venerdì 30 dicembre 2016


Il Seicento Racalmutese


 

 

Il Seicento inizia con l’uccisione a Palermo, nella via Favara - e non in contrada Ferraro di Racalmuto, come affermano storici locali - del poco virtuoso Giovanni IV Del Carretto. Ecco come un diarista di Palermo raccontò il raccapricciante delitto:

A 5 di  maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscêro, allo palafango [parafango] di detto; e ci tirarono dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran maraviglia di tutti li agenti; e finìo.

 

« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento, dudici spatati, quattro testi, sei destinati [1], purché non sia lu principali ci avissi fatto  detto delitto, et anco la grazia di S. M.».

Il seguito della storia ci è pure noto, sempre per merito di quel diarista palermitano:

 

 «A 20 ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari [2]  soliti; e tinni [intendi che tenne forte a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.

 

«E fu perché il giorno che sindi andâ a li galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travauci certi faldetti che avia arrubati allo Casali.

 

«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti, ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.

 

«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia  alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».

 

 

Giovanni IV Del Carretto  lascia un figlioletto (l’unico legittimo) di appena nove anni. Quello che non riuscirà mai più a togliersi di dosso l’anatema e l’ingiuria (cocu) di Sciascia, Girolamo II Del Carretto viene raccolto fanciulletto a Palermo e portato nel suo castello di Racalmuto, affidato alle cure (chissà se affettuose) del fratellastro, il neo arciprete di Racalmuto don Vincenzo del Carretto.

Spettegoliamo anche noi con Sciascia (op. cit. pag. 16): «Il conte [Girolamo II Del Carretto] stava affacciato al balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi del castello quando il servo Antonio di Vita “facendoglisi da presso, l’assassinò con un colpo d’armi da fuoco”. Era un sicario, un servo che si vendicava: o il suo gesto scaturiva da una più segreta e sospettata vicenda? Donna Beatrice, vedova del conte, perdonò al servo Di Vita, e lo nascose, affermando con più che cristiano buonsenso che “la morte del servo non ritorna in vita il padrone”. Comunque la sera di quel 6 maggio 1622, i regalpetresi certo mangiarono con la salvietta, come i contadini dicono per esprimere solenne soddisfazione; appunto in casi come questi lo dicono, quando violenta morte rovescia il loro nemico, o l’usuraio, o l’uomo investito di ingiusta autorità.»

E nella Morte dell’Inquisitore (pag. 180): «Che un fondo di verità sia in questa tradizione, riteniamo confermato dall’epilogo stesso del racconto popolare, che dice il servo di Vita averla fatta franca grazie a donna Beatrice, ventitreenne vedova del conte: la quale non solo perdonò al di Vita, fermamente dicendo a chi voleva fare vendetta che la morte del servo non ritorna in vita il padrone, ma lo liberò e lo nascose. Ora chiaramente traluce ed arride, in questo epilogo, l’allusione a un conte del Carretto cornuto e scoppellato...».

Ma ci divertiamo meno, quando sacrilegamente lo scrittore prosegue: «ma questa viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine, principale restando quella del priore. Insomma: se non ci fossero stati elementi reali a indicare il priore degli agostiniani come mandante, volentieri il popolo avrebbe mosso il racconto delle corna del conte. Il priore non era certamente uno stinco di santo: ma quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato da un paese intero. Una memoria della fine del ’600 (oggi introvabile, [ma ora trovata dal Nalbone, n.d.r.], autore di una buona storia del paese) dice della vessatoria pressione fiscale esercitata dal del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il terraggio ed il terraggiolo, che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed arbitrio...»

Qualche volta siamo stati persino caustici: « Le carte della matrice di Racalmuto sono un po' stregate: appaiono vendicatrici. Basta che uno storico locale si sbilanci in ricostruzioni storiche che prescindano dalla loro consultazione per scattare la vendetta: esse stanno lì per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono rispetto, deferenza, assidua  frequentazione e meticolosa attenzione.

Quando il giovane studente in medicina - il Tinebra Martorana  - si mise a scrivere improvvisandosi storico locale, nella totale ignoranza dei libri parrocchiali, questi lo hanno beffato smentendolo impietosamente specie nelle fantasiose saghe dei del Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di sesso del figlio Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa dalla cornata di una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra). Dispiace che il grande Leonardo Sciascia si sia fatto travolgere dal suo fidato storico e sia incappato in spiacevoli topiche, specie nell’anticlericale attribuzione di un nefando crimine al frate Evodio Poliziense - che davvero era un pio monaco e che a Racalmuto, se vi mise mai piede,  ciò fece poche volte e per compiti istituzionali e conventuali, limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli di S. Giuliano. In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto quando Girolamo del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto trucidare dal monaco - era poco più che tredicenne.

Non fu, poi, questo Girolamo del Carretto ad essere tiranno di Racalmuto in modo “grifagno ed assetato” secondo il lessico del Tinebra, né fu lui ad accordarsi con i maggiorenti di Racalmuto per una promessa di affrancamento in cambio di 34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è colpevole del “terraggio” e del “terraggiolo” e di tutte quelle altre nefandezze che sono l’humus storico-culturale delle Parrocchie di Regalpetra o di Morte dell’Inquisitore. Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto l’età di venticinque anni e da oltre un anno con atto di donazione tra vivi si era liberato di tutti i suoi beni in favore dei due figli Giovanni - quello giustiziato poi a Palermo nel 1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre, aveva nominato amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di cui, peraltro, si conosce bene il cognome. Era, costei,  una Ventimiglia.

(E tanto grazie alle recenti scoperte d’archivio del prof. Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche notizie su Dorotea del Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta defunta da poco nel 1654 [pro comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii filiaeque donnae Dorotheae Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et praefati d.ni Joannis Comitis Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno della restituzione da parte del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi domini racalmutesi con diploma emesso nel  Cenobio di S. Lorenzo il   28 ottobre 1654).

 

Quando facevamo queste considerazioni, non era ancora nota la documentazione del Fondo Palagonia. Quella documentazione restituisce alla verità la faccenda del terraggio e del terraggiolo pretesi dai Del Carretto. Crediamo che queste non siano tasse enfiteutiche o che sia inesatto definirle così. Erano diritti feudali spettanti al baronaggio siciliano e legati al semplice fatto che contadini abitassero nella terra del barone: dovevano al feudatario (di solito al suo arrendatario o esattore delle imposte cui queste venivano concesse in soggiogazione) una certa misura di frumento per ogni salma di terra coltivata nel feudo (terraggio) ed un’altra (di solito doppia) per quella coltivata fuori dal feudo (terraggiolo). A preti e conventi racalmutesi codesti gravami feudali non andavano giù ed essi fecero cause memorabili (e secolari) per sottrarsi e sottrarre dagli odiati terraggio e terraggiolo.  La spuntarono solo il 27 settembre 1787.

Invero il Tinebra Martorana ebbe tra le mani le carte feudali del terraggio e del terraggiolo: gliele misero a disposizione i suoi protettori i Tulumello, già baroni e maggiorenti del paese. Quel che il giovane vi capì è riportato fideisticamente da Sciascia e cioè:

 

«Oltre alle numerose  tasse e donativi e imposizioni feudali, che gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, i suoi signori erano soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i del Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro stato, benché le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti, avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi, e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di Regalpetra dovevano pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in consiglio i borgesi di Regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le tasse necessarie alla prelevazione  di quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada di Brenno  ... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il terraggio e il  terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse».

Sciascia commenta: «Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la signoria di Girolamo II i borgesi di Racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non si trattasse di un riscatto da certe tasse, ma del definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra baronale a terra demaniale, reale.

