CONCLUSIONI
Ad
ispirare le precedenti dissertazioni sui punti topici della storia religiosa di
Racalmuto è stato l’attuale arciprete sac. Alfonso Puma. Origini e
familiari di costui hanno avuto dispiegamento in un apposito capitoletto.
Qualche dato biografico va qui comunque aggiunto, ai fini di una migliore
comprensione dello spirito che ha animato gli studi e la ricerca storica del
lavoro che qui si licenzia.
Cenni
biografici: Arciprete Alfonso Puma
Nato
a Racalmuto il 21
novembre 1926, ha avuto l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1950, anno
santo; parroco del Carmine dal 1961 al 1966, è divenuto parroco-arciprete della Matrice di Racalmuto dal passato 1° dicembre 1966 sino ad oggi. Sin dalla tenera età
aspirava al sacerdozio, e così, finite
le elementari, è entrato in Seminario nell’ottobre del 1939. I suoi studi colà
sono avvenuti durante il tremendo periodo della guerra. Sono stati vissuti
senza eccessiva paura ma senza iattanza,
nutrendo sempre la speranza di farcela.
Sua
madre fu la prima direttrice spirituale; suo padre, un uomo sodo, calibrato,
molto parco nel parlare ma saggio, diceva sempre: voi pensate a studiare, al resto penso io. Se faccio sacrifici o non ne
faccio, voi non ve ne dovete preoccupare; dovete pensare solo a studiare. I
suoi genitori sono stati i suoi primi ed impareggiabili amici.
In
Seminario ha avuto padri spirituali di grande santità come il padre Isidoro
Fiorini per il quale ha fatto da testimone nella causa
della sua beatificazione, come il padre Stefano Conte, anima
bella che lo ha sostenuto durante la guerra, o come mons. Jacolino, poi fatto vescovo, uomo di
stampo tedesco ma molto temprato al sacrificio: questi, durante la guerra,
riuscì a mantenere aperto il Seminario, unico caso: seppe provvedere al cibo
quotidiano e per quei tempi era problema pressoché insolubile.
L’
apostolato di padre Puma si è svolto in un centro minerario, con problemi
sociali e politici tutti particolari, diversi da quelli del circondario,
eminentemente agricolo. La sua famiglia è stata colpita dal primo sequestro di
persona dell’Italia del dopoguerra. Un suo cognato ha subito l’onta del
sequestro nell’estate del 1946. Un sequestro fatto più per fame che per
vera cattiveria; un atto criminoso che
fruttò agli artefici ben magra ricompensa. Ciò lo ha sensibilizzato nel
versante dei poveri, che astretti dalla necessità si spingono verso il crimine,
ed in quello della giustizia sociale. Ciò ha ingenerato in lui una repulsione
profonda, sincera nei confronti della mafia. Questa, ha combattuto con vigore,
anche con le armi che promanano dal suo carattere sacerdotale e dal suo ruolo
di guida del paese, come arciprete. Oggi, - può affermarsi -
la mafia, quella tradizionale, discendente dalla notoria Fratellanza della Favara ottocentesca, che aveva le sue propaggini in
tante famiglie racalmutesi, può dirsi finita e non certo per l’opera
dell’Antimafia - Dio solo sa quanto veritiere e schiette sono
state talune pagine di Leonardo Sciascia! - ma per
cruentissima ed efferata autoeliminazione. Purtroppo, è subentrata una
microcriminalità che non viene adeguatamente fronteggiata. Melanconicamente può
affermarsi che Racalmuto si consegna al terzo millennio in deteriorate
condizioni morali ed in un invivibile disordine sociale.
Lungi
da lui l’insidiosa tentazione di autocommemorarsi. Non può giudicarsi per il
noto aforisma: nemo judex in causa propria. Né, a dire il vero, ne ha voglia.
La microstoria locale dovrà di certo occuparsi della sua persona: potrà
raffigurarlo nei più disparati modi, ma non potrà in alcun modo etichettarlo
come ... arciprete accidioso.
Come
uomo, suo motto preferito, suol essere “fare cose utili, dire cose coraggiose,
contemplare cose belle”.
Come
prete ha dovuto attraversare un deserto, è stato “comu l’ovu, ca chiù si coci,
chiù duru si fa”; non si è mai adagiato,
anche se solo e solo in un deserto; ha ambito ad una fusione dello spirito
pragmatico di S. Pietro e di quello speculativo, innovatore e
missionario di S. Paolo. Ha difeso ad oltranza la casa del Signore. Non può
vantare orpelli e questo testimonia la sua scarsa arrendevolezza verso i
potenti, anche se ecclesiasticamente paludati.
Se Sciascia amava dire di sé “contraddisse e si
contraddisse”; come suo compaesano e suo
contemporaneo, padre Puma ha amato la fede in Cristo e ha riposto fiducia nella
Madonna (specie in quella nostra del Monte); ha avuto carità ed
attaccamento a questo popolo di Dio racalmutese. Un suo antico parente volle ad
epitaffio: “feci quod potui, faciant meliora potentes”. Lo vorrebbe adattato a
se stesso.
Le svolte epocali della chiesa di Racalmuto.
L’avvento
del terzo millennio recepisce una Racalmuto non più povera, non più mineraria, non più
derelitta, men che meno “meschinella”, eppure piena di turbe sociali, in mano
ad una microcriminalità radicata e diffusa, con una religiosità appariscente ma
alquanto formalistica e satura di miasmi consumistici, di vacuità
perbenistiche, di inquinamenti ritualistici.
Non
è più la vecchia paura dell’oltretomba ad inquinare il credo religioso dei
racalmutesi, che pur di avere un avello in chiesa erano disposti a soggiogare
il cadente “dammuso” o la minuscola
“chiusa”. I rolli delle confraternite pieni di tali lasciti giacciono ormai
polverosi negli scaffali della Matrice, per la delizia dei radi
studiosi locali.
Oggi,
l’opulenta “gentilizia” - acquistata da eredi smemorati e sacrileghi delle
vetuste famiglie nobiliari del luogo - raccoglie i resti talora martoriati
dalla lupara mafiosa.
Il
rosario non lo canta più la voce ineffabile di un vecchio che devoto ed
implacabile imponeva la risposta salmodiante alle tante vecchiette rinsecchite,
mentre intirizzivano di freddo sulle panche di San Giuseppe o della Matrice.
