Il Seicento Racalmutese
Il
Seicento inizia con l’uccisione a Palermo, nella via Favara - e non in contrada Ferraro di Racalmuto, come affermano storici
locali - del poco virtuoso Giovanni IV Del Carretto. Ecco come un diarista di
Palermo raccontò il raccapricciante delitto:
A 5 di maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte.
In questa città di Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta
dove si va alli Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu
ill.e conte di Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo nominato D. Ioanni
Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come fu alla detta
strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscêro, allo palafango [parafango] di detto; e ci tirarono
dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il
nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran
maraviglia di tutti li agenti; e finìo.
« A 7 detto, mercori, ad uri
22. Si gittao un bando arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o rivilassi cui avissi occiso a
detto conti, S.E. li donava scuti cincocento, dudici spatati, quattro testi,
sei destinati [1],
purché non sia lu principali ci avissi fatto
detto delitto, et anco la grazia di S. M.».
Il seguito della storia ci è pure noto, sempre per merito di
quel diarista palermitano:
«A 20 ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo
primo iorno happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e
li sùccari [2] soliti; e tinni [intendi che tenne forte
a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.
«E fu perché il giorno che
sindi andâ a li galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti
galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travauci certi faldetti che
avia arrubati allo Casali.
«E pigliandolo, ci disse,
che non ci facissero nenti, ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo
caso.
«E cussì Scagliuni ci lo
promisi; et isso dissi, che isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato
li scupittunati al conti di Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D.
Vincenzo Settimo; e che il detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il
baroni del Summatino ci avea promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao
ancora diversi personi».
Giovanni
IV Del Carretto lascia un figlioletto (l’unico legittimo) di
appena nove anni. Quello che non riuscirà mai più a togliersi di dosso
l’anatema e l’ingiuria (cocu) di
Sciascia, Girolamo II Del Carretto viene raccolto fanciulletto a Palermo e
portato nel suo castello di Racalmuto, affidato alle cure (chissà
se affettuose) del fratellastro, il neo arciprete di Racalmuto don Vincenzo del Carretto.
Spettegoliamo
anche noi con Sciascia (op. cit. pag. 16): «Il conte [Girolamo II Del Carretto] stava affacciato al
balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi del
castello quando il servo Antonio di Vita “facendoglisi da presso, l’assassinò
con un colpo d’armi da fuoco”. Era un sicario, un servo che si vendicava: o il
suo gesto scaturiva da una più segreta e sospettata vicenda? Donna Beatrice,
vedova del conte, perdonò al servo Di Vita, e lo nascose, affermando
con più che cristiano buonsenso che “la morte del servo non ritorna in vita il
padrone”. Comunque la sera di quel 6 maggio 1622, i regalpetresi certo mangiarono con la salvietta, come
i contadini dicono per esprimere solenne soddisfazione; appunto in casi come
questi lo dicono, quando violenta morte rovescia il loro nemico, o l’usuraio, o
l’uomo investito di ingiusta autorità.»
E
nella Morte dell’Inquisitore (pag. 180): «Che un fondo di verità sia in
questa tradizione, riteniamo confermato dall’epilogo stesso del racconto
popolare, che dice il servo di Vita averla fatta franca grazie a donna
Beatrice, ventitreenne vedova del conte: la quale non solo perdonò al di Vita,
fermamente dicendo a chi voleva fare vendetta che la morte del servo non ritorna in vita il padrone, ma lo liberò
e lo nascose. Ora chiaramente traluce ed arride, in questo epilogo, l’allusione
a un conte del Carretto cornuto
e scoppellato...».
Ma
ci divertiamo meno, quando sacrilegamente lo scrittore prosegue: «ma questa
viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine, principale
restando quella del priore. Insomma: se non ci fossero stati elementi reali a
indicare il priore degli agostiniani come mandante, volentieri il popolo avrebbe
mosso il racconto delle corna del conte. Il priore non era certamente uno
stinco di santo: ma quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato da
un paese intero. Una memoria della fine del ’600 (oggi introvabile, [ma ora
trovata dal Nalbone, n.d.r.], autore di una buona storia del paese) dice della
vessatoria pressione fiscale esercitata dal del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e brigantesco.
Il terraggio ed il terraggiolo, che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano
applicati con pesantezza ed arbitrio...»
Qualche
volta siamo stati persino caustici: « Le carte della matrice di Racalmuto sono un po'
stregate: appaiono vendicatrici. Basta che uno storico locale si sbilanci in
ricostruzioni storiche che prescindano dalla loro consultazione per scattare la
vendetta: esse stanno lì per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono
rispetto, deferenza, assidua
frequentazione e meticolosa attenzione.
Quando il giovane studente in
medicina - il Tinebra Martorana - si mise a
scrivere improvvisandosi storico locale, nella totale ignoranza dei libri
parrocchiali, questi lo hanno beffato smentendolo impietosamente specie nelle
fantasiose saghe dei del Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di
sesso del figlio Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa
dalla cornata di una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra).
Dispiace che il grande Leonardo Sciascia si sia fatto
travolgere dal suo fidato storico e sia incappato in spiacevoli topiche, specie
nell’anticlericale attribuzione di un nefando crimine al frate Evodio Poliziense -
che davvero era un pio monaco e che a Racalmuto, se vi mise mai piede, ciò fece poche volte e per compiti istituzionali
e conventuali, limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli
di S. Giuliano. In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto
quando Girolamo del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto
trucidare dal monaco - era poco più che tredicenne.
Non fu, poi, questo Girolamo del
Carretto ad essere
tiranno di Racalmuto in modo
“grifagno ed assetato” secondo il lessico del Tinebra, né fu lui ad accordarsi con
i maggiorenti di Racalmuto per una promessa di affrancamento in cambio di
34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è colpevole del “terraggio” e
del “terraggiolo” e di tutte quelle altre nefandezze che sono l’humus storico-culturale delle Parrocchie di
Regalpetra o di Morte
dell’Inquisitore. Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto
l’età di venticinque anni e da oltre un anno con atto di donazione tra vivi si
era liberato di tutti i suoi beni in favore dei due figli Giovanni - quello
giustiziato poi a Palermo nel 1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre,
aveva nominato amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di
cui, peraltro, si conosce bene il cognome. Era, costei, una Ventimiglia.
(E tanto grazie alle recenti
scoperte d’archivio del prof. Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche notizie su
Dorotea del Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta defunta da
poco nel 1654 [pro comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii filiaeque
donnae Dorotheae Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et praefati d.ni
Joannis Comitis Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno della
restituzione da parte del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi domini
racalmutesi con diploma emesso nel
Cenobio di S. Lorenzo il 28
ottobre 1654).
Quando
facevamo queste considerazioni, non era ancora nota la documentazione del Fondo
Palagonia. Quella documentazione
restituisce alla verità la faccenda del terraggio
e del terraggiolo pretesi dai Del
Carretto. Crediamo che queste non
siano tasse enfiteutiche o che sia inesatto definirle così. Erano diritti
feudali spettanti al baronaggio siciliano e legati al semplice fatto che
contadini abitassero nella terra del
barone: dovevano al feudatario (di solito al suo arrendatario o esattore delle
imposte cui queste venivano concesse in soggiogazione) una certa misura di frumento
per ogni salma di terra coltivata nel feudo (terraggio) ed un’altra (di solito doppia) per quella coltivata
fuori dal feudo (terraggiolo). A
preti e conventi racalmutesi codesti gravami feudali non andavano giù ed essi
fecero cause memorabili (e secolari) per sottrarsi e sottrarre dagli odiati terraggio e terraggiolo. La spuntarono
solo il 27 settembre 1787.
