria e il
Collegio di Maria» (pag. 98).
Non so come
il P. Morreale arrivi a collocare la chiesa di Santa Rosalia ‘tra l’Itria e il Collegio di Maria’. La
chiesa del 1608 poteva benissimo essere colà ubicata, anche se i dati prima
riportati farebbero pensare ad un posto più a sud, forse a monte di via M.A.
Alaimo.
Il padre
Antonio Parisi - secondo le note manoscritte che attribuisco all’arciprete Genco - sosteneva che «Racalmuto la patria mia fu la prima in tutta la Sicilia
ad innalzare un tempio a S. Rosalia già sin dal 1238». Il P. Morreale - che mostra di conoscere quel manoscritto -
parla invece del 1320-1330, dando pieno credito al p. Asparacio Domenico O.F.M.
Conv. ed a quanto questi scrive in proposito a pag. 22 del suo libro «La Santuzza ossia S. Rosalia», Palermo,
1924. L’erezione della chiesa nel secolo XIII o nel Secolo XIV è frutto -
secondo me - di una cattiva lettura del testo del p. Cascini quando accenna al muro cadente con sopra la
residua scritta MCC. Il Cascini,
invero, - come del resto dice lo stesso
P. Morreale (op. cit. pag. 69) - «non fa
distinzione tra l’antica e nuova Racalmuto; per cui la chiesa del 1320-1330 è
quella della nuova Racalmuto, servita dai confrati del SS. Sacramento. [cfr. Cascini Giordano, S. Rosalia Vergine palermitana, pag.
14-15]»
Per mera
congettura, sembra quindi che il gesuita P. Morreale s’induca a porre quella chiesetta a
Casalvecchio. Secondo le credenze locali, finora mai smentite, si opina che in
quel tempo Racalmuto fosse dislocato in quella contrada.
Tinebra-Martorana non ha dubbi: sino al 1355 Racalmuto «occupava i luoghi ora
detti Saraceno e Casal Vecchio» (pag. 68 e ss.). Ma, reputo del tutto infondata
questa credenza per le ragioni e le letture che riporto in nota [9]: escludo
pertanto che la vecchia Chiesa di S. Rosalia - anziché lungo la bisettrice Carmine-Fontana - potesse ergersi a Casalvecchio, come
vorrebbe il P. Morreale.
Il gesuita
nostro compaesano è pregevole per ricerca storica ed archivistica e per
sobrietà di stile: non ebbe però modo di accorgersi dei dati sulla chiesa di S.
Rosalia contenuti nella Visita Pastorale del 1608. Men
che meno, Eugenio Napoleone Messana, che ignorò del tutto gli
archivi della curia agrigentina. Entrambi incappano, quindi, in topiche
storiche circa il dislocamento di una chiesa a Casalvecchio. Sia S. Rosalia sia
S. Margherita erano chiese antichissime, ma sempre poste all’interno
dell’attuale perimetro edificatorio racalmutese, come le carte vescovili
inconfutabilmente comprovano.
Le carte
vescovili ed i dati del Pirri consentono una ricognizione, sinora mai
effettuata, del numero delle chiese in Racalmuto, prima del ‘600.
Oltre alle n. 6 chiese rinvenibili nella visita
pastorale del 1542-43, sono da annoverarne altre tre:
·
l’antica chiesa di santa Rosalia;
·
la chiesa di S. Leonardo ‘lo vecchio’, sita nei
pressi della Barona, vicino la Fontana, e totalmente
distrutta nel 1608;
·
la chiesa di S. Benedetto (il Coenobium cum Ecclesia del Pirri), verosimilmente
operante nel vecchio Campo Sportivo.
Non so se
nel 1596 sorgesse nel Beneficio di S. Agata una qualche omonima chiesa di cui è comprovata
l’esistenza in carte vescovili del XVIII secolo. Nell’ «archivio storico siciliano» del 1908 , Nuova Serie,
Anno XXXIII, F. M. Mirabella pubblicava un articolo su «Sebastiano Bagolino,
Poeta latino ed erudito del Sec. XVI» (pag. 105 e ss.). Vi si parla anche dei
difficili rapporti del poeta ed il vescovo di Agrigento Giovanni Orozco Covarrusias e Leyva di Toledo.
Leggo a pag. 188: «Certo è che della sua traduzione [fatta dallo spagnolo in
latino di alcune opere del vescovo] il Bagolino non si tenne adeguatamente
compensato. Aveagli il vescovo fatto l’onore di ammetterlo alla sua mensa;
aveva anche conferito a don Pietro Bagolino, fratello di lui, prima i beneficj
di Santa Lucia e di S. Margherita in Castronovo, di S. Agata in Racalmuto, di S. Maria Maddalena in Naro, di S. Leonardo fuori
le mura di Girgenti, e poi quello di S. Pietro
nella stessa Girgenti col reddito annuo di 250 ducati. Ma questo al poeta non
pareva un guiderdone condegno.» [10]
LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA.
Efficace il
Pirri nel parlare del fervore della confraternita delle Anime del Purgatorio nel costruire o
riedificare la Chiesa di Santa Rosalia. L’anno è il 1628, qualche
tempo dopo la tremenda peste che a Racalmuto infierì nel 1624 [11], anno
del rinvenimento del corpo di S. Rosalia
nella grotta di Monte Pellegrino, giusta appunto il giorno dell’Ascensione.
Nel
manoscritto attribuibile al Genco è significativo il presente passo: «Poi a pag. 373 [il Cascini] narra che Racalmuto fu devoto di S. Rosalia tanto che narra: “Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la
quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la
protettione di questa Santa e vi dedicò
la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la
divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d’una
moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò
fecero il giorno quando accompagnarono
la sua Santa reliquia, che fù l’ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla
da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò
prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla
solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il Vespro pur solenne si fece la processione,
nella quale, benché vi fosse molta pompa d’apparato con tre archi
trionfali, di luminarie per tre giorni,
di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la
devotione, che s’udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della
moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari
segni, che la sua protettione l’havea liberati dalla pestilenza; imperoché
havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal
menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che
fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra
loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi
entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d’altre, i
medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio
alcuno.»
Facendo la
collazione con il testo originale, sono sate necessarie alcune rettifiche. (Si
è consultata l’edizione del 1651 del volume del p. Giordano Cascini «S. Rosalia, Vergine Romita
palermitana, palesata con libri tre dal M. R. P. Giordano Cascini della
Compagnia di Giesù»). Il manoscritto racalmutese (ed anche p. Morreale) attinge a questa pubblicazione palermitana del 1651.
Il p. G. Cascini era morto sin dal 1635 quando fu pubblicato questo volume. E’
stato il p. Pietro Salerno S.J. a riprendere gli appunti del Cascini ed a
rimaneggiare altri due testi già pubblicati tra il 1627 ed il 1635 per fare
questo ponderoso tomo. Per di più rettifica ed immette notizie posteriori,
ragion per cui non si sa quali notizie
siano originali del Cascini e quali interpolate successivamente dal
Salerno. Nell’analisi critica dei padri autori degli «acta sanctorum» del 1748 queste anomalie sono
puntigliosamente messe in rilievo. Certo, anche per la storia di Racalmuto, alcune interpolazioni del
Salerno - tipo, secondo me, quella del riferimento al Monocolo - disorientano. [12]
Notizie
interessanti sulla Chiesa di S. Rosalia di Racalmuto - anche se forse non proprio fondate - si
scoprono nel “saggio storico-apologetico sulla
vera patria del celebre medico D. Marc’Antonio Alaimo di Racalmuto dell’Abate d. s. acquista” Napoli 1852 (cfr. copia fornitaci da P. Biagio
Alessi). «... Andrea Vetrano - scrive Acquisto a pag. 7 -, discepolo di Marco
Antonio Alaimo, recitò nel novembre del 1662 le lodi funebri del dotto Maestro
[...e] proseguendo [..] in conferma
dell’assunto, e della pietà, che sempre più gelosamente si coltivò nella
famiglia Alaimo, il medesimo scrive; che Aloisia Alaimo, dalla quale
Marc’Antonio trasse sua origine, gettò in Racalmuto le fondamenta della Chiesa
di S. Rosalia , unicamente a di lei spese, circa il 1200. [13]
* * *
Nelle varie
fonti prima citate si rinvengono briciole della storia locale di Racalmuto. Non vanno disperse. A
parte qualche tocco di satanismo secentesco (la vicenda della spiritata), il
vivere paesano, la sua religiosità, la sua organizzazione vi trovano riscontro
sinora non adeguatamente messo in risalto. Le reliquie di S. Rosalia, comprate in Palermo e
traslate in pompa magna nella chiesa di S. Maria dei frati minori osservanti, da ottanta
cavalieri, assurgono a momento di grande rilevanza storica. Una conferma la
ritrovo nel Diploma custodito in Matrice (che però è parziale e non mi consente di
leggere l’ultima parte di destra.)