Non
sono più pensabili le processioni propiziatorie, con il loro carico di superstiziosa
sensualità repressa. Non è più pensabile
che i racalmutesi - per dirla con Sciascia - vivano del ricordo e della tradizione del
miracolo della venuta di “la bedda Matri
di lu Munti” e restano “compensati
del terraggio e del terraggiolo, dei contributi unificati, della ingiusta
mercede riscossa per estirpare sale e zolfo”. Mondo definitivamente
scomparso, ammesso poi che sia mai veramente esistito. Il dissacrante Sciascia vuole il miracolo del Monte come un arcano “succo gastrico” “ per don
Girolamo del Carretto, per don Calogero Virzì che
persino i velieri possedeva per vendere lo zolfo che i racalmutesi cavavano per
lui, per Salvatore Accursio che ammucchia ricchezze col sale, un succo gastrico
che aiuta a digerire la ricchezza, uomini lavorano come talpe e quelli fanno
siesta a digerire ricchezza”. L’apologo nel 1960 veniva all’istante afferrato
da colti ed incolti di Racalmuto. Ora, solo qualche
attempato erudito riesce a cavarne una qualche rimembranza paesana. Sempre
Sciascia accenna alla strumentalizzazione della Madonna
nelle elezioni del 1948. A Racalmuto avvenne una zuffa che potrebbe assurgere
ad emblema, fantasmagoria e che sicuramente rispecchia lo spirito dei tempi.
Lasciamo la parola allo scrittore: «I regalpetresi [alias racalmutesi]
pretesero che la consegna [dell’effige della Madonna] avvenisse alle porte del
paese, ne nacque una burrasca, si invelenì di vecchi rancori, dispregiosi
apprezzamenti furono gridati dall’una e dall’altra parte. La zuffa si accese,
girandole di bestemmie rutilarono intorno alla celeste effige, i padri levarono
alte le mani a placare la tempesta. Mai la Madonna come in quel giorno è stata
bestemmiata dai cittadini di Castro e di Regalpetra. I comunisti furono primi
nella mischia; si fosse votato nei giorni che la Madonna di Fatima restò a Regalpetra, un solo voto al Pc non
sarebbe toccato; si votò un mese dopo, e il Pc ne ebbe un migliaio.» Il terzo
millennio non annovererà racalmutesi di tal fatta. La Chiesa locale sarà ben
altra. Come e con quali problemi, con quali angosce, con quali empiti, sono
quesiti che saranno gli storici a venire a dipanare. Mutato il paese, mutata la
società locale, mutata l’economia della zona, mutato il costume, mutata persino
la struttura mafiosa e delinquenziale - la “stidda” d’oggidì non può più dirsi
certo ‘omertosa’ - è anche profondamente mutata la religiosità locale e tanto
in termini e con connotati che non è dato per il momento afferrare.
I
mutamenti di pelle la comunità ecclesiale di Racalmuto li ha conosciuti varie volte nello scorrere
dei secoli. A volo d’uccello, possiamo affermare che ciò avvenne attorno al
quinto secolo, quando da chiesa latina sembra essere divenuta chiesa greca
sotto l’egida del vescovo (se santo o depravato, neppure Mons. De Gregorio riesce per il momento a stabilirlo). Sotto i
berberi, da cattolici pare che i racalmutesi preferissero passare all’Islam per non sottostare a tassazione d’indole
religiosa (gizia o altro che sia). Insediatosi il vescovo Gerlando, a Racalmuto non seppe
risorgere una comunità cristiana memorabile. I Saraceni rimasero saraceni e divennero “villani”. I
loro padroni - cattolici e latini - abitavano altrove. Sotto Federico II, le orde ribelli che
osarono addirittura imprigionare un vescovo (senza dubbio esoso e vessatorio)
furono dirottate verso Lucera e nell’altipiano racalmutese giunse tal Federico
Musca - dopo autoproclamatosi conte di Modica - con taluni coloni e sfruttando le terre
lasciate incolte dai saraceni pose le basi per un casale - nel luogo un tempo
fortificato dal gaito di Naro Chamut - che ebbe a chiamarsi Rachal Chamuth prima di stabilizzarsi nell’attuale toponimo
di Racalmuto. Ora la fede ed il culto sono quelli di stretto rito latino.
Monaci arrivano sul posto a confermare nella fede dei padri, cioè in quella una,
vera, cattolica, romana. Angelo di Montecaveoso fu di certo uno di tali monaci. Unitamente
all’altro sacerdote Martuzio de Sifolone può avere ‘primizie’ ed altre rendite dai
fedeli racalmutesi, ma a sua volta e nel 1308 e nel 1310 viene chiamato, sempre
assieme al Sifolone, a versare decime cospicue
alla lontana corte papale. Alcuni studiosi locali - il p. Girolamo M. Morreale,
S. J. - accennano all’episodio. Noi, in questo lavoro, non abbiamo mancato di
dilungarci trattandosi dell’esordio o del battesimo della comunità ecclesiale
racalmutese che si conclude con questo secolo o questo millennio.
Da dove vengono e ove vanno i fedeli racalmutesi.
Sulle
plaghe racalmutesi, nell’età del bronzo d’occidente, circa quattromila anni fa,
un popolo che da Tucidide in poi si denomina sicano mise le sue radici. Lo contraddistingue il
sentimento religioso tanto profondo da spingerlo ad opere che scavalcano
l’obliterazione dei millenni per giungere sino a noi. Sono le tombe sicane che si affacciano grandiose e impressionanti
dalla parete della grotta di Fra Diego. Il culto dei morti - una
costante racalmutese che diventa una mania al di là di ogni temperanza, dai
tempi remoti sino ai nostri giorni - affonda le radici in quel sentimento
religioso, nel senso dell’al di là che connota ed ossessiona persino l’uomo
preistorico racalmutese. Certo, a quel tempo è più il terrore superstizioso
della morte, che non una liberatrice fede nell’immortalità dell’anima, ad avere
il sopravvento. Ma è pur aspetto nobile e qualificante di un popolo che se
crede in una vita ultraterrena, crede anche nell’esistenza di Dio. In tal senso
anche il popolo sicano racalmutese è stato il popolo di Dio.
Sparita
quella civiltà attorno al XIII secolo a.C., saranno i sicilioti greci di
Akragas a rifrequentare quelle plaghe. Continua il culto dei morti, sorge una
religione politeista, vi ispira sentimenti nuovi di pietà e di fede operosa.
Dio continua ad essere presente a Racalmuto. Così come avviene quando
il territorio viene annesso dalla predace Roma ed assoggettato a decime in
natura ed in denaro. Una epigrafe sul timbro apposto nell’interno del manico di
una diota testimonia la tassazione romana delle terre di Racalmuto al tempo di
Cicerone. Reperti archeologici di
tombe attestano riti e culti religiosi.