«Per mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.

«Il priore degli agostiniani e il loro servo di Vita fecero dunque vendetta per tutto un paese, quale che sia stato il pasticciaccio di cui, insieme al defunto e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è la dicitura di una pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel sarcofago di granito in cui fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna Beatrice, ventiquattro anni, e tace su quella del conte. Vero è che non disponiamo dell'originale, ma di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di dubitare della fedeltà della trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani Giuseppe Poma: e l'originale era stata stilata dal suo predecessore Giovanni Ricci, che forse si permise di tramandare allusivamente una piccola malignità.) [...]

 

«Dall'anno 1622, in cui fra Diego nacque, al 1658, in cui salì al rogo, i conti del Carretto passarono in rapida successione: Girolamo II, Giovanni V, Girolamo III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano vita lunga. E se il secondo Girolamo era morto per mano di un sicario (come del resto anche il padre), il terzo moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice), vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti; e, a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del Carretto erano dediti. Giovanni IV, per esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La Cannita che, appunto, temendo del conte, era venuto da Napoli a Palermo sulla parola del duca d'Alba, viceré, che gli dava guarentigia. E' facile immaginare l'ira del viceré contro il del Carretto: ma si infranse contro la protezione che il Sant'Uffizio accordò al conte, suo familiare. (Questo stesso Giovanni IV troviamo nella cronaca dello scoppio della polveriera del Castello a mare, 19 agosto 1593: stava a colazione con l'inquisitore Paramo, ché allora il Sant'Uffizio aveva sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne uscirono salvi, anche se il Paramo [3]  gravemente offeso. Vi perirono invece Antonio Veneziano e Argisto Giuffredi, due dei più grandi ingegni del cinquecento siciliano, che si trovavano in prigione.

«Della familiarità dei del Carretto col Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare che a Racalmuto, contro l'eretica pravità e a strumento dei potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva.  [...]

«L'ordine degli agostiniani di sant'Adriano fu fondato nel 1579 da Andrea Guasto da Castrogiovanni: il quale, stabilita coi primi compagni la professione della regola nella chiesa catanese di Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe, in luogo quasi allora deserto, e fabbricate anguste celle, pose i rudimenti di vita eremitica, e propagolla in progresso per la Sicilia: notizia che dobbiamo a Vito Amico [Dizionario topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859.], e non trova riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed ecclesiastiche che abbiamo consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il convento di Racalmuto fu dal pio monaco Evodio Poliziense promosso e dal conte Girolamo del Carretto dotato nel 1628. Evidente errore: ché nel 1628 il conte Girolamo era morto da sei anni. Più esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani Reformati de S. Adriano ab. an. 1614, rem promovente Hieronymo Comite, opera F. Fuodij Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro terzo, Palermo 1641].

«In quanto al pio monaco Evodio Poliziense o Fuodio Polistense, si tratta senza dubbio alcuno di quel priore cui dalla leggenda popolare è attribuito il mandato per l'assassinio del conte Girolamo. Infatti il Tinebra Martorana, che non si era preoccupato di consultare in proposito i testi del Pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando dice che al priore di questo convento la tradizione serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità all'azione da lui commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino, di Evodio o Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.»

 

Sui Del Carretto di Racalmuto è reperibile una folta letteratura, specie fra storici ed eruditi del Seicento; ma solo Sciascia (vedansi Le parrocchie di Regalpetra e Morte dell'inquisitore), scavalcando il vacuo curiosare araldico, scandaglia, invero, gli amari gravami di quella signoria feudale. Peccato che il grande scrittore si sia voluto attenere, sino alla fine dei suoi giorni, ai dati cronachistici dell'acerbo Tinebra Martorana. Finisce, così, col dare fuorviante credibilità a vicende inventate o pasticciate. Sono da notare, ad esempio, queste topiche piuttosto gravi:

*                Il 'Girolamo terzo Del Carretto' che «moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza del regno di Sicilia» ([4]) è inesistente. A salire sul patibolo allestito nel 'regio castello' di Palermo era stato lo scervellato Giovanni V del Carretto il 26 febbraio 1650. Quello che si indica come Girolamo quarto è invece il terzo. Dopo una parentesi in cui il feudo di Racalmuto risulta in mano della madre e della vedova del malcapitato Giovanni V, la contea viene restituita, nel 1654, al predetto Girolamo che risulta il terzo dei Del Carretto con siffatto nome. Costui, finché subì l'influenza della prima moglie Melchiorra Lanza Moncada figlia del conte di Sommatino, fu munifico verso conventi, ospedale e chiese. Ma quando fu prossimo ai cinquant'anni,([5]) forse perché oberato dai debiti, si scatenò contro il clero di Racalmuto, denegandogli le esenzioni terriere risalenti all'ultimo barone Giovanni III Del Carretto ([6]) ed intentando contro di esso, presso il Tribunale della Gran Corte, una causa che poteva costargli una scottante scomunica.

 

La faccenda del terraggio e del terraggiolo è molto ingarbugliata ma non collima con la versione sciasciana. L’analisi della ponderosa documentazione del Fondo Palagonia potrà dare filo da torcere agli eventuali studiosi di diritto ed economia feudali, con specifico riferimento a Racalmuto: è materiale degno di una qualche tesi universitaria. A dimostrazione del nostro assunto, ci limitiamo a riportare in nota un documento del 1738 .[7] Ma l’intera controversia che dura dal 1580 al 1787 va seguita in tanti documenti del Fondo Palagonia. Una ricognizione piuttosto analitica, ma limitata alla contea del Gaetano è contenuta nelle carte segnate:  A.S.P. - fondo palagonia  - atti privati . n.° 631 - anni 1502-1706 - n.° 3 - p- 173-240, che sono ben 64 fitte pagine. Abbiamo stralciato, in nota, solo la parte che ci pare riassuma il veridico svolgimento dei fatti, che non ci pare confermino le tesi di Sciascia.

 

 

 

*   *   *

 

Andrea d’Argomento, arciprete di Racalmuto ed esaminatore sinodale ad Agrigento, è il dottore in utroque iure che nel marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa, prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia. Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del 1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete; all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le “glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di questo arciprete dottore in utroque. Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale. [8]

 

 

Dopo il 1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile - vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione peccaminosa con la vecchia madre del primo.

La diocesi sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607 e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.

Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di Racalmuto, e non solo quella religiosa. [9]

 

 

Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV Del Carretto - don Vincenzo Del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano, elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali: la bisettrice parte dal Carmino ed arriva a la Funtana lungo un percosso che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia, posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella parte terminale della vecchia via Fontana.

La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come abbiamo visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).

Don Vincenzo Del Carretto era stato colpito l’anno precedente dal lutto per la morte del padre (5 di  maggio 1608); aveva raccolto il fratellastro novenne Girolamo II che per diritto ereditario era divenuto novello conte di Racalmuto (la legge contemplava il maggiorascato, e sarebbe toccato quindi a don Vincenzo essere Conte, ma escludeva i figli illegittimi, e don Vincenzo così era escluso, con suo scorno a la faccia di lu munnu).

