A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei
Padri fatebenefratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di pegno.
In compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1. Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono
Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno
ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2. Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne
d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo
dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3. Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo
R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo
Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica
infra “octavam Corporis”;
4. Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna,
Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego
Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più
prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno
1731;
5. Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella
Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore,
congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro
officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6. Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico
Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio
Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di
Settembre;
7.
Compagnia
di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed
Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda
domenica di Gennaro.
Ci viene fornito un dato anagrafico di notevolissima
importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini della Chiesa, possiamo
essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del 1731, c’erano 1200
famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in media 4,28 componenti
per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine ecclesiastica: 28
sacerdoti: un sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco
l’elenco:
1.
Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D.
Filippo Algozini;
2.
Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario
Foraneo;
3.
Sac. D. Filippo Cino;
4.
Sac. D. Francesco Pistone;
5.
Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.
Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.
Sac. D. Ignazio
Laudito;
8.
Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.
Sac. D. Gerlando Carlino;
10.
Sac. D.
Antonino Macaluso;
11.
Sac. D.
Francesco Torretta;
12.
Sac. D. Gaspare
Casucci;
13.
Sac. D.
Vincenzo Casucci;
14.
Sac. D.
Leonardo La Matina;
15.
Sac. D.
Calogero Pumo;
16.
Sac. D. Giovan
Battista Pumo;
17.
Sac. D.
Antonino Mantione;
18.
Sac. D.
MichalAngelo Savatteri;
19.
Sac. D. Isidoro
Amella;
20.
Sac. D.
Vincenzo Avararello;
21.
Sac. D.
Francesco De Maria;
22.
Sac. D. Antonio
La Lomia Calcerano;
23.
Sac. D.
Baldassare Biondi;
24.
Sac. D. Pietro
Signorino;
25.
Sac. D. Orazio Bartolotta;
26.
Sac. D.
Antonino d’Amico minore;
27.
Sac. D. Ignazio
Pumo;
28.
Sac. D. Santo
Farrauto.
Ma le vocazioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore
Grillo ed il nostro Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva
ricevuto l’ordine minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco
Grillo; Vito Gagliano; Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi;
Ludovico Amico; Diego Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino
Tirone; giovani lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero
Vinci; Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i
chierici tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano.
Tutti gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserlo nel
secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese,
vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra
queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non
scesi a Racalmuto.
Alcuni signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i
benefici del Santo Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo
Baeri. Ad un livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino
Carlino, Francesco Farrauto e Giuseppe Chiovo.
La pletora dei sacerdoti era però
eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno
disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da
potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre
all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci:
Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La
Matina.
E
passiamo ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.
Il
priore era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci,
assistito dal sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio
Monticcioli era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle
laute rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La
Rosa e fra Gerlando Montagna.
I
francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano
essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che
giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).
Non
così invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via
a godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata,
P. Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro
“fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra
Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al
convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori
Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866
riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.
A
S. Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma
solo due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente
forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano
poi infondate.
Il
convento di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece
eccolo vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo
si vede da una dichiarazione dei redditi, con annesso stato patrimoniale, del
1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto, P. Ignazio da
Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da Racalmuto,
fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I fratelli laici
dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca” delle elemosine in
natura, ad onta delle cospicue rendite.
Ed
ora è il turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22
recluse, in uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere
per donne di diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura.
Venivano sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della
vecchia chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono
calpestati senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno
quelle derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.
L’abbadessa
era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da
famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza,
suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria
Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor
Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica
Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a
sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane
quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra
Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano,
suor Antonia Maria Raspini.
E
con loro, le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” –
all’ultimo gradino di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del
luogo: soro Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo.
Un tratto di penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per
queste vittime di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena
dalla Maraini quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui
non c’è neppure il benessere del dominio aristocratico.
I
benefizi ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e
gli altri sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare
Casucci; l’altro di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che
lascerà tanto alla chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari
assegnato a don Gaspare d’Agrò.