Ecco ciò che riesco a decifrare:
In alto,
nello svolazzante nastro:
IOANNETTINUS DORIA ET C [/]
Nel
rosone, attorno ad un’interessante immagine di S. Rosalia,
Sancta Rosalia Virgo eremitica panormitana
Sotto
l’aquila nobiliare
NOS D: FRANCISCUS DELLA RIBA S. T [/]
Prothonotarius Apostolicus,
Archidiaconus Maioris Panormitanæ E [/]
D.ni Nostri Utriusque signaturæ
Referendarius .. & Reverend.mi D
[/]
IOANNETTINI DORIA S.R.E. Titoli
Sancti Petri in Monte
Aureo [/]
& Archiepiscopi Panormitani [......] V [icarius] Generalis.
Omnibus ad quos hæ litteræ pervenerint fidem facimus, & testamur
fragmenta Ossis Costæ, quæ funi penes Fratrem IOANNEN BATTISTA [/]
Montis Carmelis esse ex Reliquiis SANCTÆ ROSALIÆ V[...] [/]
Urbis Patronæ; cuius Corpus nuper est
inventum in Antro Montis [/]
mirabiliter inclusum ut autem duo
fragmenta, ut supra, liceat universis [/]
[..] ac religiose venerari; in huius rei testimonium presentes dedimus
nostra fut [/]
præfati Ill.mi Dni Cardinalis obsignatas. Panormi Die X.. Augusti VIII
Ind. [quindi 1625] MDCXX[/]
Firme
illeggibili
e in
basso, nell’ovale sotto gli angeli
Lilia præstanis encedunt alma rosetis,
Ignea pestis adest, hac rutilante Rosa
O felix, faustumque solum cui sacra [...]
Pignora, tabificum despicit [..]
|
L’altro
diploma in caratteri gotici, sempre custodito in Matrice, non dovrebbe
riguardare proprio S. Rosalia, anche se la santa vi è citata: al 17°
e 18° rigo leggerei “in Sancte Anne et Sancti Joachini ac
Annuntiantionis Beate Marie Virginis nec non
Sancte Rosalie festivitatibus et devote visitaverint ..”. Lo stato dell’originale e le ampie abrasioni impediscono una più
precisa lettura. Dovrebbe però riguardare una bolla pontificia di concessione di indulgenze
connesse ad una confraternita che credo essere quella di S. Francesco. Reca
infine la data del 1630 [Anno incarnationis dominici Millesimo Sexcentesimo
tricesimo Januarij], se non erro. E’
postuma la visita fatta «in hac terra Regalmuti sub die 26 novembris 1726» da
parte di un canonico.
Facendo una
digressione nella digressione, l’episodio degli 80 cavalieri che portano in
piena peste le reliquie di S. Rosalia da Palermo nella chiesa di S. Maria nell’agosto del 1625, dovette restare ben
impresso nella memoria dei racalmutesi. Qualcuno, però, si avvalse di quel
ricordo per l’esaltazione della propria famiglia. Riporto a tal proposito il seguente
passo di Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag.
104)
«Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di
Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del
maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea. Le figlie
erano entrambi (sic) ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni
III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al 1598, data della sua morte e vi sarebbero
forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del
padre, allarmato dell’insurrezione contro il nuovo pretore. In quell’occasione
Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero
ricondotte al castello sane e salve. La sorte arrise al milite Scipione
Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo
matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta
essere la più nobile di tutte le altre. I Savatteri infatti discendono da Pable
Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...] Non si hanno
notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che
lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l’Abbazia di Santa Chiara ...»
L’inattendibilità
storica, specie sui del Carretto, è fin troppo vistosa.
Quanto a donna Aldonza, questa non ebbe mai a maritarsi e fu ospitata, zitella
invecchiata, nel monastero di S. Caterina in Palermo. Eugenio Messana non
ebbe modo di studiare i documenti che si rinvengono nell’Archivio di
Stato di Agrigento per
conoscere la vicenda della terribile virago secentesca donna Aldonza del
Carretto. In Pirri, ad esempio, vi è qualche
spunto per la storia di questa nobildonna. (cfr. pag. 758, op. cit.)
Sul nobile
Savatteri, gli archivi parrocchiali smentiscono purtroppo impietosamente. Ma la
digressione prova come anche nelle fantasie nobiliari locali vi sia un barlume
di storia: il caso citato può a mio avviso collegarsi allo sfilare di cavalieri
con le reliquie di S. Rosalia nell’estate del 1625.[14]
La chiesa
di S. Rosalia resta funzionante per circa un secolo e mezzo.
Nel 1758 essa è ormai quasi cadente: nel libro delle visite pastorali (Archivio
Vescovile di Agrigento - Visita del 1758 di Andrea Lucchesi Palli
- f.
735) si annota:
«Eodem [giugno 1758] - S.ta Rosalia - Predictus Ill.mus et rev.mus
U.J.d. D. Gerlandus Brunone accessit ad visitandam Ecclesiam S.tæ Rosaliæ et
dixit:
‘che fosse interdetta
fin tanto, che gli altari fossero provveduti delle necessarie suppellettili
giusta la forma prescritta dal nostro Ecc.mo Monsig. nelle sue istruzioni della
Sagra Visita date in stampa.
La
melanconica fine della gloriosa chiesa di S. Rosalia emerge burocraticamente dal Registro dei
Vescovi 1792-1793, ff. 570-571, giusta i seguenti termini:
[la parte della pag. 570 che riguarda S. Rosalia reca a fianco annotato: Non abuit
effectum e risulta tagliata con un’ampia X, ma la lettura è del pari
interessante:] «Rev.do Archip.tero terræ
Racalmuti salutem. Restiamo intesi dalle vostre lettere segnate sotto li 21.
del mese cadente di Maggio in risposta al nostro ordine colle quali ci rappresentavate, che avendo
fatto bandire (bandiare) la Chiesa quasi
diruta sotto titolo di S.ta Rosalia, non vi è stata alcuna offerta; solamente
codesto Sacerdote Don Salvatore Maria Grillo per sua devozione vuole erigere l’altare a d.a Santa entro
codesta Venerabile Chiesa Madre a sue proprie spese una con tutti quelli
paramenti per decoro di d.o Altare conservandosi della cessione della medesima
Chiesa di S.ta Rosalia, e perciò avete a Noi ricorso per l’ordine
opportuno. Dietro il quale fu da Noi
fatta ‘provvista] quod fiat ordo Rev. Paroco prout conveni. In seguito di che vi diciamo ed ordiniamo che
obligandosi il Rev. di Grillo ad erigere il dovuto Altare con tutte le
necessarie decorazioni a proprie spese, ed al mantenimento del medesimo, passerete a stipulare il contratto
»
«Rev. Archip.ro Terræ Racalmuti Salutem - Restiamo
intesi delle vostre lettere [...] sotto
li 21: del p.p. Mese di Maggio colle quali ci
partecipate di aver d’ordine nostro fatto subastare per il corso di anni
due la ven.le Chiesa di S. Rosalia quasi diruta, e non è stato
possibile rinvenire dicitore, che volesse far la sua offerta, solamente codesto
Rev.do Salvadore Grillo pella sua pietà e devozione verso
d.a gloriosa Santa , ed a preghiere anche dei devoti s’indusse ad acconsentire
di erigere d.o Altare e Cappella condecente e congrua in codesta Venerabile
Chiesa madre in onore di detta Santa uniformemente di ornato della stessa Chiesa una [f. 571]
... con tutte le decorazioni necessarie a d.o Altare e Cappella, conservandosi
della cessione della suddetta Chiesa di S.a Rosaria e Sagrestia annessa, quale
offerta fu da voi annunziata, dopo averla fatta mettere all’asta [ subastare?]