Don Vincenzo è il tutore del conte minorenne: nel 1609 pasticcia quell’infame accordo sul terraggio e terraggiolo che Tinebra Martorana e Sciascia affibbiano al “vorace e brigantesco don Girolamo II Del Carretto”, all’epoca uno smarrito bambino. Lo desumiamo da un  diploma che tra l’altro recita:

Sotto le quali convenzioni ed accordio detta università ed il conte di detto stato hanno campato ed osservato per insino all’anno settima indindizione prox: pass: 1609, nel qual tempo detta università, e per essa li suoi deputati eletti per publico consiglio a quest’effetto, ed il dottor Don Vincenzo del Carretto Balio e Tutore di detto Don Geronimo, moderno conte allora pupillo, con intervento e consenso del reverendissimo don Giovanni de Torres Osorio, giudice della Regia Monarchia protettore sopraintendente di detto pupillo e con la sua promissione di rato, devennero à novo accordio e transazione in virtù di nuovo consiglio confirmato per il signor Vicerè e Regio Patrimonio, per il quale promisero detti deputati à nome di detta università pagare al detto conte don Geronimo scuti trentaquattromila infra  quattro mesi, e quelli depositarli nella tavola di Palermo per comprarne feghi ò rendite tuti e sicuri, con l’intervento e consenso di detta Università, con diversi patti e condizioni in cambio per l’integra soluzione e satisfazione di detti terraggi e terraggioli dentro e fuora di detta terra e suo territorio, e per contra detto tutore cessi lite alla detta exazione di detti terraggi, quali ci relasciò e renunciò, essendoli prima pagata detta somma di scuti trentaquattromila, promettendo non molestare più detti cittadini ed abitatori di detta università di detti terraggi e terraggioli come più diffusamente appare per detto contratto all’atti di notar Geronimo Liozzi [a.v.: Liezi] à 17 luglio settima indizione 1609., confirmato per Sua Eccellenza e Regio Patrimonio

A porre una qualche attenzione alle date, abbiamo che Die 22 Junii VI Ind.is 1608 Don Vincenzo viene riconosciuto Arciprete (sia pure a metà con quella specie di mitateri quale appare il vassallo don Paulino d’Asaro); il successivo 17 luglio si sbilancia nella gestione delle sopraffazioni feudatarie.

Investigando i processi d’investitura emerge che don Vincenzo Del Carretto esercita questa funzione tutoria sino al luglio del 1610. Ma da questa data, quando il bambinello Girolamo II viene d’autorità - pare - fidanzato a Beatrice figlia bambina del Ventimiglia, il tutore diviene il futuro suocero del conte, come si evince da questo stralcio:

Reg.tus Panormi die 3 julij viii ind. 1610

Testes ricepti et examinati per ill.m Regni Siciliae Protonatorum ad instantiam d: Jo: de Viginti Milijs, Marchionis Hieracij, Principis Castriboni, balej et tutoris ill. d. Hieronimi del Carretto Comitis Racalmuti ad verificandam infrascriptam pro investituram capiendam ditti comitatus.

 

Il Tinebra Martorana (pag. 125) vorrebbe Girolamo II sposato ad una ”certa Beatrice, di cui s’ignora il cognome”. Niente di più falso: di donna Beatrice sappiamo tanto. Non crediamo che finché si protrasse il breve legame matrimoniale si sia indotta all’adulterio, come maliziosamente insinua lo Sciascia. Da vedova, qualche leggerezza può averla commessa (ma noi non lo diremo dinanzi a voi stelle pudiche.) Negli atti vescovili troviamo questa singolare “littera monitoria” ([10]):

«Die 3 septembris VII ind. 1622 - Rev. Arc: terrae Racalmuti. Semo stati significati da parti di donna Beatrice Del Carretto e Ventimiglia, contissa di detta Terra, nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto, tuturi et tutrici di li figli et heredi del quondam don Geronimo lo Carretto, olim conti di detta Terra qualmenti li sonno stati robbati, occupati et defraudati molte quantità di oro, argento, ramo, stagni et metalli, robbi bianchi, tila, lana, lina, sita, capi lavorati, come senza, et occupati, scritturi publici et privati, denegati debiti, et nome di debitori; rubato vino di li dispensi, animali grossi, stigli con arnesi, cosi di casa .... In suo grave danno, prejuditio, et ... In forma comuni etc

Sembra, dunque, che dopo la morte del conte avvenuta il due ( e non il  6) maggio 1622, una rivolta popolare sia esplosa a Racalmuto: vi sarebbe stato l’assalto al munito castello ed il popolino rivoltoso abbia fatto man bassa di tutto. La giustizia - che pure era mera espressione dei Del Carretto - non fu in grado di far nulla e così alla giovane vedova ed a suo cognato, tutore, non rimase nient’altro da fare che chiedere la comminatoria delle canoniche sanzioni da parte della sede vacante del vescovado di Agrigento. Ne avesse avuto sentore Leonardo Sciascia, crediamo che avrebbe imbandito in modo più succulento la tavola della “mangiata cu la salvietta” dei racalmutesi nell’estate del 1622.

Poi, con gli anni, il terrore della morte ebbe a sorprendere il prete don Vincenzo del Carretto: si costruì una chiesetta (Itria) tutta per lui e la dotò. I suoi eredi - nobili - dovettero corrispondere le rendite al cappellano di quella chiesetta perlomeno sino 1902: il prof. Giuseppe Nalbone ha potuto stilare questo quadro sinottico:

 

1609
VINCENZO
DEL CARRETTO
FONDATORE DELLA CHIESA  DELL'ITRIA
1632
SANTO
D ' AGRO'
BENEFICIALE DELL ' ITRIA
1677
STEFANO
SAIJA
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
1731
PIETRO
SIGNORINO
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
1736
PIETRO
SIGNORINO
CAPPEL. ITRIA
1782
NICOLO'
AMELLA
BENEFIC.S MARIA DELL'ITRIA
1830
CALOGERO
PICONE
ER.SIGNORINO, CONF, UTR.CH. ITRIA
1902
GIOVANNI
PARISI FU VINCENZO
MARIA SS. DELL' ITRIA

 

Don Vincenzo Del Carretto, arciprete di Racalmuto lo fu (o volle essere) per poco tempo. Ancora vivo, l’arcipretura risulta passata a tale Pietro Cinquemani , originario, forse, di Mussomeli. ([11]) Secondo il prof. Giuseppe Nalbone, costui sarebbe stato prima rettore e poi arciprete del nostro paese:

 

1613
PIETRO
CINQUEMANI
RETTORE  e  poi  nel 1614  ARCIPRETE

 

Viene annotato, nel Liber in quo a f. 1, n°. 11 come «D. Pietro Cinquemani - Arciprete 1614. » Gli atti della Matrice ce lo confermano ancora tale nel 1615, ma l’anno successivo arciprete è don Filippo Sconduto. Il 7 gennaio 1616 benedice, ad esempio le nozze di  Silvestre Curto di Pietro con Giovanna Bucculeri del fu Francesco (vedi atti di matrimonio del 1616).

 

 

Don Filippo Sconduto regge a lungo la nostra arcipretura, fino alla morte avvenuta il 6 novembre 1631. (Cfr. Liber in quo adnotata .. f. 2 n.° 42). Sotto il suo arcipretato avvengono fatti memorabili, tristi, lieti e rissosi: la famigerata peste è appunto del 1624; la vedova del Carretto vuole reliquie di S. Rosalia e manda 80 cavalieri a Palermo a prenderle, in una con la bolla che abbiamo dianzi illustrata; torna a nuovo splendore la chiesetta dedicata alla santa eremitica nel centro del paese; inizia sotto di lui la controversia per sottrarre Racalmuto dall’indesiderata giurisdizione dell’ingordo vescovo Traina e passarlo a quella del Metropolita di Palermo. Ci informa il Pirri:

dopo il maggio del 1631, «paucos post menses litterae Romae 13 Decembr., 14 ind. exaratae mandato Marci Antonii Franciotti Apostol. Camarae Auditoris advenere, quibus decretum erat, ut oppida Ducatus Sancti Joannis et comitatus Camaratae, item et Juliana, Burgium, Clusa et postea Rahyalumutum dioecesis Agrigentinae in criminalibus, et civilibus causis ab ordinaria jurisditione subtraherentur  et Panormitano Metropolitae subijcerentur.»