I
mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice, sono ancora dodici,
come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a scorrere la lista,
ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni sono solo d.
Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta; gli altri (don
Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don Giambattista
Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo Farrauto, don
Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono bravi a
cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle confessioni,
specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina
vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai peccati, ma sono per il
momento tenuti lontano dai benefici economici che il cantare Vespro e Compieta
fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai beneficiale venendo a decedere nel
1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+ 29 ottobre 1771) farà carriera,
diverrà vicario foraneo e raggiungerà la ragguardevole età di 82 anni (LIBER,
n° 284).
Racalmuto
non ospita eretici o scomunicati; è tutto sommato morigerato e rispettoso della
religione e dei precetti della chiesa. L’Algozini può così rispondere
all’apposito paragrafo del questionario:
1. Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o
che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né
publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso
da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua
moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di
Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi né inimici;
2. Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero
Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;
3. Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D.
Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero
Sferrazza;
4. Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe
Sferrazza e D. Antonino Amelle;
5. Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di
buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.
IL CLERO
RACALMUTESE NEL SETTECENTO.
Parlare
delle cose di chiesa non è poi cosa diversa dal palare del vivere civile in
tempi – come ancora è il Settecento – ove il sacro ed il profano non ha linee
di demarcazione ben distinte. Il cosiddetto spirito laico è prodotto di colture
recentissime. Certo in Francia fu storia diversa. Facile citare il Voltaire. Ma
noi siamo a Racalmuto e quello che di laico vi poteva essere non andava al di
là di qualche espressione blasfema, cui il popolino pare indulgesse, nonostante
le pene che la curia vescovile s’industriava di infliggere. Ancora, alla fine
del secolo, il noto canonico Mantione, quando ancora era arciprete, segnalava
al Caracciolo coloro che si astenevano dal precetto pasquale. Ed il laicissimo
Viceré, che ancora rappresentava il re quale titolare dell’Apostolica Legazia
sanciva richiami, più o meno convinti.
Parlare
dunque di preti a Racalmuto nel settecento è in definitiva parlare della
componente più vistosa e più intricante della classe dirigente locale. E a ben
vedere anche di quella economica.
Ecco perché
ci avvaliamo di una rubrica stretta ed alta che l’arciprete Puma conserva
ancora gelosamente in Matrice per seguire l’elenco degli ecclesiastici che
finirono i loro giorni nel Settecento. «LIBER in quo adnotata reperiuntur
nomina plurimorum Sacerdotum, nec non Diaconorum et Subdiaconorum et Clericorum
huius terrae Racalmuti, jam ex hac vita discessorum a pluribus ab hinc annis
fere immerorabilibus, opere R.di Sac. D. Paulini Falletta hon anno 1636 pro
quarum animarum suffragio semel in mense in feria secundae hebdomadae ad
cantandam missam omnes Sac.es, Diaconi, Subdiaconi et Clerici se obbligaverunt
convenire, ut in actis Notari Panfilis
Sferrazza Racalmuti sub die 26 Martii 1638» reca come intestazione il registro,
che non si ferma al 1636 ma prosegue sino al sac. Don Gaetano Chiarelli, di cui
ha steso convinte note biografiche l’attuale arciprete, p. Puma.
Nel
Settecento furono 161 gli ecclesiastici racalmutesi che qui cessarono di
vivere. Per la maggior parte, solo data di nascita e di morte, per qualcuno
solo la data di morte e l’indicazione degli anni; per taluni – i privilegiati –
note biografiche più dense. Il secco annotare si stempera un po’ con D. Pietro
Signorino (n° 139), con il chierico Giuseppe Nalbone ( n° 279), con D. Antonino
Picone Chiodo per essere esplicito – ma non troppo – con p. D. Giuseppe Elia
Lauricella e divenire persino prolisso con D. Nicolò Figliola e D. Stefano
Campanella: le ragioni economiche fanno aggio su quelle della santità.