Invero
il Tinebra Martorana ebbe tra le mani le carte feudali del terraggio e del terraggiolo: gliele misero a disposizione i suoi protettori i
Tulumello, già baroni e maggiorenti del paese. Quel che il giovane vi capì è
riportato fideisticamente da Sciascia e cioè:
«Oltre
alle numerose tasse e donativi e
imposizioni feudali, che gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, i suoi signori erano
soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo
dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i del Carretto solevano esigere non solo da coloro che
seminavano terre nel loro stato, benché le possedessero come enfiteuti, e ne
pagassero l'annuale censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non
appartenenti alla contea, ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne
avveniva dunque, che questi ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e
il terraggiolo a quel signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il
terraggio e il terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di
Regalpetra, forti nei loro diritti, avevano intentata una lite contro quel
signore feudale per ottenere l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si
adoperò presso alcuni di essi, e finalmente si venne all'accordo, che i
vassalli di Regalpetra dovevano pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero
stati in perpetuo liberi da quei balzelli. Per autorizzazione del regio
Tribunale, si riunirono allora in consiglio i borgesi di Regalpetra, con
facoltà di imporre al paese tutte le tasse necessarie alla prelevazione di quella ingente somma. Le tasse furono
imposte, e ogni cosa andava per la buona via. Ma, allorché i regalpetresi
credevano redenta, pretio sanguinis,
la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada
di Brenno ... e trasgredendo ogni
accordo, calpestando ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il
terraggio e il terraggiolo, e
s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse».
Sciascia commenta: «Il documento riassunto dal Tinebra
dice che appunto durante la signoria di Girolamo II i borgesi
di Racalmuto, che già avevano mosso
ricorso per l'abolizione delle tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno:
ché il conte simulò condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli
per sempre; ma dietro versamento di una grossa somma, esattamente
trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non
si trattasse di un riscatto da certe tasse, ma del definitivo riscatto del
comune dal dominio baronale; del passaggio da terra baronale a terra demaniale,
reale.
«Per
mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria
autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono
applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e non in
funzione del riscatto. I borgesi,
naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a
loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.
«Il
priore degli agostiniani e il loro servo di Vita fecero dunque vendetta
per tutto un paese, quale che sia stato il pasticciaccio
di cui, insieme al defunto e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è
la dicitura di una pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel
sarcofago di granito in cui fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna
Beatrice, ventiquattro anni, e tace su quella del conte. Vero è che non
disponiamo dell'originale, ma di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di
dubitare della fedeltà della trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani
Giuseppe Poma: e l'originale era stata stilata dal suo predecessore Giovanni
Ricci, che forse si permise di tramandare allusivamente una piccola malignità.)
[...]
«Dall'anno
1622, in cui fra Diego nacque, al 1658, in cui salì al rogo, i conti del
Carretto passarono in rapida successione: Girolamo II, Giovanni V, Girolamo III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano
vita lunga. E se il secondo Girolamo era morto per mano di un sicario (come del
resto anche il padre), il terzo moriva per mano del boia: colpevole di una
congiura che tendeva all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si
fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di
Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice),
vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava,
vegliavano i gesuiti; e, a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di
restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel
Regno. Una congiura contro la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei
delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del Carretto erano
dediti. Giovanni IV, per esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La
Cannita che, appunto, temendo del conte, era venuto da
Napoli a Palermo sulla parola del duca d'Alba, viceré, che gli dava
guarentigia. E' facile immaginare l'ira del viceré contro il del Carretto: ma
si infranse contro la protezione che il Sant'Uffizio accordò al conte, suo
familiare. (Questo stesso Giovanni IV troviamo nella cronaca dello scoppio
della polveriera del Castello a mare, 19 agosto 1593: stava a colazione con
l'inquisitore Paramo, ché allora il Sant'Uffizio
aveva sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne uscirono salvi,
anche se il Paramo [3] gravemente offeso. Vi perirono invece Antonio
Veneziano e Argisto Giuffredi, due dei
più grandi ingegni del cinquecento siciliano, che si trovavano in prigione.
«Della
familiarità dei del Carretto col
Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare che a Racalmuto, contro l'eretica pravità e a strumento dei
potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva. [...]
«L'ordine
degli agostiniani di sant'Adriano fu fondato nel 1579 da Andrea
Guasto da Castrogiovanni: il quale, stabilita coi primi compagni la professione
della regola nella chiesa catanese di Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe,
in luogo quasi allora deserto, e fabbricate
anguste celle, pose i rudimenti di vita eremitica, e propagolla in progresso
per la Sicilia: notizia che dobbiamo a Vito Amico [Dizionario
topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859.], e non trova
riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed ecclesiastiche che abbiamo
consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il convento di Racalmuto fu dal pio
monaco Evodio Poliziense promosso e dal conte Girolamo del
Carretto dotato nel 1628. Evidente errore: ché nel 1628
il conte Girolamo era morto da sei anni. Più esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani Reformati de S. Adriano ab. an. 1614, rem
promovente Hieronymo Comite, opera F. Fuodij Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro
terzo, Palermo 1641].
«In
quanto al pio monaco Evodio Poliziense o Fuodio Polistense, si tratta
senza dubbio alcuno di quel priore cui dalla leggenda popolare è attribuito il
mandato per l'assassinio del conte Girolamo. Infatti il Tinebra Martorana, che non
si era preoccupato di consultare in proposito i testi del Pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando
dice che al priore di questo convento la
tradizione serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità
all'azione da lui commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino,
di Evodio o Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.»
Sui
Del Carretto di Racalmuto è reperibile una folta letteratura, specie fra
storici ed eruditi del Seicento; ma solo Sciascia (vedansi Le
parrocchie di Regalpetra e Morte dell'inquisitore),
scavalcando il vacuo curiosare araldico, scandaglia, invero, gli amari gravami
di quella signoria feudale. Peccato che il grande scrittore si sia voluto
attenere, sino alla fine dei suoi giorni, ai dati cronachistici dell'acerbo
Tinebra Martorana. Finisce, così, col dare
fuorviante credibilità a vicende inventate o pasticciate. Sono da notare, ad
esempio, queste topiche piuttosto gravi:
*
Il 'Girolamo
terzo Del Carretto' che «moriva per mano del
boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza del regno di
Sicilia» ([4]) è inesistente. A salire
sul patibolo allestito nel 'regio castello' di Palermo era stato lo scervellato
Giovanni V del Carretto il 26 febbraio 1650. Quello che
si indica come Girolamo quarto è invece il terzo. Dopo una parentesi in cui il
feudo di Racalmuto risulta in mano della madre e della vedova del
malcapitato Giovanni V, la contea viene restituita, nel 1654, al predetto
Girolamo che risulta il terzo dei Del Carretto con siffatto nome. Costui, finché subì
l'influenza della prima moglie Melchiorra Lanza Moncada figlia del conte di
Sommatino, fu munifico verso conventi, ospedale e chiese. Ma quando fu prossimo
ai cinquant'anni,([5]) forse
perché oberato dai debiti, si scatenò contro il clero di Racalmuto,
denegandogli le esenzioni terriere risalenti all'ultimo barone Giovanni III Del
Carretto ([6]) ed
intentando contro di esso, presso il Tribunale della Gran Corte, una causa che
poteva costargli una scottante scomunica.
La
faccenda del terraggio e del terraggiolo è molto ingarbugliata ma non collima
con la versione sciasciana. L’analisi della ponderosa documentazione del Fondo
Palagonia potrà dare filo da torcere agli eventuali studiosi di diritto ed
economia feudali, con specifico riferimento a Racalmuto: è materiale degno di una qualche
tesi universitaria. A dimostrazione del nostro assunto, ci limitiamo a
riportare in nota un documento del 1738 .[7] Ma
l’intera controversia che dura dal 1580 al 1787 va seguita in tanti documenti
del Fondo Palagonia. Una ricognizione piuttosto analitica, ma limitata alla
contea del Gaetano è contenuta nelle carte segnate: A.S.P. - fondo palagonia - atti privati . n.° 631 - anni 1502-1706 -
n.° 3 - p- 173-240, che sono ben 64 fitte pagine. Abbiamo stralciato, in nota,
solo la parte che ci pare riassuma il veridico svolgimento dei fatti, che non
ci pare confermino le tesi di Sciascia.
* * *
Andrea
d’Argomento, arciprete di Racalmuto ed esaminatore sinodale ad Agrigento, è il
dottore in utroque iure che nel marzo
del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa, prende
possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche lui
preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo di scienza
immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia.
Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle
costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si
trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo
ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del
1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete; all’arciprete; palora al s.
arcipreti”. Il senso è evidente; non può che trattarsi del regolamento
dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri termini la quota di
spettanza per i funerali (che costavano per le spese di chiesa, 5 tarì e 10
grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le “glorie”, i bambini).
Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture avvengono “a lo Carmino”
(ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo Fanara, di cui abbiamo
fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un pargoletto della racalmutesissima
famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata da tutto il clero vi è sepolta
una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da Racalmuto). Sia però chiaro che
non abbiamo elementi di sorta per sospettare di questo arciprete dottore in utroque. Crediamo, anzi, che sia
stato bene accetto e rispettato: un “signore arciprete”, dice il chiosatore
dell’archivio parrocchiale. [8]
Dopo
il 1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese
con Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile -
vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è
costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri
giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico percettore della
prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra Congregazione dei
Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici cammaratesi don Francesco Navarra, titolare
della prebenda di Sutera, e don Raimondo Vitali: il primo era accusato di
pederastia; il secondo di relazione peccaminosa con la vecchia madre del primo.
La
diocesi sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio
parrocchiale ne sono un indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25
giugno 1607 e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo
buono per riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.
Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si
porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una
relazione minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti
e misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di
Racalmuto, e non solo quella religiosa. [9]
Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto
il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato
concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV Del Carretto - don Vincenzo Del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano,
elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato
sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il
potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze
del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano
hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il
fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali:
la bisettrice parte dal Carmino ed
arriva a la Funtana lungo un percosso
che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con
sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma
lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia,
posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella
parte terminale della vecchia via Fontana.
La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in
mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è
appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di
sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una sua tela -
oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come abbiamo
visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa
congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S.
Margaritae depictum in tila manu
pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).
Don Vincenzo Del Carretto era stato colpito l’anno precedente dal lutto
per la morte del padre (5 di maggio
1608); aveva raccolto il fratellastro novenne Girolamo II che per diritto ereditario era divenuto
novello conte di Racalmuto (la legge contemplava il maggiorascato, e
sarebbe toccato quindi a don Vincenzo essere Conte, ma
escludeva i figli illegittimi, e don Vincenzo così era escluso, con suo scorno a la faccia di lu munnu).
Don Vincenzo è il tutore del conte minorenne: nel 1609
pasticcia quell’infame accordo sul terraggio e terraggiolo che Tinebra
Martorana e Sciascia affibbiano al “vorace e brigantesco don
Girolamo II Del Carretto”, all’epoca uno smarrito
bambino. Lo desumiamo da un diploma che
tra l’altro recita:
Sotto le
quali convenzioni ed accordio detta università ed il conte di detto stato hanno
campato ed osservato per insino all’anno settima indindizione prox: pass: 1609,
nel qual tempo detta università, e per essa li suoi deputati eletti per publico
consiglio a quest’effetto, ed il dottor Don Vincenzo del Carretto Balio e Tutore
di detto Don Geronimo, moderno conte allora pupillo, con intervento e consenso
del reverendissimo don Giovanni de Torres Osorio, giudice della Regia Monarchia
protettore sopraintendente di detto pupillo e con la sua promissione di rato,
devennero à novo accordio e transazione in virtù di nuovo consiglio confirmato
per il signor Vicerè e Regio Patrimonio, per il quale promisero detti deputati
à nome di detta università pagare al detto conte don Geronimo scuti
trentaquattromila infra quattro mesi, e
quelli depositarli nella tavola di Palermo per comprarne feghi ò rendite tuti e
sicuri, con l’intervento e consenso di detta Università, con diversi patti e
condizioni in cambio per l’integra soluzione e satisfazione di detti terraggi e
terraggioli dentro e fuora di detta terra e suo territorio, e per contra detto
tutore cessi lite alla detta exazione di detti terraggi, quali ci relasciò e
renunciò, essendoli prima pagata detta somma di scuti trentaquattromila,
promettendo non molestare più detti cittadini ed abitatori di detta università
di detti terraggi e terraggioli come più diffusamente appare per detto
contratto all’atti di notar Geronimo Liozzi [a.v.: Liezi] à 17 luglio settima
indizione 1609., confirmato per Sua Eccellenza e Regio Patrimonio
A porre una qualche attenzione alle date, abbiamo che Die 22 Junii VI Ind.is 1608 Don Vincenzo
viene riconosciuto Arciprete (sia pure a metà con quella specie di mitateri quale appare il vassallo don Paulino d’Asaro); il successivo 17 luglio si
sbilancia nella gestione delle sopraffazioni feudatarie.
Investigando i processi d’investitura emerge che don Vincenzo
Del Carretto esercita questa funzione tutoria sino al
luglio del 1610. Ma da questa data, quando il bambinello Girolamo II viene d’autorità - pare - fidanzato a Beatrice
figlia bambina del Ventimiglia, il tutore diviene il futuro suocero del conte,
come si evince da questo stralcio:
Reg.tus
Panormi die 3 julij viii ind. 1610
Testes ricepti et examinati per
ill.m Regni Siciliae Protonatorum ad instantiam d: Jo: de Viginti Milijs,
Marchionis Hieracij, Principis Castriboni, balej et tutoris ill. d. Hieronimi
del Carretto Comitis
Racalmuti ad verificandam infrascriptam pro investituram capiendam ditti
comitatus.
Il Tinebra Martorana (pag. 125) vorrebbe Girolamo II sposato ad una ”certa Beatrice, di cui
s’ignora il cognome”. Niente di più falso: di donna Beatrice sappiamo tanto.
Non crediamo che finché si protrasse il breve legame matrimoniale si sia
indotta all’adulterio, come maliziosamente insinua lo Sciascia. Da
vedova, qualche leggerezza può averla commessa (ma noi non lo diremo dinanzi a voi stelle pudiche.) Negli
atti vescovili troviamo questa singolare “littera monitoria” ([10]):
«Die 3 septembris VII
ind. 1622 - Rev. Arc: terrae Racalmuti. Semo stati significati da parti di
donna Beatrice Del Carretto e Ventimiglia,
contissa di detta Terra, nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto, tuturi
et tutrici di li figli et heredi del quondam don Geronimo lo Carretto, olim
conti di detta Terra qualmenti li sonno stati robbati, occupati et defraudati
molte quantità di oro, argento, ramo, stagni et metalli, robbi bianchi, tila,
lana, lina, sita, capi lavorati, come senza, et occupati, scritturi publici et
privati, denegati debiti, et nome di debitori; rubato vino di li dispensi,
animali grossi, stigli con arnesi, cosi di casa .... In suo grave danno,
prejuditio, et ... In forma comuni etc.»
Sembra, dunque, che dopo la morte del conte avvenuta il due (
e non il 6) maggio 1622, una rivolta
popolare sia esplosa a Racalmuto: vi sarebbe stato l’assalto
al munito castello ed il popolino rivoltoso abbia fatto man bassa di tutto. La
giustizia - che pure era mera espressione dei Del Carretto - non fu in grado di far nulla e così alla giovane
vedova ed a suo cognato, tutore, non rimase nient’altro da fare che chiedere la
comminatoria delle canoniche sanzioni da parte della sede vacante del vescovado
di Agrigento. Ne avesse avuto sentore Leonardo Sciascia, crediamo
che avrebbe imbandito in modo più succulento la tavola della “mangiata cu la salvietta” dei
racalmutesi nell’estate del 1622.
Poi, con gli anni, il terrore della morte ebbe a sorprendere
il prete don Vincenzo del Carretto: si costruì una chiesetta (Itria) tutta per
lui e la dotò. I suoi eredi - nobili - dovettero corrispondere le rendite al
cappellano di quella chiesetta perlomeno sino 1902: il
prof. Giuseppe Nalbone ha potuto stilare questo quadro sinottico:
1609
|
VINCENZO
|
DEL CARRETTO
|
FONDATORE DELLA CHIESA
DELL'ITRIA
|
1632
|
SANTO
|
D ' AGRO'
|
BENEFICIALE DELL ' ITRIA
|
1677
|
STEFANO
|
SAIJA
|
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
|
1731
|
PIETRO
|
SIGNORINO
|
BENEFICIALE S.MARIA DELL'ITRIA
|
1736
|
PIETRO
|
SIGNORINO
|
CAPPEL. ITRIA
|
1782
|
NICOLO'
|
AMELLA
|
BENEFIC.S MARIA DELL'ITRIA
|
1830
|
CALOGERO
|
PICONE
|
ER.SIGNORINO, CONF, UTR.CH. ITRIA
|
1902
|
GIOVANNI
|
PARISI FU VINCENZO
|
MARIA SS. DELL' ITRIA
|
Don Vincenzo Del Carretto, arciprete di Racalmuto lo fu (o volle essere) per poco tempo. Ancora
vivo, l’arcipretura risulta passata a tale Pietro Cinquemani , originario, forse, di Mussomeli. ([11]) Secondo
il prof. Giuseppe Nalbone, costui sarebbe stato prima
rettore e poi arciprete del nostro paese:
1613
|
PIETRO
|
CINQUEMANI
|
RETTORE e poi
nel 1614 ARCIPRETE
|
Viene annotato, nel Liber
in quo a f. 1, n°. 11 come «D. Pietro Cinquemani - Arciprete 1614. » Gli atti della
Matrice ce lo confermano ancora tale nel 1615, ma
l’anno successivo arciprete è don Filippo Sconduto. Il 7 gennaio 1616
benedice, ad esempio le nozze di
Silvestre Curto di Pietro con Giovanna Bucculeri del fu Francesco (vedi
atti di matrimonio del 1616).