Il nocciolo della questione era dunque che San Giovanni Gemini, Cammarata, Giuliana, Clusa e Racalmuto ne avevano le scatole piene delle pretese del vescovo Traina. Un delatore, canonico, ebbe a scrivere in Vaticano che il prelato era talmente sordido ed avaro, da avere accumulato montagne di denaro contante che deteneva in cassapanche sotto il letto. La notte, preso da raptus estraeva le casse, le apriva, e ci si curcava sopra. Questi paesi si erano consorziati ed avevano adito le vie legali della corte pontificia, chiedendo di passare da sottoposti di Agrigento a sottoposti di Palermo. L’uditore della Camera Apostolica, Marco Antonio Franciotto comunicava l’esito positivo in data 14 dicembre 1631, quando lo Sconduto, sicuramente ispiratore della lite, era già deceduto. Noi abbiamo cercato di rintracciare in Vaticano questa importante documentazione, ma non ci siamo riusciti. Le carte furono disperse dopo la presa di Porta Pia. Ma sappiamo dal Pirri che esse si trovano presso l’Archivio Metropolitano della curia palermitana “in registr....13 januar. [1632].”  Tanto per chi avrà voglia di cercarle. Qualcosa abbiamo trovato nel Fondo Palagonia, ma ci dicono poco. Disponiamo solo di una scrittura del 4 gennaio 1632 (A.S.P. Fondo Palagonia - atti privati - n.° 631 - anni 1502-1706). Il seguito della faccenda,  così ce la racconta il Pirri:

«Quod Philippo IV, summopere displicuisse, datis ad proregem litteris, quibus animi sui acerbitatem, ac facinoris indignitatem ostendit, ipsemet aperte testatur. Romae tandem causa agitata, inataque pace inter Episcopum et oppidorum dominos, ad pristinum rediere locum omnia.»

Filippo IV, dunque, appena saputa la notizia, andò su tutte le furie: se ne dispiacque proprio summopere, forte ma tanto forte che più forte non si può, investì in malo modo il viceré a Palermo scaricandogli la rabbia per quell’impertinenza dei paesi agrigentini, caduti in un indegno crimine (indignitas facinoris). Di fronte all’ira del re spagnolo, al viceré toccò prendere penna e carta e supplicare la corte papale per una revisione della causa. Forse il vescovo Traina - sicuramente non ignaro di tutti questi maneggi  - avrà profuso anche a Roma il suo copioso denaro (e già perché anche allora Roma era ...  Roma ladrona). Fatto sta che immediatamente si ridiscute la causa presso la Camera Apostolica ed ecco che Roma si rimangia tutto: impone la pace tra il vescovo Traina ed i padroni oppidorum, dei paesi agrigentini: tutto deve tornare come prima: ad pristinum rediere locum omnia.

Ma chi erano i domini terrae Racalmuti? Sulla carta Giovanni V del Carretto. Ma costui - come vedesi nella foto della copertina della pubblicazione racalmutese su Pietro d’Asaro «il Monocolo di Racalmuto», ove vi appare con la sorella Dorotea ([12]) - era soltanto un fanciullo tredicenne, peraltro trasferitosi a Palermo. Le carte del Palagonia ci vengono in soccorso. Furono i giurati - espressione del potere feudale - a volere l’eversione dal vescovo Traina: basta scorrere un atto notarile del tempo,  per desumere gli artefici dell’incauta iniziativa: è l’intera Universitas ma rappresentata e coartata dai seguenti notabili:

Universitas terrae et comitatus Racalmuti Agrigentine dioecesis ex statu temporalis dominis comitis dittae terrae Racalmuti legitime congregata et pro ea Nicolaus Capilli, Benedictus Troianus, Petrus de Alfano, et ar: me: doct. Joseph Amella uti jurati dittae terrae Racalmuti

E’ stata l’intera Universitas Racalmuti, ritualmente congregata, e rappresentata dai giurati, al tempo Nicolò Capilli, Benedetto Troiano, Pietro Alfano ed il medico Dott. Giuseppe Amella. Su costoro comunque non si abbatté l’ira del re di Spagna. Anzi, nel 1639, anno di grande miseria, un provvidenziale decreto viceregio impone sgravi fiscali ed accorda altre agevolazioni ai borgesi racalmutesi che si cerca di mettere in condizione di seminare senza le espoliazioni feudali. ([13])

 

 

Erano vane promesse, qualcosa di simile alle grida di manzoniana memoria? Vox clamantis in deserto? Sia quel che sia il cardinale Doria sembra più commendevole come luogotenente che come dispensatore delle reliquie di Santa Rosalia.

Nell’ottobre del 1639, i borgesi racalmutesi erano davvero nelle condizioni tali da non avere più la semente per le loro chiuse? O era un piangere miseria, veniale peccato ricorrente nel costume contadino di un tempo? Per avere alleggerite le onnivore tasse.



[1] ) Nota il di Marzo: .. non è agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi in premio a chi rivelasse. De’ sei destinati però (qual voce in siciliano vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno.
[2] ) Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per uso della tortura. Colla.
[3] ) “Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di quel libro che Voltaire infilza, alla voce Inquisizione, nel Dizionario filosofico. «Luigi [Ludovico] di Paramo, uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del Sant'Uffizio... Questo Paramo era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che non ometteva nessun fatto interessante, e calcolava col massimo scrupolo, il numero delle vittime umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in tutti i paesi.»”]
[4]) Leonardo Sciascia, Morte dell'inquisitore - Bari 1982, pag. 182.
[5]) Anche se non disponiamo dell'atto di nascita, pensiamo che Girolamo III Del Carretto sia nato nel 1648. Lo desumiamo da un documento della Gancia  (Anno 1651 vol. 609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia - P.R.P.)  che vuole: «Donna Maria del Carretto e Branciforte, contessa di Racalmuto, cittadina oriunda della città di Palermo, relitta del Conte, figli don Girolamo di anni 3 e Anna Beatrice. Rendite: don Nicolau Placido Branciforte, principe di Leonforte, once 300 ogni anno sopra detto stato di Branciforte che à raggione del 5% il capitale spetta onze 6000;
inoltre rende ogni anno donna Margherita d'Austria onze 382  e tt. 5 per il principato di Butera quale che tiene il capitale di onze 5277 per un totale di 11277 onze, 13 deve a d. Michele Abbarca della città di Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve a donna Maria Morreale e del Carretto onze 500 per tanto prestatoci .» La moglie di Girolamo III, Melchiorra Lanza di Trabia, era più vecchia di lui quasi 18 anni. E ciò se crediamo all'atto di  morte che si custodisce presso la Matrice di Racalmuto (libro dei morti 1694-1707), ove si annota: Die 10 Aprilis 1701 ind.nis  9^  Ecc.ma Domina D. Melchiora Lanza uxor ecc.mi Principis comitis Racalmuti Hieronimi del Carretto annorum 70 circiter, in communione s.  matris eccl.ae, in sua propria domo h.t. Racalmuti, animam Deo reddidit. Cuius corpus sepultum in Ecclesia sanctae Mariae de Jesu in venerabili Cap.a Sanctissimi Rosarii huius terrae Racalmuti  et praesidio omnium sacramentorum munita, et roborata, per me D. Fabritium Signorino Archipraesb. huius  matricis Eccl.ae terrae praedictae.
[6]) Ampia è l'esenzione fiscale dell'ultimo barone come può vedersi da questa disposizione del testamento del 1560:
Item dictus dominus testator voluit et mandavit, ac retulit et refert spectabili domino D. Hieronymo de Carrecto eius filio et successori in dicta Baronia et pheudis, quod omnes et singulae Personae Ecclesiasticae dictae Terrae Racalmuti sint et esse debeant immunes, liberi et exempti ab omnibus et singulis gabellis, et constitutionibus solvendis spectabili domino eius successori, videlicet à gabella saluminis, vini, carnis, granorum et olei, et hoc pro usu tantum dictarum personarum ecclesiasticarum, et ita voluit, et mandavit.
 