Altrove forniamo una
lunga sfilza di sacerdoti, ecclesiastici e suore di Racalmuto nel Settecento.
Sono ricavabili n° 118 famiglie che vantano un religioso nel proprio casato;
per ordine alfabetico abbiamo:
ALAIMO
|
ALESSI
|
ALFANO
|
ALFIERI
|
ALGOZINI
|
AMATO
|
AMELLA
|
AMICO
|
AMICO E MATINA
|
AMICO
E MORREALE
|
ARNONE
|
ARRIGO
|
AVARELLO
|
BAERI
|
BARONE
|
BARTOLOTTA
|
BELLAVIA
|
BIONDI
|
BIUNDO
|
BORZELLINO
|
BRUTTO
|
BUSUITO
|
CACCIATORE
|
CAMPANELLA
|
CARAMELLA
|
CARINI
|
CARLINO
|
CARRETTI
|
CASTROGIOVANNI
|
CASUCCI
|
CAVALLARO
|
CHIODO
|
CIMINO
|
CINO
|
CONTI
|
CRINO'
|
CURRETTI
|
CURTO
|
DE MARIA
|
DI BENEDETTO
|
DI CARO
|
DI MARIA
|
DI NARO
|
FARRAUTO
|
FIGLIOLA
|
FRANCO
|
FUCA'
|
GAGLIANO
|
GAMBUTO
|
GATTUSO
|
GIUDICE
|
GRILLO
|
GRILLO E BRUTTO
|
GUADAGNINO
|
LA LICATA
|
LA
LOMIA CALCERANO
|
LA LUMIA
|
LA MATINA
|
LA MENDOLA
|
LA ROSA
|
LAUDICO
|
LAURICELLA
|
LO BRUTTO
|
MACALUSO
|
MAIDA
|
MANTIA
|
MANTIONE
|
MARRANCA
|
MARTORANA
|
MATRONA
|
MATTINA E MARIA
|
MATTINA ED AGRO'
|
MERCANTE
|
MILANO
|
MONTAGNA
|
MONTICCIOLI
|
MORREALE
|
MULE'
|
NALBONE
|
PANTALONE
|
PERRIERA
|
PETRUZZELLA
|
PICATAGGI
|
PICONE
|
PIRRERA
|
PISTONE
|
POMO
|
PROVENZANO
|
PUMA PAGLIARELLO
|
PUMO
|
RAO
|
RASPINI
|
RENDA
|
RESTIVO PANTALONE
|
RIZZO
|
ROCCELLA
|
SALEMI
|
SALVO
|
SALVO SINTINELLA
|
SASSI
|
SAVATTERI
|
SAVATTERI E BRUTTO
|
SCIBETTA
|
SCIBETTA ALFANO
|
SCIBETTA E FRANCO
|
SCIBETTA E MENDOLA
|
SCIME'
|
SFERRAZZA
|
SIGNORINO
|
SPAGNOLO
|
SPINOLA
|
SURCI
|
TIRONE
|
TORRETTA
|
TROISI
|
TULUMELLO
|
VINCI
|
L’elenco
del LIBER (come d’ora in poi chiameremo quel registro con la lunga intestazione
in latino sopra riportata) esordisce con d. Vincenzo Casucci (n° 154)
Collegiale. Obiit 4 Augusti 1701 di anni
41. Il 18 dicembre è la volta di d. Calogero Pumo di 90 anni. L’autore del
LIBER muore il 21 agosto 1705 all’età di 75 anni. Don Vincenzo Castrogiovanni
(+ 28 agosto 1706) era “predicatore e Collegiale). Collegiale era pure Davide
Corso (+ 3 luglio 1707): anzi, insieme con don Vincenzo Castrogiovanni, era
stato tra i primi mansionari all’atto della costituzione della communia il 13
gennaio 1690. Don Michelangelo Romano (24 ottobre 1711) fu beneficiale di S.