Don Filippo Sconduto regge a lungo la nostra arcipretura,
fino alla morte avvenuta il 6 novembre 1631. (Cfr. Liber in quo adnotata .. f. 2 n.° 42). Sotto il suo arcipretato
avvengono fatti memorabili, tristi, lieti e rissosi:
la famigerata peste è appunto del 1624; la vedova del Carretto vuole reliquie di S. Rosalia e manda 80
cavalieri a Palermo a prenderle, in una con la bolla che abbiamo dianzi
illustrata; torna a nuovo splendore la chiesetta dedicata alla santa eremitica
nel centro del paese; inizia sotto di lui la controversia per sottrarre
Racalmuto dall’indesiderata giurisdizione dell’ingordo vescovo Traina e passarlo a quella del Metropolita di
Palermo. Ci informa il Pirri:
dopo il maggio del 1631, «paucos post menses litterae Romae
13 Decembr., 14 ind. exaratae mandato Marci Antonii Franciotti Apostol. Camarae
Auditoris advenere, quibus decretum erat, ut oppida Ducatus Sancti Joannis et
comitatus Camaratae, item et Juliana, Burgium, Clusa et postea Rahyalumutum dioecesis Agrigentinae in
criminalibus, et civilibus causis ab ordinaria jurisditione subtraherentur et Panormitano Metropolitae subijcerentur.»
Il nocciolo della questione era dunque che San Giovanni
Gemini, Cammarata, Giuliana, Clusa e
Racalmuto ne avevano le scatole piene delle pretese del
vescovo Traina. Un delatore, canonico,
ebbe a scrivere in Vaticano che il prelato era talmente sordido ed avaro, da
avere accumulato montagne di denaro contante che deteneva in cassapanche sotto
il letto. La notte, preso da raptus
estraeva le casse, le apriva, e ci si
curcava sopra. Questi paesi si erano consorziati ed avevano adito le vie
legali della corte pontificia, chiedendo di passare da sottoposti di Agrigento
a sottoposti di Palermo. L’uditore della Camera Apostolica, Marco Antonio
Franciotto comunicava l’esito positivo in data 14 dicembre 1631, quando lo
Sconduto, sicuramente ispiratore della lite, era già deceduto. Noi abbiamo
cercato di rintracciare in Vaticano questa importante documentazione, ma non ci
siamo riusciti. Le carte furono disperse dopo la presa di Porta Pia. Ma
sappiamo dal Pirri che esse si trovano presso l’Archivio
Metropolitano della curia palermitana “in registr....13 januar. [1632].” Tanto per chi avrà voglia di cercarle.
Qualcosa abbiamo trovato nel Fondo Palagonia, ma ci dicono poco. Disponiamo
solo di una scrittura del 4 gennaio 1632 (A.S.P. Fondo Palagonia - atti privati
- n.° 631 - anni 1502-1706). Il seguito della faccenda, così ce la racconta il Pirri:
«Quod Philippo IV, summopere displicuisse, datis ad proregem
litteris, quibus animi sui acerbitatem, ac facinoris indignitatem ostendit,
ipsemet aperte testatur. Romae tandem causa agitata, inataque pace inter
Episcopum et oppidorum dominos, ad pristinum rediere locum omnia.»
Filippo IV, dunque, appena saputa la notizia, andò su tutte
le furie: se ne dispiacque proprio summopere,
forte ma tanto forte che più forte non si può, investì in malo modo il viceré a
Palermo scaricandogli la rabbia per quell’impertinenza dei paesi agrigentini,
caduti in un indegno crimine (indignitas
facinoris). Di fronte all’ira del re spagnolo, al viceré toccò prendere
penna e carta e supplicare la corte papale per una revisione della causa. Forse
il vescovo Traina - sicuramente non ignaro di tutti questi
maneggi - avrà profuso anche a Roma il
suo copioso denaro (e già perché anche allora Roma era ... Roma
ladrona). Fatto sta che immediatamente si ridiscute la causa presso la
Camera Apostolica ed ecco che Roma si rimangia tutto: impone la pace tra il
vescovo Traina ed i padroni oppidorum, dei
paesi agrigentini: tutto deve tornare come prima: ad pristinum rediere locum omnia.
Ma
chi erano i domini terrae Racalmuti?
Sulla carta Giovanni V del Carretto. Ma costui - come vedesi
nella foto della copertina della pubblicazione racalmutese su Pietro d’Asaro «il Monocolo di Racalmuto», ove vi appare con la
sorella Dorotea ([12]) - era
soltanto un fanciullo tredicenne, peraltro trasferitosi a Palermo. Le carte del
Palagonia ci vengono in soccorso. Furono i giurati - espressione del potere
feudale - a volere l’eversione dal vescovo Traina: basta scorrere un atto
notarile del tempo, per desumere gli artefici dell’incauta
iniziativa: è l’intera Universitas ma rappresentata e coartata dai seguenti
notabili:
Universitas terrae et
comitatus Racalmuti Agrigentine dioecesis ex statu temporalis dominis comitis
dittae terrae Racalmuti legitime congregata et pro ea Nicolaus Capilli,
Benedictus Troianus, Petrus de Alfano, et ar: me: doct. Joseph Amella uti jurati
dittae terrae Racalmuti
E’ stata l’intera Universitas Racalmuti, ritualmente congregata, e
rappresentata dai giurati, al tempo Nicolò Capilli, Benedetto Troiano, Pietro Alfano ed il medico Dott. Giuseppe Amella. Su costoro comunque non si
abbatté l’ira del re di Spagna. Anzi, nel 1639, anno di grande miseria, un
provvidenziale decreto viceregio impone sgravi fiscali ed accorda altre
agevolazioni ai borgesi racalmutesi
che si cerca di mettere in condizione di seminare senza le espoliazioni
feudali. ([13])
Erano vane promesse, qualcosa di simile alle grida di manzoniana memoria? Vox
clamantis in deserto? Sia quel che sia il cardinale Doria sembra più commendevole come luogotenente che
come dispensatore delle reliquie di Santa Rosalia.
Nell’ottobre del 1639, i borgesi racalmutesi erano davvero
nelle condizioni tali da non avere più la semente per le loro chiuse? O era un
piangere miseria, veniale peccato ricorrente nel costume contadino di un tempo?
Per avere alleggerite le onnivore tasse.
[1] ) Nota il di Marzo: .. non è agevole intendere il significato di spatati e testi,
che davansi in premio a chi rivelasse. De’ sei destinati però (qual voce
in siciliano vale esuli, relegati) intendo facilmente, che
accordavasi facoltà al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del
ritorno.
[2] ) Sùccari in sic. canape o fune, con
cui si collava, ed era proprio per uso della tortura. Colla.
[3] )
“Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di quel libro che Voltaire infilza,
alla voce Inquisizione, nel Dizionario filosofico. «Luigi [Ludovico]
di Paramo, uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del
Sant'Uffizio... Questo Paramo era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che
non ometteva nessun fatto interessante, e calcolava col massimo scrupolo, il
numero delle vittime umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in tutti i
paesi.»”]
[4])
Leonardo Sciascia, Morte dell'inquisitore - Bari 1982, pag. 182.
[5])
Anche se non disponiamo dell'atto di nascita, pensiamo che Girolamo III Del Carretto sia nato nel 1648. Lo desumiamo da un
documento della Gancia (Anno 1651 vol.