Con
Commodo, nel 180 d. C., le viscere
della terra, che erano state invase da vibrioni trasformatisi in vene di zolfo, vengono violate per l’estrazione del biondo
minerale con metodi e strumenti che dopo essersi eclissati per secoli
riemergono nell’ottocento e durano, tutto sommato, sino a metà di questo
secolo. Reperti archeologici compresi per primo dal nostro quasi compaesano
avv. Giuseppe Picone disvelano l’esistenza a quei tempi di “gàvite” con
impressi timbri di singolare importanza epigrafica. In esse talora viene
impressa una piccola croce. Ecco la più antica testimonianza dell’avvento del
cristianesimo a Racalmuto.
L’industria
mineraria solfifera dura dal II al IV secolo d.C. in quel di Racalmuto: dopo decade e scompare
(salvo a risorgere nel XVIII secolo) per l’opera nefasta dei Vandali di
Genserico. L’abitato si trasferisce allora a Casalvecchio. Un monticello calcareo -
le Grotticelle - ben si presta alla tumulazione dei morti. Per Biagio Pace quello è un ipogeo cristiano. Il culto dei
morti si ammanta ora di pietà cristiana. Solo la rapace ed incolta pirateria di
improvvisati tombaroli racalmutesi degli anni ’quaranta ha impedito uno studio
archeologico serio di quell’ipogeo. Nessun reperto si è comunque salvato. Di
nessun dato disponiamo per una vulnerazione del buio fitto che è calato sulla
vicenda religiosa locale del periodo post-romano.
Nell’atrio
dell’ex convento della Clarisse - rapinato dal buon Garibaldi - si custodisce il noto sarcofago con il
bassorilievo del ratto di Proserpina. Giaceva
prima nel castello chiaramontano, assurto nel XVI secolo a dimora dei Del
Carretto. Chi, quando e come ve lo
avesse qui portato, resta un mistero. Se dovesse essere il superstite segno di
una necropoli giacente sotto (o nei dintorni) del castello (per i racalmutesi: lu Cannuni), se ne
dovrebbe trarre l’inferenza che ancora nel VI secolo d. C. la religione
cristiana non era universalmente abbracciata in questa antica terra, e qualcuno
amava farsi seppellire in sarcofagi pagani.
Dal
VI al IX secolo Racalmuto - ci è ignoto il nome greco del periodo -
divenne palesemente bizantino. Secoli fervidi di opere e di umane presenze che
le future campagne di scavi redimeranno dall’oblio dei tempi. La locale
comunità fu di certo grecofona e quanto al rito religioso ebbe ad optare per
quello ortodosso. Infuriava ad Agrigento la lotta tra vescovo greco e quello
latino. Le vicende di tal Gregorio ci sono state tramandate ma con tali
obnubilamenti che neppure il grandissimo mons. De Gregorio è riuscito sinora a dipanare. Misterioso
dunque l’atteggiamento della periferica chiesa racalmutese in tal frangente.
Subentrano
gli arabi. I contadini berberi penetrano e si espandono nelle terre del nostro
paese. Un toponimo - troppo poco - vorrebbe testimoniare che si siano raggrumati
attorno alla località del Saracino: la
vicinanze di abbondanti sorgenti d’acqua, propiziatrici delle colture di
ortaggi con il sistema delle porche e zanelle, in cui erano maestri, potrebbe
avvalorare la congettura. Sia quel che sia, l’Islam divenne imperante e non
sono da escludere conversioni in massa dei pavidi cattolici del tempo, non
foss’altro per sottrarsi alle sgradite tassazioni che la tolleranza araba aveva
inventato per permettere che i non credenti conservassero vita e beni.
La
sopraffazione si inverte con la conquista normanna dell’XI secolo. Esistesse o
meno una terra fortificata di nome Racel (ad utilizzare le cronache del Malaterra), per Racalmuto fu il tempo del villanaggio saraceno che durò sino al greve riordino
sociale di Federico II. Che cosa è stato il
“villanaggio”? Non è questa la sede per spiegare l’istituzione contadina che
vedeva il subalterno colono come una “res” del “dominus”, quasi alla stregua di
uno schiavo. (Vedansi, per chi ne voglia sapere di più gli studi di I. Peri). Contadini islamici, miseri e schiavi da una
parte; padroni cristiani, lontani e socialmente insensibili, dall’altra. L’istituzione
di un beneficio a favore di canonici agrigentini, mai racalmutesi, con le decime
del feudo facente capo ad un falso diploma del 1108 (non foss’altro perché non
si riferiva a Racalmuto), svela i misteri della colonizzazione, sotto i
Normanni, di nuove terre. Tanto
avvenne per il beneficio di Santa Margherita, che per
l’avallo del Pirri, costituì poi la saga della
nostra chiesa di Santa Maria di Gesù.
I
saraceni si ribellarono in modo devastante negli anni venti del 1200. Federico
II li represse, deportandoli in Puglia. Racalmuto diventa deserta. Tocca a Federico Musca - come si è detto - farvi fiorire un nuovo
casale. Nel 1271 le testimonianze sulla vita e le vicende del risorto centro
urbano cominciano ad avere dignità di fonti documentali. Sotto i Vespri, la
terra è Universitas così bene organizzata che il nuovo padrone
aragonese Pietro può esigere tasse ed armamenti, demandando ai
locali sindaci l’ingrato compito esattoriale, persino con la vessatoria
condizione di doverne rispondere con il proprio patrimonio in caso di
insolvenza. Una sorta di ‘solve et repete’ ante
litteram. La cattolicissima Spagna esordiva
con spirito predatorio nel regno che gli era stato regalato da taluni
maggiorenti siciliani. E così anche la ‘meschinella’ Racalmuto iniziava a
pagarne lo scotto. Roma, il papato, dissentiva. Sarà questa una scusa buona per
esigere dai fedeli di Racalmuto, ove nel 1375 abitano in case coperte di
paglia, una tassa pesante onde liberarsi dell’antico interdetto, che secondo il
nuovo padrone feudale Manfredi Chiaramonte era la causa della ‘mala epitimia’
distruttrice di uomini e cose.
I
Chiaramonte si erano impossessati di Racalmuto all’inizio del secolo XIII. Federico Chiaramonte - un cadetto della famiglia - aveva fatto
costruire, secondo il Fazello, nel primo decennio,
l’attuale fortezza, forse una, forse
tutte e due le torri oggi esistenti. Il territorio era divenuto ‘terra et castrum
Racalmuti’. Vi giunsero preti e monaci forestieri. Nel 1308 e nel 1310 costoro
vennero tassati dal lontano papa: un piccolo prelievo - si dirà - dalle pingue
rendite che un prete ed un monaco riuscivano a cavare dai poveri coloni
infeudati dai Chiaramonte. Sono certo pagine non gloriose della storia
ecclesiastica racalmutese. Ma basta ciò per essere obbligati al silenzio
omertoso, sia pure in tema di verità storica? In questa fatica, non sono state
poche le pagine dedicate a tale spinosa questione.