 
 
[7]) ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - FONDO ARCHIVISTICO PALAGONIA ARCHIVI PRIVATI - UNITA’: N.° 709 - Anni 1613-1749
 
 
 
Relationes Burgentium Terrae Racalmuti - [f. 141-149]
J.M.J.
Possessores status Regalmuti, qui aliunde ab omnibus gabellis exemptus existit, jus habent exigendi à Vassallis, extra territorium serentibus, terraggiolum ad quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae serendae, sive ista sit propria secularium, sive Ecclesiasticorum.
Promanat jus hoc ex immemoriali praescriptione, de qua habetur ratio in transactione anni 1580, inter Comitem et Populum adstipulata, et ex eadem transactione ipsa, in qua nedum fatentur contrahentes, huiusmodi juris titulum promanare ex contractu et sententia compromissoria (licet instrumenta haec cum die et consule enunciata non videantur) verum etiam terragiolum praedictum in quantitate salmarum quatuor esse, ac semper fuisse solutum, et comitem transigentem in possessione actualis exactionis tunc extitisse.
 
Profecto tamen transactioni praedictae causam dedit judicium à vassalis  contra dominum in Magna Curia institutum super exemptione ab huiusmodi, alijsque juribus praetensa, quod, cum per nonnullos annos agitatum fuisset, denique perpertuum passum est silentium, media transactione facta cum interventu jurisperiti a magna curia destinati et accedente totius populi consensu, ex qua, ultra quam plures gratias à comite vassallis concessas, reportarunt isti relaxactionem medietatis huiusmodi terraggioli, quod è quantitate salmarum quatuor frumentorum pro qualibet terrarum salma, ad binas redactum fuit.
 
Populus autem, postquam sub ista transactionis lege usque ad annum 1609 steterat, cogitavit hoc terragioli onus à se excutere, media soluctione scutorum triginta quatuormille, proprio domino promissa per aliam transactionem eodem anno factam, in qua fructus ad rationem de septem conventi fuere, donec solutio ipsa adimpleta non fuerit.
 
Pro soluptione summae promissae, de permissu Magne Curiae Rationum, nonnullas sibi Populus gabellas imposuit; earum tamen iugum ferre nequivit, quia omnis fere incola praemebatur quando aliunde soli burgenses semina in agris emittentes terraggiolum domino persolvere debuissent; qua de re, anno 1613 detempto novo consilio, praeviis literis regij patrimonij, obtentis sub injunctione ad se opponendum comiti facta, de nullitate transactionis anni 1609 dicere praetendebant, ad hoc ut ad illam anni 1580 regredi cives potuissent, dum 700 familiae è terra discesserant.
 
Porro Comes benignè annuens, per novam transactionem anno praedicto 1613 adstipulatam, secundam delendo, ab ea recessit, illamque una cum vassallis ratham habuit, quae de anno 1580 primo conventa fuerat ac insuper fructus ei non soluta super capitali iam dicto dimisit, et haec finalis conventio usque ad praesens exequuta videtur.
 
Pervento autem dicto statu de anno 1716 in illustrem ducem D. Aloysium Gaetano, ipse, ut facilius vassalli seminerijs operam darent, de permisso praesidis de Drago Judicis Deputati, ab illis pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis exegit, alia vero medietas duci, status praedicti semper gabelloto, ab eodem de Drago pro computo gabellae compensata fuit.
 
Praemissorum verum prorsus inscius noster cliens, ad Magnam Curiam die 23 Settembris nuper elapsi recursum faciendo, exposuit, ex immemorabili praescriptione usque ad annum 1716 quemlibet ex vassallis extra statum serentem in feudis tam secularibus, quam ecclesiasticis solvisse Domino, eiusque gabelloto terragiolum praedictum ad dictam quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae satae, ipsumque de permissu praedicto, ut ad seminerium illos provocaret, exigisse dimidium, alterum vero eidem à judice deputato compensatum fuisse, pro ut ex documentis compensantionum, et ex testibus possessionis extremum deponentibus apparebat; proindeque petiit et obtinuit manutentionis posessionis literas in jure exigendi dictum integrum terraggiolum, dummodo quod in eius facultate sit, illud pro dimidia exigere, absque eo quod ex huiusmodi facultativo actu favor vassallis quaetatur, vel domini jus praejudicatum remaneret, quae sane literae de mense settembris in dicta terra presentatae, atquae exequutae fuerunt eodemque modo die trigesimo octobris in Civitate Agrigenti. [...]
[8] )
11
1601
d'Andria
Luca
 
a lo Carmino
per lo clero
10
 
 
Detti fra Paulo la Palora a l'arciprete
 
 
 
 
 
28
1601
Mule'
Nardu
f. di Filippo
S. Maria
Spalletta Leonardo
10
 
 
all. arcipreti
 
 
 
 
 
10
1601
Turano
Angila
f. di Antoni
S. Giuliano
per lo clero
10
 
 
Palora al s. arcipreti
 
 
 
 
 
 
 
[9] ) Seguiamone alcuni passaggi:
 
Ill.mus Rev.nus noster de Bonincontro  summo mane recedens cum tota sua familia de predicta terra Cannicatti,  Deo adiuvante, pervenit ad terram Racalmuti distantem  circiter  miliaria octo et pariter a civitate Agrigenti alia mialiaria duodecim. In qua sunt domus seu fochi mille et quingenti et anime circiter septemmillia et cum ad eam pervenisset hora quasi duodecima statim contulit se ad ecclesiam maiorem dicte terre sub titulo S.ti Juliani martiris ubi facta absolutione fidelium defunctorum et visitazione S.mi Sacramaneti ac fontis Bapt.malis et sacro oleo...
mandavit.
che il deposito del Ss.mo Sacramaneto non si tenghi nella sfera come s'è tenuto insino al presente ma si facci  una custodia a questo effetto. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che si facci una cucchiara d'argento con suo manico d'argento quale capa almeno una libra d'acqua et con quella si debba battezzare. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che nel fonte del battesimo si facci un'altro catinazzello che serri bene.
che si compri un vacilello seu cato di ramo per l'Aspergere.
Un martirologio moderno
che si facci una cappella cioe cappa casubula et torricelle di damasco verdi; et un paro di torricelle di damasco bianco. Le quali cose predette tutti et singule li debba fare l'Arciprete a sue dispese fra il termine di anno uno sotto pena di sospensione ipso fatto incurrendo dello suo beneficio seu mansionariato di detta terra di Racalmuto.
Die 19 medesimi mensis Junii 1608
Prefatus Ill.mus et Rev.mus Dominus mane se contulit ad predictam ecclesiam S. Juliani  et ibi ministravit solemne sacramentum confirmationis. Et clerum invigilavit ....
Item visitavit onfraternitatem S.cti Juliani et mandavit che si comprino dui teli di calice di taffita uno bianco et l'altro aurato. Due cingoli con suoi giummuli grossi et un missale grandi moderno. Et revidit jugalia redditus et computa introitus...
 
die 20 eiusdem
Ill.mus Rev.mus d.nus iterum se contulit ad predictam ecclesiam s.cti Juliani et iterum ministravit sacramentum confirmationis multis fidelibus ....
visitavit ecclesiam et confraternitatem S.te Marie Maioris, positam extra dictam terram, in qua die presentes sunt fratres, et conventum S.te Marie di Jesu, quia ius vistandi pertinet ad Ordinarium, et post visitationem dicti conventi et altaris S. Marie Maioris ac omnem jugalem et paramenta confraternitatis sub eodem titulo S. Marie Maioris;
mandavit confratribus et rectoribus
 che debbano comprare un messale grande moderno. Un sopra calice di taffeta bianco. due cingoli con suoi giumbi grossi, una tovaglia di damasco russo per lo crocifisso; che si apparecchi un altarecto per la consacratione et che dentro allo sgabello della imagine della beata vergine si cavi con scarpello una finistrella dentro la quale si debba riporre il reliquario con sua porta e serratura con chiave.
 