609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia - P.R.P.) che vuole: «Donna Maria del Carretto e Branciforte, contessa di Racalmuto, cittadina oriunda della città di Palermo,
relitta del Conte, figli don Girolamo di anni 3 e Anna
Beatrice. Rendite: don Nicolau Placido Branciforte, principe di Leonforte,
once 300 ogni anno sopra detto stato di Branciforte che à raggione del 5% il
capitale spetta onze 6000;
inoltre
rende ogni anno donna Margherita d'Austria onze 382 e tt. 5 per il principato di Butera quale che
tiene il capitale di onze 5277 per un totale di 11277 onze, 13 deve a d.
Michele Abbarca della città di Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve
a donna Maria Morreale e del Carretto onze 500 per tanto prestatoci .» La moglie di
Girolamo III, Melchiorra Lanza di Trabia,
era più vecchia di lui quasi 18 anni. E ciò se crediamo all'atto di morte che si custodisce presso la Matrice di Racalmuto (libro dei morti 1694-1707), ove si annota: Die 10 Aprilis 1701 ind.nis 9^
Ecc.ma Domina D. Melchiora Lanza uxor ecc.mi Principis comitis Racalmuti
Hieronimi del Carretto annorum 70 circiter, in communione s. matris eccl.ae, in sua propria domo h.t.
Racalmuti, animam Deo reddidit. Cuius corpus sepultum in Ecclesia sanctae
Mariae de Jesu in venerabili Cap.a Sanctissimi Rosarii huius terrae
Racalmuti et praesidio omnium
sacramentorum munita, et roborata, per me D. Fabritium Signorino Archipraesb.
huius matricis Eccl.ae terrae
praedictae.
[6])
Ampia è l'esenzione fiscale dell'ultimo barone come può vedersi da questa
disposizione del testamento del 1560:
Item dictus dominus testator voluit et
mandavit, ac retulit et refert spectabili domino D. Hieronymo de Carrecto eius
filio et successori in dicta Baronia et pheudis, quod omnes et singulae
Personae Ecclesiasticae dictae Terrae Racalmuti sint et esse debeant immunes,
liberi et exempti ab omnibus et singulis gabellis, et constitutionibus
solvendis spectabili domino eius successori, videlicet à gabella saluminis,
vini, carnis, granorum et olei, et hoc pro usu tantum dictarum personarum
ecclesiasticarum, et ita voluit, et mandavit.
[7])
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - FONDO ARCHIVISTICO PALAGONIA ARCHIVI PRIVATI -
UNITA’: N.° 709 - Anni 1613-1749
Relationes
Burgentium Terrae Racalmuti - [f. 141-149]
J.M.J.
Possessores
status Regalmuti, qui aliunde ab omnibus gabellis exemptus existit, jus habent
exigendi à Vassallis, extra territorium serentibus, terraggiolum ad quantitatem
salmarum duarum pro qualibet salma terrae serendae, sive ista sit propria
secularium, sive Ecclesiasticorum.
Promanat jus
hoc ex immemoriali praescriptione, de qua habetur ratio in transactione anni
1580, inter Comitem et Populum adstipulata, et ex eadem transactione ipsa, in
qua nedum fatentur contrahentes, huiusmodi juris titulum promanare ex contractu
et sententia compromissoria (licet instrumenta haec cum die et consule
enunciata non videantur) verum etiam terragiolum praedictum in quantitate
salmarum quatuor esse, ac semper fuisse solutum, et comitem transigentem in
possessione actualis exactionis tunc extitisse.
Profecto tamen
transactioni praedictae causam dedit judicium à vassalis contra dominum in Magna Curia institutum
super exemptione ab huiusmodi, alijsque juribus praetensa, quod, cum per
nonnullos annos agitatum fuisset, denique perpertuum passum est silentium,
media transactione facta cum interventu jurisperiti a magna curia destinati et
accedente totius populi consensu, ex qua, ultra quam plures gratias à comite
vassallis concessas, reportarunt isti relaxactionem medietatis huiusmodi
terraggioli, quod è quantitate salmarum quatuor frumentorum pro qualibet
terrarum salma, ad binas redactum fuit.
Populus autem,
postquam sub ista transactionis lege usque ad annum 1609 steterat, cogitavit
hoc terragioli onus à se excutere, media soluctione scutorum triginta
quatuormille, proprio domino promissa per aliam transactionem eodem anno
factam, in qua fructus ad rationem de septem conventi fuere, donec solutio ipsa
adimpleta non fuerit.
Pro soluptione
summae promissae, de permissu Magne Curiae Rationum, nonnullas sibi Populus
gabellas imposuit; earum tamen iugum ferre nequivit, quia omnis fere incola
praemebatur quando aliunde soli burgenses semina in agris emittentes
terraggiolum domino persolvere debuissent; qua de re, anno 1613 detempto novo
consilio, praeviis literis regij patrimonij, obtentis sub injunctione ad se
opponendum comiti facta, de nullitate transactionis anni 1609 dicere
praetendebant, ad hoc ut ad illam anni 1580 regredi cives potuissent, dum 700
familiae è terra discesserant.
Porro Comes
benignè annuens, per novam transactionem anno praedicto 1613 adstipulatam,
secundam delendo, ab ea recessit, illamque una cum vassallis ratham habuit,
quae de anno 1580 primo conventa fuerat ac insuper fructus ei non soluta super
capitali iam dicto dimisit, et haec finalis conventio usque ad praesens
exequuta videtur.
Pervento autem
dicto statu de anno 1716 in illustrem ducem D. Aloysium Gaetano, ipse, ut
facilius vassalli seminerijs operam darent, de permisso praesidis de Drago
Judicis Deputati, ab illis pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis
exegit, alia vero medietas duci, status praedicti semper gabelloto, ab eodem de
Drago pro computo gabellae compensata fuit.
Praemissorum
verum prorsus inscius noster cliens, ad Magnam Curiam die 23 Settembris nuper
elapsi recursum faciendo, exposuit, ex immemorabili praescriptione usque ad
annum 1716 quemlibet ex vassallis extra statum serentem in feudis tam
secularibus, quam ecclesiasticis solvisse Domino, eiusque gabelloto terragiolum
praedictum ad dictam quantitatem salmarum duarum pro qualibet salma terrae
satae, ipsumque de permissu praedicto, ut ad seminerium illos provocaret,
exigisse dimidium, alterum vero eidem à judice deputato compensatum fuisse, pro
ut ex documentis compensantionum, et ex testibus possessionis extremum
deponentibus apparebat; proindeque petiit et obtinuit manutentionis posessionis
literas in jure exigendi dictum integrum terraggiolum, dummodo quod in eius facultate
sit, illud pro dimidia exigere, absque eo quod ex huiusmodi facultativo actu
favor vassallis quaetatur, vel domini jus praejudicatum remaneret, quae sane
literae de mense settembris in dicta terra presentatae, atquae exequutae
fuerunt eodemque modo die trigesimo octobris in Civitate Agrigenti. [...]
[8] )
11
|
1601
|
d'Andria
|
Luca
|
|
a lo Carmino
|
per lo clero
|
10
|
|
|
Detti
fra Paulo la Palora a l'arciprete
|
|
|
|
|
|
28
|
1601
|
Mule'
|
Nardu
|
f. di
Filippo
|
S. Maria
|
Spalletta Leonardo
|
10
|
|
|
all.
arcipreti
|
|
|
|
|
|
10
|
1601
|
Turano
|
Angila
|
f. di
Antoni
|
S. Giuliano
|
per lo clero
|
10
|
|
|
Palora al s. arcipreti
|
|
|
|
|
|
[9] )
Seguiamone alcuni passaggi:
Ill.mus Rev.nus noster de Bonincontro summo mane recedens cum tota sua familia de
predicta terra Cannicatti, Deo
adiuvante, pervenit ad terram Racalmuti distantem circiter
miliaria octo et pariter a civitate Agrigenti alia mialiaria duodecim.
In qua sunt domus seu fochi mille et quingenti et anime circiter septemmillia
et cum ad eam pervenisset hora quasi duodecima statim contulit se ad ecclesiam
maiorem dicte terre sub titulo S.ti Juliani martiris ubi facta absolutione
fidelium defunctorum et visitazione S.mi Sacramaneti ac fontis Bapt.malis et
sacro oleo...
mandavit.
che il deposito del Ss.mo Sacramaneto non si
tenghi nella sfera come s'è tenuto insino al presente ma si facci una custodia a questo effetto. (non è fatto,
annotazione successiva, n.d.r.)
che si facci una cucchiara d'argento con suo
manico d'argento quale capa almeno una libra d'acqua et con quella si debba
battezzare. (non è fatto, annotazione successiva, n.d.r.)
che nel fonte del battesimo si facci
un'altro catinazzello che serri bene.
che si compri un vacilello seu cato di ramo
per l'Aspergere.