Nicolò. Altro collegiale fu d. Gaetano Cirami (+ 2 febbraio 1712). Don Giambattista
Baera (+ 15 ottobre 1714) e d. Francesco Savatteri (8 settembre 1712) risultano
entrambi “collegiali”.
Don Pietro
Casucci (+ 7 dicembre 1713), collegiale della prima ora, trova sepoltura in
Matrice “ex obbligazione” ad onta dell’interdetto. Aveva solo 55 anni. D. Santo
d’Acquista (+ 15 ottobre 1714), il primo dei 12 mansionari del 1690, viene
tumulato come il Casucci, in Matrice “ex obligatione” facendosi eccezione
all’interdetto del Ramirez. D. Francesco La Mattina era stato canonico della cattedrale. D.
Giuseppe Provinzano (+ 21 settembre 1729) abbate predicatore, Vicario e
collegiale. Don Lorenzo Farrauto (+ 7 novembre 1729) cappellano, collegiale.
Il dr. Don
Fabrizio Signorino (+ 15 settembre 1729) era stato arciprete e collegiale. A
quanto pare non si era molto curato dell’interdetto. Suo Vicario: dr. Don
Giuseppe Lo Brutto (+ 10 dicembre 1728) che ovviamente era stato anche
collegiale, insieme con d. Calogero Cavallaro (+12 gennaio 1730) e con d.
Antonino d’Amico (+ 5 giugno 1732). Non solo collegiale ma anche
fidecommissario della chiesa di S. Michele era stato d. Francesco Pistone (+ 26
dicembre 1733).
L’arciprete
dr. Don Filippo Algozini di Prizzi muore a Racalmuto il 20 ottobre 1735 all’età
di 50 anni. Suo un rapporto dettagliatissimo sulla Matrice, datato 1731.
L’economo vicario d. Francesco Torretta decede il 7 settembre 1744. Per don
Pietro Signorino (+ 11 aprile 1747) il LIBER annota: “Beneficiale dell’Itria –
Fondatore della chiesa del Monte”. Aveva 70 anni .
Veniamo a
sapere che d. Girolamo Grillo (+ 23 febbraio 1745) era “commissario del S.
Officio”. Muore a soli 27 anni. D. Francesco Sferrazza (+ 10 ottobre 1753) fu
arciprete di Castrofilippo. In risalto d. Francesco Di Maria (+ 9 marzo 1754),
in quanto “fondatore della chiesa di S. Pasquale”. A 66 anni muore d. Orazio
Bartolotta (+ 13 luglio 1745) Il dr. Diego di Franco (+ 30 ottobre 1755) aveva
avuto un canonicato nella Cattedrale di Agrigento. Don Gaspare Casucci (+ 26
gennaio 1757) era stato collegiale, beneficiale di S. Antonio. Muore il 27
gennaio 1757 l’arciprete dr. D. Antonio Scaglione. Beneficiale era stato anche
d. Vincenzo Casucci (+ novembre 1757). Anche don Melchiorre Grillo (+ 30
dicembre 1759) era stato commissario del S. Officio; in più “economo
fidecommisso della chiesa del Monte e collegiale”. Altro commissario del S.
Officio: d. Orazio Bartolotta (+ 11 luglio 1761): “era di Montedoro”. Muore il
vicario foraneo dr. D. Giuseppe Grillo (+ 17 dicembre 1764). Il chierico
Giuseppe Narbone (+ 30 marzo 1766) viene “ritrovato morto in un palmento dello
Zaccanello” Aveva 19 anni. Beneficiale di S. Nicolò era stato d. Giuseppe
d’Agrò (+ 29 agosto 1768). D. Antonino Picone Chiodo (+ 19 maggio 1771) “morì
ammazzato con un colpo di fucile”; aveva 42 anni.P. d. Angelo Maria Baera, morì
d’apoplessia il 28 novembre del 1778. Ed è ora la volta di Padre Elia.