Item visitavit ecclesiam seu cappellam S.te Margarite Virginis et martiris collateralem et coniunctam cum dicta ecclesia S.te Marie Maioris. In qua est titulus canonicalis Don Joannes Bondì saccensis et fuit per eundem de novo restaurata et reedificata atque ornata ... 
S.te Margarite valoris unciarum septem
et mandavit  ...
 che vi facci un pallio d'altare di damasco. tre tovaglie. un paio di candeleri. una crocetta et che inalbi detta cappella et si accomodi un fonticello per l'acqua benedetta.
 
Die 22 eiusdem mensis Junii vi indi. 1608
Ill.mus et Rev.mus D.nus inivigilavit die dominica mane;
contulit ordinans minores et ipsemet visitavit ecclesiam fratrum Sancti Francisci vulgo dicti di li zuccolanti ubi post celebratam missam visitavit S.mum Sacramentum. Et sero fecit erectionem et divisionem duorum parrochiarum videlicet: unam sub titulo Sancti Juliani martiris et in eadem ecclesia S. Juliani; et alteram sub titulo et in ecclesia Annuntiationis sub nomine Virginis Marie  ... hac modo videlicet quod in parochia S.cti Juliani provvideatur de rebus necessariis per ill.mum archipresbiterum  et confraternitatem S.mi Sacramenti prout hactenus permissum est quod Archipresbiter non sit obligatus detinere in ea duos cappellanos prout hactenus prout solitus fuerat detenere sed eorum tantm stante quod per dictam divisionem remanet ei minus cura quem antea. Parochiae vero Annuntiationis minori erectae provvideatur hoc modo. videlicet ipse d. Archipresbyter contribuat uncias sex decim quolibet anno. et confraternitas S.mi Sacramenti provvideat  ...... unciis 24
 
Et interim d. V.or accessit ad locum et divisionem fecit dictarum parochiarum de ordine et .. dicti ill.mi ...
et sic fuit completa visitatio terre Racalmuti.
 
(f- 250)
 In Dei nomine amen
Die 22 Junii VI Ind.is 1608
in discursu visitationis terre Racalmuti factae per Ill.mum et Reve.mum de Bonincontro
 
Divisio Parocchiarum erectarum  in dicta terra VD. unius sub titulo Sancti Juliani Mart. et alterius sub titulo Annunciationis Gloriosisimae Virginis Mariae.
Incipit Parocchia sancti Juliani ab ecclesia seu conventu fratrum Carmelitarum sito et posito a parte meridiei dictae terrae et in loco inhabitato distante ab abitatione dictae terrae per iactum lapidis et prosequitur usque ad fontem seu ut vulgo dictam alla fontana seu biviratura sita et posita a parte aquilonis coniuncta cum habitatione dictae terrae.
 
L’anno successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e completa la vista, annotando ([9]):
 
Racalmuto - Accessit de mane, una cum coa/... (Coadiutore?), associante parte Cleri, ad Eclesiam santi Juliani quae est matrix eclesia, cuius cura spectat ad Archipresbiterum dictae terrae, qui est Dr Vincentius del Carretto, habens a dicta terra et cura multis ab hinc mensibus, Ubi audita reverenter missa, facta profunda riverentia Santiss.mo Sacramento Eucaristie, et illo incensato D. Visitavit dictum Santissimum Sacramentum dicto himmo, et oratione
 Et mandavit
che il deposito che se tiene nella sfera, non vi si tenghi, ma si faccia una custodia di argento a questo effetto, come fu ordinato l'anno passato nella visita di Mons. Ill. Vescovo, et questa fra termine di tre mesi, sotto la pena di XX onze di applicarsi ad opere pie, non assolvendo l'Arciprete predetto dalle pene, et censure incorse, anzi reservando in ciò la provista  ... alle dette pene et censure.
Deinde visitavit Santissimum Baptismalem, qui est lapideus, rotundus, coopertus tabula lignea, et panno rubeo, clausus et bene detinens.
che si eseguiva onninamente tra spatio di 3 mesi, quanto fu ordinato l'anno passato, sotto pena predetta con la detta reserva.
che il sacrario si levi di dove è hoggi, et si metta a' costo al muro, et si tengha chiuso con chiave.
revisit olea sacra; et omnia iugalia. et fecit absolutionem pro animabus defunctorum. cum solitis ceremonijs.
 
Visitavit altare maius, in quo est ... confraternitas sub altari S. Juliani, et confratres sunt quasi numero 400. induunt saccos albos cum muzzetta rubei coloris, et servatur inter hanc confraternitatem et confratres S. Mariae alternativa in processionibus.
Ex parte dextra d. altaris maioris est altare defuntorum, cum quadro depicto in tela, in quo est societas pro suffragiis defunctorum, quae habet incias quatuor redditus, et cum elemosinis dicuntur multae missae pro animabus existentibus in purgatorio. Mandavit
che l'esactori di ditte elemosine porti il conto
che vi si faccia una Croce di ottone ...ove sonno i candelieri.
Ex altera parte sinistra est Cappella S. Marci
Ordinavit
che quanto prima s'imbianchi, e vi si faccino doi candelieri, et una Croci di ligno dorato.
Sequitur altare S.me Virginis de Gratia super quo est eius imago confecta de stucho, manet n quodam tabernaculo ligneo, et est valde pulcrum decoratam et decentem ornatam.
Ordinavit
che si incosti l'Alraretto, di modo che non si possa levare
che si compri una Croce conforme alli candelieri
Fuerunt inventae quaedam reliquiae in quodam vasculo argenteo, quae sunt .... et quia bene quia bene detineatur nil fuit ordinatus
Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis expensis. et adhuc non est completa.
Altare d.e Cappellae est decenter ornatum super quo est Scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata uncias duas redditus relictus a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio inius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino Sferrazza.
Sequitur altare S. Michaelis Arcangeli, quod est decens, et ornatus et habet uncias ... pro celebranda missa.
che si comprino 2 candelabri et Croci .. di ligno dorato.
Ab altera parte est altare S.ti Philippi et Iacobi,
che il padrone Vito Volpe lo doti almeno di quattro scudi di rendita per celebratione di una missa la settimana.
che si faccia una Croci conforme alli Candelieri, et tutto questa fra termine di 4 mesi, sotto pena ad arb. di Mons. Ill.mo Vescovo.
Visitavit deinde Sacristiam, revidendo (?) iugalia. et mandavit ut supra, cioè, che si mandi in executione l'ordini della Visita passata..
et che si faccia un'libro dove si notino il nome, et cognome delli defunti, quali libro sia conforme a quello, dovi si scrivano li battezzati tra termine di un mese, sotto pena al Cappellano di Carcere ..
 Die 19 eiusdem
Fuit factus edictus, et affixus ad valvas Ecclesiae maioris pro revelandis beneficiis tam curatis quam non curatis seu pro examinandis confessoribus.
Praevio examine fuerunt approbati infrascripti sacerdotes  pro administratione  sacramento penitentiae
Videlicet
Don Gerlandus Monreale usque aliam Visit.
Don Giuseppe Sanfilippo cum ad alia Sacramenta uti cappellanus
Don Angelus Dardo
Don Mario Curto
Don Santo d'Agrò
Frater Angelus de Bivona ord. min. osserv.
Frater Nicola de ... ord. min. oss.
Frater Marianus de Caltanaxetta eiusd. ord.
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses
Frater Sebastianus et Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
 