Nel
1392 giunge in Sicilia il duca di Montblanc. E’
un cinico, infido, ma astuto e
determinato personaggio, protagonista in Sicilia ed in Spagna di grandi svolte
storiche. Martino, secondogenito di Pietro IV e duca di Montblanc, viene dagli storici
siciliani indicato come Martino il vecchio; ebbe la ventura non comune - scrive
Santi Corrente - di succedere al proprio figlio sul trono di Sicilia. Resta
l’artefice della sconcertante condanna a morte del vicario ribelle Andrea
Chiaramonte, e non cessò di combattere
la nobiltà siciliana, salvo a remunerarla oltremisura appena ciò gli fosse
tornato utile.
Ne
approfitta Matteo del Carretto per farsi riconoscere il titolo di barone di
Racalmuto, naturalmente a pagamento.
L’intrigo della genesi della baronia di Racalmuto dei Del Carretto è tuttora scarsamente inverato dagli storici.
All’inizio del secolo XIII un marchese di Finale e di Savona - a quanto pare
titolare di quel marchesato solo per un terzo - scende in Sicilia e sposa la
figlia di Federico Chiaramonte, Costanza. Ha appena il tempo di
averne un figlio cui si dà il suo stesso nome, Antonio, e muore. La vedeva
convola, quindi, a nozze con un altro ligure, il genovese Brancaleone Doria - un personaggio che Dante colloca
nell’Inferno - e ne ha diversi figli, tra cui Matteo Doria che morrà senza prole e pare che abbia
lasciato i suoi beni (in tutto o in parte, non si sa) agli eredi del suo
fratellastro Antonio del Carretto. Questi frattanto si era trasferito a Genova.
Aveva procreato vari figli, tra cui Gerardo e Matteo. Matteo, in età alquanto
matura, scende in Sicilia: rivendica i beni dotali di Agrigento, Palermo,
Siculiana e soprattutto Racalmuto. Parteggia ora per i
Chiaramonte ora per Martino, duca di Montblanc ed alla fine gli torna comodo passare
integralmente dalla parte dell’Aragonese.
In cambio ne ottiene il riconoscimento della baronia. Certo dovrà
vedersela con le remore del diritto feudale. Inventa un negozio giuridico
transattivo con il fratello primogenito Gerardo, che se ne sta a Genova, ove ha
cointeressenze in compagnie di navigazione, e finge di acquistare l’intera
proprietà della “terra et castrum Racalmuti”. [1]
Martino il vecchio si rende subito edotto del senso e
della portata dell’istituto tutto siculo della cosiddetta Legazia Apostolica. Deteneva
il beneficio racalmutese di Santa Margherita l’estraneo canonico “Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le
nostre benignità” - come scrive Martino da Siracusa, l’anno del Signore
VII^ Ind. 1398. Gli viene tolto per essere assegnato ad un altro estraneo “al reverendo padre GERARDO DE FINO arciprete della terra di
Paternò, cappellano della nostra
regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto”. Altra
ignominia della storia ecclesiastica racalmutese, che ci guardiamo bene
dall’oscurare. Ne abbiamo trattato - come spero si ricorderà - dianzi.
Il
secolo XV vede Racalmuto saldamente in mano a Giovanni del Carretto, figlio del detto Matteo. Henri Bresc vorrebbe
questo barone come un disastrato, finito in mano degli Isfar di Siculiana. A noi risulta il
contrario. Lo vediamo rapace esportatore di grano locale dal caricatoio del suo
feudo minore di Siculiana. Appare come
creditore dei Martino, socio degli Agliata. Lo storico francesce è perentorio: «La baisse du prix de la terre - que l’on
suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse oblige à un
endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du patrimoine
résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et de la
classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des seigneuries:
Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie de
Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de
Siculiana.»
Attorno
alla metà del secolo, subentra nella baronia di Racalmuto Federico del Carretto. Il 3 agosto 1452 ne viene
ratificata l’investitura stando agli atti del
protonotaro del Regno in Palermo. Un grave episodio di intolleranza
religiosa contro gli ebrei - in cui però preminente è l’aspetto di comune
criminalità - si verifica nelle immediate adiacenze di Racalmuto nell’anno
1474. E’ l’efferata esecuzione dell’ebreo locale Sadia di Palermo, cui
abbiamo già fatto riferimento. In un documento del 7 luglio 1474, Ind. VII vengono narrate le circostanze
raccapriccianti del crimine.
Lo spaccato della società racalmutese non
appare molto esaltante. Non possono comunque da un singolo episodio trarsi
valenze generali che sarebbero solo generiche e fuorvianti. Ma l’indignazione
rimane e la tentazione alla condanna di tutta la comunità ecclesiale dell’epoca
è piuttosto irrefrenabile. Alcuni tratti, un marchio, un DNA, riconducibili
alle famiglie citate nel quattrocentesco dispaccio, qualcuno potrebbe
ravvisarli ancora in taluni personaggi locali.
Il
Cinquecento si apre con la pia leggenda della venuta della Madonna del Monte. Dominava il barone (non
certo conte) Ercole Del Carretto. Ebbe costui il suo bel da
fare con Giovan Luca Barberi, che sembra essere venuto
proprio a Racalmuto per meglio investigare sulle usurpazioni della
potente famiglia baronale. Il Barberi arriva persino a dubitare sul
concepimento nel legittimo letto di alcuni antenati del povero barone Ercole
Del Carretto. Gli contesta molte
irregolarità d’investitura ed il padrone di Racalmuto è costretto a ricorrere
ai ripari formalizzando i suoi titoli nobiliari presso la corte vicereale di
Palermo, a suon di once. La ricaduta - oggi si direbbe: traslazione d’imposta -
sui disgraziati racalmutesi dovette essere espoliativa. In compenso - direbbe
Sciascia - fu profuso il succo gastrico delle opere di
religione. Non proprio una “venuta” miracolosa, ma una statua di marmo della
Madonna fu certamente fatta venire da Palermo - genericamente si dice dalla
scuola del Gagini - e posta in bella mostra su un altare,
maestosa, della chiesa del Monte, che ad ogni buon conto preesisteva. Ai
parrocchiani, questo non può di sicuro venire predicato. Se ne
scandalizzerebbero oltre misura. Ma qui, in un orecchio, può venire sommessamente
e riservatamente sussurrato. Chi ha orecchie da intendere, intenda.
In apposito capitolo, abbiamo seguito la storia (quasi
sotterranea) di una Racalmuto alle prese con tanti problemi politici, religiosi
ed economici. Là abbiamo puntato l’attenzione su arcipreti, sacerdoti, religiosi e laici del
nostro paese nei due secoli e più successivi alla scoperta dell’America: mentre
il mondo entrava nell’era moderna, il medioevo racalmutese persisteva in
istituti, atteggiamenti ed altro che appariva come un’ascia bipenne: masse di
contadini scorticate a vivo; signorotti e prelati rapaci e lontani.