non fù migliorata da nissuno, e perciò chiede da Noi la licenza per poter
passare a stipular contratto di cessione di suddetta Chiesa e Sagrestia in
favor di detto di Grillo, obligandosi questo di far sud. Altare e Cappella, con tutta la
decorazione necessaria, ed a corrispondenza dell’ornato di detta Chiesa, e come
meglio per dette lettere. Dietro le quali fù da noi fatta provvista quod fiat
ordo Rev. Archip.ro prout concedit: In seguito di che vi diciamo et ordiniamo
che facesse fare la relazione ad un perito Maestro Marammiere di quanto bisogna
per l’erezione dell’altare colle dovute decorazioni e valore della chiesa
distratta, quale relazione la trasmettirete a Noi. [...] Datis
Agrigenti die 3 Junij 1793: Can. Thes.us
Caracciolo Vic. Cap.ris , Can. Trapani cancellarius.»
Questo sac.
D. Salvatore Maria Grillo - che fa la permuta con la chiesa di S.
Rosalia - appare tra i sacerdoti officianti dell’Itria
a fine del secolo XVIII, anche se spesso si fa sostituire a pagamento da altri
sacerdoti nella celebrazione delle messe dovute per i confrati di quella
congregazione.
Nei vari
Censimenti custoditi in Matrice figura questo sacerdote, che risulta defunto nel 1806. Eccone qualche dato:
(dal
censimento del 1790)
103
|
Grillo
|
Nicolò
|
ROSALIA D.A M - ANTONIO 20 – D.
GAETANO 16 - D. GIROLAMO 28 - FILIPPA SERVA – CALOGERA SERVA
|
BARONE
|
104
|
Grillo
|
Salvadore
|
VENERA SERVA - CHIARENZA FRANCESCA SERVA - D.
RAFFAELE 23 NIPOTE
|
|
(in quello del 1801, il gruppo familiare risulta così
ripartito)
·
Rev.
Dn Salvadore Grillo -
Dn. Raffaele nipote anni 34 - Venera serva - Francesca serva.
·
D.n Girolamo Grillo - Dn. Francesca moglie.
·
D.n Antonino Grillo libero anni 24 - D.n Gaetano anni 30 - D.n
Francesca anni 32 - Filippa serva - Rosalia serva.
Il sac.
Salvadore Grillo è, peraltro, soggiogatario piuttosto diligente
della Matrice di Racalmuto, come appare nei libri
della Fabbrica, proprio durante la gestione del Procuratore Sac. Benedetto
Nalbone. Paga come erede di un
altro Grillo e, così, dopo il 1806 i suoi eredi.
Credo che
ai documenti vescovili prima riportati si riferisse il P. Morreale S.J a pag. 24 della sua op. cit. e da lì abbia
tratto la congettura di ubicare la chiesa di S. Rosalia «in fondo alle attuali vie Cavour e baronessa
Tulumello». Certo quel Sac. Grillo sembra appartenere alla nota famiglia baronale
che ebbe a concentrarsi attorno a quello che oggi viene indicato come ‘Arco di
D. Illuminato’, sopra il Collegio. Ma da qui a
collocare la chiesetta quasi
diruta - fagocitata per poche once da quel prete che tiene in casa una serva a
nome Chiarenza [antenata del prete garibaldino racalmutese?]
- nelle aree di dominio dei barone Grillo, ce ne corre.
Il testo
dell’Arciprete Genco vorrebbe accreditare il canonico Mantione come un dissennato piromane dei documenti comprovanti la nascita a Racalmuto di Rosalia. Quei documenti non poteva
distruggerli perché del tutto inesistenti. Se fossero esistiti non sarebbero
sfuggiti al puntigliosissimo inquisitore del card. Doria, il p. gesuita Cascini. E gli si sarebbe
ulteriormente complicata la vita, già tutt’altro che agevole, dovendo far
collimare le tante dicerie sulla nascita di S. Rosalia. Dopo S. Stefano
Quisquina - tanto lontana dagli altri posti creduti quelli natali di S. Rosalia
come i centri reatini Rocca Sinibalda e Borgorose (un tempo Borgo Collefegato)
- ci mancava proprio Racalmuto per la quadratura di quel cerchio nativo di S.
Rosalia.
Il can
Mantione, però, una imperdonabile
colpa ce l’ha: per mera grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima
testimonianza religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa
Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa
in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del
Santissimo Sacramento (cfr. Cascini op. cit. pag. 15)», ma aveva un rilievo ed
una sacralità superiori allo stesso
interesse locale e se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva
permettere quello scempio. Era da
quattro anni arciprete di Racalmuto, con prebende, quindi, cospicue.
I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o rafforzare un muro erano
accessibilissimi. Ai miei occhi, il comportamento di quell’Arciprete appare
incomprensibile. Un pozzo di scienza,
viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale (se non
religiosa) verso la chiesetta di S.
Rosalia o Rosaliella gli riverbera una imperdonabile
ombra.
A voler
sintetizzare, abbiamo dunque un’antichissima chiesetta che risale, a seconda
delle varie versioni delle fonti, al
1200 (Vetrano, Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente
quella chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali
agrigentine).
Nel 1628,
ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio viene riadattata, o
edificata (o riedificata) la novella chiesa di S. Rosalia che resiste sino al 3 giugno 1793 quando viene ceduta al sac.
Salvadore Grillo essendo stata barattata dal can. Mantione per un altare con statua alla Matrice.
Ma già nel
1758 quella chiesetta era in cattivo stato. Il vero culto della Santa si era
trasferito alla Matrice come attesta l’arc. Algozini nella visita pastorale del 1732. Vi si riferisce il § IX ove inclusa
nell’elenco “delle processioni” è quella di “S. ROSALIA”.
La vecchia chiesa di S. Margherita.
Scrive il
Pirri:
Antiquissimum est templum olim maius S. Margaritae
Virg. ab oppido ad 3 lapidis jactum, anno 1108 de licentia Episcopi Agrigenti a
Roberto Malconvenant domino illius agri exctructum,
praediisque auctum
Su tale
chiesa incombono le decime destinate al 18°. canonicatus . Margaritae [talora 10° Canonicato di Santa Margherita in Racalmuto]. Soggiunge il Netino:
«an. 1398,
ob rebellionem Thomae de Miglorno Rex Martinus dedit Gerardo de Fimio in lib.
Canc. ind. 6. ann. 1398. f. 137. Capib. f. 316. habet mediam decimam oppidi
unc. 56.» Vi sono in questo passo richiami a documenti della Cancelleria e dei
Capibrevi di Palermo: per i Capibrevi cfr. quelli
pubblicati nel 1963 da Illuminato Peri [ Gian Luca Barberi -
beneficia ecclesiastica - a cura di Illuminato Peri - G. Manfredi Editore
Palermo - Vol. II , pag. 139]. Vi si legge: «canonicatus agrigentine sedis
prebenda sancte margarite rayalmuti - [316] - Cum ob rebellionem et
nephariam proditionem per presbiterum Thomam de Maglono canonicum agrigentinum
contra serenissimum regem Martinum Sicilie regem perpetratam canonicatus
agrigentine sedis cum prebenda ecclesie sancte Marie de Rayhalmuto agrigentine
dioecesis vacaret, rex ipse auctoritate apostolica sibi in hac parte
sufficienter impensa canonicatum ipsum cum eadem prebenda tanquam de regio
patronatu presbitero Gerardo de Fino contulit et concessit, quemadmodum
in ipsius domini regis Martini provisione in regie cancellarie libro anni 1398.