N° 283. P. D. Giuseppe Elia Lauricella - «Collegiale, Maestro di Spirito nel Seminario
di Girgenti, Missionario, Predicatore e confessore di diversi monasteri e
Collegi di Maria, promotore zelante per la recita del SS. Rosario in ogni 21
ora nelle piazze e nelle strade, a tutti caro, e stimato per lo spirito di Dio,
e pochi mesi pria di morire, curò la fondazione di questo Collegio di Maria, fu
Curato di Comitini, ed altri paesi della Diocesi, morì in fama di santità in
Canicattì con pianto universale, e nella Chiesa degli Agonizzanti sta sepolto
il di lui cadavere e fu nel giorno 8 Novembre 1780 – d’anni 73» P.S. Traslato
al santuario di racalmuto il 16.1.1966. A.Puma.
All’età di
85 anni muore il detentore dei libri della matrice D. Antonino Mantione (+ 21
novembre 1781), aveva 85 anni. All’età di 74 anni muore d. Benedetto Nalbone (+
16 marzo 1783). Quanto a d. Nicolò Figliola, ne scriviamo altrove, come per
l’arciprete D. Stefano Campanella. Risulta vicario foraneo e “uomo di governo”
D. Alberto Avarello (+ 28 ottobre 1787). Il collegiale d. Pasquale Fucà muore a
73 anni il 24 agosto 1797. E’ l’ultimo della lista, per quanto riguarda il
secolo XVIII.
Considerazioni conclusive sul Settecento Racalmutese.
Il
Settecento si chiude con quattro protagonisti, tutti sacerdoti, dotati di una
personalità spiccata; costoro furono sicuramente fra loro confliggenti e
lasciarono solchi indelebili nel corso della locale vita paesana. Essi sono : don
Nicolò Tulumello, don Francesco Busuito,
don Giuseppe Savatteri e Brutto, nonché l’arciprete – non ancora canonico - don
Gaetano Mantione.
Su
don Nicolò Tulumello, con le sue poco pie voglie di acquisire indebiti titoli
nobiliari, abbiamo già detto. Su don Giuseppe Savatteri, altrettanto e non
vanno neppure obliate le stilettate inferte da Leonardo Sciascia. Don Francesco
Busuito – veniamo a sapere dal LIBER – fu “consultore del Sant’Ufficio”, fino a
quando non venne soppresso. C’era materia per dileggi sciasciani, ma il
sacerdote la passò liscia, per non conoscenza dei fatti, pensiamo.
Era
imparentato con don Benedetto Nalbone ed insieme i due sacerdoti rilanciarono
un ramo di quella famiglia. Sulla vertenza Savatteri-Busuito abbiamo detto. Nel
LIBER, mentre al Savatteri è riservata una secchissima annotazione di morte, al
Busuito l’anonimo estensore, che non poteva che essere o subire l’influenza
dell’arciprete Mantione, viene dedicato quasi un epitaffio. «D. Francesco
Busuito – vi si legge – Collegiale, Missionario, Predicatore Quarisimalista,
Consultore del Sant’Ufficio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto
Monsignor Gioeni alla casa degli Oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente.
– Maestro di Lettere, di Teologia Morale, Prefetto di studii, Direttore,
Rettore del Seminario di Girgenti, Vicario Foraneo, beneficiale del SS.
Crocefisso, Economo – obiit 29 Januarii 1802 – d’anni 74.» Non sappiamo se
tutti questi elogi siano dovuti al rispetto che ancora incuteva il defunto o
non era una scelta di campo dell’arciprete Mantione, tutto a favore del Busuito
e tutto avverso al Savatteri, anche dopo la morte.
L’eco
di quegli intrighi si hanno persino nel 1870 in una memoria difensiva del
sacerdote don Calogero Matrona. Anche in quella sede è detto che nel 1767 il
vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti alcuni beni dell’Arciconfraternita
del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D.
Francesco Busuito. La ricostruzione del citato sac. Don Calogero Matrona,
divenuto beneficiario di quei beni per vie traverse, è particolarmente vivace ed intrigante.