* * *
La vicenda della controversia liparitana, nel suo svilupparsi a
Racalmuto è un’orrida vicenda: abbiamo scritto quella pagina di storia locale -
religiosa e civile - con raccapriccio, disorientamento, vergogna: il distacco
dello storico va a farsi benedire di fronte a siffatti disvelamenti che i cupi
registri parrocchiali ti sbattono in faccia. Ogni commento saprebbe di
impietosa acquiescenza e noi non ne abbiamo voglia. Per un pugno di ceci, si
poteva - e si doveva - avere remora a tribolare le popolazioni contadine
affamate anche con crudeltà inferte in punto di morte.
* * *
E qui si apre una voragine di altri quattro secoli di storia
religiosa e civile di Racalmuto. Non è questa
la sede per avventurarci in tale smisurato pelago. Lo spunto è tratto da
documenti di archivio: specie quelli della Matrice, ma anche
quelli degli archivi agrigentini (della Curia e dello Stato), nonché degli
archivi di Roma e di Palermo. Sono provocazioni. Occorrono altre ricerche ed
altre forze per cavarne un abbozzo di storia (altro che microstoria)
racalmutese. Sciascia, nel presentare
il libro di memorie del Tinebra, prima dichiara il testo di E. N. Messana: «voluminoso,
fitto di notizie» e poi, nella chiusa, inopinatamente catoneggia: «... limitato
è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre dai libri e da
manoscritti.» Ed invece, i nostri richiami
spalancano le porte a mari, oceani
di notizie. Né ci si venga a dire che sono curiosità paesane, affette da
municipalismo. Tutt’altro. Si scopre che un tal m° Giovanni Sciascia (parente alla lontana dello scrittore) ebbe ad
aggiudicarsi il subappalto della famigerata (ed esecrata dallo stesso Leonardo)
tassa sul macinato: i manoscritti sono espliciti: maestro
Giovanni Sciascia gabelloto del macino per onze 285; e ciò nell’anno di
grazia 1809-10.
* * *
All’obiettore
che storcerà il naso per quel nostro ricorrente richiamo critico a Sciascia, eccepiamo
che tanto ingegno ci ha molto inceppato nelle nostre ricerche storiche su
Racalmuto: è stata opera defatigante
far collimare il nostro sviscerato attaccamento al grande scrittore con
l’opposta realtà che le carte man mano disvelavano. Se qualche volta siamo
sbottati, è merito di Sciascia che nella ricerca della verità non ti consente
quiete e distrazione. Se qualche altro eccepisce “de mortuis nihil nisi bonum”,
ebbene Leonardo Sciascia non è, come espressione dell’intellettuale
collettivo, morto: mentre vaga - ci assicura - nelle infinite lande
dell’empireo, ha tuttora voglia di ricordarsi di questo pianeta; noi che in
questo pianeta ancora dimoriamo, non possiamo fare a meno di ricordarci di lui
- anche di scontrarci con lui - quando, alieni dal metafisicismo del Borges,
non sappiamo avere “l’impressione che la nostra nascita a Racalmuto sia
alquanto posteriore alla nostra
residenza qui”. L’ancestralità del nostro essere racalmutesi ci porta a
volere, sopra ogni cosa, la verità storica del paese e non quella fantasmatica, come direbbe Massimo
Onofri magari a spese delle derelitte casse del Comune.
Per finire, .... davvero!
Nel
mio rapporto con il paese, posso affermare che ho sempre coltivato le tre virtù
... teologali. La speranza che il paese avesse sempre la forza di uscire dai
tunnel della delinquenza, della mafia, dell’amoralità è stata e permane sempre
vivida. E ciò è anche un atto di fede. Un empito di carità charitas non è mai mancato nel mio percorso culturale nel deserto
dell’altipiano del sale (della sapienza ma anche dell’intelligenza corrosiva,
autocompiacentesi) e dello zolfo, anche quello dello
schioppo, anche quello della lupara che da secoli folgora sinistro ed
improvviso nelle campagne ubertose o nei calanchi scoscesi ed ammalianti.
Quello che ho narrato, l’ho narrato con amore, con la forza passionale della charitas, senza asetticismo. Non
storico, dunque, ma dilettante rinvenitore dei minuscoli segreti racalmutesi
dei tempi trascorsi; quei segreti di ogni giorno di quella «vita tenace e
rigogliosa, abbarbicata al dolore e alla fame come erba alle rocce», per
chiudere, appunto, con Sciascia.
INDICI E
SOMMARIO
[Dizionario
topografico della Sicilia; 120
‘tenace concetto’; 103
Abate; 70
Acquisto; 87
ad Oliverio RAFFA; 17
adversus Reverendos Sacerdotes; 154
Afflitto
Carlo; 64
agostiniani; 106; 115; 118; 120
Agrigento; 11; 15; 16; 17; 19; 21; 22; 23; 33; 35; 40;
58; 59; 61; 70; 71; 79; 202
Alaimo; 10; 30; 69; 75; 90; 102; 127; 128; 129; 138
fra Sebastiano; 30
ALAIMO; 28
Aldonza del Carretto; 100; 137; 153
Alfano; 128; 135
Algozzini
arc.; 83
Algumento; 62
alla chiesa del Monte; 21
Amari; 70
Amato; 37
fra Antonino; 37
Amella; 128; 135
Amico; 120; 142; 154
Andrea d’Argomento; 23
Angelo de Montecaveoso; 24
Angelo di Montecaveoso; 8; 9; 24
Annunziata; 21
Antimafia; 209
Antinoro
fra Giuseppe; 36
Antonio del Carretto; 14; 74
Antonio Veneziano; 94; 119
Aragona; 96
ARCHIVIO STORICO SICILIANO; 71
Archivio Vaticano Segreto; 23; 61; 62
arciprete; 8; 15; 23; 24; 36; 38; 39; 40; 59; 60; 61; 62; 65;
69; 83; 94; 97; 98; 101; 109; 110; 114; 123; 124; 128; 130; 133; 137; 138; 139;
140; 141; 153; 157; 158; 203; 204; 208; 209; 210; 217
arcipreti; 62
Argisto Giuffredi; 119
Asaro; 66; 70