VI. inditionis in cartis 137 registrata diffusius est videre.
Unde per verba illa, scilicet: ‘Auctoritate apostolica
in hac parte nobis sufficienter concessa’ notandum est quod Sicilie reges a
summis pontificibus perpetuam habuerunt prerogativam et potestatem conferendi
omnia regni beneficia. invenitur enim reges ipsos non tantum beneficia regii
patronatus, verum etiam alia ad prelatorum et aliarum personarum collationem
spectantia contulisse, prout superius pluribus in locis expositum est. Nunc
autem anno 1511 currente.»
Sulla chiesa abbiamo detto
alquanto diffusamente prima. Per correntezza vi facciamo qui generico rinvio.
ARCIPRETI,
SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA RACALMUTESE -
1500-1731
Dopo la venuta della Madonna del Monte
Ad Ercole succede nella baronia il figlio Giovanni (il
secondo di una serie che arriva a quota cinque). Reperibile a Palermo negli atti del
Protonotaro del Regno di Sicilia, un diploma che lo riguarda e che risale al 28
gennaio, VII^ Ind., 1519. In quel torno di tempo capitò ai Del Carretto un intreccio di fatti criminosi che un loro
pronipote, Vincenzo Di Giovanni, ebbe poi voglia di
raccontare in un suo volume dal titolo Palermo
Restaurato, buttato giù subito dopo la celebre peste del 1624.
L’intreccio
di omicidi e vendette fra nobili passò alla storia come il caso di Racalmuto, quasi celebre come quello
di Sciacca. Un Del Carretto, Paolo, aveva avuto un
contrasto con la famiglia Barresi di Castronovo ed al colmo della sua ira ebbe a
schiaffeggiare un membro di quella nobile casa. Apriti cielo! Quando codesto
Paolo Del Carretto con 25 cavalli andò a visitare don Ercole Del
Carretto, signore di Racalmuto, spie
avvertirono i Barresi che si mossero verso la piana di San Pietro per tendere un agguato. Ne scaturì una rissa
con morti dell’una e dell’altra parte. Paolo del Carretto, il più animoso di
tutti, brandiva a destra e a manca il suo pugnale per uccidere senza pietà. Ma
una saetta nemica gli si conficcò in fronte e cadde a terra morto stecchito.
I
Barresi poterono lavare l’onta subita ma dovettero
riparare all’estero, a combattere con il maresciallo di Francia Lautrec, temendo la ritorsione
della più potente famiglia dei Del Carretto. Passato un certo tempo, si
reputarono al sicuro e tornarono in Sicilia. Morto, frattanto, Ercole Del
Carretto, toccava al figlio
primogenito Giovanni l’incombenza della vendetta di famiglia. Giovanni del
Carretto, neo barone di Racalmuto, non se la sente di
affrontare di persona i Barresi. E’ in rapporti di grande amicizia con Enrico Giacchetto di Naro, manigoldo sopraffino, e
gli dà l’incarico di punire per suo conto l’oltraggio subìto. Enrico promette e
nella città di Termine stermina la famiglia Barresi, che aveva frattanto
abbandonato Castronovo. Le teste mozzate furono portate a D. Giovanni a
certificazione della consumata vendetta. Il Del Carretto ebbe quindi fastidi dalla giustizia di allora
ma col tempo, per dirla con il cronista, “riuscì con vittoria, grandissimo
onore e reputazione.” [15]
Codesto Paolo del Carretto affiora negli archivi della Curia Vescovile
Agrigentina. E’ chierico, ossia un ordine minore del tempo che consente il
matrimonio ed una normale attività laica. Non certo quella criminale. E’
vessatorio verso Racalmuto, tanto che
pacifici cittadini - e persino un prete - gli fanno causa, nonostante i vincoli
feudali che si erano già affermati. [16]
Il
Sacerdote che contrasta con il chierico del Carretto è don Francesco La Licata, su cui abbiamo i dati
forniti dal documento datato 17 maggio 1512 - XV^ Ind., riguardante la consegna
di cedole della Curia Vescovile ai sindaci di Racalmuto Vito de
Grachio, Francesco de Bona, Jacobo de Mulé, Philippo Fanara, Salvatore Casuchia, Grabiele La Licata, Orlando de Messana, presbitero Franesco La Licata et Stephano de Santa Lucia, a seguito di istanze avanzate alla Gran Regia Curia. L'incarico promanava dal Vicario
Generale Luca Amantea ed è rivolto al Vicario di Racalmuto.
Il barone Giovanni Del Carretto, avrà avuto la meglio sulla
giustizia terrena, ma nel suo Castello sopra la Fontana la sua coscienza gli
rimorse sino alla morte. Cercò di tacitarla facendo sorgere chiese e conventi
(San Giuliano, San Francesco, Santa Maria di Juso, il Carmelo). Ebbe ad essere
munifico con i preti. Dispose per un
avello dovizioso a San Francesco. Fece sorgere confraternite al Monte, a San Giuliano, nella
chiesa arcipretile di S. Antonio, a Santa Maria di Jesu. I carmelitani di padre
Fanara gli furono devotissimi. I minori conventuali
della custodia agrigentina ebbero beni ed onori e poterono officiare nella
sontuosa chiesa di S. Francesco. Proprio qui il barone avrebbe voluto la sua
tomba. [17]
Ma la quiete dell’anima, in vita, Giovanni Del Carretto non pare l’abbia mai raggiunta.
Abbiamo motivo di ritenere che il figlio Girolamo - primo
conte di Racalmuto - ebbe poi voglia di titoli nobiliari
altisonanti, che molto denaro gli costò, troppo anche per le sue cospicue
disponibilità. Quella cappella, a nostro avviso, non la costruì mai: non emerge
dalla documentazione d’archivio, che pure è cospicua in ordine alla chiesa di
San Francesco. Per sottrarsi agli obblighi testamentari, che investendo cose di
chiesa potevano far scattare temibilissime scomuniche, fu tanto abile da fare
incarcerare dal compiacente Santo Ufficio il notaio redigente il testamento.
Quel notaio si chiamava - guarda caso - Jacobo Damiano, sì, proprio quello a cui
sia Sciascia sia E.N. Messana dedicano la loro attenzione.
Il testamento che gronda spirito cristiano, bontà,
benevolenza verso i poveri, rispetto per il clero, devozione, e simili nobiltà
d’animo, noi l’abbiamo già pubblicato altrove: la sua consultazione illumina
sulla storia (veridica e non fantasiosa) della prima metà del Cinquecento
racalmutese. Vi traspare il livello religioso della locale comunità ecclesiale,
il culto della Madonna e dei Santi, l’empito morale, la voglia di nuove chiese
in cui pregare (ed ove venire sepolti).
Nella prima metà del cinquecento sorgono le prime grandi
confraternite racalmutesi. Queste non sono da confondere con
le aggregazioni delle maestranze, come si è soliti pensare in forza delle reminiscenze
scolastiche. Le confraternite racalmutesi trascendono il dato sociale: vi si
associano, tutti insieme ed alla pari, nobili e plebei, mastri e contadini,
preti e laici. Hanno essenzialmente la funzione di assicurare la “buona morte”
- che equivale ad una sepoltura dignitosa e cristiana nelle chiese che i
sodalizi riescono a fabbricare con i mezzi propri e con l’apporto economico
determinante del barone locale.
Le confraternite amministrano anche i lasciti - cospicui - che
taluni arricchiti, morti senza prole o che intendono punire la poco affidabile
vedova, stabiliscono per testamento al fine di dotare un’orfana - purché
appartenente al loro ceppo familiare e sempreché sia povera (relativamente).
Le organizzazioni - decisamente laicali, anche se assistite
da un cappellano - disponevano di fondi pecuniari da far
fruttare. Finivano con lo svolgere attività intermediatrice, si configuravano
in modo assimilabile alle moderne banche. Investivano soprattutto in case che
affittavano e per contrassegno vi stampavano una figura che richiamava, di
norma, la denominazione della confraternita, derivata dalla chiesa in cui
avevano sede sociale.