«Con Bolla di erezione in titolo
dell’8 luglio 1767 - scrive fra l’altro il Matrona - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella
del SS.mo Crocifisso dentro la
Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio
semplice in adjutorium Parochi di
libera collazione da conferirsi a concorso ai naturali di Racalmuto con le
obbligazioni di coadiuvare il Parroco nell’esercizio della sua cura, di
celebrare in diverse solennità dell’anno nell’anzidetta Cappella numero trenta
Messe, costituendosi in dote del beneficio taluni beni, che esistevano nella
Chiesa senza alcuna destinazione, dandosene anche l’amministrazione allo stesso
Beneficiale. Riserbavasi però il Vescovo fondatore il diritto di conferire la
prima volta il beneficio, di cui si tratta, senza la legge e forma del concorso
in persona di un soggetto a di lui piacimento.
«In seguito di che con bolla di elezione del
10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale
il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario
di Girgenti dispensandolo
dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a
sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le
obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.
«Appena verificatasi tale elezione,
come risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don
Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la
fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva
lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra
in dote al beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal
Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la
suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone
enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto
contrada Menta dotate alla moglie
del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di
un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di
pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati
fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di
giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi
e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati
a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco
solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il
pagamento o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità
ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso
presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto
sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei
fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i
pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione,
pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio
anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi
questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi
nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici
persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma
Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame
dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui
con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di
altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore
nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione
dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di
definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798,
quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori
trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.
«Morto però il Beneficiale, il
cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi
biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto
il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri
agendo con più di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo
Monsignor Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse,
si contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui
famiglia e suoi discendenti.
«Il Vescovo conosciuta la validità
delle ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il
beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore,
a vista della patente usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non
ecclesiasticità del beneficio, perché fondato senza la volontà del padrone dei
fondi, pensò accordarne la prelazione ai discendenti della famiglia Brutto.
Quindi perché conobbe la verità delle cose per coscienzioso temperamento pensò
conferire anche in minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che
è l’attuale investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno
1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto
chierico avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo
dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del
Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio
e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»
Al
beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don
Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo
1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe
Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi,
appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue
memorie su Racalmuto, risente ancora di quel
clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.
Il
beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902
pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di
padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.
IL CANONICO MANTIONE
Il canonico
Mantione è personaggio tuttora popolare: ci viene tramandato come uomo
coltissimo ma sbadato, grande mangiatore di olive come il padre Pirrone del
Gattopardo. Personalmente ci indispettisce per la faccenda della chiesa di
Santa Rosalia. V’è tutta una documentazione all’archivio vescovile di Agrigento
ove si parla della chiesa in questione. È fatiscente; si chiede e si ottiene
l’autorizzazione a venderla come “paglialora”. La comprano i voraci sacerdoti
Grillo; a venderla è proprio il Mantione. In cambio null’altro che un altare –
quale ancora sussiste – alla Matrice. E’ questa – a nostro avviso – una imperdonabile colpa del
canonico Mantione. Per mera grettezza economica ha lasciato che una
gloriosissima testimonianza religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa
Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa
in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del
Santissimo Sacramento (cfr. Cascini op. cit. pag. 15)», ma aveva un rilievo ed
una sacralità superiori allo stesso
interesse locale e se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva
permettere quello scempio. Era da
quattro anni arciprete di Racalmuto, con prebende, quindi, cospicue.
I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o rafforzare un muro erano disponibilissimi.
E’ un comportamento – quello dell’arciprete del tempo – che mi appare
incomprensibile. Un pozzo di scienza,
viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale (se non religiosa) verso la chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella
gli riverbera una poco esaltante ombra.
A
voler sintetizzare, quella era un’antichissima chiesetta risalente, a seconda
delle varie versioni, al 1200 (Vetrano,
Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente
quella chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali
agrigentine). Nel 1628, ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio
venne riadatatta, o edificata (o riedificata); resistette sino al 3 giugno 1793 quando fu ceduta, appunto, al
sac. Salvadore Grillo; e ciò per un baratto: un altare con statua alla Matrice per una
chiesa da ridurre a stalla.