Un martirologio moderno
che si facci una cappella cioe cappa
casubula et torricelle di damasco verdi; et un paro di torricelle di damasco
bianco. Le quali cose predette tutti et singule li debba fare l'Arciprete a sue
dispese fra il termine di anno uno sotto pena di sospensione ipso fatto
incurrendo dello suo beneficio seu mansionariato di detta terra di Racalmuto.
Die 19 medesimi mensis Junii 1608
Prefatus Ill.mus et Rev.mus Dominus mane se
contulit ad predictam ecclesiam S. Juliani
et ibi ministravit solemne sacramentum confirmationis. Et clerum
invigilavit ....
Item visitavit onfraternitatem S.cti Juliani
et mandavit che si comprino dui teli di calice di taffita uno bianco et l'altro
aurato. Due cingoli con suoi giummuli grossi et un missale grandi moderno. Et
revidit jugalia redditus et computa introitus...
die 20 eiusdem
Ill.mus Rev.mus d.nus iterum se contulit ad
predictam ecclesiam s.cti Juliani et iterum ministravit sacramentum
confirmationis multis fidelibus ....
visitavit ecclesiam et confraternitatem S.te
Marie Maioris, positam extra dictam terram, in qua die presentes sunt fratres,
et conventum S.te Marie di Jesu, quia ius vistandi pertinet ad Ordinarium, et
post visitationem dicti conventi et altaris S. Marie Maioris ac omnem jugalem
et paramenta confraternitatis sub eodem titulo S. Marie Maioris;
mandavit confratribus et rectoribus
che
debbano comprare un messale grande moderno. Un sopra calice di taffeta bianco.
due cingoli con suoi giumbi grossi, una tovaglia di damasco russo per lo
crocifisso; che si apparecchi un altarecto per la consacratione et che dentro
allo sgabello della imagine della beata vergine si cavi con scarpello una
finistrella dentro la quale si debba riporre il reliquario con sua porta e
serratura con chiave.
Item visitavit ecclesiam seu cappellam S.te
Margarite Virginis et martiris collateralem et coniunctam cum dicta ecclesia
S.te Marie Maioris. In qua est titulus canonicalis Don Joannes Bondì
saccensis et fuit per eundem de novo restaurata et reedificata atque ornata
...
S.te
Margarite valoris unciarum septem
et
mandavit ...
che vi facci un pallio d'altare di
damasco. tre tovaglie. un paio di candeleri. una crocetta et che inalbi detta
cappella et si accomodi un fonticello per l'acqua benedetta.
Die
22 eiusdem mensis Junii vi indi. 1608
Ill.mus
et Rev.mus D.nus inivigilavit die dominica mane;
contulit
ordinans minores et ipsemet visitavit ecclesiam fratrum Sancti Francisci vulgo
dicti di li zuccolanti ubi post celebratam missam visitavit S.mum Sacramentum.
Et sero fecit erectionem et divisionem duorum parrochiarum videlicet: unam sub
titulo Sancti Juliani martiris et in eadem ecclesia S. Juliani; et alteram sub
titulo et in ecclesia Annuntiationis sub nomine Virginis Marie ... hac modo videlicet quod in parochia S.cti
Juliani provvideatur de rebus necessariis per ill.mum archipresbiterum et confraternitatem S.mi Sacramenti prout
hactenus permissum est quod Archipresbiter non sit obligatus detinere in ea
duos cappellanos prout hactenus prout solitus fuerat detenere sed eorum tantm
stante quod per dictam divisionem remanet ei minus cura quem antea. Parochiae
vero Annuntiationis minori erectae provvideatur hoc modo. videlicet ipse d.
Archipresbyter contribuat uncias sex decim quolibet anno. et confraternitas
S.mi Sacramenti provvideat ...... unciis
24
Et
interim d. V.or accessit ad locum et divisionem fecit dictarum parochiarum de
ordine et .. dicti ill.mi ...
et
sic fuit completa visitatio terre Racalmuti.
(f-
250)
In Dei nomine amen
Die
22 Junii VI Ind.is 1608
in
discursu visitationis terre Racalmuti factae per Ill.mum et Reve.mum de
Bonincontro
Divisio
Parocchiarum erectarum in dicta terra
VD. unius sub titulo Sancti Juliani Mart. et alterius sub titulo Annunciationis
Gloriosisimae Virginis Mariae.
Incipit
Parocchia sancti Juliani ab ecclesia seu conventu fratrum Carmelitarum sito et
posito a parte meridiei dictae terrae et in loco inhabitato distante ab
abitatione dictae terrae per iactum lapidis et prosequitur usque ad fontem seu
ut vulgo dictam alla fontana seu biviratura sita et posita a parte aquilonis
coniuncta cum habitatione dictae terrae.
L’anno
successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e completa la vista, annotando ([9]):
Racalmuto - Accessit
de mane, una cum coa/... (Coadiutore?), associante parte Cleri, ad Eclesiam
santi Juliani quae est matrix eclesia, cuius cura spectat ad Archipresbiterum
dictae terrae, qui est Dr Vincentius del Carretto, habens a dicta terra et cura multis ab
hinc mensibus, Ubi audita reverenter missa, facta profunda riverentia
Santiss.mo Sacramento Eucaristie, et illo incensato D. Visitavit dictum
Santissimum Sacramentum dicto himmo, et oratione
Et
mandavit
che il deposito che se tiene nella sfera,
non vi si tenghi, ma si faccia una custodia di argento a questo effetto, come
fu ordinato l'anno passato nella visita di Mons. Ill. Vescovo, et questa fra
termine di tre mesi, sotto la pena di XX onze di applicarsi ad opere pie, non
assolvendo l'Arciprete predetto dalle pene, et censure incorse, anzi reservando
in ciò la provista ... alle dette pene
et censure.
Deinde
visitavit Santissimum Baptismalem, qui est lapideus, rotundus, coopertus tabula
lignea, et panno rubeo, clausus et bene detinens.
che si eseguiva onninamente tra spatio di 3
mesi, quanto fu ordinato l'anno passato, sotto pena predetta con la detta
reserva.
che il sacrario si levi di dove è hoggi, et
si metta a' costo al muro, et si tengha chiuso con chiave.
revisit olea sacra; et omnia iugalia. et
fecit absolutionem pro animabus defunctorum. cum solitis ceremonijs.
Visitavit altare maius, in quo est ...
confraternitas sub altari S. Juliani, et confratres sunt quasi numero 400.
induunt saccos albos cum muzzetta rubei coloris, et servatur inter hanc
confraternitatem et confratres S. Mariae alternativa in processionibus.
Ex parte dextra d. altaris maioris est
altare defuntorum, cum quadro depicto in tela, in quo est societas pro
suffragiis defunctorum, quae habet incias quatuor redditus, et cum elemosinis
dicuntur multae missae pro animabus existentibus in purgatorio. Mandavit
che l'esactori di ditte elemosine porti il
conto
che vi si faccia una Croce di ottone ...ove
sonno i candelieri.
Ex altera parte sinistra est Cappella S.
Marci
Ordinavit
che quanto prima s'imbianchi, e vi si
faccino doi candelieri, et una Croci di ligno dorato.
Sequitur altare S.me Virginis de Gratia
super quo est eius imago confecta de stucho, manet n quodam tabernaculo ligneo,
et est valde pulcrum decoratam et decentem ornatam.
Ordinavit
che si incosti l'Alraretto, di modo che non
si possa levare
che si compri una Croce conforme alli
candelieri
Fuerunt inventae quaedam reliquiae in quodam
vasculo argenteo, quae sunt .... et quia bene quia bene detineatur nil fuit
ordinatus
Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni
Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis
expensis. et adhuc non est completa.
Altare d.e Cappellae est decenter ornatum
super quo est Scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum
sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata uncias duas redditus
relictus a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae
qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro
maritaggio inius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o
Antonino Sferrazza.
Sequitur altare S. Michaelis Arcangeli, quod
est decens, et ornatus et habet uncias ... pro celebranda missa.
che si comprino 2 candelabri et Croci .. di
ligno dorato.