Stando alla visita del 1540-4 del vescovo Tagliavia, si
possono ricordare queste istituzioni:
·
Luminaria del Santissimo Corpo di Cristo,
istituita nella chiesa maggiore di S. Antonio (che però essendo pressoché
distrutta - almeno nel 1540 - non era praticabile ed al suo posto operava
provvisoriamente l’ “Ecclesiola” dell’Annunciazione della Gloriosa Vergine
Maria): ne era Governatore mastro Antonino La Licata, che introitava
la detta luminaria sopra alcune case di Racalmuto, e cioè su 17
corpi di fabbricati, che si solevano locare per circa otto once, con affitti
peraltro crescenti. In più il Governatore raccoglieva le elemosine giornaliere
e curava i legati.
·
Confraternita della Nunziata: ne erano i
rettori:
1.
Montana mastro Paolo;
2.
Cacciatore mastro Paolo;
3.
Santa Lucia Cesare;
4.
Vaccari Giovanni.
Aveva dodici once di reddito sopra diverse
case di proprietà, locate per dodici once.
*
Confraternita di Santa Maria del Monte: ne erano
rettori:
1.
Cacciatore mastro Pietro;
2.
Vaccari Pietro;
3.
de Agrò Mirardo;
4.
Fanara Adario.
Aveva quattro once e venti tarì di reddito
sopra diversi possedimenti terrieri.
·
Confraternita di Santa Maria di Gesù:
ne erano rettori:
1.
de Agrò Natale;
2.
Vurchillino (Borsellino) Antonino;
3.
Murriali Giuliano;
4.
de Alaimo Michele.
Aveva
dodici corpi di case in Racalmuto, locate per
dieci once all’anno.
·
Confraternita di S. Giuliano: ne erano
rettori:
1.
Curto Angelo;
2.
Lauricella Andrea;
3.
Curto Stefano;
4.
Picuni Antonino.
Aveva una certa rendita in denaro. Ai
rettori fu imposto di esibire il legittimo inventario, sotto pena d’interdetto.
Le confraternite racalmutesi appaiono come peculiari
organizzazioni economiche, con un patrimonio immobiliare abitativo estesissimo,
quasi monopolistico; fungono da banche con prestiti a tassi contenuti, quelli
ammessi dalla chiesa; amministrano i fondi di dotazione per il matrimonio di
orfane povere; e principalmente lucrano con le incombenze della sepoltura dei
morti nelle chiese di loro proprietà. Emergono, comunque, due singolari e sorprendenti caratteristiche:
la prima è una spiccata laicità, quasi si temesse una indesiderata
sopraffazione ecclesiastica. Si badi bene, il sacerdote è bene accetto, ma esso
deve limitarsi alla parte spirituale; è il cappellano che dice messa - a pagamento - ed accudisce
agli atti di pietà quotidiana. La gestione economica e societaria è però di
esclusivo appannaggio dei laici: il governatore, i rettori e figure simili.
L’altra caratteristica è un interclassismo del tutto inusitato per i tempi. I
cosiddetti “magnifici”, o i “mastri” o i semplici ‘villani’ convivono in un
solo sodalizio senza preminenze e senza subordinazioni d’indole classista. C’è
chi fa derivare da tali aspetti una forma di vita religiosa racalmutese, senza
dubbio sincera e sentita, ma con venature anticlericali. E’ tipicamente
racalmutese il motto: “monaci e parrini, vidici la
missa e stoccaci li rini”. Atavica dunque a Racalmuto la separazione tra il mondo di Dio, della
religione, della chiesa e quello del consorzio civile specie sotto il profilo
economico e sociale. Al contempo, il classismo - o come vorrebbe Gramsci la
coscienza di classe - non ha molto senso nella ‘dimora vitale’ racalmutese e da
sempre. Solo nell’Ottocento gli arricchiti dello zolfo pretesero una loro egemonia accompagnata a
prestigio sociale; si ritennero “galantuomini” e si associarono in loro
esclusivi circoli. Nel Novecento tale discriminatoria suddivisione sopravvisse,
con i tratti - spesso buffi, e talora beffardi - che Sciascia seppe mirabilmente rappresentare nelle Parrocchie di Regalpetra. Ma tra i vari Circoli
Unione o della Concordia e le antiche confraternite
cinquecentesche non v’è analogia alcuna.
Le
confraternite - che sappiamo essere diffuse in tutta la
Sicilia - non vantano ancora una sufficiente pubblicistica, diversamente da
quello che avviene, ad esempio, in Francia. Ci pare che solo il padre Sindoni
di Caltanissetta se ne sia occupato. Ma
da ultimo, mons. Cataldo Naro sta supplendovi alla grande. Alla Matrice sono conservati Rolli ed altri documenti di
minuziosa ricognizione della lunga vita di siffatte confraternite. Nessuno,
sinora, li ha studiati. Qualche spurio accenno si trova nel libro di padre
Morreale sulla Madonna del Monte. [18] Pur nel
massimo rispetto per quel grande gesuita, ci pare però che l’approccio è
fuorviante ed il peculiare fenomeno racalmutese delle confraternite sfuggì
all’intelligenza del colto studioso.
[1]) cfr.
Atti della Matrice: STATO
DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -
1582-1600 ove leggesi la seguente nota: «DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598:
''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?)
procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto
plubico''.»
[2]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f.
1.
In
spagnolo, il Covarruvias così presentava il
Capocho alla Sacra Congregazione competente:
«Quando
no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro Capocho mi
secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle
cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro ...el obispo de
Girgento».
Nell'atto
di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene titolato
come "Sacrae theologie professorem
eiusque [del vescovo] Secretarium”. Noi, su quella scia, abbiamo consultato
il processo canonico - Archivio Vaticano Segreto - Processus
Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.
La
testimonianza di quello che sarà il nostro arciprete è, a dire il vero,
schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando
e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone
il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in
questa corte.
«Egli
testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di
non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano
alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi
molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non
ci pare qui conferente). Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato
due anni, poco più poco meno’.
[3])
Sull’Horozco è tornato di recente, con una approfondita ricerca Raffaele
Manduca: Il sinodo di Giovanni Horozco (Girgenti 1600-1603) in Archivio Storico per la
Sicilia Orientale - 1991 Fasc.I-III, pag. 243-296.
[4]) Cfr.
Atti Matrice: STATO
DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -
1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni
don Andria Argumento a li 7 di marzo XIII ind.1600».
[5]) «don Andreas de Algumento U.J.d. Ar.[arciprete] terre Recalmuti» (cfr. Archivio
Vaticano Segreto - Relationes ad limina - A18 - f. 40).
[6]) L'elenco
degli arcipreti di p. Puma omette ogni dato sull'arciprete Argumento,
[l'annotazione a penna +1579 resta
indecifrabile. Forse è da rettificare in
1599 e segna la fine dell'arcipretura del Capoccio o
Cappocho.]
[7] ) Cfr. le pagine 196v-198v della Visita.
[8] ) In
un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 che si rinviene negli archivi
della Matrice,
si riferisce - credo dall’arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le
avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al
vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra
l’altro, in quel manoscritto leggesi che «Padre
Gregorio [rectius: Giordano] CASCINO scrittore del 1600, palermitano e gesuita,
[fu autore di una vita sulla Santa]». E quindi: «Fui il 13 ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi
il piacere di leggerlo per summa capita: trovai che il Padre Cascini Gregorio [rectius: Giordano] morì nel 1635=
[...] poi a pag. 171[parla di antiche iscrizioni e di chiese anche fuori
Palermo includendovi:] “quella di Rahalmuto, della quale non
appare altro millesimo. che questo M.CC.
ed il muro è guasto”». Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di
costruzione di quell’antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive
lettere della data, appunto per quel ‘muro guasto’. Seguono altre citazioni,
tra le quali quella di maggior risalto appare il riferimento al P. Spucces,
difensore a Roma dell’antichità del culto della Santa nel 1642 e, per altro
verso, - se trattasi della stessa persona - il gesuita delatore della congiura
del conte di Mazzarino che costò la vita al nostro conte Giovanni del Carretto.
Si deve
essere scettici sull’attendibilità di tante notizie contenute nel manoscritto:
è certo, comunque, che di esse ebbe ad avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo
Morreale nel suo “Maria SS. del Monte di Racalmuto” , stando a quel che si legge
nelle pagine 23, 24, 69, 97, 98, 99 e
101.