Santa
Rosalia non ha più casa a Racalmuto: è proprio la fine del Settecento.
Nell’epoca del romanticismo, i racalmutesi opteranno per Maria Santissima del
Monte di cui credono di avere una statua marmorea “miracolosissima”. Una saga
era stata inventata a metà del Settecento per la penna di un seminarista, don
Francesco Vinci, ritornato allo stato laicale ove l’attendeva un ruolo egemone
nell’amministrazione della cosa pubblica. Nel 1848, anche le autorità
ecclesiastiche derubricano come patrona S. Rosalia ed il suo posto è preso
dalla più romantica “imago Virginis Deiparae”, tutta di marmo, splendidamente
eretta sul Monte. Ai piedi l’erta scalinata per le “prumisioni” a dorso di muli
recalcitranti oppure racchiuse in pesanti sacchi, portati su a fatica sulla
testa di donne smunte o obese, a piedi scalzi, per devozione, triste ed
ancestrale. Immagini romantiche appunto, o – direbbe Sciascia – soffuse di un’
«aura romantica ed un tantino melodrammatica».
L’INTERDETTO
L’eredità
arcipretale del Lo Brutto tocca a Fabrizio Signorino: su di lui cade la
tegola dell’interdetto. Senza ricorrere al Mongitore, sappiamo dai libri della
matrice che:
eodem die 2 settembre
1713 VII ind. die 3 settembre 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora
vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.
Si dovette affiggere la bolla episcopale di interdetto generale il
3 settembre 1713, nel giorno di Santa Rosalia: forse fu anche per questo che
dopo meno di un secolo decadde a Racalmuto il culto di Santa Rosalia, prima egemone ed a
carico della universitas. L’ordine è
quello di approfittare della notte (hora vigesima), per aggirare e raggirare le
autorità civili.
Le sepolture, dal giorno dopo, non possono farsi in chiesa, ma in
un luogo a ciò “deputato” dal signor arciprete. Il primo a
farne le spese è un chierico coniugato a nome Santo Bordonaro:
4/9/1713 - Sancto f. cl. coniug. Stefani et Ninfa Bordonaro e mesi in loco deputato a rev.do arch.
L’esordio è duro e sembra che non si guardi in faccia a nessuno.
Dopo, data la legge, trovato l’inganno: basta una bolla a pagamento di
sovvenzione delle crociate per avere cristiana sepoltura in chiesa.
Certo,
scatta ora il dramma della regolare somministrazione dell’estrema unzione:
quest’atto ne lascia traccia:
5/9/1713 - Agostina f. di m° Stefani et
Catarinae Rizzo di anni 11; sepolta in una
ex foveis deputata a rev. arch. in via s. gregorii - gratis pro deo - roborata ante officium interdecti.
La
fanciulletta, undicenne, figlia di mastro Stefano e Caterina Rizzo, viene tumulata
- con quale strazio, è facile intuire - nelle fosse comuni prescelte (e
benedette) dall’arciprete Signorino, degradanti nella scoscese contrada di S.
Gregorio (S. Grigoli). E’ povera ed il funerale è avvenuto gratis pro Deo; era
stata “roborata” - confortata e temprata alla morte - secondo i sacri canoni,
alcuni giorni prima, quando non era scattato l’ Officium interdecti.
Ma
ora muore un notabile, un Romano: non può certo venire esposto
all’inclemenza del clima e di altro:
7/9/1713 - Salvatore Romano vir Josephae Romano di
anni, 43, sepolto in matrice, per privilegium bullae sanc. cruciate e pure
gratis pro deo.
Le
note dell’atto funerario svelano parecchi aspetti religiosi ma anche sociali ed
economici della Racalmuto del tempo. Il Romano muore a 45 anni, ad un’età che pur supera di
molto l’età media della mortalità del secolo dei lumi in quel di Racalmuto.