Die 20 eiusdem
Visitavit Cappellam S. Marie  .. sitam in ecclesia S. Mariae de Iesu, in qua ad presens commorantur  fratres S.ti Francisci minoris oss. detti li Zoccolanti, et ordinarius habet ius visitandi Cappellam praedictam quae est confraternitas sub dicto Xenobio (?), et confratres induunt saccis albis cum mozzetta cerulei   coloris, sunt numero 500. Inservit d.e Cappelle pro Cappellano qui est amovibilis ad nutum rectoris Sanctus de Agro' cum salario seu mercede onze undecim cum onere celebrandi quotidie missam.
Super altari est imago B.M.V. lignea, decorata de vesta et decenter ornata, quae in die eius festivitatis defertur solemniter  per totam terram.
 Mandavit
che si metta in esecutione quanto fu ordinato nella visita passata sotto pena alli ... di XX onze per applicarsi a lochi pii.
Di più si ordina che si faccia una tabella ove siano scritti il nome et cognome che tutti li fraticelli .... assenti Volendo che quelli confrati che mancarono per due volti m di andari alli solite processioni, et solennità , se morranno in quell'anno non siano essenti dalla sepoltura, come sono quando servino,et assistono alle solemni.
 
Visitavit deinde altare S.mi Rosarii cuius curam habent dicti confratres, illud paramentis ornando, super quo cum icona in tila cum multis missionariis (?) SS. Rosarii.
Ordinavit
che li confrati ci comprino quanto prima una Croce, et le tovaglie se mutino più spisso tenendosi nette et pulite.
 
Eodem
 
Continuando visitationem praedictam visitavit Ecclesiam S. Margaritae Virginis, et martiris coniunctam cum dicta ecclesia S. Mariae de Jesu quae eae titulus canonicalis Don Joannis Bondì a' Sacca, quae est noviter constructa
Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis.
Mandavit
che il   Canon. Bondì  faccia quello che le fu ordinato nella visita passata  et  ... se vede la sua negligenza si ordina che il Vic.io foraneo  di ordine  seguenti 6 salme di formento, potersi effettuarsi detto ordine.
Eodem
Visitavit ecclesias Sanctae Mariae Montis, ubi prius conservabatur Sacramentum Eucharestiae, et erat ecclesia Archipresbitalis. Modo inservit d.e ecclesiae pro Cappellano D. Joannis Macaluso, qui tenetur celebrare tres missas in hobdomada et omnes dies festos, habet pro eius mercede uncias sex, quae solvitur a confratribus confraternitatis ibi fundatis sub titulo dictae ecclesia, induunt saccis albis sine mozzettis.
Visitavit altare maius super quo est imago marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata.
che per dicto altare si compri una croce saltim di legno
Ex parte sinistra altaris maioris est altare S. Luciae, in quo est imago dictae Sanctae de stuccho. Deaurata.
che l'altare si faccia più lungo, e vi si compri una Croce.
Fuerunt inventae quaedam reliquiae S.cti Crispini et Crispiani . Videlicet parvum frustum ossis, quod habet autenticum documentum in quadam capsula lignea. Mandavit
che si faccia un'reliquario di argento dove si mettano dette reliquie.
che nell'altare di S. Margarita non vi si celebri mentri che non si accomada , facendosi più grande.
che per l'altare di S. Francesco si compri una Croci, et 2 candelabri.
 
Die 20 Julii 1609
 
Visitavit ecclesias Annuntiationis B. M. Virginis, quae est Confraternitas sub dicto nomine, et usque hunc non habet saccos.
Visitavit altare maius et ... alia altaria. Mandavit
che per l'altari maggiori si comprino dui candeleri, una Croci, et una carta di gloria.
che l'altari dell'Assunta si faccia più lungo, che sia almeno di 7 palmi, et largo proporzionatamente, facendovisi il suo scabello, et interim non vi si celebri.
che l'altare di S. Giuseppe si faccia più lungo, et lo scabello si faccia lungo come sarà l'Altare.
che per l'altari di S. Pietro e Paolo si comprino due Candelieri, et una Croci di legno dorato.
 
Inservit dictae ecclesiae pro Cappellano Don Paulinus di Asaro cum onere celebrandi 4 missas hebdomoda, et habet pro mercede untias . 7.
Fuerunt revisa computa intoitus et exitus.
 
Con riferimento al 5 giugno 1609, al foglio 244, viene redatto un elenco di sacerdoti, cui segue una sorta di inventario:
L'arciprete  - Rev. Gioseppi Samphilippo V. Sub (?)
P. Gio Macaluso - P. Angelo Dardo - P. Leonardo Castellano - P. Gerlando Merli - P. Santo d'Agro' - P. Mariano Curto - P. Giuseppe Thodaro (?) - P. Francesco Sferrazza - P. Paolino d'Asaro - D. Gio. Piamontese - P. Angelo Casuchia .
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Diaconi et Subdiaconi
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Diacono Petro Curto - Diacono Micheli Barberi - Subdiacono Geronimo Borzellino.
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Clerici
Cle. Marcantonio di Alaimo - Cle. Jacomo Amella - Cle. Gasparo Lo Brutto - Cle. Gioseppi Lo Brutto - Cle. Bartolo lo Ciciro - Cle. Francesco Fimia - Cle. Francesco Lattuca - Cle. Antoni Baruni (?) - Cle. Francesco Lauricella - Cle. Gerlando di Gueli - Cle. Francesco di Alessi - Cle. Zaccaria Rizo - Cle. Domenico di Salvo - Angelo di Alfano - Francesco Lo Sardo - Francesco Savatteri - Vincenzo Macaluso - Antonino di Salvo - Vincenzo di Gueli - Vincenzo Bellomo - Vincenzo Ragusa - Mariano Sferrazza - Francesco Buffalino (?) - Francesco Sciangula - Giseppi d'Ugo - Grispino Capilli - Bastiano Macaluso - Antonio Capobianco.
NOTAMENTO DI TUTTE LE CHIESE
Quelli che si visitano
Confraternita di S.ta Maria di Jesu
Santo Giuliano
la nunziata
Santa Maria del monte
Santo Antonio      Santa Agata
l'Hospitale             Santo Nicola
Santa Rosana  
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La compagnia del Santissimo Sacramanto - La compagnia del Taù.
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F. 245
S. Vincenzo del Carretto Arciprete
D. Giuseppe San Filippo Vic.o Subiecto - an. 28 consacratus ad Sacerd. die 3 Aprilis 1604 ...
D. Jo. Macaluso. an: 5o cons. ad sacerd. die 18 decembris 1583  ..
D. Leonardo Castellana an. 40 consacratus ad sacerd. die 3 Aprilis 1593 ...
D. Angelo D'Ardo. An. 50 Non ostendit  .. sed semper fuit habilitatus pro Sacerdot. et alius fuit ... in civitate Nari
D. Paulino d'Asaro an. 27 consacratus ad sacerdot. die 17 Xbris 1605 ...
D. Gerlando Morreali an. 31 cons. ad Sacerd. die 16 Junii 1601 Agusti vis. ..
D. Santo d'Agro' an. 29 cons. ad Sacer. die 24 maij 1603 in civ. S.ti Joannis ..
D. Jo.  Piamontese an. 27 consac. ad sacerdot. die xj martii 1606 Siracusis
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse
 