Ritornando
alle cronache sulla chiesa di Santa Rosalia, i libri d’archivio della Matrice comprovano l’esistenza di quella chiesa solo
dal 1618, come risulta dal seguente atto:
13
|
1618
|
Puma Cincorana
|
Vincenza
|
f. di Petro
|
S. Rosalia (Chiesa della
sepoltura)
|
(Tra il 1618
e il 1620 si trovano una cinquina di sepolture in una chiesa dedicata a santa
ROSANA o ROSANNA, ma sembra trattarsi dell’identica chiesa di Santa Rosalia.
Se ne fa qui la trascrizione:
24
|
12
|
1618
|
Xichili
|
Ursula
|
f.di Antonino
|
Santa Rosana
|
Curto d. Mario
|
26
|
6
|
1619
|
Castronovo
|
Vicenza
|
f. di Francesco
|
Santa Rosana
|
Curto d. Mario
|
7
|
10
|
1619
|
Di Benedetto
|
Gioseppi
|
f. di Francesco
|
Santa Rosana
|
Curto d. Mario
|
4
|
11
|
1620
|
Mule’ (di)
|
Antonina
|
f. di Filippo
|
Santa Rosana
|
17
|
11
|
1620
|
Giancani
|
Rosa
|
f. di Antonino
|
Santa Rosana
|
Va annotato
che prima del 1636 neppure era diffuso il nome di Rosalia in Racalmuto: un paio di casi risalgono al
1500; vedasi l’atto di battesimo di:
98
|
1595
|
Rosalia
|
Jo:
|
Surci
|
Joanna
|
ed il nome della teste nel matrimonio di:
12
|
10
|
1570
|
Micheluzzo
|
di Filippu
|
Murriali
|
Chiappara Rosalia
|
Nei primi del Seicento notiamo:
1601
|
07/02/01
|
ROSALIA
|
VINCENZO
|
PETRA
|
Dobbiamo arrivare all’anno 1643 per riscontrare in un elenco
delle comunicate una lunga sfilza di Rosalie e simili.
[9])
Leggo ne L' amico del popolo di Agrigento del 22 dicembre 1991 (n. 39) pag. 5: Racalmuto: la patria di Pietro d'Asaro:
" ....Distrutto Casalvecchio, come riferisce Michele Amari, il nuovo centro abitato
venne spostato di alcuni chilometri e dagli
Arabi venne denominato Rahal Maut
(villaggio distrutto o paese della morte a causa di una terribile peste che
fece innumerevoli vittime).
...". L'articolo è genericamente
assegnato alla Regione Siciliana - Assessorato Turismo Comunicazioni e
Trasporti..
Nel falso dell'Abate Vella si parla di un 'governatore -
AABD-ALUHAR - di RAHAL-Almut (v. Tinebra Marturana, pag. 36). A pag. 37 dell'opera del Marturana v'è già l'accenno a Casal
Vecchio. Per
Tinebra Marturana, Casal
Vecchio, s'accresce notevolmente anche sotto i Normanni (cfr. pag. 55). Quanto poi scrive a pag. 69
sembra alquanto contraddittorio..
Su Casal Vecchio si
dilunaga Eugenio Napoleone Messana in racalmuto
nella storia della
sicilia. Leggesi a pag. 30
"Gli Arabi in Sicilia trovarono i miseri avanzi di un antico
splendore, sia per lo stato in cui l'avevano ridotta i precedenti invasori, sia per la loro guerra
nelle zone in cui ebbe luogo, giacchè in
più posti vi giunsero con patteggi. Essi chiamarono il Casalvecchio
dell'agrigentino Rahal Maut, paese distrutto
o Rahal-Kal-Maut, paese in pendio
diroccato, si ignora se per fedele traduzione del nome o per danni che subì
alla loro conquista, o per i resti ancora visibili dell'antica città di cui
abbiamo a josa discusso. Casalvecchio non era dove oggi è Racalmuto, ma più a sud-est,
precisamente nella contrada di
Casalvecchio (Casaliviecchi). ... "
Di Castel
Vecchio ( e non Casal Vecchio) parla in effetti Michele
Amari (Storia
dei Musulmani di Sicilia, a cura di Nallino, Catania ) nel volume II, pag. 64-67, ma la località non
sembra possa riferirsi a Racalmuto. Annotiamo qui alcuni brani: (pag. 64 ..."Ibrahim a venticinque anni
salì al trono per uno spergiuro [875-901]. Muhammad, suo fratello, venendo a
morte lasciava il regno al proprio figliolo bambino: commettea la tutela ad
Ibrahim, facendogli far sacramento di non attentar mai ai diritti del nipote,
né metter pie' nel Castel Vecchio, ove questi dovea soggiornare con la
corte .... Uscito da al-Qayrawan alla testa del popolo
in arme, occupava il Castel Vecchio;
si facea gridar principe [pag. 67].
.......
[I familiari di Muhammad] furono
ridotti nel Castel Vecchio [pag. 67]. Fece por mano ai lavori il 263 [876-877]
in luogo discosto quattro miglia da al-Qayrawan e chiamato Raqqadah [in nota: "«Sonnolenta» come
suona apponoi ... I due ultimi scrrittori al-barki e ibn-wadiran
riferiscono la fondazione di Raqqadah negli anni 273-274. Il nome nacque,
secondo alcuni, dall'amenità del sito che inebriasse di voluttà e sforzasse al
sonno; secondo altri, da un gran mucchio di cadaveri che vi si trovarono a
dormire l'ultimo sonno. "] Era
avvenuto che i liberti di Castel Vecchio
tumultuassero [ v. pag. 67].
[10] ) Ad ulteriore
esplicazione valgano i dati espunti da una lunga nota apposta in proposito
sempre dal Mirabella: «Questi beneficj
della diocesi di Girgenti furono dall’Orosco assegnati a don Pietro Bagalino
col seguente atto, che trovasi inserto in quello d’accettazione rogato a 28
agosto IX indiz. 1596 in Alcamo presso il not. Lorenzo Lombardo: ‘ Die 23 augusti viiij ind. 1596 - Cum ad
presens in manibus Illustrissimi et R.mi Domini Episcopi Agrigentini vacaverint
et vacent infrascripta beneficia, videlicet: beneficium sante Lucie existens
subtus orologium seu campanile maioris ecclesie civitatis Castronovi, beneficium Sante Agathe exstens in terra
Racalmuti, ac etiam et benefitium sante Marie Maddalene in civitate Narii
Agrigentine dioecesis ob liberam resignationem et renuntiationem fattam in
manibus ditti illustris.mi et Rev.mi domini episcopi per clericum don Joannem Gomes
hispanum, olim beneficialem dittorum benefitiorum prout virtute suarum bullarum
apparet, [....]: ideo volens dittus illst.mus et rev.mus dominus Episcopus dei
eis disponere tanquam de mensa episcopali, ne ditta benefictia suis debitis
defraudent obsequiis, attentis meritis don Petri Bagolini alcamensis, quibus
testimonio fide degno comprobatur, vigore presentis actus superattiva
benefictia supradicto modo vacantia
contulit et confert in persona ditti de Bagolino cum omnibus et singulis iustis
juribus redditibus fructibus et emolumentis ceterisque ad ditta benefictia
debitis spectantibus et pertinentibus, cum onere celebrandi seu celebrari
faciendi solitas missas et de solvendo quolibet anno in qualibet translatione
santi Gerlandi patroni nostri solitam ceram jure recognitionis et
superioritatis ditto ill.mo et rev.mo domino Episcopo prout erant obligati
ditti olim beneficiales. Unde de mandato ill.mi et Rev.mi episcopi
Agrigentini fattus est presens attus electionis hodie die quo supra suis die
loco et tempore valiturus. Unde etc. -
Ex actis Magne Curie Episcopalis
Agrigentine extracta est presens copia. Collatione salva. - Joseph a Marco
Magister Notarius».
[11] )
Questo secondo la tradizione corrente. Noi abbiamo motivo di pensare che la
peste incrudelì nel 1626 dopo l’improvvido invio di 80 “cavalieri” che
l’irrequita vedova di Girolamo del Carretto volle mandare a Palermo per una
reliquia della Santuzza in un momento
di recrudescenza dell’epidemia, il che comportò una ferale importazione del
morbo a Racalmuto.