Ab altera parte est altare S.ti Philippi et
Iacobi,
che il padrone Vito Volpe lo doti almeno di
quattro scudi di rendita per celebratione di una missa la settimana.
che si faccia una Croci conforme alli
Candelieri, et tutto questa fra termine di 4 mesi, sotto pena ad arb. di Mons.
Ill.mo Vescovo.
Visitavit deinde Sacristiam, revidendo (?)
iugalia. et mandavit ut supra, cioè, che si mandi in executione l'ordini della
Visita passata..
et che si faccia un'libro dove si notino il
nome, et cognome delli defunti, quali libro sia conforme a quello, dovi si
scrivano li battezzati tra termine di un mese, sotto pena al Cappellano di
Carcere ..
Die
19 eiusdem
Fuit factus edictus, et affixus ad valvas
Ecclesiae maioris pro revelandis beneficiis tam curatis quam non curatis seu
pro examinandis confessoribus.
Praevio examine fuerunt approbati
infrascripti sacerdotes pro
administratione sacramento penitentiae
Videlicet
Don Gerlandus Monreale usque aliam Visit.
Don Giuseppe Sanfilippo cum ad alia Sacramenta
uti cappellanus
Don Angelus Dardo
Don Mario Curto
Don Santo d'Agrò
Frater
Angelus de Bivona ord. min. osserv.
Frater Nicola de ... ord. min. oss.
Frater Marianus de Caltanaxetta eiusd. ord.
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex
menses
Frater Sebastianus et Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Die 20 eiusdem
Visitavit Cappellam S. Marie .. sitam in ecclesia S. Mariae de Iesu, in
qua ad presens commorantur fratres S.ti
Francisci minoris oss. detti li Zoccolanti, et ordinarius habet ius visitandi
Cappellam praedictam quae est confraternitas sub dicto Xenobio (?), et
confratres induunt saccis albis cum mozzetta cerulei coloris, sunt numero 500. Inservit d.e
Cappelle pro Cappellano qui est amovibilis ad nutum rectoris Sanctus de Agro'
cum salario seu mercede onze undecim cum onere celebrandi quotidie missam.
Super altari est imago B.M.V. lignea,
decorata de vesta et decenter ornata, quae in die eius festivitatis defertur
solemniter per totam terram.
Mandavit
che si metta in esecutione quanto fu
ordinato nella visita passata sotto pena alli ... di XX onze per applicarsi a
lochi pii.
Di più si ordina che si faccia una tabella
ove siano scritti il nome et cognome che tutti li fraticelli .... assenti
Volendo che quelli confrati che mancarono per due volti m di andari alli solite
processioni, et solennità , se morranno in quell'anno non siano essenti dalla
sepoltura, come sono quando servino,et assistono alle solemni.
Visitavit deinde altare S.mi Rosarii cuius
curam habent dicti confratres, illud paramentis ornando, super quo cum icona in
tila cum multis missionariis (?) SS. Rosarii.
Ordinavit
che li confrati ci comprino quanto prima una
Croce, et le tovaglie se mutino più spisso tenendosi nette et pulite.
Eodem
Continuando visitationem praedictam
visitavit Ecclesiam S. Margaritae Virginis, et martiris coniunctam cum dicta
ecclesia S. Mariae de Jesu quae eae titulus canonicalis Don Joannis Bondì a'
Sacca, quae est noviter constructa
Visitavit Altare, supra quo est pulchrum
quadrum dictae S. Margaritae depictum in
tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis.
Mandavit
che il
Canon. Bondì faccia quello che le
fu ordinato nella visita passata et ... se vede la sua negligenza si ordina che
il Vic.io foraneo di ordine seguenti 6 salme di formento, potersi
effettuarsi detto ordine.
Eodem
Visitavit ecclesias Sanctae Mariae Montis,
ubi prius conservabatur Sacramentum Eucharestiae, et erat ecclesia
Archipresbitalis. Modo inservit d.e ecclesiae pro Cappellano D. Joannis Macaluso,
qui tenetur celebrare tres missas in hobdomada et omnes dies festos, habet pro
eius mercede uncias sex, quae solvitur a confratribus confraternitatis ibi
fundatis sub titulo dictae ecclesia, induunt saccis albis sine mozzettis.
Visitavit altare maius super quo est imago
marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata.
che per dicto altare si compri una croce
saltim di legno
Ex parte sinistra altaris maioris est altare
S. Luciae, in quo est imago dictae Sanctae de stuccho. Deaurata.
che l'altare si faccia più lungo, e vi si
compri una Croce.
Fuerunt inventae quaedam reliquiae S.cti
Crispini et Crispiani . Videlicet parvum frustum ossis, quod habet autenticum
documentum in quadam capsula lignea. Mandavit
che si faccia un'reliquario di argento dove
si mettano dette reliquie.
che nell'altare di S. Margarita non vi si
celebri mentri che non si accomada , facendosi più grande.
che per l'altare di S. Francesco si compri
una Croci, et 2 candelabri.
Die
20 Julii 1609
Visitavit
ecclesias Annuntiationis B. M. Virginis, quae est Confraternitas sub dicto
nomine, et usque hunc non habet saccos.
Visitavit altare maius et ... alia altaria.
Mandavit
che per l'altari maggiori si comprino dui
candeleri, una Croci, et una carta di gloria.
che l'altari dell'Assunta si faccia più
lungo, che sia almeno di 7 palmi, et largo proporzionatamente, facendovisi il
suo scabello, et interim non vi si celebri.
che l'altare di S. Giuseppe si faccia più
lungo, et lo scabello si faccia lungo come sarà l'Altare.
che per l'altari di S. Pietro e
Paolo si comprino due Candelieri, et una Croci di legno dorato.
Inservit dictae ecclesiae pro Cappellano Don
Paulinus di Asaro cum onere celebrandi 4 missas hebdomoda, et habet pro mercede
untias . 7.
Fuerunt revisa computa intoitus et exitus.
Con
riferimento al 5 giugno 1609, al foglio 244, viene redatto un elenco di
sacerdoti, cui segue una sorta di inventario:
L'arciprete -
Rev. Gioseppi Samphilippo V. Sub (?)
P. Gio Macaluso - P. Angelo Dardo - P.
Leonardo Castellano - P. Gerlando Merli - P. Santo d'Agro' - P. Mariano Curto -
P. Giuseppe Thodaro (?) - P. Francesco Sferrazza - P. Paolino d'Asaro - D. Gio.
Piamontese - P. Angelo Casuchia .
--------
Diaconi et Subdiaconi
--------
Diacono Petro Curto - Diacono Micheli
Barberi -
Subdiacono Geronimo Borzellino.
----------
Clerici
Cle. Marcantonio di Alaimo -
Cle. Jacomo Amella - Cle. Gasparo Lo Brutto -
Cle. Gioseppi Lo Brutto - Cle. Bartolo lo Ciciro - Cle. Francesco Fimia - Cle.
Francesco Lattuca - Cle. Antoni Baruni (?) - Cle. Francesco Lauricella - Cle.
Gerlando di Gueli - Cle. Francesco di Alessi - Cle. Zaccaria Rizo - Cle.
Domenico di Salvo - Angelo di Alfano -
Francesco Lo Sardo - Francesco Savatteri - Vincenzo Macaluso - Antonino di
Salvo - Vincenzo di Gueli - Vincenzo Bellomo - Vincenzo Ragusa - Mariano
Sferrazza - Francesco Buffalino (?) - Francesco Sciangula - Giseppi d'Ugo -
Grispino Capilli - Bastiano Macaluso - Antonio Capobianco.
NOTAMENTO
DI TUTTE LE CHIESE
Quelli che si visitano
Confraternita di S.ta Maria di Jesu
Santo Giuliano
la nunziata
Santa Maria del monte
Santo Antonio Santa Agata
l'Hospitale Santo Nicola
Santa Rosana
------------------------------------
La compagnia del Santissimo Sacramanto - La
compagnia del Taù.
------------------------------------
F. 245
S. Vincenzo del Carretto Arciprete
D. Giuseppe San Filippo Vic.o Subiecto - an.
28 consacratus ad Sacerd. die 3 Aprilis 1604 ...
D. Jo. Macaluso. an: 5o cons. ad sacerd. die
18 decembris 1583 ..