Averna; 23; 39; 43
AVERNA
Arciprete don Gerlando; 38
AVS - Reg. Av. 162; 9
Barberi; 16; 26; 44; 45; 46; 84; 128; 129; 218
Giovan Luca; 218
BARONE; 81
baroni di Racalmuto; 87
Barresi; 85; 86
beneficio del Crocifisso; 38; 202
Bertrando du Mazel; 9
bolla; 23; 38; 78; 79; 200; 202
Bona; 24
BONGIORNO; 13
Bonincontro; 30; 32; 64; 124; 125; 126; 129
Bonsignura; 66
Borboni; 106
Bovo seu Montagna; 154
Burruano; 10
Burzellina; 66
BUSCEMI; 13
Busuito; 200
Cammalleri; 66
Cammarata; 97; 134; 137; 138
Canicattì; 13
Cannuni; 214
canonicato di Agrigento; 16
canonicato di Santa Margherita; 15
canonici; 97; 104; 124; 215
Capibrevi; 84
Capobianco; 87; 128
Capoccio; 23; 60; 61; 62
arciprete; 97; 98; 99; 100; 101
cappellano; 15; 24; 89; 91; 99; 132; 137; 139; 152; 206; 217
Caracciolo; 106; 118
Carchiola; 66
Carlino; 13
Carlo d’Angiò; 10
carmelitani racalmutesi del secolo XVI; 32
Carmine; 94; 129; 158; 208
Carretto; 14; 15; 16; 19; 24; 25; 26; 27; 29; 31; 33;
40; 41; 42; 43; 44; 46; 58; 65; 74; 78; 79; 85; 86; 87; 88; 92; 94; 95; 96; 97;
100; 103; 108; 110; 113; 114; 115; 116; 117; 118; 119; 120; 121; 126; 128; 129;
130; 131; 132; 133; 135; 137; 139; 140; 153; 154; 155; 157; 158; 201; 211; 214;
216; 217; 218
Girolamo; 211
Casal Vecchio; 70
Casalvecchio; 214
Cascini; 65; 69; 70; 72; 73; 74; 75; 82; 83; 203
Giordano; 73
Castronovo; 20; 65; 66; 72
Casuccio; 24; 35; 66
fra Angelo; 35
Casuchia; 87; 128; 129
Cavallaro; 64; 67; 202
Chamut; 212
Chiaramonte; 10; 14; 15; 16; 27; 74; 216
Chiarenza; 66; 82
CHIAZZA; 13
Chiesa della \“NUNTIATA; 64
Chiesa di S. Giuliano; 64
chiesa di S. Margherita; 12; 83
chiesa di S. Maria; 8; 12; 23; 76; 78
chiesa di San Leonardo lo vecchio; 64; 67
Chiesa di Santa Maria del Monte; 63
Chiesa di santa Maria di Gesù; 63
Chiesa di Santa Maria di lo Munti; 64
Chiesa di Santa Rosalia; 64; 65; 66; 67; 68; 72
CHIESA DI SANTA ROSALIA; 67
Chiesa Maggiore; 63
Cicerone; 213
Cicio
dott. Giuseppe arciprete; 137
Clarisse; 214
Collegio di Maria; 69
Collura
Paolo; 9
COLLURA; 11
Commodo; 213
confraternita; 34; 67; 72; 78; 185
confraternite; 87; 88; 89; 90; 91; 95; 96; 210
Conte
Stefano Conte; 121; 130; 135; 209
Convento del Carmine; 31; 33
convento di S. Francesco; 26
Convento di S. Francesco; 26
convento di S. Giuliano; 102; 106
Costanza; 216
Costanza Chiaramonte; 14
Covarruvias; 59; 61; 62
Crocifisso; 38; 200; 202
Cuddura; 66
Cullura; 66
Curto; 44; 45; 46; 64; 65; 67; 68
d’Afflitto; 64; 67
D’AMELLA; 13
d’Argomento; 123
Andrea; 123
d’Asaro; 102; 129; 130; 131; 135; 138
D’Averna; 39; 40
Damiano; 88; 93; 96
DE FINO; 217
Gerardo; 217
de Grachio; 87
De Gregorio; 97; 212; 214
Mons. Domenico; 212; 214
Del Carretto
Giovanni; 85; 86; 87; 88; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 110;
113; 114; 117; 120; 121; 129; 130; 131; 132; 133; 135; 139; 140; 153; 154; 155;
157; 158; 214; 216; 217; 218
Del Carretto; 218
Di Benedetto; 65
Di Giovanni; 85; 86; 92; 108
Vincenzo; 85
Di Liberto; 37
fra Pasquale; 37
di S. Margherita Belice; 9; 12
di S. Maria di Gesù; 8; 34
Di Vita; 115
Diego La Matina; 20; 102; 105; 107
diocesi di Agrigento; 15
don Calogerum Cavallaro; 154; 155
don Fabritium Signorino; 154
don Franciscum de Agrò; 154; 155
don Joannem Battistam Baera; 154
don Joseph Casucci; 154
don Michaelem Angelum Rao; 154
don Petrum Casucci; 154
don Sanctum de Acquista; 154
Doria; 136; 216
Brancaleone; 216
Matteo; 217
duca d'Alba; 119
duca di Montblanc; 216; 217
ebrei; 11; 16; 19
Ecclesiola; 63
Enrico; 86
Ercole Del Carretto; 85; 95; 218
EUGENIO NAPOLEONE MESSANA; 11
Evodio; 116; 120
Falletta; 23; 66
Paolino sac.; 23
Fanara; 24; 26; 31; 32; 33; 36; 87; 90; 123
fra Paolo; 32
padre Paolo carmelitano; 31
Farrauto; 13; 66; 202
Favara; 113; 209
Fazello; 216
Federico Chiaramonte; 216
Federico II; 8; 212; 215
Filippini; 153
Fiorini
Isidoro Fiorini; 209
Fontana; 21; 63; 67; 68; 71
Fra Diego; 213
Francesco de Bona; 87
Franciscus Sferrazza; 35
Fratellanza; 209
Gagini; 218
Gaitano; 29; 30
padre Cola Andrea; 29
gaito; 212
Galletti; 23
Garamoli; 58
Garibaldi; 214
GARUFI; 12
Genco
arciprete; 65; 69; 72; 74; 82
Genova; 14; 15
Gerardo de Fino; 24; 84
GERARDO DE FINO; 15
Gerlando; 212
Gerlando d’Averna; 23; 38; 40; 41
Giacchetto; 86
Giancani; 65
Giglia; 66
Gilberto; 11
Giovanni Del Carretto; 88; 218
Giovanni Sciascia; 220
mastro gabelloto; 220
Giovanni V; 94; 103; 119; 121; 135; 137; 139; 153
Girgenti; 10; 14; 17; 40; 45; 61; 72; 102; 129; 140;
142; 200; 201
Girolamo II; 94; 114; 115; 118; 119; 130; 131; 135;
137
Girolamo III; 110; 119; 121; 135; 140; 153; 154; 155
Girolamo IV; 119
giudei; 17
Giudeo; 16
governatore; 91; 94
Graci; 24
Gregorio Blundo; 64; 67
Grillo; 80; 81; 82; 83; 164; 203
don Antonino; 82
don Girolamo; 82
rev. don Salvadore; 82
GRILLO; 81
Grotte; 11; 73; 74
Grotticelle; 24
Guarino; 11
Gueli; 66
Gulpi; 44; 45; 46; 87; 155
Hammud; 10; 12
Horoczo y Covarruvias; 61
Horozco; 59; 60; 61; 87; 94; 97; 98; 99; 100; 101;
104; 110
inquisitore; 105; 119; 120; 121
ipogeo cristiano; 24
Islam; 212
Jacobo Damiano; 88; 93; 96
Jacobo Vella; 87
Jacolino; 209
Jo:Vito D’Amella; 14
La Cannita; 119
La Gnignia; 66
La Lattuca; 30; 66
la Legazia Apostolica; 15
La Licata; 10; 24; 25; 28; 36; 43; 66; 87; 89; 155
Francesco; 14; 63; 65