Diacono Micheli Barberi an. 26 consacr. ad diaconat. die 9 junii 1607.
mammane
Nora La missina - experta et approbata.
Cle.  D. Giuseppe Lo Brutto an. 22 cons. ad 4 min.es ord.es die 19 maij 1606
Cl. d. Geronimo Burcellino an. 24 cons. ad sudiaconatum die xi martii 1606
Cl.  d. Bartolomeo Lo Ciciro an. 18 cons. ad 4 min.ord. die 24 7bris 1606
Cl. Marco Antonio d'Alaimo an. 17 cons. ad p.am ton.re Hostarian. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl. Franciscus Lauricella an. 17 cons. ad p. t. et Host. die 15 martii 1606
cl: Franciscus Fimia an. 21 cons. ad p. t. et host. die xi martii 1606
cl: Girlando di Gueli an. 16 cons. ad p. tons. die 14 martii 1603
cl: Franciscus d'Alessi  an. 16 cons. ad p. tons.et Host.
cl: Franciscus Lattuca an. 21 cons. ad p. t. et duos p.os ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602  ... S. Francisci
cl: Antonino Barone an. 21 cons. ad p. t. et tres ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p. min. ord. die 19 maij 1606 Panormi
 
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F. 246
Notamento di confessori
L'Arciprete - P. Gioseppi Sanfilippo V. Subsidiario - P. Paolino di Asaro - P. Angelo Dardo - P. Gio. Macaluso - D. Leonardo Castellano - P. Gerlando Morreali - D. Santo di Agro' - P. Gioseppi Thodaro - D. Gio: Piamontese - P. Angelo Casuchia -
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Padre Guardiano di Santa Maria di Gesù - fr. Mariano di Naro - fra Paolo di Girgenti.
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del Carmine
fra Paulo di Racalmuto - Fra Salvatori di Racalmuto
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di S.to Francisci
il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
[10]) Archivio Vescovile Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v
[11]) Giuseppe Sorge - Mussomeli ... vol. II, pag. 95 vi rinviene una famiglia Cinquemani “di cui le prime notizie rimontano al 1584”.
[12]) Del tutto cervellotico quanto scritto nel commento (cfr. pag. 72) e cioè: «in basso..  da sinistra Maria Branciforti figlia di Placido principe di Leonforte [no: Dorotea figlia di Girolamo II e di Beatrice Ventimiglia], e Girolamo III del Carretto [questi nascerà nel 1648, un anno dopo la morte di Pietro d’Asaro] Conte del Carretto di Racalmuto [è invece Giovanni V bambino, salito al patibolo a Palermo nel 1650] e di Beatrice  Ventimiglia principessa [la quale era invece la madre dei due bambini; Girolamo III sarà figlio di Giovanni V Del Carretto e di Maria Branciforte]. Quanto saranno costate alla Regione Siciliane tutte queste bubbole?
[13]) Documenti per servire alla storia di Sicilia - SECONDA SERIE - FONTI DEL DIRITTO SICULO VOL VII - PA 1911 - PAG. 129 XIII - Palermo 6 ottobre 1639, VIII Ind.
Il Viceré comunica ai Giurati delle terre di Bivona, Adernò, Termini, RACALMUTO, Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara e Lentini le istruzioni emanate sul modo di dare i soccorsi ai borgesi e massari.
(Trib. del R. Patrimonio. Lettere viceregie e dispacci patrimoniali, di Particolari, dell'anno indizionale 1639-1640, f. 48 e s.)  - In margine si legge che la stessa lettera fu spedita ai Giurati di Adernò, di Termini, di RACALMUTO, Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara. - A pag. 64 del medesimo registro trovasi riportato la stessa lettera diretta ai giurati di Lentini.
 
Philippus etc.
Locumtenens et capitaneus generalis in hoc Siciliae Regno nobilibus Juratis terre Bibone Racalmuti fidelibus regi dilectis salutem.
Siamo stati informati che per la povertà di borgesi, massari et arbitrarianti della [contea di Racalmuto] non ponno attendere al seminerio nè quello coltivare nè fare maysi per l'anno futuro essendo detrimento al regno et convinendo che un tanto beneficio universale habbia essecutione habbiamo commesso a voi il negotio acciò con la diligentia necessaria compliate al dovere conforme sarrà di giustizia osserbando quanto vi si ordina per l'infrascritti istrutioni sopra ciò fatti del tenor seguente Videlicet.
Panormi die  octobris 4^ inditioni 1636.
Instructioni fatti in detto anno sopra il seminerio attorno di far dar soccorso alli borgisi. Si dovereranno con ogni diligenza informare  delli borgesi che sono in detta [contea di Racalmuto] dell'apparecchio che habbiano di terre così per seminare come per ammaisare e della bestiame che hanno per il seminerio presentato per li maysi futuri e per il governo delli seminati e terre  et si sono persone che, essendo soccorsi, si serviranno veramente del soccorso per seminare e governare li seminati et a quelli che saranno tali et haviranno bisogno li farrete soccorrere dalli padroni et affittatori degli feghi et terri delli quali essi borgesi hanno di apparecchio et in caso che detti padroni et affittatori non siano abili a soccorrere essendo habili di denari, farrete che coprino [comprino] li formenti per dare li soccorsi et in caso chi padroni o affittatori siano affatto inhabili a dar soccorso ne di formento ne di denari per comprarli, farrete dar soccorso da persone facultuse habili a darlo promettendo loro che se li terrà memoria del servito che in ciò faranno nelle occorrenze et occasioni et che per la restitutione se li daranno cautele bastanze preferendoli ad ogni altra gravezza etiamdio delli terraggi [[13]] et che per la restitutione non se li concederà per il pagamento di detti soccorsi dilatione alcuna, declarandosi che essendovi borgesi che avessero apparecchio o terre di ammaisare baronie, feghi, o terre disabitate, questi ancora verranno esser soccorsi o di padroni o di affittatori, o di facultosi del più vicino loco habitato con le medesime prelationi nel pagamento di soccorso. Li borgesi che si soccorrino per seminare doveranno dare pleggeria [malleveria] di seminare quel soccorso che per tal effecto se li da sotto pena di haver a restituire il soccorso datogli passato il tempo del seminerio. E Voi passato il tempo suddetto, essendovene fatta instantia, procedirete alla esecutione delle pene inremissibilmente, nel tempo del raccolto haverete cura che il primo sia pagato il soccorso preferendoli ad ogni altro debito quantunque privilegiato, etiamdio a terraggi o a debiti di bolle che la recuperatione si facci in prontezza e senza lite. Perciò vi ordiniamo che attorno il dar soccorso alli borgesi et massari della [contea di Racalmuto] osserverete et essequirete tutto quello et quanto nelle preinserte instructioni del seminerio si dichiarando in ciò la diligenza possibile a cui sortisca e passi innanti il servizio essendo di tanto benefitio universale al regno e servitio di sua Maiestà che Voi circa le cose premisse ve ni danno la potestà bastante et cossì essequirete per quanto la gratia di S. Maestà tenete cara.
Datum Panormi 6 octobris, 8 inditionis, 1639. El Cardinal IOAN DORIA. Dominus locumtenens mandavit, etc.
 

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