Appartiene ad una delle più prestigiose famiglie del luogo, ma è caduto in
miseria e per i suoi funerali non può corrispondere i diritti ecclesiastici dei
c.d. festuarii. Supplisce la carità
dei preti, che il funerale lo fanno lo stesso, gratis pro Deo. Il settecento fu
a Racalmuto, come altrove in Sicilia, misero, in crisi economica profonda, con
punte di grande fame per tutti. A fine secolo, i sacerdoti racalmutesi
ottengono l’autorizzazione dell’Ordinario ad impegnare gli arredi sacri per
approvvigionare l’Universitas di grano per la pubblica fornitura del pane
quotidiano. Lo studio del Valenti (cfr. Calogero Valenti - Ricchezza e povertà in Sicilia nel secondo settecento) può
estendersi anche al primo settecento e le considerazione sulla povertà di
Grotte si attagliano appieno pure a Racalmuto.
Ciò
nonostante il buon Romano ha
sepoltura nella Matrice: aveva la bolla
della santa crociata: un privilegio che scavalca il rigore dell’interdetto del
Ramirez, comminato per
la difesa dei beni materiali del ricco vescovo di Catania.
Desta
pietà la fine di questa neonata racalmutese: muore a soli quindici giorni: una
“gloria”; potrebbe trovarsi un
cantuccio nelle carnaie delle chiese;
ma è povera ed è illegittima: finisce - sia pure gratis pro Deo - nel nuovo
pauroso cimitero all’aperto, che l’arciprete ha degnato dell’acqua benedetta:
11/9/1713 -Antonina f. Juliae Virtulino Inzione
patre ignoto 15 giorni - in fovea non benedicta deputata a rev.do arch. in via
s. Gregorii ob interdictum - gratis pro deo.
Frattanto
la miseria genera violenza: mastro Stefano Savatteri viene folgorato dalla
lupara all’età di 44 anni. E’ povero ed i funerali avvengono gratis pro Deo. Ma
è anche mastro: appartiene alla confraternita del Tau. La sua sepoltura deve
avvenire nell’oratorio della confraternita - interdetto o non interdetto:
16/9/1713 - STEFANUS MAG. VIR PAULAE SAVATTERI - 44
- IN ORATORIO TAU ET SOLUM FUIT ROBBORATUS SACRO OLIO UNCTIONIS OB MORTEM VIOLENTAM
GRATIS PRO DEO.
Quando
a morire è un “galantuomo”, l’imbarazzo del cappellano detentore dei libri della Matrice è evidente; il suo latino si ingarbuglia,
comunque la sepoltura avviene in chiesa, nonostante l’interdetto:
5/10/1713 -
FRANCISCUS DON VIR MARIAE PUMO - 45 IN
ECCLESIA S. JOSEPH PER PRIVILEGIUM BULLAE SS.ME CRUCIATAE OB INTERDICTUM
Le
annotazioni sparse qua e là nel libro dei morti contengono queste altre
notizie:
a 28 agosto 1713 -
l'interdetto imposto dell'ill.mo e rev.mo signor fra d. Francesco Ramirez
arcivescovo e vescovo di Girgenti - con il consenso della s. sede nella chiesa
cattedrale di Girgenti, et in tutta la sua diocese _fu' rimosso; e prosciolto
domenica - 27 agosto 1719 ad horam 22 - dal rev.mo signor dr. don Giuseppe
Pancucci ca. tes., e vic. generale apostolico con l'actorita' della s. sede per
via della sac: congregatione dell'immunita'
Li bro dei morti 1714-1724
a 28
agosto 1713 - l'interditto fu imposto dell'ill.mo e rev.mo signor d. Francesco
Ramirenz arcivescovo e vescovo di Girgenti con il consenso della s. sede nella
chiesa cattedrale di Girgenti, et in tutta la sua diocese
L’interdetto durò poco meno di sei anni e - forse anzi tempo - fu
revocato il 27 agosto 1719, stando alle precisazioni dei libri parrocchiali.
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