Leonardo; 24; 25; 28
LA LOMIA; 13
La Matina; 20; 36; 102; 103; 105; 107; 154
La Nuza; 106
Lagumina; 17
Bartolomeo; 17
Lanuza, gesuita; 106
Laudicu; 66
Lauricella; 22; 66
Lautrec; 85; 86
Legazia Apostolica; 142; 217
Leonardo Sciascia; 20; 63
Liuni; 18
Lo Brutto; 44; 45; 46; 65; 66; 68; 110; 128; 129; 141;
153; 155; 156; 185; 200; 202; 204
arciprete; 153
Lo Sardo; 66
Lombardo; 72
Lop Ximen Durrea; 17; 18
Macaluso; 10; 44; 45; 46; 68
Madonna del Monte; 20; 21; 91; 218
MADONNA DEL MONTE; 20
Madonna di Fatima; 211
Malaterra; 215
Malconvenant; 8; 11; 12; 83
Manfredi Chiaramonte; 10; 16; 216
Manglono; 217
Tommaso; 217
Mantione; 65; 82; 83; 164; 203
canonico; 82; 203
Marco Antonio Alaimo; 102; 138
Martino; 93; 216; 217
MARTORANA; 10; 11
Martuzio de Sifolono; 23
MARTUZIO DE SILOFONO; 12
Matera; 8
Matranga; 103; 105; 107
Matrice; 20; 21; 23; 34; 35; 38; 39; 40; 61; 62; 65;
68; 75; 76; 78; 81; 82; 83; 91; 97; 102; 103; 106; 108; 109; 121; 133; 137;
138; 139; 140; 141; 142; 143; 156; 157; 158; 164; 185; 206; 208; 210; 211; 219
Matrona; 13; 39; 200; 202
Matteo; 95; 216; 217
Del Carretto; 217
Matteo del Carretto; 14; 15; 16; 24
MAZEL; 9
Menta; 201
mero e misto impero; 87
Messana; 7; 13; 20; 70; 71; 78; 79; 87; 88; 106; 157;
202; 220
Messina; 24
Michele Romano; 23; 39; 40; 43; 59
Modica; 212
Molinaro; 137
monaci e parrini; 91
Monte; 87; 90; 91; 153; 210; 211; 218
Montecaveoso
Angelo; 212
Montescaglioso; 8
Montiliuni; 14
Morreale; 20; 21; 28; 29; 44; 45; 46; 65; 68; 69; 70;
73; 74; 75; 82; 83; 201; 203
Antonella; 28
Girolamo gesuita; 20
Morreali; 87; 128; 129
Morte dell’Inquisitore; 93; 103; 105; 107; 115; 116
Mulè; 24
Mulè alias Paruzzo; 154
Mule’; 65
Murriali; 43; 65; 66
Musca; 212; 215
Federico; 212
Mussomeli; 133; 155
Nalbone; 14; 15; 28; 60; 82; 87; 93; 100; 106; 108;
115; 116; 132; 133; 153; 154
Giuseppe; 28
Napoli; 24; 61; 75
Naro; 86; 129; 139; 212
Neglia; 87
Nicastro; 14
Nicola de Galloctis; 23
Nicolò Salvo; 20
Nobili; 66; 68; 87
Normanni; 15; 24; 63; 70; 215
Noto; 8; 59
Nunziata; 89; 123
Olivero Raffa; 18
Pace; 24; 214
Biagio; 214
padre Bonaventura Caroselli; 20
Paolo del Carretto; 25
Paramo; 119
parocchia della Nuntiata; 65
parrocchia di S. Giuliano; 67
Paternò; 15; 24; 217
Peri
Illuminato; 215
PERI I; 9
Petruzzella
don Salvatore; 140
Piamontesi; 87
Piamontisi; 10; 68
Jacomo; 10
PIAMONTISI; 13
Picataggi; 13
PICONE; 11
Picuni; 66
Pietro; 85; 86; 90; 96; 102; 109; 128; 129; 130; 133;
135; 138; 139; 142; 210; 215; 216
re; 215
Pietro d’Aragona; 10
Pirri; 7; 8; 16; 67; 69; 71; 72; 79; 83; 92; 98; 134;
203; 215
PIRRI; 8; 11; 66
Pirro; 120
Pistuna; 66
presbitero Franesco La Licata; 87
Prizzi; 24
Promontorio; 87
Provenzano; 26
Puma
Alfonso Puma; 87; 154; 158; 208
PUMA;
1
Racalmuto; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18;
19; 20; 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 30; 31; 32; 34; 36; 38; 39; 40; 41; 42; 43;
44; 45; 46; 47; 48; 51; 53; 54; 55; 57; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 64; 65; 67; 68;
69; 70; 71; 72; 74; 75; 76; 78; 82; 84; 85; 86; 87; 88; 89; 90; 91; 92; 93; 94;
95; 96; 97; 98; 100; 101; 103; 104; 105; 106; 107; 108; 110; 113; 114; 115;
116; 118; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 126; 129; 130; 132; 133; 134; 135; 136;
137; 138; 139; 140; 141; 153; 154; 155; 156; 200; 202; 203; 204; 205; 208; 209;
210; 211; 212; 213; 214; 215; 216; 217; 218; 219; 220
RACALMUTO; 9; 14; 15; 16; 23; 26; 41; 68
RACALMUTU; 110
Racel; 215
Rachal Chamuth; 212
Raffo; 49
Ramirez; 110; 112; 142; 206
Randazza; 66
Raneri; 18
ratto di Proserpina; 214
Reale Cancelleria; 24
Regalpetra; 91; 92; 116; 117; 120; 211
Rettore; 200
Riccio; 34
fra Salvatore; 34
fra Zaccaria; 34
riformati di S. Agostino; 103
Ristiva; 66
Rizzo; 34; 68; 87; 129; 155; 205
RIZZO; 13
Romano; 23; 36; 39; 40; 43; 58; 59; 60; 97; 112; 205;
206
Rosalia; 21; 22; 63; 64; 65; 66; 67; 68; 69; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79;
80; 81; 82; 83; 164; 203
ROSALIA; 63; 66; 67; 72; 81; 83; 204
S. Agata; 71
S. Antonio; 38; 40; 63
S. Benedetto; 26; 71
S. Chiara; 26
S. Giovanni Gemini; 24
S. Margaritella; 15; 16
S. Maria di Gadera; 5; 8
S. Michele Arcangelo; 153
S. ROSALIA; 63; 72; 83; 204
S.Anna; 153
S.Erasmo; 103
SACERDOTI; 23
Sadia
di Palermo
giudeo; 17
Sadia di Palermo; 18; 95; 218
SALAMUNI; 11
Salvo; 20; 28; 29; 30; 68
fra Ludovico; 30
SALVO; 28
Sammaritano; 139
arciprete; 139
San Giuliano; 64
Sant’Uffizio; 93; 96; 98; 99; 102; 104; 105; 106
Santa Chiara; 94; 137
Santa Margherita; 15; 24; 63; 64; 84; 130; 215; 217
Santa Maria di Gesù; 64; 90; 129; 215
chiesa; 215
Santa Rosana; 65
Santo d’Agrò; 102; 137; 138
saraceni; 8; 11; 12; 13; 15
Saraceni; 212
Saracino; 155; 215
SAVATERI; 13
SAVATTERI; 13
SCATURRO; 12
SCHILLACI; 13
Sciascia; 20; 63
Leonardo Sciascia; 88; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 102;
103; 104; 105; 107; 109; 110; 114; 116; 117; 118; 120; 121; 123; 130; 132; 137;
142; 209; 210; 211; 218; 220; 221
Sferrazza; 23; 35; 36
Falciotta o Fasciotta don Francesco; 35
fra Francesco; 35
SFERRAZZA; 32
sicano; 213
Sicilia Sacra; 120
Siculiana; 217
Sifolone
Martuzio; 212
Spalletta; 37
SS. Sacramento; 70; 185
Surci; 65
Tagliavia; 8; 23; 26