D. Leonardo Castellana an. 40 consacratus ad
sacerd. die 3 Aprilis 1593 ...
D. Angelo D'Ardo. An. 50 Non ostendit .. sed semper fuit habilitatus pro Sacerdot.
et alius fuit ... in civitate Nari
D. Paulino d'Asaro an. 27 consacratus ad
sacerdot. die 17 Xbris 1605 ...
D. Gerlando Morreali an.
31 cons. ad Sacerd. die 16 Junii 1601 Agusti vis. ..
D. Santo d'Agro' an. 29 cons. ad Sacer. die
24 maij 1603 in civ. S.ti Joannis ..
D. Jo.
Piamontese an. 27 consac. ad sacerdot. die xj martii 1606 Siracusis
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad
sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse
Diacono Micheli Barberi an.
26 consacr. ad diaconat. die 9 junii 1607.
mammane
Nora La missina - experta et approbata.
Cle.
D. Giuseppe Lo Brutto an.
22 cons. ad 4 min.es ord.es die 19 maij 1606
Cl. d. Geronimo Burcellino an. 24 cons. ad
sudiaconatum die xi martii 1606
Cl.
d. Bartolomeo Lo Ciciro an. 18 cons. ad 4 min.ord. die 24 7bris 1606
Cl. Marco Antonio d'Alaimo an.
17 cons. ad p.am ton.re Hostarian. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl. Franciscus Lauricella an. 17 cons. ad p.
t. et Host. die 15 martii 1606
cl: Franciscus Fimia an. 21 cons. ad p. t.
et host. die xi martii 1606
cl: Girlando di Gueli an. 16 cons. ad p.
tons. die 14 martii 1603
cl: Franciscus d'Alessi an. 16 cons. ad p. tons.et Host.
cl: Franciscus Lattuca an. 21 cons. ad p. t.
et duos p.os ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord.
die 23 martii 1602 ... S. Francisci
cl: Antonino Barone an. 21 cons. ad p. t. et
tres ord. die 15 martii 1603 Agrigenti
cl: Zaccaria Rizzo an.
25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
cl: Gasparo Brutto an: 20 cons. ad duos p.
min. ord. die 19 maij 1606 Panormi
---
F. 246
Notamento di confessori
L'Arciprete - P. Gioseppi Sanfilippo V.
Subsidiario - P. Paolino di Asaro - P. Angelo Dardo - P. Gio. Macaluso - D.
Leonardo Castellano - P. Gerlando Morreali - D.
Santo di Agro' - P. Gioseppi Thodaro - D. Gio: Piamontese - P. Angelo Casuchia -
----------
Padre Guardiano di Santa Maria di Gesù - fr.
Mariano di Naro - fra
Paolo di Girgenti.
-------
del Carmine
fra Paulo di Racalmuto - Fra
Salvatori di Racalmuto
----
di S.to Francisci
il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
[10])
Archivio Vescovile Agrigento - Registri Vescovi 1622-1623 - f. 412v
[11])
Giuseppe Sorge - Mussomeli ... vol. II, pag. 95 vi rinviene una famiglia
Cinquemani “di cui le prime notizie rimontano al 1584”.
[12]) Del
tutto cervellotico quanto scritto nel commento (cfr. pag. 72) e cioè: «in
basso.. da sinistra Maria Branciforti
figlia di Placido principe di Leonforte [no: Dorotea figlia di Girolamo II e di Beatrice Ventimiglia], e Girolamo III del Carretto [questi nascerà nel 1648, un anno dopo la
morte di Pietro d’Asaro] Conte del Carretto di Racalmuto [è invece Giovanni V bambino, salito al patibolo a Palermo nel
1650] e di Beatrice Ventimiglia
principessa [la quale era invece la madre dei due bambini; Girolamo III sarà
figlio di Giovanni V Del Carretto e di Maria Branciforte]. Quanto saranno
costate alla Regione Siciliane tutte queste bubbole?
[13])
Documenti per servire alla storia di Sicilia - SECONDA SERIE - FONTI DEL DIRITTO
SICULO VOL VII - PA 1911 - PAG. 129 XIII - Palermo 6 ottobre 1639, VIII
Ind.
Il Viceré comunica ai Giurati delle terre di
Bivona, Adernò, Termini, RACALMUTO, Bisacquino,
Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara e Lentini le istruzioni emanate
sul modo di dare i soccorsi ai borgesi e massari.
(Trib. del R. Patrimonio. Lettere viceregie
e dispacci patrimoniali, di Particolari, dell'anno
indizionale 1639-1640, f. 48 e s.) - In margine si legge che la stessa lettera fu spedita ai Giurati
di Adernò, di Termini, di RACALMUTO,
Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara. - A pag. 64 del
medesimo registro trovasi riportato la stessa lettera diretta ai giurati di
Lentini.
Philippus etc.
Locumtenens et capitaneus generalis in hoc
Siciliae Regno nobilibus Juratis terre Bibone Racalmuti fidelibus regi dilectis salutem.
Siamo stati informati che per la povertà di
borgesi, massari et arbitrarianti della [contea di Racalmuto] non ponno attendere al seminerio nè quello
coltivare nè fare maysi per l'anno futuro essendo detrimento al regno et
convinendo che un tanto beneficio universale habbia essecutione habbiamo
commesso a voi il negotio acciò con la diligentia necessaria compliate al
dovere conforme sarrà di giustizia osserbando quanto vi si ordina per
l'infrascritti istrutioni sopra ciò fatti del tenor seguente Videlicet.
Panormi die
octobris 4^ inditioni 1636.
Instructioni fatti in detto anno sopra il
seminerio attorno di far dar soccorso alli borgisi. Si dovereranno con ogni
diligenza informare delli borgesi che
sono in detta [contea di Racalmuto] dell'apparecchio che habbiano di terre così
per seminare come per ammaisare e della bestiame che hanno per il seminerio
presentato per li maysi futuri e per il governo delli seminati e terre et si sono persone che, essendo soccorsi, si
serviranno veramente del soccorso per seminare e governare li seminati et a
quelli che saranno tali et haviranno bisogno li farrete soccorrere dalli
padroni et affittatori degli feghi et terri delli quali essi borgesi hanno di
apparecchio et in caso che detti padroni et affittatori non siano abili a
soccorrere essendo habili di denari, farrete che coprino [comprino] li formenti
per dare li soccorsi et in caso chi padroni o affittatori siano affatto
inhabili a dar soccorso ne di formento ne di denari per comprarli, farrete dar
soccorso da persone facultuse habili a darlo promettendo loro che se li terrà
memoria del servito che in ciò faranno nelle occorrenze et occasioni et che per
la restitutione se li daranno cautele bastanze preferendoli ad ogni altra
gravezza etiamdio delli terraggi [[13]] et che per la
restitutione non se li concederà per il pagamento di detti soccorsi dilatione
alcuna, declarandosi che essendovi borgesi che avessero apparecchio o terre di
ammaisare baronie, feghi, o terre disabitate, questi ancora verranno esser
soccorsi o di padroni o di affittatori, o di facultosi del più vicino loco
habitato con le medesime prelationi nel pagamento di soccorso. Li borgesi che
si soccorrino per seminare doveranno dare pleggeria [malleveria] di seminare quel soccorso che per tal effecto se li da
sotto pena di haver a restituire il soccorso datogli passato il tempo del
seminerio. E Voi passato il tempo suddetto, essendovene fatta instantia,
procedirete alla esecutione delle pene inremissibilmente, nel tempo del
raccolto haverete cura che il primo sia pagato il soccorso preferendoli ad ogni
altro debito quantunque privilegiato, etiamdio a terraggi o a debiti di bolle
che la recuperatione si facci in prontezza e senza lite. Perciò vi ordiniamo
che attorno il dar soccorso alli borgesi et massari della [contea di Racalmuto]
osserverete et essequirete tutto quello et quanto nelle preinserte instructioni
del seminerio si dichiarando in ciò la diligenza possibile a cui sortisca e
passi innanti il servizio essendo di tanto benefitio universale al regno e
servitio di sua Maiestà che Voi circa le cose premisse ve ni danno la potestà
bastante et cossì essequirete per quanto la gratia di S. Maestà tenete cara.
Datum Panormi 6 octobris, 8 inditionis,
1639. El Cardinal IOAN DORIA. Dominus locumtenens mandavit, etc.
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