[12] ) Ad
ogni buon conto, integro qui quelle parti dell’opera che riguardano Racalmuto e che non sono state integralmente citate dal
supposto Genco.
Pag.
14.
«Ma
nella Diocese Agrigentina trè luoghi principalmente antica, e celebre la
memoria di Santa Rosalia conservano, Bivona, S. Stefano, e Rahalmuto, e
par che portata, ò accresciuta vi fosse tal devotione dai Chiaramontani,
percioche poterono per questo haver due cagioni; una la comune patria di
Palermo, dove la Casa Chiaramonte fù molto nobile, e potente: l’altra, la
signoria di quei medesimi paesi, dei quali era stata già Signora la Santa Vergine Rosalia, come diremo nella vita.
«Hor
primieramente quanto a Rahalmuto n’habbiamo chiarezza, percioche Costanza di
Chiaramonte, figlia di Manfredi, sorella di Giovanni, Conte
di Modica rimaritandosi la seconda volta
con Antonio del Carretto, figlio pur di Antonio, che
illustrò questa famiglia col titolo di Marchese del Finale, edificò, ò
riedificò da fondamenti quella terra
Pag.
15
«nel 1320. e visse fin al 1330 [evidentemente
l’Asparacio nel 1924 e, mediatamente, il p. Morreale nel 1986 - cfr. op. cit. - derivano da qui la datazione della fondazione
del chiesa di S. Rosalia di Racalmuto nel decennio 1320-1330) e
benché le lasciasse l’antico nome Rahalmut , che vuol dire in Arabico,
Casalmorto, cioè distrutto, li volle però dare ornamento, e presidio di vita
col patrocinio di S. Rosalia, che perciò edificò la prima Chiesa in honor di
lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai confrati del Santissimo
Sacramento.
«V’era
l’imagine della Santa dipinta nel muro da poco in quà rovinato, e quella che
v’ha hoggi in tela è assai nuova, cioè del 1600, mà della prima imagine,
restandosi ben fissa nella mente, un valente dipintore del medesimo luogo,
detto il Monocolo di Rahalmuto il cui nome è Pietro d’Asaro , n’ha dato fuori
un bello essemplar: vi si fà la festa à 4. di settembre un gran concorso, e
devotione del Popolo, e quel quarto della terra hà pure il nome di S. Rosalia fin’hoggi.»
«Hora
per ciò meglio confermare, passerò all’altra testimonianza delle immagini
[...] Quella di Rahalmuto, della quale
non appare altro millesimo, che questo M.CC. e il muro è guasto»
L’importantissimo
passo delle pagg. 373 e 374 è stato sopra riportato e ad esso si fa qui rinvio.
Pag.
376
«Le
Grotte patirono anche molto [al tempo della peste del
1624], alle quali soccorse la Contessa di Rahalmuto, che l’era vicinissima,
colla reliquia di S. Rosalia; ma non hò distinta, e certa
relatione di alcun benefitio ...»
Per
inquadrare in qualche modo la figura del Cascini e l’opera sua, riporto alcuni dati reperibili
nell’introduzione del libro.
«AL
LETTORE, Pietro Salerno della Compagnia di Giesù.
«L’autore
di quest’opera fù il R.P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù, che a miglior vita
passò sul finire del 1635.
«Nacque
il P. Giordano Cascini di famiglia nobile nella città di Palermo, fù
adoperato dall’Em. Cardinale Giovannettino Doria Arcivescovo di Palermo nelle
consulte per la dichiaratione delle ritrovate Reliquie di S. Rosalia.
«[....]
raccolse quanto il padre Ottavio Caetano [aveva già scritto, prima del
rinvenimento del corpo a Montepellegrino e con contrapposto orientamento su S.
Rosalia,, n.d.r.] nelle Vite de’
Santi di Sicilia».
In polverosi
e ponderosi volumi consultabili presso la Biblioteca Nazionale di Roma, mi sono
imbattuto nella vita di S. Rosalia che trovasi negli «ACTA SANCTORUM - Septembris (tra i santi festeggiati il 4 di settembre)
Tomus II - Antverpiæ - apud Bernardum
Albertum Vander Plassche - 1748 - pag. 278 e ss.
Stralcio e talora traduco:
«Sec. XII post medium. Nullius antiquus de
S. Rosalia egisse scitur: nonnulli tamen
ante inventionem corporis.
- [Antonio Ignazio Mancuso S.J. - scrive
nel 1621 e ricorda i più antichi scrittori rispetto al 1624 e cioè Valerio
Rossi nel 1590 visto da Vincenzo Auria; Filippo Paruta nel 1609 - ] recensit Simonem Parisium , baronem Milochæ,
qui in “De scriptione Siciliæ”, anno 1610 edita [e Vincenzo la Farina,
barone di Aspromonte, che scrisse nel 1620 una “epistolam de S. Rosalia]. [Soprattutto Ottavio Cajetano S.J.,
attorno al 1607 nella sua “Vite dei Santi” [..] Il Cascini muore il 21 dicembre 1631 (?) in Mongitore
“Bibliotecha Sicula”.] «Edidit Cascinus
anno 1627 Vitam S. Rosaliæ etc.. Anno 1631 “Vitam et inventionem corporis S.
Rosaliæ”»
Infine,
viene pubblicata l’opera maggiore in tre libri, dopo la morte, nel 1651 ove
sono inserite molte opinioni, notizie e congetture da parte del p. Salerno. Gli
ACTA si diffondono in puntigliose incongruenze, specie di date che appaiono
postume rispetto alla data di morte del Cascini.
·
Altri autori di
vite della Santa: «Joseph Spucces Societatis Jesu: dissertatione Ms. quà anno
1642 Romæ antiquitatem cultùs S. Rosaliæ defendit. Dissertationem hanc cum
altera ejusdem auctoris de stirpe S. Rosaliæ nobiscum anno 1744 communicavit
R.P. Stanislaus Ignatius Castiglia Societatis Jesu, tunc provinciæ præpositus
..»
Pag. 317
·
Hisce breviter
observatis, redeo ad laudatam dissertationem [...]: “ Primò Racalmuti [*
Rahalmuti] quod est oppidum in dioecesi Agrigentina, templum habetur
antiquissimum S. Rosaliæ, cuius antiquitas refertur ad annum MCCVIII, ut
conijcere licet ex notis repertis in arcu quodam ejusdem ecclesiæ, quae
huiusmodi erant MCCVIII: quinque enim postremae jam media sui parte corrosæ,
hanc tantùm speciem ostendebat.” Hanc S. Rosaliæ ecclesiam memorat etiam brevissime
Salernus pag. 152, et Cascinus pag. 14 et 15. At hic uno seculo ecclesiam posteriorem facere videtur, cùm narret
ædificatam inter annum 1320 et 1330, [ed
a questo appiglio mi pare che tornino ad aggrapparsi, per una riconferma delle
loro tesi l’Asparacio nel 1924 e, mediatamente, il p. Morreale nel 1986 -
cfr. op. cit.] , uti ibidem videre licet. Verùm sive seculo XIII sive XIV
condita sit illa ecclesia S. Rosaliæ, certùm est antiquissimi cultus
argumentum.»
Pag. 362
«380. Rahalmutum,
Agrigentinæ quaque dioecesis oppidum, Siculis Rahalmut, antiquis temporibus S.
Rosaliam coluit, primamque eidem ecclesiam dedicavit, ut vult Cascinus. Hanc
ecclesiam, invento corpore, diligenter instaurarunt Rahalmutenses, et Sanctae
reliquias obtenuerunt Panormi. Harum trasnlatio incidit in diem XXXI Augusti
anni 1625, quando suscepta sunt ab inculis insigni pietate et pari solemnitate,
eodemque die energumena liberata, in Ecclesia Fratrum Minorum de Observantia,
ubi solemne cantabatur Sacrum, teste Cascino. Rahalmutenses quoque peste
periculo liberasse videtur patrona Rosalia, præsertim quia illa maximé
sæviebat in vicinia et quia nonnulli infecti Rahalmutum intrârunt, malo nulli
communicato, et demum quia ipsi Rahalmutenses satis diu cum vicinis infectis
commercium habuerant, nec nullum tamen contraxerant contagium.»