Tagliavia de Aragona; 96
Taibi; 10; 66; 87
Taverna; 39; 87; 93; 97; 100; 115
Terra di Racalmuto; 14
THOSSINIANO; 27
Tinebra Martorana; 20; 92; 93; 116; 117; 120; 121;
130; 131; 137; 138
TINEBRA MARTORANA; 11
TINEBRA-MARTORANA; 10
Tirone; 107; 157; 158
tombe sicane; 213
Tommaso de Manglono; 15; 24
Tommaso Sciarrabba; 23
Traina; 134; 135; 137; 138; 139; 140
Tucidide; 213
Tudisco; 87
Tulumello; 13; 69; 75; 82
UGO; 13
Unione; 91
Circolo; 91
Universitas; 135; 215
Vaccari; 87; 89; 90
Valenti; 155; 205
Calogero; 205
vescovo di Agrigento; 87; 95; 96; 99
villanaggio; 215
Vinci; 20
Francesco; 20
Zanghi; 124
zolfo; 91; 211; 213; 221
SOMMARIO
PRIMA
DELLA STORIA..................................................... 2
LE PROBABILI ORIGINI BENEDETTINE DI RACALMUTO...................................................................... 3
GLI ESORDI STORICI...................................................... 8
IL QUATTROCENTO ECCLESIASTICO A RACALMUTO.................................................................... 14
GLI EBREI A RACALMUTO........................................... 16
IL SECOLO DELLA MADONNA DEL MONTE............. 20
SACERDOTI DI RACALMUTO DEL XVI SECOLO......... 23
Premessa.............................................................................. 23
I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500......................... 26
CENNI INTRODUTTIVI.................................................... 26
Convento di S. Francesco....................................................... 26
Francescani conventuali nel 1593........................................ 28
Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano............................. 29
Fra Ludovico de Salvo......................................................... 30
Fra Sebastiano d’Alaimo..................................................... 30
Il Convento del Carmine...................................................... 31
I carmelitani racalmutesi del secolo XVI............................ 32
Fra Paolo Fanara.................................................................. 32
Fra Salvatore Riccio di Racalmuto................................... 34
Fra Zaccaria Riccio.............................................................. 34
Fra Angelo Casuccio............................................................ 35
Fra Francesco Sferrazza....................................................... 35
Fra Giuseppe d’Antinoro..................................................... 36
Due religiosi di fine secolo:................................................. 37
fra Antonino Amato;......................................................... 37
fra Pasquale Di Liberto..................................................... 37
L’arciprete don Gerlando d’AVERNA.................................. 38
Il nobile Girolamo Russo, marito della figlia spuria di Giovanni del
Carretto........................................................ 40
L’arciprete don Michele ROMANO....................................... 43
Capoccio arciprete di Racalmuto............................................ 60
ANTICHE CHIESE................................................................ 63
CULTO DI S. ROSALIA.................................................... 63
CHIESA DI SANTA ROSALIA......................................... 67
LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA......................... 72
La vecchia chiesa di S. Margherita...................................... 83
ARCIPRETI, SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA
RACALMUTESE - 1500-1731. 85
Dopo la venuta della Madonna del Monte........................... 85
Il Seicento Racalmutese..................................................... 113
Brigida Schittini................................................................. 166
Paola Macaluso.................................................................. 167
Luigi Gaetani..................................................................... 167
Araldica racalmutese dopo i del Carretto.......................... 168
Terraggio e terraggiolo: atto finale................................. 169
Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802).................. 172
Tratti salienti del Settecento racalmutese............................. 174
IL CANONICO MANTIONE.............................................. 203
L’INTERDETTO.................................................................. 204
CONCLUSIONI................................................................... 208
Cenni biografici: Arciprete Alfonso Puma........................... 208
Le svolte epocali della chiesa di Racalmuto...................... 210
Da dove vengono e ove vanno i fedeli racalmutesi........... 213
Per finire, .... davvero!.......................................................... 221
[1]) Solo lo studio e l’analisi del diploma del
1400 dell’Archivio di Stato di Palermo, relativo ai Del Carretto consente di far una qualche luce sulle vicende
del feudo racalmutese nel XIII secolo. Cfr. ARCHIVIO DI STATO - PALERMO - REAL
CANCELLERIA - BUSTA N. 38 - (Anni 1399-1401) pag. 177 recto a pag. 181.)
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