[13] )
Ciò chiaramente appare, aggiung’ei, da un antico Atto esistente in notar D.
Michele Morreale di quella stessa Comune . Quod virtutis specimen non solum fas est suspicere in nostro Marco
Antonio, nam admiratione dignum quoquo videtur in Aloisia Alaimo, a qua
originem ducit idem Marcus Antonius, quæ suis sumptibus in Racalbutensi oppido
templum S. Rosaliæ V.P. sacrum extruxit, anno circiter 1200 a partu Virginis,
ut ex veteri monumento, et chirograho publici Notarii Michaelis Morreale
Racalbutensis, clarissime apparet.»
Interessante, pure, il passo di pag. 14:
«Ci tramandano i nostri
padri, che han ricevuto per incontrastabile certezza, che quattro Chiese numera
la nostra Patria, ove la S. Vergine ha avuto speciale divotissimo culto. La
prima, e la seconda son quelle appunto, che rapporta il Cascini, di cui l’una precesse alla
riedificata, ed in quel luogo, ove è oggi detto d’alcuni di S. Rosaliella. La terza in quello, ove a
nostri dì è la Chiesa di San Michele, opera dell’immortal memoria del Sac. D. Giuseppe Tulumello! nella quale si rappresentava
a seconda la descrizione del Pirro; e la quarta finalmente è la Chiesa della
Matrice,
quale, sebbene non alla S. Vergine consacrata, avvi intanto a destra
un’adornato dorato Altare, e cappella. In essa si vede una quasi parlante
Statua colorita, in abito eremitico, con croce in destra, e libro e bastone
nell’altra, pari all’antico modello.»
[14] ) Le
ricerche presso l’Archivio Vescovile di Agrigento consentono di appurare la verità sulla
congregazione citata dal Pirri. E’ nota, ad esempio, la bolla di fondazione della Congregazione delle Anime del Purgatorio nella Chiesa di S. Rosalia (vedi
ff. 558 e 559 del REGISTRO DEI VESCOVI 1636-37).
[15] ) Il
racconto, però, va gustato nella sua stesura originale. La lingua è arcaica,
secentesca, talora contorta e spesso
scorretta, ma la narrazione non manca di fascino accattivante.
Scrive dunque don Vincenzo Di Giovanni
«Nel tempo che fu
Lotrecco [Lautrec] a Napoli
successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si nota
dopo quel di Sciacca. E fu il predetto caso, che essendo nella città di
Castronovo D. Paolo Carretto, mio avo paterno,
uomo di gran valore, e avendo differenza con uno di casa Barresi, gli diede il
Carretto uno schiaffo; onde ne successe fra loro gravissima inimicizia, in modo
che la città si ridusse a parte.
Un giorno volle il
Carretto andar a visitare suo fratello D. Ercole,
signor di Racalmuto, e vi andò con 25
cavalli. Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla piana di santo
Pietro. Vide egli da
lungi venire i nemici; e potendosi salvare nella chiesa di santo Pietro, gli
parve viltà, e si risolse piuttosto morire, che far gesto di sé indegno. Si
venne tra loro alle mani; ché animosamente il Carretto investì, e ne morsero
dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto, investendo il
suo nemico, era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso per il petto,
quando uno de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo mandò morto a
terra.
Satisfatti perciò
i nemici, attesero a salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec] a servire Sua
Maestà, perché erano due fratelli; e gli successe in una giornata di adoperarsi
valorosamente sotto la condotta del conte Borrello, figlio del viceré, perché
mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il soccorso; dal
che si evitò gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.
Del che fattosene
relazione a Sua Maestà, spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli
indultati in vita, e fûro fatti capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente
il successo D. Giovanni Carretto, nepote del
predetto D. Paolo; e più per vedersi i nemici, in quel momento favoriti,
stargli innante gli occhi, e perché era di gran valore e chimera, procurò
quello, che non avea procurato il padre D. Ercole.
In quel tempo era
nella città di Naro Enrico Giacchetto, uomo
valorosissimo e potente, consobrino di mia ava paterna, il quale, per avere
inimicizia con il barone di Camastra, anco della città di Naro, manteneva a sue
spese cento cavalli, ordinariamente di gente scelta e valorosa, con li quali
faceva allo spesso gesti eroici e
singolari. Di costui ne temeva tutto il regno.
D. Giovanni del
Carretto, figlio del
predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che gli era
amicissimo, a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse
adoperare per lui in satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise buona
opera Enrico; e perché si
sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le case da
Castronovo, e portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con quaranta
cavalli, e, venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate, per quel
cammino assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non prima si
videro Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono finalmente
giunti, presi ed uccisi.
E se ne presero le
teste, che furono portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse
gran travagli di giustizia, ne fu pure assai sotisfatto e contento; tanto si
estimava l’onore in quei tempi.
N’ebbe al fine
gran travagli: ma col tempo ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e
reputazione.»
[16] ) Da un mio precedente studio si possono trarre i seguenti
dati distintivi della neo baronia racalmutese:
1. Diritto
dei baroni all’amministrazione della giustizia. Un secolo dopo, il pingue
vescovo di Agrigento Horozco cerca pretestuosamente di contrastarlo, fingendosi paladino di un omicida, il chierico Jacobo Vella.
2. Diritto
alla destituzione e nomina di tutte le cariche, civili e militari, di Racalmuto. I Tudisco, i Promontorio, i Piamontesi, i Neglia, i Puma, i Nobili, gli Acquisto, i Taibi, i Fanara, i La Licata, i Gulpi, i Rizzo, i Morreali, i Vaccari, i Capobianco etc. hanno, tra il XIV ed il XVI secolo
possibilità di farsi apprezzare dagli stravaganti baroni di Racalmuto: ne diventano fiduciari;
spesso si arricchiscono alle loro spalle; in ogni caso attecchiscono nella
fertile terra del grano. Poi tanti svaniscono nel nulla. Qualcuno resta
tuttora, ma senza più il ruolo di profittatori del regime.
3. Non
emerge ancora un chiaro affermarsi del diritto al terraggio ed al terraggiolo
[prestazioni in natura da parte dei coltivatori delle terre del barone, nel
primo caso, e fuori la baronia, nel secondo - stando almeno alla
volgarizzazione della fine del Settecento].
Il mero e misto impero dei baroni fa capolino nel Cinquecento, ma si
afferma piuttosto tardivamente.
[17] ) A
tal fine lasciò il seguente legato:
Item ipse spectabilis Testator voluit et mandavit praedictum
spectabilem D. Hieronymum de Carrectis eius filium primogenitum heredem
particularem Missa in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, conficietur
Cappella in loco per eum eligendo [50] in dicta Ecclesia magis congruo in qua
debeat expendi uncias centum in pecunia infra terminum annorum duorum à die
mortis dicti Domini Testatoris numerandorum, cui Cappellae conficiendae pro
anima dicti domini Testatoris, et suorum predecessorum, et pro venia suorum
peccatorum legavit, et legat uncias septem annuales redditus debendas per
magnificum Joannem de Guglielmo Baronem Biginorum super dicto pheudo Biginorum,
et casu quo dictae unciae septem annuae
redditus revendentur à dicto Conventu per supradictum de Guglielmo et suorum
& tali casu de praectio dictarum unciarum septem annuales redditus emi
debeant aliae unciae septem redditus praedijs tutis in futurum, et casu quo
infra dictum tempus annorum duorum ipse spectabilis dominus D. Hieronymus non
erogaret dictas uncias centum in constructione dictae Cappellae, tunc et eo
casu teneatur dictus dominus D. Hieronymus solvere uncias quinquaginta pro
emendis redditibus pro Conventu dicti Sancti
Francisci, ultra dictas unceas centum pro constructione dictae
Cappellae, et ita voluit et mandavit.
[18])
Girolamo Maria Morreale S.J. - Maria SS. del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986 - pagg. 83-89
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